Un romanzo/XXV

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Roberto col suo amore esclusivo e maniaco doveva necessariamente stancare una donna come la contessa volubile e capricciosa, che considerava gli amanti come uno specchio della propria bellezza — ed essendo bellissima, prodigava gli specchi intorno a sè.... tutto ciò si capisce.

Finito il ritratto ella era decisa a rompere la relazione — forse quel giovane biondo veduto al teatro, e poi al Corso aveva un’influenza diretta su questa infedeltà anticipata — comunque sia, ella era diventata molto fredda col povero Roberto, le umiliazioni che gli infliggeva aumentavano in proporzione del tedio che sentiva ella stessa. Sembrava volesse vendicarsi su di lui perchè l’aveva interessata un momento. In altri tempi ella avrebbe ucciso volontieri un amante importuno — salvo ad appendersi il cuore alla cintura, come Margherita di Navarra. [p. 216 modifica]

Qui è il luogo di ricordare al lettore che Olimpio era stato per qualche settimana ospite di Roberto — nessuno dunque si farà meraviglia di vederlo installato nel modesto appartamento del pittore di cui aveva aperto l’uscio colla chiave che ancora conservava.

Mezzano di denaro (il signor Prospero era morto in buon punto), Olimpio si informò dell’ora che soleva venire la contessa; e in una bella mattinata d’aprile, mentre le prime rondini cinguettavano sui vetri, egli aspettava sdraiato sul verde divano che tante pene aveva costate al buon Roberto.

Non era inquieto — neppure impaziente. Calmo e sicuro arrotolava in un fogliolino di carta del tabacco spagnuolo, passando tratto tratto la mano nei capelli.

Il ritratto della contessa poggiava su un cavalletto circondato da fiori — egli lo guardò con indifferenza e si pose a sfogliare un album.

Quando il noto coupé si fermò davanti alla porta Olimpio si alzò.

Bello, imponente, coi biondi capelli sparsi ad arte sulla fronte serena — nobile nella posa — seducente nel sorriso, fece un passo verso l’uscio, che si schiudeva sotto la pressione di due dita delicate.

Réa rimase immobile sulla soglia. [p. 217 modifica]

Erano ammirabili così — l’uno rimpetto all’altra — sfidandosi collo sguardo ardito — misurando quasi la loro superiorità, impavidi.

Olimpio ruppe il silenzio.

— Signora, la mia presenza qui vi sorprende?

— Nulla affatto — vi aspettavo.

Per quanto Olimpio fosse audace, l’audacia di lei lo colpì — e gli piacque più che non gli fosse piaciuta la bellezza. La prese galantemente per la mano e conducendola a sedere sul vis-à-vis, disse:

— Allora sapete che io vi amo!

— Veramente — fece ella levandosi un guanto e battendolo scherzosamente sul proprio ginocchio — come potrei affermare l’esistenza di un sentimento che tutti provano senza conoscere?

— Sentimento è una parola sbiadita per esprimere quello che io provo, signora.

— Avete ragione. Le frasi fatte convengono alle passioni banali — voi dovete inventare un nome che classifichi appuntino la molla che vi spinge a farmi una dichiarazione.

— Un nome! un nome! — esclamò Olimpio mordendosi i biondi baffi — e se invece di un nome vi portassi dei fatti?

— Meglio — ma secondo i fatti.

Ella accompagnò queste parole con un sorriso fino, [p. 218 modifica]mordace, che Olimpio capì perfettamente, perchè quei due erano fatti apposta per comprendersi.

— Sospirare sotto la finestra, scrivere dei madrigali, carpire una viola, sono mezzucci da scolaro...

— Da principiante!... interruppe ella col suo sorriso che tagliava come una lama affilata.

— Quando nulla si arrischia dov’è il merito dell’impresa?

— È la mia opinione.

Olimpio sapeva di essere sulla buona via e continuò fissando ardentemente la contessa.

— Posporre tutto alla donna che si ama — avere un amico solo e sacrificarglielo — offrire la vita a’ suoi piedi — sprezzare il mondo — sfidare Iddio — non è così che voi intendete l’amore?

Ella gli porse la sua bella mano senza guanto.

Egli non la prese.

— L’elemosina di una lontana speranza è una gioja troppo piccola per l’uomo che si è innalzato fino a desiderare voi, contessa!

I suoi occhi azzurri scintillarono.

Ella fu sul punto di gettargli le braccia al collo; ma non lo fece — era troppo presto — e si accontentò di rispondere sorridendo:

— Sapete cosa cercate?

— Il pomo d’oro del giardino delle Esperidi — diss’egli senza scomporsi. [p. 219 modifica]

— E vi sentite la forza d’Ercole?

— La sento.

— Oso dire che nessun uomo è baldanzoso come voi — mi tentate.

Uno sguardo lusinghiero accompagnò l’ultima sillaba; ma Olimpio non si mosse.

— Io credo — continuò la contessa — che la poetica invenzione delle anime gemelle ha un riscontro materiale nell’esistenza di tutti noi. Avete mai amato?

— Mai.

— Ed ora?...

— Vi amo.

— Perchè mi amate?

— Per il vostro corpo e per l’anima vostra — per il lampo che scaturì dalle nostre pupille al loro primo incontro. Ve ne ricordate?

— Il destino lo ha voluto! — mormorò Réa abbandonando la bruna testa sui cuscini di damasco.

Olimpio si curvò, e un lunghissimo bacio congiunse quelle labbra colpevoli.

Che dovrei dire adesso — io — povero romanziere di scene famigliari? Se fossi stato in un angolo di quella camera avrei forse osservato il sole d’aprile che entrava folleggiante dalla finestra — e i pennelli abbandonati di Roberto — e il ritratto della contessa, non ancora finito, che sorrideva tranquillo! [p. 220 modifica]

Ma sul verde damasco del vis-à-vis le lagrime di Roberto non si mutavano in dardi acuti per i due traditori?

Ahi! che dalla finestra aperta, sotto i tiepidi raggi dei sole d aprile, fuggivano ad una ad una da quella camera le dolci memorie della fede violata.