Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo XXI
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CAPO XXI.
Da Bellano a Lecco, e ritorno alla Cadenabbia, ec.
A Bellano ciò che invita il curioso d’ogni indole, è l’Orrido. Dassi questo nome al luogo ove cade la Pioverna in mezzo a scoglio ch’essa ha corroso per l’altezza perpendicolare di ben 200 piedi, a foggia d’ampio pozzo, in fondo a cui s’è aperta una strada per portarsi al lago; e l’ha corroso tortuosamente, perchè il sasso, ora calcare or argillaceo scistoso, ora quarzoso, le opponea diversa resistenza. L’orror del luogo vien accresciuto dall’oscurità, dallo spumeggiare e dal cupo muggito delle acque. Sur un ponte angusto, pensile e sostenuto da catene si tragitta il fiume, e per una scala rozzamente tagliata nel sasso si sale ove da un balcone vedesi l’interno della caverna, da cui il fiume precipitasi e scorre. Può osservarsi che l’acqua, quasi spintavi da flutto, or cresce or diminuisce, mostrando una specie di respirazione, come quando nell’uscire da chiuso loco contrasta coll’aria. Ben si vede anche la caduta da una picciola ed altre volte ben ornata casuccia de’ sigg. Fumagalli, dai quali d’uopo è dipendere per andar a veder l’Orrido. Dell’acqua che vien da quella specie di caverna una piccola parte sostiensi a servizio de’ mulini e d’altri edifizj.
È stato osservato che comunque maestosa e grande sia questa cascata, non però porta tutte le acque del fiume, che bagna e non di rado inonda la Valsassina; onde a ragione si crede che per canali sotterranei una parte ne scenda al lago inosservata.
Chi meglio veder vuole l’andamento del fiume e il principio della corrosione, sale per la via di Valsassina sul ponte che attraversa l’Orrido, e che offre anche all’interno un maestoso prospetto.
Tendendo a Lecco, veggonsi le belle e fertili coste di Cultonio, che forse dalla cultura ebber nome, e viensi alle cave de’ marmi neri poste presso al lago stesso. Bel marmo è questo, non dissimile pel colore e pel lustro dal paragone, ma più tenero esso è e calcare, onde ben somiglia il marmo pentelico e luculleo degli antichi. Non son però frequenti i grossi massi che non abbiano rilegature di spato bianco, che ne guastano la bellezza. Gli strati del marmo nero (che trovasi in più luoghi presso il lago e in Valsassina) dappertutto sono molto inclinati, e in alcuni luoghi poco meno che perpendicolari, onde i lavoratori di questa cava sovente vi travagliano su scale attaccate a corde.
Nell'alto del monte v’ha della bella lumachella, e v’ha altresì di quel duro e vago marmo che diciamo occhiadino, perchè sembra di tanti occhi formato; ed è composto di marmo nericcio e di spato bianco, che pur talora occupa i vani de’ corpi marini che v’erano frammisti, e ne prende le forme. Il più comune occhiadino però vienci dal Bergamasco. Vi si trova pure il mentovato bindellino, ch’è sparso in tutti questi contorni, e anche di sopra di Menagio, ma non di sì vivi colori come quello di Dervio.
Giunto in Varena, grossa terra, alcune botteghe di marmorai vi faranno meglio conoscere i vicini marmi sì di cave che di massi staccati e accidentali, e i lavori che se ne fanno. La casa e il giardino, e più ancora il laboratoio e il forno del sig. bar. Isimbardi, direttore gen. delle regie zecche, sono ciò che v’ha di più degno d'esser veduto. Antica terra è Varena. Nel secolo xii i Comaschi avendo domati gl’Isolani, contro i quali avevano per molti anni pugnato, li costrinsero ad abbandonare l’Isola e le contigue loro abitazioni, e fissare il soggiorno in Varena, che crebbe d’ampiezza ed estese la coltivazione. Come Bellano a settentrione, così Varena è, in gran parte almeno, esposta al mezzodì, dal che nacque il proverbio:
Del dolce clima di Varena argomento ne sono, non solo gli ulivi che qui coltivati sembrano con maggior diligenza che altrove, ma gli stessi aloe che fra gli scogli spontanei nascono e fioriscono talora; e veder si possono specialmente sotto il mentovato giardino Isimbardi, e al sud del giardino di Monastero, casa dei Mornigo, che fu monistero altre volte. Vandelli trovò poco più sotto anche la melia azederach, pianta della Siria.
Stanno sopra Varena le terre di Perledo, Esino e Bologna, su que’ piani, de’ quali già parlammo. Le due acute montagne che vi stan sopra, chiamansi il Grignone e la Grigna; e Moncodine e Moncodone dicesi la vetta più alta, al nord della quale trovasi un ghiacciaio che somministra freschissime acque da ambo i lati.
Da questo ghiacciaio proviene senza dubbio il vicin fiume Latte, che diede il nome al contiguo villaggio. Esce questo fiume d'acqua freddissima da una caverna (risalendo dal basso per una specie di salto di gatto) alta circa 1000 piedi dal lago; e precipitando poco meno che perpendicolare fra massi, spuma e s'imbianca, sicchè non senza ragione dicesi Latte. Narrasi che nel 1583 alcuni, che aveano più coraggio che buon senso, siano in quella entrati, l’abbiano percorsa per ben sei miglia, siansi per tre giorni smarriti negli andirivieni del cavo monte, e al quarto ne siano usciti sì atterriti, che fra tre di tutti ne morirono. Un fenomeno curioso presenta questo fiume, ed è che comincia a sgorgare nel marzo, accresce le acque sue freddissime quanto più intenso è il caldo della state, e sul finir dell'autunno inaridisce, e tace durante tutto l’inverno. La spiegazione di questo fenomeno, non infrequente nelle Alpi, trovasi nel mentovato ghiacciaio di Moncodine, che gli somministra le acque, quando il caldo lo fa squagliare almeno in parte. È rimarchevole che non diede mai acqua nella state del 1540, come riporta il Serra: anno in cui non ebbe l'inverno nè acqua nè nevi; e la diede nell’inverno del 1796, in cui dirotte e continue furono le pioggie.
Fa maraviglia al cel. Andrea Baccio, come di questo fiume non abbiano fatta parola i due Plinii: e pensa non senza ragione il ch. Giovio, che a’loro tempi si prolungasse la caverna entro le viscere del monte, e cadesse il fiume inosservato nel lago: che sia stato quindi chiuso quel canale da sassi portativi, o dalle terre depostevi dalle acque medesime, e che siansi perciò aperta la strada per cui oggidì uscir le veggiamo. I sigg. Venini hanno qui stabilita una buona fabbrica di cristalli.
Non lungi dal Fiume Latte è la Capuana, piccol villaggio che ha nome dalla villa già de’ Conti della Riviera, ed ora de’ Serbelloni. Un rivo che sorge dal monte come il fiume Latte, se non che la sua fonte è perenne, serve ivi a belle cascate artificiali. Boldoni pensa che qui fosse la villa di Plinio, da lui detta Commedia.
Percorronsi i due promontorii di Vetergano, e viensi a Jerna (Hyberna), e poi ad Olcio (Olcium e Aucium ne’ tempi di mezzo), paesi posti all'oriente di questo ramo, ch’è l'orientale del lago, il quale ha, come appare dalla mappa, forma d’Ypsilon rovesciata λ. Vuolsi che il nome del primo derivi dall'acquartieramento jemale qui destinato a qualche romana legione o coorte; e il secondo dall’olio, giacchè di fatti vi son qui molti ulivi, e più ve n’avea ne’ tempi antichi. La sponda è quasi tutta scogliosa e inaccessibile; ed è ben ventura del navigante se v’ha fra gli scogli qualche angusto ricovero, ove celar la barca alla procella che vede venire nereggiante dal punto dove scaricarsi vede la pioggia o la grandine. Presso Olcio è pure una cava di marmo nero, or abbandonata.
Di là a Mandello non v’ha che due miglia. Grosso borgo è Mandello, fabbricato sur un piano formato dal vicin torrente sotto fertili e popolati colli, che s’appoggiano a’monti ben provveduti di pascoli e di legnami. Il palazzo Airoldi (or appartenente ai sigg. Pini), d’ottima architettura, era, dopo quello di Gravedona, il più vasto che si vedesse ne’ contorni del Lario. La coltivazione degli ulivi è nel piano di Mandello, e nei primi colli che gli sovrastano, assai promossa. La popolazione di questi contorni corrisponde alla ben intesa e laboriosa coltivazione delle viti, de’ grani e degli alberi fruttiferi d’ogni maniera. Dalla rupe che sta al sud di Mandello presso al lago furon cavate le otto colonne che ornano in Como il magnifico tempio del Crocifisso. Il monte che gli sta dietro, dal piede alla vetta, è abbondante di minerale. Scavavasi una vena di piombo poco lungi dal paese casualmente scoperta, che dava il 70 per 100 di metallo puro; ma non essendosi trovato continuo il filone, fu abbandonata. Trovansi però indizj di piombo e del piombo stesso quasi alla superficie di tutte quelle vicinanze; onde v'è apparenza che con più esatte ricerche si rinverranno de’ nuovi filoni o ammassi, che qui chiamansi nidi, dello stesso metallo. Ve n'ha certamente fra gli scogli che stanno innanzi alla chiesa di S. Giorgio. Un'altra miniera di piombo scavavasi in alto molti anni addietro; ma è stata abbandonata, perchè ricoperta da una frana del monte. Sopra il casolare di Masso trovasi della pirite, che avendo colore aureo, ingannò varj scopritori. Non ha molti anni che sopra Mandello trovossi un buon filone di ferro misto a piombo, che si cava e portasi al forno del sig. Arrigoni di Lecco. Molti antichi cunicoli abbandonati di miniere sì di ferro che di rame veggonsi tuttavia ne’ contorni di Caloandello. Nell'alto de’ monti v'ha de’ bei prati, soggiorno estivo delle mandrie; e ivi pur coltivasi alla debita stagione dell'eccellente ortaglia che portasi ai mercati.
Viensi alla Badia, grosso villaggio, presso cui sta pure l'indizio di miniera di piombo. Così detta è questa terra perchè fu già badia di Benedettini, poi convento di Serviti, ora soppresso: indi viensi in vista di rupi destinate al pascolo del bestiame, sopra cui vedesi in alto il deserto monistero di s. Martino in Agro, ove nel secolo xvii vivean monache, che san Carlo stimò opportuno di chiamare in città. De’ paesi dell’opposto lido parleremo poi.
Lecco (Leucas). Forte castello fu Lecco negli scorsi secoli, ma ora quel borgo, benchè mal difeso, è ben più ammirevole per le manifatture che vi sono introdotte. Il doppio canal d’acqua detto il fiumicello muove circa 120 edifizj. Per la maggior parte vi si lavora ferro; e in tutti i forni e le fucine vedesi l’acqua cadendo in cavo tronco attraer l’aria, e spingerla poi per ferrea canna al fuoco; e il ferro vi si fila d’ogni sottigliezza, ma l’imperfezione delle macchine ne rende il lavoro molto insalubre. V’ha su questo canale de’ grandiosi filatoi di seta e de’ frantoi d’ulive. In alcuni filatoi, specialmente presso i sigg. Bonanome e Bovara, si vedranno i nuovi incannatoi e binatoi ingegnosamente composti a gran risparmio di man d’opera.
Fertile è il territorio di Lecco, e alla fertilità corrispondente l'industria. Le viti, i gelsi e gli ulivi ne fanno il principale prodotto.
Non ha molto che nei vicini monti sopra Acquate si sono scoperti de’ filoni di buon ferro spatico, che fondesi al forno Arrigoni.
Chi da Lecco vuol ire a Milano, troverà indicata la via sì d’acqua che di terra al Capo seguente. Intanto ripiegando indietro presso la sponda occidentale, vedesi Malgrate, altre volte detto Grato; indi, passato l’emissario del lago d’Oggiono, Parè o Parete o Parezzo (ad Parietes); luoghi ove varj edifizj sono, e molto commercio di seta. Sta più in alto Valmadrera a principio della valle, in cui sono i laghetti e ’l Pian d’Erba, di cui parleremo. Indi un monte alto scosceso e quasi nudo, alla cui vetta sono due prominenze rappresentanti la mezza luna e dette i corni di Canzo, somministra sassi calcari per le fornaci di calcina, che ivi sono numerose. S’abbassa il monte rimpetto alla Badia; e per un’erta ma non lunga strada vassi in Valbrona, parte della Valsassina. Il navigatore viene a Onno, ove per Valbrona trova all’uopo un cammino meno incomodo: di là a Vassena (Volsinia), e quindi a Limonta (Alimonta). Sono Onno e Vassena meschini paesi a piè di monte ripido ed esposto al nord-est. Limonta al lago con Civenna posta in alto sono terre ch’erano dianzi soggette, come Campione (di cui parlammo alla pag. 159) al P. Abbate di s. Ambrogio maggiore di Milano, dono pur essi dell’imp. Lottario, fatto a’monaci nell’anno 833, acciò da quegli uliveti traessero olio per le lampade che arder dovevano all’altare del s. Dottore. È presso Limonta una buona cava di gesso al basso, e del bel marmo nero in alto. Pria di giugnere a Pescallo e alla punta di Bellagio, vedesi la villa Giulia dei sigg. Venini, bello e dispendioso edifizio, a comodo e vaghezza del quale s’è tagliato sul dorso del promontorio uno stradone magnifico che porta sin al ramo occidentale del lago.
Presso la punta veggonsi enormi e nudi scogli, e ’l monte tagliato a picco: ma quanto è l’orrore che qui si vede, altrettanto maestosamente bella è la punta del promontorio tutta coperta d’ulivi e di pini, dopo la quale per non comoda via si può salire al palazzo, quando andar non si voglia a cercare una strada migliore nel borgo stesso di Bellagio (Bilacium). Vuole il Giovio che ivi fosse la Tragedia di Plinio, villa da lui così appellata per l’orrevole maestà del luogo. Narra infatti Plinio che la sua villa coll’alta schiena del monte divideva i due laghi. Nel palazzo evvi un frammento d’iscrizione ad un M. Plinio. Nel secolo xiv era nido di scellerati uomini di Valcavargna, che di là tutto infestavano il lago: ora è un deliziosissimo soggiorno. Il palazzo Serbelloni posto sul pendio che guarda mezzodì, è più ben collocato che bello. Ivi con una nuova piantagione d’ulivi si è pensato a trarre vantaggio dalla bella esposizione. Il bosco di pini n’è ampio, e amenissime ne sono le prospettive. Verso est finisce sopra i nudi massi di cui parlammo, e per una loggia alquanto protratta si trova il curioso su di essi a perpendicolo; e narrasi che una Signora del luogo nel secolo xvii colà per un celato trabuchello punisse con il precipizio i drudi infedeli. Le ville Ciceri e Trotti sono amene per la situazione, essendo quella metà del poggio, e questa in riva al lago; e vaghe pur ne sono le piantagioni, sebbene all’antica maniera. Altre famiglie milanesi, come gli Anguissola e i Taverna, hanno formate in quel contorno delle case di delizia, a ciò invitandole il comodo di andarvi per terra, come vedremo al Capo XXVI, descrivendo la Vallassina. Essendo riparate dal mezzodì, offron esse un delizioso soggiorno estivo. Tutte ora di gran lunga le supera la magnifica villa Melzi di S. E. il sig. Duca di Lodi, di recente costruita ed ornata. Presso la terra di s. Giovanni vedesi la gradinata che conduce al viale di villa Giulia. Di là alla Cadenabbia è un breve tragitto; e s’ha in faccia tutta la Tramezzina, di cui parleremo al Capo XXIII.