Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos/Capitolo I

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Capitolo I

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Introduzione Capitolo II

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I.


Partenza. — Temporale in alto mare. — Al timone! al timone! — Le pere del prof. Sapeto. — Si appoggia nella baia di Mirabella. — Spinalunga ed il comandante dei cannoni. — Arrivo a Porto-Said e tragitto attraverso il canale di Suez. — Fermata a Kantara. — Stato presente del canale; suo avvenire. — L’Inghilterra profitta del nuovo bosforo più d’ogni altra nazione. — Cangiamento d’itinerario.


Poichè il mio viaggio fu combinato e deciso, mi diedi a tutt’uomo agli occorrenti preparativi, pei quali non mi erano concessi che sei giorni. Il 14 febbraio, tutto essendo pronto, Beccari ed io1 ci imbarcammo, nel porto di Genova, sul piroscafo Africa, della Società Rubattino, che stava apparecchiandosi a salpare.

Regnano a bordo la confusione, il viavai, il frastuono che sogliono precedere la partenza: qua facchini cacciano nelle stive le ultime palate di carbone, là marinai alzano l’ancora, od assicurano in coperta botti e balle. I viaggiatori abbracciano una volta ancora i loro cari, nel momento della separazione, ed il vapore impaziente che mugge e freme nelle caldaie copre le parole d’addio. Ma la voce del capitano s’è fatta sentire ed ogni rumore è cessato come per incanto. Ecco levate le scalette e scostati dal legno i burchielli de’ barcaiuoli. Sotto l’impulso dell’elice che ruota, già la gran mole si muove lenta lenta, poi più rapida; quinci corre spigliata tra la fitta delle navi, lasciando dietro di sè una lunga coda di fumo fuligginoso. Ben presto oltrepassiamo il molo e, salutata l’antica lanterna che torreggia superba sul suo piedestallo di macigno, entriamo nell’aperto mare, d’onde ci si affaccia lo splendido panorama della ligure metropoli accesa dai riflessi vermigli del tramonto. [p. 12 modifica]

Favoriti da una gagliarda tramontana, giungemmo a Livorno la mattina seguente. Quivi si imbarcò sull’Africa il prof. Sapeto che si recava nella baia d’Assab per prendere possesso, a nome della Società Rubattino e per conto del regio Governo, d’un territorio di cui già aveva precedentemente stipulata la compra. Navigammo poscia in perfetta bonaccia da Livorno a Napoli e da questo porto a Messina, approfittando di ogni fermata per rinnovare la provvista di combustibile.

Il 20 febbraio, avevamo perduto di vista da due giorni le coste della Sicilia, quando il cielo si coprì di una densa nube nera, e cominciò a soffiare un furioso vento di scirocco, che in breve sollevò un mare tempestosissimo. Il bastimento, assai immerso pel grave carico di carbone, era tardo ad obbedire all’urto delle ondate, le quali da quando a quando ne soverchiavano le impavesate. Intanto il suo cammino si andava sempre più rallentando, talchè a momenti pareva che la macchina fosse impotente a vincere lo sforzo combinato del vento e del mare.

Sopraggiunta la notte, crebbe l’intensità della bufera. L’oscurità divenne sì profonda, che dal cassero appena si distingueva il biancheggiare dei marosi spumeggianti. Il muggito delle onde, il sibilo del vento, lo scricchiolìo dell’alberatura formavano un frastuono discordante, continuo, rinforzato di tempo in tempo dal tonfo rimbombante dei colpi di mare sulla coperta.

Era vicina la mezzanotte, quando una sbandata subitanea del legno scaraventò i miei compagni ed io dal nostro camerino nella sala comune, che presentava una scena di indescrivibile disordine: masserizie e vasellami erano scagliati ora di qua, ora di là dalla violenza del rollìo; le porte sbattevano; i mobili ballavano una ridda infernale. Nel momento stesso udimmo, malgrado l’incessante rombo della burrasca, un clamore di voci confuse che gridavano: al timone! al timone! Ed entrò nella camera un marinaio, tutto grondante d’acqua, chiedendo del capitano. Questi, che s’era allora allora ritirato nella sua stanza, uscì precipitosamente, profferendo non so quali parole fra i denti.

Che è, che non è? Non tardiamo a saperlo. Un colpo di mare ha frantumato la ruota del timone, ed il piroscafo non governa. Dalla tolda, ove son salito un istante per accertarmi del fatto, [p. 13 modifica]lo vedo inclinato sul fianco sinistro, soverchiato da formidabili ondate che ne invadono la poppa ed il centro. Intanto l’animoso capitano e gli altri ufficiali hanno afferrato il mozzo della ruota e lo tengono fermo ad onta dei marosi. Parte dell’equipaggio si è precipitata nella stiva per metter fuora una barra di ricambio che fatalmente si trova sepolta sotto un grosso cumulo di carbone.

Mentre cresce il rollìo ed il beccheggio, con gran detrimento delle porcellane di bordo, il prof. Sapeto trova una felice diversione alle preoccupazioni del momento mangiando certe belle pere piovute, non si sa come, dalla dispensa. Io lo imito con entusiasmo.

La Dio mercè, in meno di mezz’ora, lunga mezz’ora, la barra fu tratta fuori e messa a posto. Cionondimeno, reputando il capitano che lo stato del mare e le avarie sofferte non permettessero alla nave di procedere oltre senza pericolo, ordinò di poggiare per settentrione, e così fu fatto. Navigando omai a seconda del vento, non era più a temersi il fortunale. La notte infatti si terminò senz’altro incidente, ed avendo in poche ore percorso un lungo tratto, ci ritrovammo all’alba dinanzi alle balze scoscese del capo Matapan, d’onde proseguimmo verso Cerigo, per poi attraversare il canale dei Cervi.

Essendosi intanto un po’ calmato il mare e l’aspetto del cielo promettendoci tempo migliore, governammo per oriente, cioè verso Candia, che non tardò a mostrarsi all’orizzonte. Tramontato il sole ed avvistato il fanale di Suda, il piroscafo si diresse a piccola velocità, parallelamente alla costa settentrionale dell’isola, a riparo dello scirocco che pur sempre continuava a soffiare con veemenza. Il mattino seguente ci trovò presso l’estremità orientale di Candia, mentre ci innoltravamo in alto mare colla speranza di incontrare un tempo più propizio. Vana lusinga! Non appena perduto di vista il capo Sidero, il cielo si abbuiò sinistramente, il vento si mise a stridere tra le sartie ed il mare nuovamente ingrossò. Alle 4, circa, dopo il meriggio, un immenso cavallone si riversò romoreggiando sulla poppa, ed una gran massa d’acqua penetrando negli spiragli della macchina, poco mancò che non spegnesse i fuochi; la qual cosa vedendo il capitano, divisò di retrocedere per la seconda volta e di appoggiare nel porto più vicino di Candia per aspettarvi la fine del temporale. [p. 14 modifica]

Sebbene la macchina agisca a tutta forza, non avanziamo che con lentezza, e prima di raggiungere la terra siamo sopraffatti dalle tenebre di una notta tempestosa. A compiere la festa, lo scirocco, senza perdere della sua violenza, volge a libeccio, dimodochè il mare si fa agitatissimo anche di fronte all’isola, ove la mattina stessa eravamo a ridosso: frattanto, l’oscurità non permettendoci di riparare in un porto, siamo costretti a bordeggiare tutta la notte.

Sul far del giorno entriamo con cautela nella baia di Mirabella, schivando certe isolette che ne ristringono l’apertura, e penetriamo fino ad un placido seno formato dalla costa di Candia e dall’isolotto di Spinalunga.

Uno scoglio sterile e scosceso, irto di mura merlate, ai cui fianchi sono addossate molte miserabili casupole dal tetto spianato, tal è Spinalunga, antico fortilizio veneto, sul quale sventola ora la bandiera del sultano.

Disceso a terra con alcuni compagni, percorremmo le erte viuzze che serpeggiano tra quelle povere catapecchie, scortati da alcuni indigeni cenciosi e famelici. Un vecchio militare turco, che si qualificava comandante dei cannoni, ci condusse nella sua abitazione per offrirci il tradizionale caffè della ospitalità musulmana, poi volle guidarci sui bastioni ruinati della fortezza, per mostrarci le batterie tutt’ora armate di grossi pezzi in bronzo, degni di figurare in un museo d’archeologia.

Più tardi feci, con Beccari, una breve escursione sulla costa di Candia, che mi riuscì assai profittevole, avendo raccolto, in meno di due ore, numerosi esemplari di certe chiocciolette per me preziosissime. Quante rarità zoologiche altrettanto interessanti si troverebbero esplorando le alte giogaie che fanno corona alla baia!

Scorgemmo da lunge, senza però visitarla, una cava dalla quale si traggono le ottime coti da rasoi, conosciute in commercio sotto il nome di pietre di Candia; un piccolo legno italiano stava in quel momento imbarcandone un carico.

Il giorno seguente, l’Africa riprese il mare, che questa volta s’era acquetato davvero, e dopo tre giorni di felice navigazione approdò a Porto-Said.

Questa città, sorta or sono 11 anni da una deserta spiaggia, conta 10,000 abitanti e vanta numerose officine, ampi magazzini [p. 15 modifica]forniti di ogni derrata, eleganti edifizii in pietra (che hanno in parte sostituito le capanne in legno dei primi coloni), comodi scali per l’imbarco e lo sbarco delle merci, un faro monumentale, insomma quanto si può richiedere in un grande emporio commerciale e marittimo 2. L’acqua del Nilo, condottavi da Ismailia, vi ha perfino fatto crescere e fiorire un amenissimo giardino.

L’indomani del nostro arrivo, vale a dire il 28 febbraio, proseguimmo il viaggio alla volta di Suez pel famoso canale che ha reso l’Eritreo tributario del Mediterraneo. Le sue acque, lucide come specchio, si svolgevano dapprima a noi dinanzi a perdita di vista, tra i due argini paralleli e rettilinei, che le dividono dalla palude del Menzaleh. Più avanti, il canale scorre fra le terre asciutte e si va restringendo.

Alla stazione di Kantara ci pervenne l’avviso che la via non era libera, e però dovemmo fermarci finchè, la mattina seguente, non passò oltre il colossale Brazilian3 che intercettava la strada.

Il primo tratto del canale offre una navigazione facilissima, e se accade talora che la carena sfiori la melma del fondo, non ne risulta alcun danno per la nave; ma dopo Kantara il transito richiede maggiori cautele a cagione della strettezza dell’alveo e delle sue frequenti spezzature.

Entrando nel Timsah, l’Africa che, col suo carico, pescava poco meno di 16 piedi, rimase arenata, sebbene si trovasse nello spazio compreso fra i segnali che limitano la zona navigabile del lago; accidente di lieve momento, che ebbe per conseguenza un ritardo di mezz’ora. Ancorammo la sera stessa dinanzi ad Ismailia, che mi parve meritare per la sua estensione ed importanza il titolo di capitale dell’istmo.

Il giorno successivo fu impiegato nel tragitto da Ismailia a Suez, nella cui rada giungemmo verso sera. Le condizioni di navigabilità in questa parte del canale mi sembrarono ottime fino al termine dei Laghi Amari, un poco meno soddisfacenti nell’ultimo tratto, lungo il quale l’Africa radeva spesse volte il fondo. Un tale difetto si potrebbe facilmente correggere con [p. 16 modifica]qualche ulteriore scavo. Ma è presumibile che lo stato finanziario della Società presieduta dal signor di Lesseps non consenta presentemente nuove spese.

Ad onta dei potenti ostacoli che si opponevano alla grande impresa, si può affermare che sotto l’aspetto tecnico sia perfettamente riuscita; l’esito economico invece non corrisponde alle speranze concepite dai suoi fautori, essendo fin qui troppo scarso il numero delle navi che transitano da un mare all’altro per la via del canale. È per altro indubitabile che questo numero andrà progressivamente aumentando, e che tosto o tardi il canale diventerà la via principale fra l’Occidente e l’Oriente.

Ritornando, nel 1865, da una visita ai lavori dell’istmo, pensavo fosse una pericolosa illusione quella di credere che la nuova via aperta al commercio sarebbe bastata a ricondurre all’Italia, i traffici orientali e la prosperità economica (da cui pur troppo siamo lontani), e manifestavo la persuasione che l’Inghilterra, colle sue mille e mille vaporiere, avrebbe profittato del bosforo di Suez assai più di qualunque altra nazione. Il fatto conferma ora i miei pronostici, come può vedersi dalle statistiche mensili ed annuali che va pubblicando la Compagnia Universale4. [p. - modifica]Vita di Massaua; all’innanzi, un pescatore. [p. 17 modifica]

A Suez fummo raggiunti dal marchese Antinori, il quale prese posto a bordo, accompagnato dal dragomanno Cohn, da due famigliari e da un prete abissino che ottenne di unirsi a noi, fino a Massaua, per poi tornarsene in patria. Durante il nostro breve soggiorno in città, fummo accolti con perfetta cordialità e cortesia dal viceconsole d’Italia, avv. Lambertenghi, il quale si adoprò in seguito a nostro vantaggio trasmettendo in Europa le lettere e gli oggetti di storia naturale che gli erano da noi spediti.

Il ritardo subito per le soiferte traversie ci obbligava ad una pronta partenza, affinchè il professore Sapeto potesse giungere in Assab in tempo utile5 per adempiere alla propria missione, cioè non più tardi del 12 marzo. Bisognava pure abbandonare il progetto di toccare il porto di Gedda, ove da principio si era convenuto di approdare col doppio scopo di trasportarvi dei pellegrini musulmani e di depositarvi una piccola scorta di combustibili pel regio avviso Vedetta.

Note

  1. Antinori si trovava già in Egitto.
  2. Nel porto vidi, oltre ad un gran numero di draghe, di barcaccie a vapore e di altri battelli addetti al servizio del canale di Suez, 18 grosse navi a vela e 3 piroscafi.
  3. Piroscafo inglese, diretto da Bombay a Liverpool.
  4. Prospetto generale dei bastimenti che transitarono il canale di Suez, durante l’anno 1870, e delle somme rispettivamente pagate alla Compagnia Universale.
    NAZIONALITÀ BASTIMENTI TONELLATE
    DI
    REGISTRO
    DIRITTI PAGATI
    IN
    LIRE ITALIANE
    Inglesi 314 291,680 3,197,449 39
    Francesi 74 84,744 978,291 68
    Egiziani 33 22,391 280,781 02
    Austriaci 26 19,389 251,153 90
    Ottomani 18 11,863 206,635 40
    Italiani 10 5,743 66,154 »
    Portoghesi 3 2,345 29,556 39
    Americani 2 2,312 23,762 10
    Zanzibaresi 1 881 9,517 58
    Spagnuoli 3 732 9,033 »
    Danesi 1 660 7,867 10
    Olandesi 3 463 5,660 »
    Russi 2 960 3,750 54
    Ellenici 1 49 486 40
    Totale 491 444,212 L. it. 5,070,093 50
  5. E qui convien notare che il professore aveva assunto l’incarico di pagare ai sultani danakil l’importo del noto territorio, e che, secondo un patto stipulato fra i contraenti, la cessione sarebbe risultata nulla, colla perdita, per gli acquirenti, della caparra già sborsata, se il pagamento non si fosse effettuato prima del 12 marzo 1870.