Vite dei filosofi/Libro Quarto/Vita di Crantore

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Libro Quarto - Vita di Crantore

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Quarto - Vita di Crantore
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CAPO V.


Crantore.


I. Crantore da Soli, nella sua patria ammirato, venne in Atene, e, condiscepolo a Polemone, udì Senocrate.

II. Lasciò Commentarj in trenta mila versi, alcuni dei quali si attribuiscono ad Arcesilao.

III. Narrasi che addimandato da alcuni perchè e’ fosse stato preso di Polemone, rispondesse, perchè non aveva udito nè più acuto, nè più grave parlatore di lui.

IV. Ammalato si ritirò nel tempio d’Esculapio, ed ivi stavasi a diporto. Ma da tutte parti molti si recarono a lui, pensando che ciò e’ non avesse fatto per malattia, ma per voglia di stabilire colà stesso una scuola.

V. Tra questi era anche Arcesilao, volendo, quantunque suo amatore essere da lui raccomandato a Polemone, come si dirà nella vita di Arcesilao. Anzi riavutosi, fu egli stesso uditore di Polemone, e per ciò n’ebbe stima grandissima. Si dice in oltre ch’egli abbia lasciato il suo ad Arcesilao, che sommava a dodici talenti; e che interrogato da lui, dove voleva essere seppellito, rispondesse:

     Bello è celarsi dell’amica terra
     In grembo.

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VI. Raccontasi pure ch’egli abbia scritti poemi, e in patria, nel sacrato di Minerva, suggellali, li abbia deposti. — Così il poeta Teetete parla di lui:

     Piacque a mortali e più alle Muse piacque
       Crantore, nè vecchiezza ebbe in cospetto.
       O terra, e tu accorrai l’uom sacro estinto
       Ond’ivi, in pace, lietamente ei vìva.

Crantore ammirava sopra tutti Omero ed Euripide, dicendo esser difficile scrivere con proprietà tragicamente insieme e compassionevolmente. E recava quel verso del Bellerofonte:

     Ohimè! — Ma quale ohimè? — Cose mortali
     Abbiam patito.

Corre anche voce, che il poeta Antagora, riferisse, siccome composti da Crantore, questi versi sopra Amore:

     Dubbia e l’alma se te, preclara stirpe
       Amor, te dica, o primo degli eterni
       Numi, e di quanti generaron figli
       Sotto l’ampio Oceano in cupi gorghi
       L’Erebo, fin tempo, e la regina Notte;
       O te della sagace Citerea
       Figlio; o te della Terra; o te dei Venti.
       Tu istabil rechi all’uomo i beni e i mali,
       E il tuo corpo è di duplice natura.

E fu anche abilissimo nell’inventar nomi; quindi disse di un tragico, che avea la voce non digrossata e piena [p. 317 modifica]di corteccia; e che i versi di un certo poeta erano pieni di tignuole; e che le proposizioni di Teofrasto erano scritte sovra gusci di ostriche. — Apprezzavasi sovra ogn’altro il suo libro Del lutto.

VII. Morì prima di Polemone e di Crate, ammalatosi per una disposizione all’idropisia. Nostro è l’epigramma sovra di lui:

     E te innondava, o Crantore, il più crudo
       Morbo, e così di Pluto al negro abisso,
       Scendesti; e certo ora colà ti godi!
       Ma vedova restò de’ tuoi sermoni
       E l’Accademia e la tua patria Soli.