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Vite dei filosofi/Libro Quarto/Vita di Arcesilao

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Libro Quarto - Vita di Arcesilao

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Quarto - Vita di Arcesilao
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CAPO VI.


Arcesilao.


I. Arcesilao di Sento, o Scito, secondo Apollodoro nel terzo Delle Cronache, era pitanese dell’Eolide.

II. Costui fu il primo che fondò l’Accademia mezzana, rattenendosi dalle asserzioni per la contradizione dei ragionamenti; il primo che disputò per le due parti; il primo che promosse, e per via di interrogazioui e risposte rese più battagliero quel modo di discorso che avea introdotto Platone.

III. Fu in questa maniera ricevuto da Crantore. Era egli quarto dei fratelli che aveva, due di uno stesso padre, due di una stessa madre, e di que’ di una stessa madre il più vecchio era Pilade, di que’ di uno stesso padre Merea, il quale era suo tutore. Da principio, prima di recarsi in Atene, fu discepolo di Autolico il matematico, suo concittadino, e con esso viaggiò anche a Sardi; poi di Xanto ateniese, il musico; dopo del quale udì Teofrasto; da ultimo si trasferì nell’Accademia presso Crantore; poichè, sebbene Merea, il fratello di cui si è parlato dianzi, lo eccitasse allo studio della rettorica, egli amava la filosofia; e Crantore sentendosi amorosamente disposto per lui, lo avea [p. 319 modifica]interpellato, recitandogli i versi dell’Andromeda di Euripide:

     Mi sarai grata, o vergin, s’io ti salvo?

ed egli i successivi:

     Conducimi, straniero, o per ancella
     O, se ti piace, per consorte.

D’allora in poi vissero congiunti. Per la qual cosa si raccontò che Teofrasto, geloso, dicesse, che un giovinetto di bella indole e pronta si era allontanato dalla scuola.

IV. Gravissimo nei discorsi, e abbastanza versato nello scrivere, erasi dato anche alla poetica. Vanno attorno questi suoi epigrammi: Ad Attalo.

     Non solo inclita Pergamo per armi,
       Ma per cavalli, nella sacra Pisa
       Spesso si loda: che se aprir di Giove
       Il pensiero concedesi a mortali,
       Più celebrata fia di nuovo assai.

Ed anche a Menodoro, l’amante di Eudamo, uno dei suoi condiscepoli:

     Lunge per certo è Frigia, e lunge è pure
       La sacra Tiatira, o Menodoro,
       E Cadena tua patria: ma le vie
       Dell’infando Acheronte eguali sono,
       Misurate dovunque, al dir del saggio.
       Ti fe il nobile Eudamo questa tomba,
       Cui fosti più che molti servi caro.

[p. 320 modifica]Avea in pregio più che ogni altro Omero, del quale, anche prima di addormentarsi, sempre qualche cosa leggeva; e parimente di buon mattino, dicendo di recarsi dall’amante, ogni volta che si sentisse voglia di leggerne. Diceva, Pindaro essere mirabile nell’empire la voce, e nel fornire copia di nomi e di verbi. Giovinetto ancora avea caratterizzato Ione.

V. Udiva pure il geometra Ipponico, il quale, essendo tra le altre cose tardo e sbadigliatore, ma nell’arte spettabile, da lui si poneva in canzone, dicendo che la geometria gli era volata in bocca quando sbadigliava. Per altro, divenuto pazzo, raccoltolo in casa, tanto n’ebbe cura, quanto bastò perchè si riavesse.

VI. Mancato Crate, ne tenne la scuola, avendogli ceduto il posto un certo Socratide.

VII. Pel suo astenersi da ogni giudizio, è fama che neppure scrivesse alcun libro. V’ha chi afferma che e’ fosse sorpreso emendandone alcuni, i quali altri dicono aver lui pubblicati, altri, arsi.

VIII. Pare che fosse ammiratore di Platone e ne possedesse i libri; ma che per altro, secondo alcuni, imitasse Pirrone.

IX. Possedeva la dialettica ed anche s’era acceso delle dottrine degli Eretrici; il perchè dicevasi da Aristarco, sul proposito suo:

     Per dinanzi Platone; per di dietro
     Pirrone; in meno Diodoro.

E anche da Timone, così:

     Costui di Menedemo sotto il petto

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     Avendo il piombo, corre al tutto-carne
     Pirrone, o Diodoro.

E poco dopo gli fa dire:

     Io nuoterò a Pirrone e al tortuoso
     Diodoro.


X. Era sentenziosissimo e stringato, e nel discorrere staccava le parole.

XI. Facile riprensore poi e libero parlatore; Timone anche per questo motivo così nuovamente di lui:

     E non obblierai che giovin fosti
     Tramischiandolo nelle riprensioni.

Nel qual proposito ad un giovinetto che colla maggiore audacia disputava, disse: Alcuno non piglierà costui pel tallone? — Ad uno ch’era tacciato di prostituirsi, il quale sponevagli, come a lui non pareva che una cosa fosse maggiore di un’altra, chiese, se neppure una di dieci dita, di una di sei. — A certo Emone da Chio, ch’era deforme, e credeva di esser bello, e sempre si occupava della ricca sopravveste, e lo interrogava se non gli paresse che un sapiente potesse innamorarsi, rispose: Forse, quand’altri, nè così bello fosse come tu se, nè avesse così belle vesti. E poichè costui, più che bardassa , ad Arcesilao, quasi persona molesta, replicò:

     Lecit’è, reverenda, interrogarti,
     O dobbiam starci silenziosi? . . . .

[p. 322 modifica]disse interrompendolo:

                      Donna
     Che mai d’aspro e non solito mi vai
     Cianciando?

Ad un’abietto chiacchierone che gli dava molestie, disse:

     Nel conversare petulanti i figli
     Nascono degli schiavi.

Di uno che andava ripetendo molte frivolezze: Non gli è toccata, disse, che una nutrice molesta. — Ad alcuni nulla rispondeva. — Ad un usuraio che amava erudirsi, e che diceva di ignorare qualche cosa, disse:

     I passaggi dei venti empion l’uccella
     Fuor quando ha l’uovo.

Questi versi sono tolti dall’£nomao di Sofocle. — A non so qual dialettico alessineo, il quale non sapeva dir cosa che degna fosse di Alessino, raccontò ciò che Filosseno fece ai mattonieri; cioè, che avendoli colti, che stavano cantando alla peggio le cose sue, e’ si mise a calpestare i loro mattoni, dicendo: Come voi le cose mie ed io guasto le vostre.

XII. Per il che era avverso a coloro che non avevano a tempo opportuno intrapresi gli studi. — Nel disputare usava quasi naturalmente di questo modo: Dico io, e, Non sarebbe di quest’avviso il tale; pronunciandone il [p. 323 modifica]nome. La qual cosa, e le maniere e le forme tutte rettoriche molti scolari imitarono. Era prontissimo nell’inventare argomenti per farsi destramente incontro alle obbiezioni, nel ricondurre il giro dei discorsi sulle cose proposte, e nell’accomodarsi a tutte le circonstanze. Quindi essendo più che ogn’altro persuasivo, molti venivano alla sua scuola, sebbene offesi dall’asprezza de’ suoi modi. Ma ciò gli comportavano volentieri, perchè era buono assai, e gli uditori empiva di speranze; e generosissimo del proprio, era pronto nel beneficare, nello ascondere il favore modestissimo. Recatosi una volta a visitare Ctesibio malato, e vedendolo oppresso da strettezza, gli mise, di nascoso, sotto al capezzale una borsa; il quale rinvenutala, disse: Ecco una burla di Arcesilao; e di più gli mandò un’altra volta mille dramme. E raccomandando ad Eumene l’arcade Archia, gli fece acquistare grande autorità.

XIII. Sebbene liberale, e non amantissimo del danaro, compariva al banco e in quanto all’argento, Archecrate e Callicrate, in quanto all’oro studiavasi di superare tutti gli altri. Molti, per altro, soccorreva co’ danari raccolti. — Una volta, per convitare alcuni amici, un tale prese la sua argenteria, e non restituendola, ei non la ridimandò e non ne fece segno. Alcuni dicono che avendola egli stesso a bello studio prestata, ed essendogli restituita, perchè quello era povero, gliene fu largo. — Possedea grandi ricchezze anche in Pitane, che suo fratello Pilade gli spediva di colà.

XIV. Di molte cose gli forniva anche Eumene il [p. 324 modifica]figlio di Filetero. Il perchè a costui solo di tutti i monarchi facea riverenza. — Corteggiando molti Antigono, quando si recavano ad incontrarlo, egli non si movea, non volendo primo venire a sua conoscenza. — Era singolarmente amico di Ierocle, che teneva Munichia e il Pireo, e sempre alle feste scendeva da lui. Ora sebbene anch’esso lo eccitasse molte volte a far riverenza ad Antigono, mai non acconsentì, e andando sino alle sue porte, tornava indietro. — Dopo la battaglia navale di Antigono, molti recandosi a visitarlo e scrivendo lettere di consolazione, egli si tacque, e parimente creato per la patria ambasciatore a Demetriade presso Antigono, non vi andò.

XV. Generalmente facea dimora nell’Accademia lontano dai pubblici negozii. Tuttavolta però anche talora in Atene nel Pireo s’intratteneva, per la sua dimestichezza con Ierocle, a parlare di ciò che gli veniva proposto. Della qual cosa taluni lo accusavano.

XVI. Benchè più che magnifico — e che altro e’ si potea chiamare che un nuovo Aristippo? — era tuttavia, a petto de’ pari suoi, avverso al banchettare. — Avea seco scopertamente in casa Teodota e Fileta cortigiane da Elide, ed a chi ne lo biasimava citava le sentenze di Aristippo. Amava anche i fanciulli, ed era proclive all’amore. Il perchè Aristone da Chio, lo stoico, peste dei giovani chiamavalo, e parlatore osceno e temerario. Imperocchè narrasi che molto avesse amato e Demetrio , quello che navigò in Cirene, e Cleocare mirleano, in proposito del quale diceva a suoi [p. 325 modifica]compagni di sregolatezze, sè essere bensì volonteroso di aprire, ma opporvisi l’altro.

XVII. Furono suoi amatori e Democare di Lachete, e Pitocle il figlio di Bugelo; cui esso accoglieva, dicendo di aver solo pazientemente accondisceso. I prefati adunque e lo mordevano per questo, e lo beffavano perchè dedito alla plebe e ambizioso. — In particolare poi lo accusarono presso Geronimo il peripatetico, allorchè convocò gli amici il giorno d’Alcione figlio di Antigono, nel qual giorno molti danari spediva Antigono perchè si facesse tempone. In quello, cansandosi sempre dalle questioni che si fanno tra i bicchieri, e proposta da Aridelo non so quale speculazione, e richiesto di farvi sopra discorso, disse: Ma questo stesso più che tutto è proprio della filosofia, sapere il tempo di ciascuna cosa. — In quanto alla taccia di essere amico della plebe, Timone, fra l’altre cose, dice anche in questo modo:

     Così dicendo in mezzo al circostante
     Popolaccio cacciossi; il quale a guisa
     D’uccelletti dintorno alla civetta
     Fa meraviglie al suo mostrarsi stolto.
     Non è gran cosa, misero, alla plebe
     Piacer. Perchè ti gonfi come pazzo?

XVIII. Ciò non pertanto era modesto sino ad esortare i discepoli a udire anche gli altri. Ed un giovine da Chio, al quale non piaceva la sua scuola, ma quella del detto Geronimo, condusse ei stesso e raccomandò a quel filosofo, esortandolo a portarsi bene. — Si tiene [p. 326 modifica]per suo anche questo molto grazioso: interrogato da uno, perchè dalle altre sette gli scolari passavano all’epicurea, e non mai dagli epicurei alle altre, rispose: Perchè dagli uomini nascono gli eunuchi, ma dagli eunuchi gli uomini non nascono.

XIX. Del resto, già presso a finire, lasciò tutto il suo al fratello Pilade, perchè questi lo avea condotto a Chio, ascosamente da Merea, e di là anche in Atene. — In vita nè ebbe donna, nè generò figliuoli. — Fece tre testamenti, e uno depose in Eretria presso Amficrito; un altro in Atene, presso un amico; il terzo spedì a casa ad un certo Taumasia, suo parente, pregandolo di serbarlo, ed al quale scrisse così:

archesilao a taumasia salute.

„Ho consegnato a Diogene il mio testamento da recarti. Chè pel frequente ammalare e per avere gracile il corpo, m’è paruto di testare, onde se mai accadesse qualche sinistro, io non me ne andassi dal mondo facendo torto a te che mi fosti così assiduamente affezionato. Tu sempre meco fedelissimo tra quanti sono costà, e per età e per la parentela con noi, lo custodirai. Cerca adunque, memore ch’io lo pongo sotto la guardia della tua fede parentevole, di essere giusto verso di noi, onde, per quanto è da te onestamente io abbia disposto le cose mie. Un simile testamento fu depositato anche in Atene presso un nostro conoscente ed in Eretria presso Amficrito.“

XX. Morì delirante, al dire di Ermippo, per [p. 327 modifica]essersi empiuto troppo di vino schietto, già tocco l’anno settantesimo quinto, accetto agli Ateniesi come nessuno. V’ha di nostro su lui:

     Arcesilao, perchè, perchè mai tanta
       Copia divino pretto hai trangugiata,
       Sino a caderne fuor dai sensi? Duolmi
       Non tanto perchè tu morto ne sia,
       Quanto perchè tu hai le Muse offeso
       Non misurati calici adoprando.

XXI. Vi furono tre altri Arcesilai: un poeta della vecchia commedia; un altro di elegie; ed uno statuario, pel quale Simonide compose quest’epigramma:

     La statua di Diana è questa: vale
       Il prezzo di dugento dramme parie
       Coll’impronta del capro. Esercitato
       Dalle man di Minerva oprolla il degno
       D’Aristodico figlio Arcesilao.

Il filosofo di cui s’è parlato, secondo che afferma Apollodoro nelle Cronache, fiorì intorno la cenventesima olimpiade.