È tutto bene quel che a ben riesce/Atto quarto

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Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO


SCENA I.

A breve distanza dal campo fiorentino.

Entra ilSignore con una mano di soldati.

Signore. Ei non può venire che di qui. Allorchè v'avventerete sopra di lui, spaventatelo con aspre parole, nè vale se anche non saranno intese da voi; bisogna poi che fingiamo di non intenderlo, eccetto uno di noi che metteremo innanzi come dragomanno.

Sold. Buon capitano, lasciate ch’io sia questi.

Signore. Non sei tu conosciuto da lui? Non gli è nota la tua voce?

Sold. No, signore, ve n’assicuro.

Signore. Ma qual lingua gli parlerai?

Sold. Una lingua simile a quella che voi adoprerete con me.

Signore. Giova ch’ei ne creda una banda di stranieri al soldo del nemico. Non dimentichiamo ch’ha una lieve tintura di tutti i dialetti dei paesi circostanti; perciò bisogna che ognuno di noi parli in un gergo alla sua guisa, senza sapere quello che ci diremo l’uno coll’altro. Ciò che dobbiamo aver bene a mente è il nostro disegno. — Quanto a voi, turcimanno, forza è che sappiate ben dissimulare. — Ma nascondiamoci dietro quella siepe: eccolo che viene per rubare due ore al sonno, e tornar quindi a giurare le menzogne che ha immaginate. (entra Parolles)

Par. Dieci ore! Fra tre ore rientrerò al quartiere. Che dirò poi che ho fatto? Dev’essere un’invenzione plausibile e credibile: cominciano a conoscermi, e le disgrazie già mi cadono sul capo. La mia lingua è troppo ardita, troppo temeraria; ma il mio cuore ha il timor di Marte dinanzi a sè, e non sostiene quello che il mio labbro dichiara.

Signore. (a parte) Ecco la prima verità di cui la tua lingua si sia mai resa colpevole.

Par. Qual diavolo ha potuto incitarmi ad intraprendere quest’opera conoscendone l’impossibilità, e non avendone alcun desiderio? Bisognerà che da me stesso mi faccia alcune ferite [p. 319 modifica]e che dica che la ho ricevute nel combattimento; ma lievi ferite non convinceranno. Diranno: come! siete sfuggito a così buon patto? — Nè grandi ferite oso par farmi. Perchè, di qual prova sarebbero? Oh lingua mia, io ti reciderò se non saprai trarmi da questo pericolo.

Signore. (a parte) È egli possibile ch’ei si conosca così bene, e sia quello ch’è?

Par. Vorrei che i lembi del mio abito trinciato potessero servirmi, il troncone della mia spada rotta...

Signore. (a parte) Non ve ne caverete così.

Par. O il radimento della mia barba; e che dir potessi, cotesto fu uno stratagemma guerresco.

Signore. (a parte) Neppur questo mi piace.

Par. O che annegassi i miei abiti, e dicessi che fui derubato.

Signore. (a parte) Invenzione da nulla.

Par. Se giurassi che sono saltato da una finestra della cittadella...

Signore. (a parte) A quale profondità?

Par. A trenta piedi?

Signore. (a parte) Tre grandi giuramenti farebbero appena ciò credibile.

Par. Vorrei avere qualche tamburo dei nemici, e giurerei che l’ho conquistato.

Signore. (a parte) Ne udrai uno fra breve.

Par. Un tamburo dei nemici! (grande allarme al di dentro)

Signore. Throca movousus, cargo, cargo, cargo.

Tutti. Cargo, cargo villianda par corbo, cargo.

Par. Oh! il riscatto, il riscatto. Non mi bendate gli occhi. (i soldati l’afferrano e lo bendano)

Sold. Bosckos thromuldo bosckos.

Par. Conosco che siete del reggimento di Muskos, e che perderò la vita per non saper questa lingua. Se v’è fra di voi qualche Tedesco, qualche Danese, qualche Olandese, Italiano o Francese, ei mi favelli, ed io gli rivelerò segreti che cagioneranno la sconfitta dei Fiorentini.

Sold. Bosckos vauvado... t’intendo, e posso parlarti nella tua lingua. Kereligbonto... Signore, pensa alla tua religione, perchè diciassette pugnali stan contro al tuo seno.

Par. Oh!

Sold. Prega, prega, prega... Mancka revania dulche.

Signore. Oscorbi dulchos volivorea.

Sold. Il generale è contento di risparmiarti, e cogli occhi [p. 320 modifica]così bendati ti farà condurre per sapere i tuoi segreti: forse rivelerai tu qualche cosa che varrà a salvarti la vita.

Par. Oh! lasciatemi vivere, e vi paleserò tutti i segreti dei vostri nemici, le loro forze e i loro disegni: sì vi dirò cose che vi faranno stupire.

Sold. Ma lo farai fedelmente?

Par. Se nol farò, ch’io sia dannato.

Sold. Acordo linta. — Vieni, t’è concesso d’andare. (esce con Par. fra le guardie)

Signore. Va ad annunziare al conte di Rossiglione e a mio fratello che abbiam preso il gallo, e che lo terremo imprigionato, finchè riceviamo loro novelle.

Sold. Così farò, capitano.

Signore. Ei vuol tradirne tutti, parlando con noi medesimi. Di’ loro ciò.

Sold. Bene sta, signore.

Signore. Infine al momento delle sue rivelazioni lo manterrò fra le tenebre, e ben custodito. (escono)

SCENA II.

Firenze. — Una stanza nella casa della Vedova.

Entrano Beltramo e Diana.

Bel. Mi fu detto che il vostro nome era Fontibel.

Dian. No, mio buon signore, mi chiamo Diana.

Bel. Portate il nome d’una dea, e lo meritate. Ma, mio bell’angelo, l’amore non avrà dunque alcun diritto sopra di voi? Se la viva fiamma della giovinezza non riscalda il vostro cuore, voi non siete una fanciulla, ma un freddo marmo. Allorchè sarete morta, sarete quale siete ora, cioè insensibile; ed ora invece dovreste essere qual era vostra madre quando ingenerò sì vaga creatura.

Dian. Ella non cessò d’essere onesta allora.

Bel. Voi lo sarete al pari di lei.

Dian. No: mia madre non fece che compiere un dovere; quello che vi lega alla vostra sposa.

Bel. Di ciò non parliamo. — Ve ne prego, non persistete a combattere la mia risoluzione; sono stato unito a lei per forza, a voi invece dai dolci vincoli dell’amore. A voi quindi consacro per sempre i miei servigi.

Dian. Sì, voi siete ai nostri servigi, finchè vi piacciamo; ma [p. 321 modifica]quando avete colte le rose, ci lasciate le spine e insultate ai nostri dolori.

Bel. Quanti giuramenti ho io fatti?

Dian. Non è il numero dei giuramenti che costituisce il vero; il vero risiede in un semplice e sincero voto. V’ha nulla di sacro che non invochino i nostri giuramenti? Noi prendiamo a testimonio ciò che esiste di più divino. Ditemi, ve ne prego, s’io giurassi, pei supremi attributi di Giove, che vi amo teneramente, mi credereste? Giurare che si ama, è giuramento senza fede e senza stabilità. Le vostre parole per ciò sono vane, e le vostre affermazioni insulse: ogni soffio potrebbe mutarle.

Bel. Mutate opinione. Non siate così santamente crudele; d’amore è sacro, e la mia sincerità non fu mai violata. Non vi allontanate da me, ma arrendetevi ai desiderii del mio cuore, che una vostra parola sola può rianimare. Dite che mia siete, e durerà eterno il mio amore.

Dian. Veggo che gli uomini hanno più imaginativa di noi in questa specie di cose. — Datemi quell’anello.

Bel. Ve lo presterò, mia cara; ma non posso darvelo.

Dian. Non volete, signore?

Bel. È un ricordo d’onore che appartiene alla nostra famiglia, e che mi è stato trasmesso da’ miei avi: m’esporrei a rimproveri ingiuriosi s’io lo cedessi.

Dian. Il mio onore somiglia al vostro anello; esso mi è stato trasmesso dai miei antenati, e m’esporrei a rimproveri ingiuriosi perdendolo: così la vostra prudenza ammonisce la mia a chiamar l’onore in soccorso per difendermi contro vani attentati.

Bel. Eccovi il mio anello. Tutti i tesori della mia famiglia, l’onor mio e la mia vita dipendono da voi; io sarò sottomesso per l’avvenire agli ordini vostri.

Dian. Allorchè l’ora della mezzanotte scoccherà battete alla finestra della mia stanza. Prenderò le mie cautele affinchè mia madre non oda nulla. — Ora v’impongo una condizione sotto la sacra fede del vero; è di non restare nel mio vergine letto per più di un’ora, e durante quel tempo di non favellarmi. Ne ho le più forti ragioni, e voi quindi le saprete allorchè vi sarà renduto di vostro anello. Questa notte poi io porrò nel vostro dito un altro anello, che valga in seguito ad attestare la nostra unione. Addio, ci rivedremo all’ora fermata. Voi avete conquistato in me una sposa, sebbene tutte le mie speranze da tal lato vadano perdute.

Bel. Ho conquistato in voi un Cielo sopra la terra. (esce)

Dian. Pensa dunque a ringraziare e il Cielo e me. Mia madre [p. 322 modifica]mi aveva istruita del modo con cui mi avrebbe corteggiata, come se ella fosse stata nel di lui cuore: ella dice che tutti gli uomini fanno i medesimi giuramenti; egli aveva giurato di sposarmi, allorchè sua moglie fosse morta, ed io cederò del pari ai desiderii suoi quando sarò sepolta. Poichè i Francesi son così ingannatori, si mariti chi vuole, io vivrò e morirò vergine, nè riputerò delitto l’ingannare un uomo che tentò di sedurmi con frode. (esce)

SCENA III.

Il campo fiorentino.

Entrano i due signori Francesi e due o tre soldati.

Signore. Non gli avete data la lettera di sua madre?

Signore. Gliel’ho data un’ora fa; e vi è stata qualche cosa che l’ha vivamente colpito, perchè leggendola ha mutato colore.

Signore. Egli è molto degno di biasimo per aver rigettate da sè così buona moglie, così cara signora.

Signore. È sopratutto incorso nell’eterna disgrazia del re, che sì volenteroso era di farlo felice. Vi confiderò una cosa, che però terrete segreta.

Signore. Quello che poteste dirmi andrà sepolto in un obblio eterno.

Signore. Egli ha sedotto una giovine fiorentina d’intatta rinomanza, e questa notte sfogherà la sua passione sulle ruine del suo onore; ei le ha dato il suo anello di famiglia, e si crede felice essendo riescito in contratto sì vituperevole.

Signore. Dio ci tenga sempre la sua mano sopra! Quali miserabili siamo, allorchè ci abbandona a noi stessi.

Signore. Noi diveniamo allora veri traditori verso di noi. E come nel loro corso ordinario tutti i tradimenti sogliono rivelarsi colle indiscrezioni, a mano a mano che procedono verso il loro infame scopo; del pari egli che in quest’opera intende a disonorare la nobiltà del suo nome, lascia sfuggirsi il segreto del suo cuore.

Signore. Non è cosa detestabile l’essere noi stessi gli eroi di empie azioni! — Non avremo dunque la di lui compagnia questa sera?

Signore. No, fino a dopo mezzanotte, perchè non vorrà che gli passi l’ora.

Signore. Essa si avvicina celeremente. — Io vorrei bene che udisse giudicare il suo caro favorito, affinchè sapesse apprezzare il proprio senno che gli ha fatto porre sì vicino al suo cuore quella bella imagine di lui. [p. 323 modifica]

Signore. Non andremo ad infestarlo, finchè ei non venga da sè; perocchè la sua presenza dev’essere il castigo del nostro millantatore.

Signore. Parliamo intanto dì questa guerra: che se ne dice?

Signore. Si dice che fra breve sarà finita.

Signore. V’è chi afferma che la pace è già conchiusa.

Signore. Allora che farà il conte di Rossiglione? Continuerà egli a viaggiare, o ritornerà in Francia?

Signore. Da tal dimanda mi avveggo che non siete ne’ suoi segreti.

Signore. Dio me ne guardi, perchè allora avrei anche gran parte nelle sue opere.

Signore. Sua moglie, son circa due mesi, è fuggita dalla sua casa col pretesto di andar a far un pellegrinaggio a San Giacomo il Grande. Ell’ha compiuta tal impresa religiosa colla pietà più austera; ma la sua anima, naturalmente sensibile, è divenuta preda del suo dolore; talchè ha esalato gli ultimi sospiri, ed ora è in Cielo cogli angeli.

Signore. Sopra di che è fondata tal novella?

Signore. In gran parte sulle di lei lettere che assicurano la verità del racconto fino al momento della sua morte; e la sua morte, che ella non poteva da se stessa rivelare, è fedelmente affermata dal parroco di quel luogo.

Signore. E istruito il conte di tal avvenimento?

Signore. Lo conosce benissimo.

Signore. Mi condolgo di cuore ch’ei ne vada lieto.

Signore. Noi siamo spesso troppo solleciti nel rallegrarci delle nostre perdite.

Signore. Come anche talvolta lo siamo troppo nel deplorare le nostre buone venture. Ma l’onore cospicuo che il suo valore si è già procacciato verrà oscurato nella patria sua da uguale vergogna.

Signore. La vita dell’uomo è una trama tessuta di buone e di cattive fila mescolate insieme; le nostre virtù diverrebbero di troppo orgogliose, se i nostri difetti non le rintuzzassero; e i nostri vizii ne porterebbero alla disperazione, se non ne fossimo consolati dalle nostre buone doti. — (entra un domestico) Ebbene? Dov’è il tuo padrone?

Dom. Ha incontrato per la strada il duca da cui ha preso congedo, e partirà dimani per la Francia. Il duca gli ha offerte lettere commendatrici pel re. [p. 324 modifica]

Signore. A nulla gli varranno, che troppo è quel monarca sdegnato.

Signore. Come infatti gli gioverebbero dopo quanto è accaduto? — (entra Beltramo) Ma ecco Sua Signoria. Ebbene, conte, non è suonata la mezzanotte?

Bel. Ho dato sfogo in questa notte a sedici negozii, di cui ciascuno esigeva un mese di applicazione. Ho preso congedo dal duca, ho salutati i grandi della sua Corte, ho sepellito una sposa e assunto il bruno per lei, ho scritto a mia madre che torno in Francia, ed ho preparato i miei bagagli. Negl’intervalli di queste diverse cose ho pensato anche ai bisogni più delicati; l’ultimo però e il più importante temo che non finirà così.

Signore. Se vi è qualche difficoltà, e che partiate di qui fra poco, bisognerà usare della maggiore diligenza.

Bel. Dico che la cosa non finirà così, perchè ne udirò in seguito parlare. — Ma assisteremo noi dunque al dialogo di quel codardo soldato? Fate venire dinanzi a noi quel sedicente modello dei valorosi: egli mi ha ingannato come un oracolo a doppio senso.

Signore. Conducetelo qui. (escono alcuni soldati) Il miserabile passò tutta la notte in ceppi.

Bel. Non vi è alcun male in ciò. Le sue calcagna l’han meritato troppo, avendo per tanto tempo usurpato gli speroni. Come si comporta egli?

Signore. Piange come una giovine contadina che ha rotta la pentola del latte, e si è confessato con Morgham, che crede un religioso, d’ogni suo peccato. Ora che pensate voi ch’egli abbia detto?

Bel. Nulla che mi risguardi, io spero.

Signore. Fu scritta la sua confessione, e verrà letta dinanzi a lui. Bisognerà che voi pure abbiate la pazienza d’intenderla. (rientrano i soldati con Parolles bendato)

Bel. La peste lo colga! come è avviluppato! Ei non potrà dir nulla di me; silenzio, silenzio.

Signore. Si avanza! — Porto tartarossa.

Sold. Ei vuole vi siano applicate le torture; che volete fare per esentarvene?

Par. Vuo’ confessare tutto quello che so, senza venirne a tali estremi: se mi date la tortura non potrò più dir nulla.

Sold. Bosko ckimurcho.

Signore. Boblibindo chicururcho.

Sold. Siete un generale troppo compassionevole. — Il [p. 325 modifica]nostro generale vi comanda dunque dì rispondere a quello che io vi chiederò leggendo questo scritto.

Par. E lo farò così sinceramente come io vivo.

Sold. Prima dimanda da fargli, qual è la cavalleria del duca? — Che rispondete a ciò?

Par. Cinque o sei mila cavalli, ma deboli e fuor di servizio; le truppe son tutte disperse, e i capi son molto miserabili; è ciò che assicuro sulla mia riputazione, e sulla mia speranza di salvarmi la vita.

Sold. Debbo scrivere la vostra risposta?

Par. Fatelo, ed io la sosterrò con quel sacramento che più ti piacerà.

Bel. (a parte) Tutto è uguale per lui! Malandrino indegno.

Signore. (a Bel. a parte) V’ingannate, signore, questi che voi vedete, è monsieur Parolles, quel prode militare che accoglieva ogni teoria guerresca nel nodo della sua ciarpa, ed aveva ogni pratica nel fodero della spada.

Signore. Non mi fiderò mai più di alcuno, perchè avrà saputo mantener lucida la sua arma; nè crederò che possegga belle qualità, perchè è rivestito di una buona armatura.

Soldato. Sta bene; questo è scritto.

Par. Cinque o sei mila cavalli dissi, e dissi il vero, o di poco errai, perchè io parlo esattamente.

Signore. In ciò infatti ei s’avvicina molto alla verità.

Bel. Ma io nol ringrazierò per questo.

Par. E’ sono miserabili, ve ne prego, scrivetelo.

Sold. È già scritto.

Par. Bene: il vero è vero, e quelli sono soldati da far pietà.

Sold. Chiedergli qual è la forza dell’esercito a piedi? — Rispondete.

Par. Sulla fede mia, signore, come se non avessi che quest’ora da vivere, dirò la verità. Aspettate: Spurio ne ha cencinquanta, Sebastiano altrettanti; Corambo altrettanti; Guiltiano, Cosimo, Ludovico e Grazio dugencinquanta per caduno; la mia compagnia, Chirofero, Vaumont, Benzio, ognuno dugencinquanta; talchè tutto l’esercito fra sani e infermi non ascende, sull’onor mio, a quindici mila uomini; e ve n’ha una metà che non oserebbe scrollarsi la neve dal capo per tema di non cadere in brandelli.

Bel. Che si farà di costui?

Signore. Nulla, fuorchè ringraziarlo. Interrogatelo sopra il mio stato, e sul credito ch’io godo presso il duca.

Sold. Ciò pure è scritto. — Gli chiederete ancora se vi è [p. 326 modifica]nel campo un capitano chiamato Dumain, Francese; qual è la sua riputazione, e quale l’opinione che ne ha il duca; qual è il suo valore, la sua probità e la sua esperienza in guerra; e s’ei non crede possibile che coll’oro lo si corrompesse? — Che dite?

Par. Vi prego, fate ch’io risponda ad ogni dimanda in particolare; interrogatemi.

Sold. Conoscete questo capitano Dumain?

Par. Lo conosco: faceva il beccaio a Parigi, e ne fa vergognosamente cacciato per aver sedotto una povera fante imbelle dello sceriffo, una povera tapina e muta che non sapeva dirgli di no. (Dumain alza la mano sdegnato)

Bel. Via, via, con vostra licenza rattenete le mani; sebbene sappia che il suo cervello è consacrato alla prima tegola che gli cadrà sulla testa.

Sold. Quel capitano è nel campo del duca di Firenze?

Par. Vi è.

Signore. (a Bel. a parte) Non mi guardate tanto; udrem fra poco parlare anche di voi.

Sold. Qual fama god’egli col duca?

Par. Il duca nol conosce che per un cattivo uffiziale, e mi scrisse l’altro giorno, perchè lo rimandassi; credo d’aver ancora in saccoccia la sua lettera.

Sold. Verremo a ricercarla.

Par. In verità non so s’io l’abbia qui, o se sia colle altre del duca che lasciai nella mia tenda.

Soldato. (dopo avergli frugato addosso) Eccone qui una, ecco una lettera: debbo io leggerla?

Par. Non so se sia essa.

Bel. (a parte) Il nostro interprete compie bene la sua parte.

Signore. Eccellentemente.

Sold. (leggendo) «Diana. — Il conte è un pazzo pieno d’oro».

Par. Non è la lettera del duca, signore: è un avvertimento dato ad una fanciulla onesta e bella di Firenze, chiamata Diana, perchè diffidasse delle seduzioni di un certo conte di Rossiglione, giovine frivolo e stordito, rotto ad ogni libidine. — Ve ne prego, signore, riponete quel foglio nella mia saccoccia.

Sold. No, prima colla vostra licenza voglio leggerlo.

Par. Le mie intenzioni, lo giuro, erano delle più oneste in favore di quella fanciulla, perchè conosceva il conte per giovine assai pericoloso, e distruttore d’ogni innocenza.

Bel. (a parte) Diabolico scellerato! [p. 327 modifica]

Sold. (continuando a leggere) «Allorchè egli vi prodigherà i giuramenti, ditegli che vi dia oro e prendetelo. Un mercato ben fatto è a metà guadagnato: gli arretrati non si pagano; pensateci e riflettete alle vostre cose. Fatevi pagar prima, e dite, Diana, che un soldato vi ha dato questo consiglio. Gli uomini amano il matrimonio, i giovani il piacere, e il conte è giovane e stordito, e pagherà, ma non dopo che avrà ottenuto. Sono il tutto vostro, com’egli molte volte all’orecchio vi avrà giurato».                Parolles.

Bel. Vuo’ che sia frustato dinanzi a tutto l’esercito con quello scritto in fronte.

Signore. È il vostro caro amico, signore, quell’oratore onnipossente, quel possente guerriero.

Bel. Ora mi è fatto esoso.

Sold. Credo di veder, messere, negli occhi del nostro generale che avremmo molto desiderio di farvi appiccare.

Par. La vita per carità, e a qualunque prezzo: non ch’io abbia paura di morire, ma solo per pentirmi nel resto de’ miei giorni dei miei peccati. Lasciatemi vivere in una prigione, fra i ceppi o dove vorrete, purchè soltanto io viva.

Sold. Vedremo quel che potrà farsi se le rivelazioni vostre son vere: torniamo dunque su quel capitano Dumain, di cui avete già detto l’opinione che ne porta il duca. Che dite voi della sua probità?

Par. Ei ruberebbe fino un uovo nel santuario, che pei furti e pei ratti colui è eguale a Nesso. Viola sempre i suoi giuramenti, e mentisce con tale baldanza, da farvi credere la verità una pazza. L’ubbriacarsi è la maggiore delle sue virtù; e ubbriaco è sempre come un sucido maiale: ha infine tutte le qualità che un onest’uomo non debbo avere, e gli mancano tutte quelle che un uomo onesto aver debbo.

Signore. Comincio ad amarlo per quello che dice di me.

Bel. Per quello che dice di voi? La peste lo divori per ciò che ha di me detto.

Sold. Che dite della sua esperienza in guerra?

Par. Esperto ne è tanto che, temendone i rischi, sa starsene sempre al retroguardo.

Signore. Egli spinge l’impudenza a tal termine che toglie l’ira, e sveglia la meraviglia.

Bel. Sia maledetto.

Sold. Poichè è un uomo così vile, non vi chiederò se si potesse corromperlo. [p. 328 modifica]

Par. Per un quarto di scudo, signore, ei venderebbe la sua parte di salute, e il suo diritto all’eredità del cielo: per un quarto di scudo ne spoglierebbe i suoi discendenti, o l’alienerebbe a perpetuità.

Sold. E suo fratello, l’altro capitano, che uomo è?

Signore. Perchè lo interroga sul conto mio?

Sold. Rispondete, che uomo è egli?

Par. Un corvo del medesimo nido. Non è stolto al par di lui, ma lo vince in viltà: egli è un composto di turpitudine e di malizia.

Sold. Se vi vien fatta grazia della vita, tradirete il duca di Firenze?

Par. Sì, e il capitano della sua cavalleria ancora, il conte di Rossiglione.

Sold. Lo dirò all’orecchio del generale, per conoscere le sue intenzioni.

Par. Non vuo’ più saperne di tamburi, (a parte) Siano maledetti tutti i tamburi! Fu unicamente per piacere a quel libertino conte che mi posi in tal pericolo; e nondimeno chi avrebbe mai potuto credere che vi fosse un’imboscata là dove fui preso?

Sold. Non vi è rimedio, signore, bisogna che moriate. Il generale dice che voi, che avete con sì indegna perfidia svelati i segreti del vostro esercito, e fatti ritratti così neri d’ufficiali che godono la più alta stima, di niun giovamento siete al mondo, e dovete partirne. Su, carnefice, tagliagli la testa.

Par. Oh mio Dio! Signore, lasciatemi vivere, o lasciatemi almeno veder la mia morte!

Sold. Questo potrete, o lo farete accomiatandovi da tutti i vostri amici. (lo sbenda) Guardate intorno a voi; conoscete qui alcuno?

Bel. Buon giorno, nobile capitano.

Signore. Il Ciel vi salvi, capitano Parolles.

Signore. Dio vi benedica, egregio capitano.

Signore. Capitano, che cosa debbo io dire a monsieur Lafeu? Io parto per la Francia.

Signore. Buon capitano, volete darmi una copia di quel sonetto che scriveste a Diana, in favore del conte di Rossiglione? Se non fossi un vero pusillanime vi ci forzerei; ma addio, vi sorrida ogni bene. (escono Bel., i Sign., ecc.).

Sold. Siete un uomo perduto, capitano: tutto rimane sciolto in voi, tranne la vostra ciarpa.

Par. Chi non soccomberebbe sotto una tal congiura?

Sold. Se poteste trovare un paese dove non vi fossero che donne così disoneste come siete voi, potreste divenir padre, e [p. 329 modifica]stipite di una nazione assai impudente. Addio, io pure parto per Francia, e là parleremo a lungo di voi. (esce)

Par. Ebbene, vi ringrazio. Se il mio cuore fosse superbo ora scoppierebbe. Non sarò più capitano, ma mangìerò, berrò e dormirò, come se un capitano fossi. Mi rimarrà abbastanza per vivere. Quegli che è il millantatore tremi di questa catastrofe, che ad ogni millantatore accadrà, perchè la menzogna ha brevi le gambe. Irruginisci, o mia spada: rinfrescatevi, mie gote, che il rossore ha infiammate, e tu vivi, caro Parolles, in sicurezza nella tua vergogna. Poichè fosti schernito, prospera colla frode: v’è sempre nel mondo posto per un uomo, e mezzi vi son sempre per farlo esistere; vado a cercarli. (esce)

SCENA IV.

Firenze. — Una stanza nella casa della vedova.

Entrano Elena, la Vedova e Diana.

El. A fine di convincervi, signora, che non vi ho fatta ingiuria, uno dei più gran principi del mondo cristiano sarà mia cauzione: bisogna necessariamente che prima di compiere i miei disegni, mi prostri dinanzi a lui. Vi fa un tempo in cui gli resi un importante servigio, quasi caro al par della vita; un servigio che sveglierebbe la riconoscenza anche in un dannato. Io so, che Sua Maestà è a Marsiglia, e abbiamo un corteggio conveniente per guidarne a quella città. Giova sappiate che ei mi crede estinta, e congedato essendo l’esercito, mio marito parte per le sue terre: ora col soccorso del Cielo, e col consenso del re, noi saremo colà prima del nostro ospite.

Ved. Gentil signora, non mai aveste servitori che assumessero con più zelo i vostri interessi.

El. Nè voi aveste mai amici che s’adoprassero con più fervore a procacciarvi la ricompensa del vostro affetto. Non dubitate che il Cielo non m’abbia condotta in casa vostra per assicurare la dote di vostra figlia, com’egli l’ha destinata ad essere il mio sostegno, e il mezzo con cui potrò ottenere l’amore del mio sposo. Ma quanto strani sono gli uomini, godendo sì dolci diletti nel possedimento di ciò che abborrono, allorchè le loro lascive passioni, deluse da una fallace idea, raddoppiano l’orrore della notte con quello del loro delitto! Così la lussuria s’inebbria con trasporto di un oggetto odiato, credendo di godere di un assente; ma torneremo poscia sopra queste riflessioni. — Voi, Diana, [p. 330 modifica]dovrete assoggettarvi ancora per me ad alcune prove sotto la direzione dei miei deboli lumi.

Dian. L’onore e la morte s’accordino insieme nei sacrifizii che m’imporrete; ed io devota a voi son pronta a soffrire anche la morte.

El. Per ora vi prego... ma in breve verrà la stagione, in cui le rose fioriranno sopra le spine. Frattanto partiamo: la carrozza ci aspetta, e il tempo incalza. É tutto bene quel che a ben riesce. La fine corona le opere; e quali che si siano i fatti anteriori, l’esito è sempre quello che decide della gloria e del merito. (escono)

SCENA V.

Rossiglione. — Una stanza nel palazzo della Contessa.

Entrano la Contessa, Lafeu e il Villico.

Laf. No, no: vostro figlio è stato fatto traviare da un infame scellerato, che tingerebbe del suo colore tatti i giovani di una nazione. Senza di ciò, la vostra nuora vivrebbe ancora, ed egli terrebbe il primo posto nella grazia del re.

Cont. Vorrei non l’aver mai conosciuto. Egli ha fatto morire la più virtuosa donna che mai onorata avesse la natura. Se ella fosse stata formata del mio sangue, e costato mi avesse i vivi dolori di una madre, non però la mia tenerezza per lei avrebbe potuto mettere più salde radici.

Laf. Era una buona fanciulla; una degna sposa: stenteremmo assai a trovarne una simile.

Vil. Sì, sì, signora, ella era quello che è la maggiorana nell’insalata, o piuttosto l’erba dal bel fiore.

Laf. Quelle non sono erbe da insalata, mariuolo: sono aromi per il naso.

Vil. Non sono un gran Nabucodonosor, messer, nè molto m’intendo di erbe.

Laf. Che fai tu professione di essere? Un malandrino o un pazzo?

Vil. Un pazzo, signore, al servizio di una donna, o un malandrino al servizio d’un uomo.

Laf. Che vuol dire tal distinzione?

Vil. Vuol dire che ruberei volentieri a un uomo la sua donna per fare il suo servizio.

Laf. Con ciò tu veramente saresti un mariuolo finito.

Vil. Sono un abitante dei boschi, e mi è sempre piaciuto il gran fuoco, e rifuggendo dai disagi della vita ho amato sempre le terrene comodità. [p. 331 modifica]

Laf. Vattene, furfante, tu m’infastidisci: vattene ed abbi cura dei miei cavalli.

Vil. Essi sono di aspetto sì misero, che credo esigerebbero gli estremi ufficii. (esce)

Laf. Un astuto malandrino, ve ne assicuro.

Cont. Il povero mio marito ne traeva gran diletto. È per voler suo ch’ei resta in questa casa, ed ei se ne prevale onde prorompere in ogni impertinenza.

Laf. I suoi scherzi sono però talvolta pieni di sale. Ma tornando al nostro discorso, debbo dirvi che, dappoichè ho saputa la morte di quella degna signora, e che vostro figlio stava per rimpatriare, ho pregato il re perchè gli parli in favore di mia figlia: e Sua Maestà, a cui molto piacerebbe tale matrimonio, ha promesso di farlo, dichiarando che coll’arrendersi ad una tale unione soltanto potrà il figliuol vostro togliersi quell’odio ch’egli ha contro di lui concepito. Quale vi sembra la proposta?

Cont. Essa mi fa il maggior piacere e desidero che si compia lietamente.

Laf. Il re torna da Marsiglia, vegeto come quando aveva trent’anni, e sarà qui dimani.

Cont. Godo assai di poterlo rivedere prima di morire. Ho lettere che mi annunziano che mio figlio pure sarà qui questa sera. Vi pregherò di restare con me fino a che entrambi si siano incontrati.

Laf. Io pensavo, signora, in qual modo potrei essere ammesso alla sua presenza.

Cont. Per ciò non avete bisogno che di far valere gli onorevoli vostri titoli.

Laf. Di questi ho fatto un uso ben esteso; ma per grazia del Cielo saranno apprezzati ancora. (rientra il Villico)

Vil. Oh signora! di là sta vostro figlio con un brano di velluto sul volto; se vi sia, o no una cicatrice disotto, il velluto solo lo sa; ma è un gran bel drappo, ed è peccato che non sia stato impiegato a miglior uso.

Laf. Una ferita nobilmente ottenuta è una bella divisa d’onore; tale forse è questa.

Vil. Ma se essa è bella, toglie però la bellezza al viso che la porta.

Laf. Andiamo a vedere vostro figlio; (alla Cont.) ardo dal desiderio di favellare con quel giovine guerriero. (escono)

Vil. In verità vi è una dozzina di costoro che, sebbene vestiti splendidamente, piegano il capo, e si peritano dinanzi ad ogni uomo. (esce)