Al Polo Australe in velocipede/11. Sull'Oceano Antartico

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11. Sull'Oceano Antartico

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CAPITOLO XI.

Sull’Oceano Antartico.

Cosa era avvenuto? Quale tremendo pericolo aveva minacciato l’esistenza degli audaci esploratori del polo australe? Come lo avevano evitato e come la valorosa nave, che era stata strappata dai flutti, galleggiava ancora?

Se la spiegazione era impossibile per Bisby, non doveva essere difficile pel capitano Bak, per Wilkye e per Linderman, che avevano profonda conoscenza delle regioni polari e dei ghiacci.

La Stella Polare che si era lanciata innanzi per sfuggire agli urti del primo ice-berg, era andata a urtare contro un secondo, che si manteneva in equilibrio per un miracolo e che le tagliava la via verso il sud.

Quel colpo di sperone era stato sufficiente per farlo cadere e siccome quei colossi hanno una immersione straordinaria, la goletta, che si trovava sopra la base che tenevasi sott’acqua, era stata bruscamente sollevata.

Fortunatamente il peso della nave era stato sufficiente per sfondare quella base e la nave era ricaduta in acqua, mentre il gigante si capovolgeva. Guai se non l’avesse spezzata! Sollevata in aria, rovesciata o sull’uno o sull’altro fianco, non sarebbe ricaduta che rotta o capovolta. E guai se l’ice-berg, invece di rovesciarsi in avanti si fosse piegato dalla parte della nave: nessuna corazzata, per quanto grande e solida fosse stata, avrebbe potuto resistere a [p. 98 modifica] quel tremendo urto, a quell’enorme peso che forse era di diecimila, di ventimila tonnellate.

Se la fortuna aveva protetto gli arditi esploratori delle regioni australi, poteva però da un istante all’altro abbandonarli. Passato quel tremendo pericolo, altri li minacciavano.

Tutto intorno alla goletta, altri ice-bergs ondeggiavano, mossi da quell’immensa ondata sollevata dalla caduta del colosso polare, che per poco non l’aveva schiacciata.

Alla luce delle lampade di magnesio, che cominciavano a proiettare all’ingiro i loro raggi azzurrognoli, essendosi la nebbia un po’ diradata, si vedevano alzarsi a prua, a poppa, a babordo ed a tribordo, gigantesche pareti di ghiaccio, che avevano degli strani bagliori. Si sarebbe detto che quelle montagne erano ansiose d’imprigionare la goletta, di stringerla, di soffocarla e di schiacciarla.

L’equipaggio, che non si era ancora rimesso dal terrore, non ardiva abbandonare le imbarcazioni e rimaneva sordo ai comandi del mastro d’equipaggio, il quale li incoraggiava a riprendere i buttafuori per tentar di respingere l’assalto dei ghiacci.

Perfino il capitano Bak, pareva che avesse perduto il suo sangue freddo e la sua sicurezza, e non ardiva dare alcun comando, temendo di compromettere la sorte della goletta.

Pure era necessario uscire, e senza perdere tempo, da quel cerchio che poteva da un istante all’altro richiudersi e imprigionarli tutti, oppure spezzarsi bruscamente e schiacciare la nave.

— Signore, disse Wilkye, che forse era il solo che non aveva perduto la calma abituale, rivolgendosi verso Linderman che rimaneva muto — bisogna forzare il passaggio o qui tutti ci lascieremo la vita. [p. 99 modifica]

— Ma dove volete andare? rispose l’armatore. Non vedete che siamo circondati?

— Dinanzi a noi, se i miei occhi non s’ingannano, scorgo un passaggio aperto fra due ice-bergs.

— Sarà libero?

— Io non lo so, ma tutto si deve tentare.

— Ma dietro vi possono essere degli altri ghiacci, signore, disse il capitano. Se ne urtiamo uno, può piombarci addosso.

— E se restiamo qui, verremo imprigionati. D’altronde non tutti gli ice-bergs sono male equilibrati.

— Tentiamo il passaggio, disse Linderman. Se non potremo uscire, ritorneremo.

— Ai vostri posti! tuonò il capitano, volgendosi verso l’equipaggio. Se vi preme salvare la pelle, riprendete i buttafuori e respingete l’assalto.

Poi curvandosi sul boccaporto:

— Ingegnere: macchina avanti!...

— Andiamo a fracassarci? chiese Bisby a Wilkye.

— Chi può dirlo?

— Io ne ho abbastanza del vostro polo e vorrei tornare a Baltimora. Corpo di un bue salato! È una vitaccia da cani questa e che mi garba poco, amicone caro.

— Ormai i rimpianti sono inutili, Bisby. Io andrò innanzi, dovessi affrontare la morte ad ogni ora.

— Voi, ma io?...

— Lottiamo per la scienza.

— Me ne infischio della scienza.

— Lottiamo per la bandiera dell’Unione Americana.

— Sarà una bella cosa, ma io preferirei essere ne’ miei magazzini a far denari.

— Zitto: stiamo giuocando la nostra pelle.

— Giuocherei quella del bisonte, brontolò il povero [p. 100 modifica] negoziante. Auff!..... In che avventura mi sono impegnato!.....

La Stella Polare intanto, si avanzava con precauzione fra i ghiacci, che minacciavano di imprigionarla. Il capitano Bak si era messo alla ruota del timone non fidandosi, in quel supremo istante, che di sè stesso, mentre l’equipaggio si era collocato lungo le murate di babordo e di tribordo coi buttafuori, tentando di respingere l’assalto dei colossi polari. Dinanzi alla prua, si distingueva confusamente un passaggio lasciato fra una montagna ed un grande banco e pareva che si prolungasse assai. Se i due ghiaccioni, che le onde e le correnti marine trasportavano, non si chiudevano, la Stella Polare poteva evitare la prigionia.

In pochi istanti la distanza fu superata e la nave si inoltrò arditamente nello stretto, procurando di mantenersi in mezzo.

Aveva percorso circa tre gòmene, quando verso poppa si udirono dei tonfi che parevano prodotti dalla caduta di massi enormi e dei lunghi scricchiolii.

— A tutto vapore! gridò Wilkye.

La goletta, a rischio di andarsi a fracassare contro qualche banco che poteva trovarsi al di là dello stretto, si slanciò innanzi come una rondine marina.

Un istante dopo, una detonazione spaventevole, paragonabile allo scoppio d’una mina o al rimbombo simultaneo di pezzi d’artiglieria, echeggiava verso il nord, seguita da due tonfi orribili.

Le montagne di ghiaccio che minacciavano d’imprigionare la goletta si erano cozzate fracassandosi e si erano rovesciate. Pochi istanti di ritardo e la goletta sarebbe rimasta schiacciata!

— Siamo salvi! gridò il capitano. [p. 101 modifica]

— Urràh per la Stella Polare! urlarono i marinai.

— Il mare è libero dinanzi a noi! gridò Linderman. Sia ringraziato Iddio!

— Ed io vedo un fuoco, disse una voce. Che laggiù si cucinino delle bistecche?..... Per bacco! Sarebbero le benvenute.

— Un fuoco! esclamarono Wilkye e Linderman.

— Volete che sia cieco? chiese Bisby, che era stato lui ad annunciarlo. O laggiù si fa cucina o si fondono questi dannati ghiacci.

Linderman, Wilkye e il capitano Bak guardarono nella direzione che il negoziante indicava e videro infatti, verso il sud-est, brillare attraverso il nebbione un fuoco che s’alzava e si abbassava.

— Che sia una nave? chiese Linderman. I balenieri si spingono fino sulle coste delle Terre di Trinity e di Palmer.

— È impossibile, disse il capitano. Con questa nebbia non si può scorgere un fanale.

— Può essere il fornello che serve alla liquefazione del grasso di balena.

— No, è impossibile, signore. Quel fuoco è lontano e per scorgerlo deve avere dimensioni gigantesche.

— Che siano dei naufraghi?

— Non lo credo. Non vedete che ora s’innalza ed ora si abbassa? Deve essere una grande colonna di fuoco.

— Ditemi capitano, chiese Wilkye. Credete che siamo vicini alle Shetland?

— Temo di vederle sorgere dinanzi a noi da un momento all’altro.

— E di aver oltrepassato le isole degli Elefanti e del Re Giorgio?

— È possibile, signore. Due ore fa mi parve di aver [p. 102 modifica] udito, sulla nostra sinistra, dei lontani fragori, come un rompersi di onde contro le scogliere.

— Erano senza dubbio le isole Aspland e quel fuoco è prodotto dal vulcano dell’isola Bridgeman.

— Ma non vedete che quel fuoco brilla a poca altezza sul mare? Se fosse un vulcano, sarebbe certamente più alto.

— V’ingannate, signor Linderman. Quello dell’isola Bridgeman è il più basso che esista sul nostro globo, poiché è alto solamente quindici metri.

— Un giuocattolo da ragazzi, disse Bisby. Lo porterei volentieri a Baltimora.

— Sì, burlone, disse Wilkye.

— Se è l’isola Bridgeman, vuol dire che abbiamo oltrepassato il 62° di latitudine e che la Terra Trinity non è lontana, osservò il capitano. Possiamo piegare con tutta sicurezza verso l’ovest.

— Fatelo, disse Linderman.

La Stella Polare virò di bordo e si slanciò verso quella nuova direzione che pareva sgombra di ghiacci.

Ogni pericolo ormai pareva evitato, tanto più che la nebbia cominciava ancora ad alzarsi e che il sole, che doveva essere ricomparso da un paio d’ore, principiava a foracchiare qua e là quelle masse vaporose cariche di umidità.

Gli uccelli cominciavano ad apparire e si vedevano volteggiare in grande numero, salutando l’astro diurno con acute strida. Erano stormi di grosse procellarie che di quando in quando si precipitavano in mare per pescare i clios boreali dai corpi allungati e membranosi e la testa formata da lobi arrotondati, o le cotte australi che sono cartilaginose, bianchicce, armate di pungoli. Si vedevano pure parecchi albatros che se la prendevano colle chimere antartiche, pesci che raggiungono sovente [p. 103 modifica] una lunghezza di tre piedi, ossia di un metro, colla pelle bianca argentata, la testa rotonda, il dorso munito di tre pinne ed il muso terminante in una specie di tromba che s’incurva verso la bocca.

Malgrado il loro peso, gli albatros, dopo di averle colpite a morte col robusto becco, le estraevano dall’acqua e volavano verso le terre più vicine per divorarsele con loro comodo.

Alle otto, quando il nebbione si dileguò, verso il nord apparve una costa alta assai e dirupata, sulla quale si vedevano volare bande immense di uccelli marini. Il capitano Bak, che aveva già visitate altre volte quelle regioni, la riconobbe subito.

— È l’isola del Re Giorgio, diss’egli a Wilkye. Voi non vi eravate ingannato; il vulcano che abbiamo veduto era quello di Bridgeman. Ecco laggiù la baia del Re, più oltre lo stretto di Freld e le colline dell’isola di Nelson.

— Sì, rispose Wilkye. La Stella Polare è discesa al sud passando in mezzo alle Shetland orientali, fra l’isola del Re Giorgio e quelle di Clarence e degli Elefanti.

— Se i ghiacci non ci ostacolano i passaggi, fra tre giorni voi sbarcherete, disse Linderman all’americano.

— Lo spero; ho fretta di mettermi in marcia.

— E di raggiungere il polo, è vero? chiese l’inglese con leggiera ironia.

— Sì, signore.

— Coi vostri velocipedi.

— Coi miei velocipedi, signor Linderman, rispose l’americano con voce asciutta.

— I quali speriamo che non si guasteranno.

— E perchè devono guastarsi?

— Ma non avete anche pensato, signor Wilkye, che i metalli esposti alle temperature freddissime delle regioni [p. 104 modifica] polari, cagionano delle atroci bruciature alle mani che li toccano?

— Non è cosa nuova per me, signor Linderman, che ho visitato la Groenlandia e la baia di Baffin del polo settentrionale.

— E le vostre gomme credete che resistano?

— E la vostra nave, credete che resista alle tremende pressioni dei ghiacci? D’altronde voi non avete veduto ancora i miei velocipedi.

— Devono essere capilavori.

— E andranno lontani a dispetto della vostra ironia, disse l’americano stizzito. Ci rivedremo al polo, signor Linderman, se sarete capace di giungervi.

— Mi credereste forse un pauroso? chiese l’inglese, coi denti stretti.

— Non ve l’ho ancora detto, ma vi sfido a raggiungermi al polo.

By-god!... Che fiducia!... Fate già conto di esservi!... Ci manca ancora molto, signor Wilkye, o meglio avete ancora da cominciare.

— E voi pure.

— La mia nave si avanza verso il sud.

— Ed io fra poco vi precederò e pianterò prima di voi la stellata bandiera dell’Unione al polo.

— To’!... to’!... esclamò Bisby, intervenendo. Ecco due uomini che minacciano di diventare idrofobi per quel dannato polo, che io regalerei tanto volentieri agli orsi bianchi. Non vale la pena di scaldarsi, amici miei, specialmente con questo freddo. Per Bacco! volete prendervi una polmonite o una costipazione?

— È vero, Bisby, disse Wilkye, ridendo. È troppo presto per intavolare delle dispute: siamo ancor lontani dal polo. [p. 105 modifica]— Olà, cuoco, dà un tocco di campana!... (pag. 107) [p. 107 modifica]

— Allora andiamo a fare colazione in compagnia: comincia a fare un certo freddo qui, che se non si combatte a colpi di bistecche e a bottiglie, finiremo col diventare di ghiaccio anche noi. — Olà, cuoco, dà un tocco di campana!...

Il bravo negoziante prese a braccio i due rivali e li condusse sotto coperta, mentre la Stella Polare filava lungo le Shetland occidentali.