Amor veggo che ancor non se' contento

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Lorenzo de' Medici

XV secolo Indice:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu Letteratura Canzone I. [Ben conosce che Amore lo ha fatto schiavo; ma non sa né vuole liberarsi dalle sue catene.] Intestazione 11 ottobre 2023 100% Da definire

Quante volte per mia troppa speranza Non so qual crudel fato, o qual ria sorte
Questo testo fa parte della raccolta Opere (Lorenzo de' Medici)/III. Rime


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canzone i

[Ben conosce che Amore lo ha fatto schiavo; ma non sa né vuole liberarsi dalle sue catene.]


     Amor veggo che ancor non se’ contento
alle mie antiche pene,
ch’altri lacci e catene
vai fabbricando ognor piú aspre e forte
delle tue usate; tal ch’ogni mia spene5
d’alcun prospero evento
or se ne porta il vento,
né spero libertá se non per morte.
O cieche, o poco accorte
mente dei tristi amanti!10
Chi ne’ be’ lumi santi
avre’ però stimato tanta asprezza?
Né parea che durezza
promettessino a noi i suoi sembianti.
Cosí dato mi sono in forza altrui,15
né spero esser giamai quel che giá fui.
     Io conosco or la libertate antica,
e ’l tempo onesto e lieto
e mio stato quieto,
che giá mi die’ mia benigna fortuna.20
Ma poi, come ogni ben ritorna indrieto,
mi diventò nimica,
ed a darmi fatica
Amore e lei se n’accordorno ad una;
come assai non fussi una25
parte di tanta forza
a chi per sé si sforza
di rilegarsi ognor piú e piú stretto,
e come semplicetto,
o non mirando piú oltre che la scorza,30

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con le mie man li aiutai fare i lacci,
acciò che piú e piú servo mi facci.
     Uno augelletto o semplice animale,
se li vien discoperto
un inganno che certo35
si mostri turbator della sua pace,
tiene al secondo poi piú l’occhio aperto,
ch’è ragion naturale
che ognun fugga il suo male;
ed io, che veggo che m’inganna e sface,40
di seguir pur mi piace
la via nella qual veggio
il mal passato e peggio,
come s’io non avessi esempli cento.
Ma in tal modo ha spento45
Amore in me d’ogni ragione il segno,
ch’io non vorrei trovar rimedio o tempre,
che mi togliessi il voler arder sempre.
     Tanto han potuto gli amorosi inganni
e ’l mio martirio antico,50
ch’io non ho piú nimico
alcun d’ogni mia pace, che me stesso:
né cerco altro, o per altro m’affatico,
se non com’io m’inganni,
ed arrogo a’ mia danni,55
e chiamo mia salute male espresso.
Godo se m’è concesso
stare in sospiri e in doglia:
ho in odio chi mi spoglia
di servitú, e cerca liber farmi,60
e, vedendo legarmi,
parmi, chi ’l fa, dar libertá mi voglia.
Cosí del mio mal godo e del ben dolgo,
e quel ch’io cerco io stesso poi mi tolgo.
     Cosí Fortuna e ’l mio nimico Amore,65
tra speme oscure e incerte,

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pene chiare ed aperte
m’han tenuto e passato un lustro intero;
e sotto mille pelle e rie coverte
della mia etate il fiore70
sotto un crudel signore
ho consumato, e piú gioir non spero.
Amor, sai pure il vero
della mia intera fede,
che dovre’ di merzede75
aver dimostro almen pur qualche segno;
or son sí presso al regno
di quella, qual fuggir foll’è chi crede,
che, essendo il resto di mia vita lieto,
quant’esser può, non pagherá l’addrieto.80
     Canzon mia, teco i tuoi lamenti serba,
e nostra doglia acerba
tu non dimosterrai in alcuna parte;
ma tanto cela il tuo tormento amaro,
ch’Amor, Morte o Fortuna dia riparo.85