Antonio e Cleopatra (Alfieri, 1947)/Atto quinto

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Atto quinto

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Atto quarto Sentimento dell'autore sulla tragedia Antonio e Cleopatra

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ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Cleopatra, Ismene, Diomede.

Cleop. Mi vendicasti adunque, e piú non vive?

Diom. Sí, regina, e d’un sol colpo funesto
tolsi la vita a Antonio, e a me l’onore.
Cleop. Nell’udire il mio nome, e che ti disse?
Diom. O cielo! e vuoi ch’un nuovo orror s’aggiunga
al commesso delitto? e ch’io rammembri
ciò, che l’oscura notte, e il nero Averno
dovrian coprir d’un sempiterno obblio?
No; rinnovar nol posso; all’atro colpo
rivolsi gli occhi, ed agghiacciato il sangue
intorno al cor ristette, e l’alma allora,
d’orror stupida, e muta, non sapea
qual iniquo, nefando, e atroce colpo,
l’empia mano vibrasse, a lei ribella.
Colpo, per cui ed infelice, e amara
mi fora ognor la vita; ed a te stessa,
alla tua pace, al tuo onor, e al regno tuo,
forse, piú che non credi, avverso colpo.
Cleop. Ma frattanto il goder mi sia concesso
della vendetta i desiati frutti:
a inacerbito cuor quanto son dolci!
L’odiose d’Antonio aspre catene,

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son rotte al fin; mi si ridesta in petto

la speranza, e la gioja, in bando poste
dalla mesta e severa tirannía.
Ma viene Augusto. Oh quanto a lui fia grata,
e quanto utile a me, la nuova acerba!


SCENA SECONDA

Augusto, Cleopatra, Ismene, Diomede.

Cleop. Per te, signor, ogni mio affetto è vinto;

tacque il rimorso, e la pietá si tacque;
e, d’un sol colpo, per mia mano estinti
son d’Augusto, e di Roma, oggi i nemici:
piú non respira Antonio; ed un possente
motor mi spinse a tanto... E che?... gli sguardi
biechi, attoniti volgi, e fissi al suolo?
Confuso, mesto, ed agghiacciato, ascolti
li detti miei, quando di gioja il petto
ti dovrían inondar?... Che fu?...
Augus.   Regina;
io men grande sarei, se non piangessi
di un infelice, e pur sí grande eroe,
la deplorabil morte. Ah! sí, che Antonio,
un sí invitto guerrier, benché nemico,
d’un piú nobile fine era ben degno.
Cleop. Qual insolita in te favella è questa?
Pria che cadesse, nol dicesti grande:
quel che vivo aborristi, or piangi estinto?
Come hai tu l’alma fluttuante ognora,
fra la falsa virtude, e ’l vizio vero?
Ti mostri ad arte qual eroe sublime,
ma ti fe’ la natura un vil tiranno;
sotto un finto dolore invan t’ascondi. —
Augus. Fu mio nemico, è ver, nemico odioso

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Antonio sí, ma fu Romano ancora:1

ed a scemar li suoi nemici, Augusto
non implorò donnesca mano imbelle;
a tanto, mai, non abbassò se stesso:
i tradimenti ignoro; e son, pur troppo,
ai tradimenti avvezzi i re d’Egitto.
Cleop. Sí, sgombra il vel; la scellerata mente
del piú iniquo mortal m’è nota adesso.
L’empie lusinghe, e i tuoi mendaci detti,
di cui fu solo testimonio il cielo,
m’intesseranno i dí d’eterno pianto...
Ma non t’attesto, o ciel; di tai misfatti
consapevol non sei, o a non vederli,
sdegnoso il ciglio tu rivolgi altronde;
se ciò non fosse, e a chi sarian serbati,
quei, che l’empio scherní, fulmini vostri?
Augus. Non profanar del ciel con labbra impure
il sacro nome: agli empj ognor fu sordo.
T’appresta intanto a seguitarmi in Roma;
dell’atroce delitto a render conto,
t’appresta ancor; né la fallace speme
ti muova omai, ch’unqua impunita vada
d’un sí grande Roman la morte acerba.


SCENA TERZA

Cleopatra, Diomede, Ismene.

Cleop. O reo dolor! duol non sentito ancora!

Da rabbia, da furor, muta, ed oppressa
io schernita mi veggo, e fremo invano?...
Orride serpi, che al Gorgoneo teschio
avvolte siete, a me piú dolce fora

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il vostro aspetto, dell’aspetto atroce

di quel, vie piú di voi, orrido mostro...
Io son tradita... ma con l’armi istesse,
con cui tradito ho l’infelice Antonio.
Sconsigliata, che feci?... Antonio!... Antonio!...
O pentimento piú del fallo iniquo!
Non di virtú, non di pietá sei figlio,
ma d’inerme furor, empio, e deluso.
E voi, rimorsi da gran tempo oppressi,
voi risorgete in folla a far vendetta,
e vendetta crudel del mio disprezzo?
Ma non è tempo d’ascoltarvi ancora;
e son vani i lamenti, e i pianti vani,
e tardi troppo. Ad emendar delitti,
necessario è talor l’oprarne nuovi.2
Stolta, che dissi? e quando mai delitto
fu il castigare un empio? Augusto pera,
come Antonio perí: la giusta morte
voto agli Dei, per espiar l’ingiusta.
Si versi tutto quell’infido sangue,
e su la tomba dell’estinto Antonio;...
si placherá cosí l’ombra tradita.
Diom. Piú necessario, e men del primo orrendo,
ma difficil, pur troppo, è un tal delitto.
Alcun s’appressa.
Cleop.   Antonio! eterni Dei!
Apriti, o suolo. Ove mi celo? indegno,
mentitore, cosí tu mi tradisci?
Diom. Per non tradir l’onor, tradisco un rege,
che m’impone misfatti.

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SCENA QUARTA

Antonio, Cleopatra, Diomede, Ismene.

Anton.   Un ferro è questo,

e ravvisar lo dei, Cleopatra, è tuo;
con micidial, barbara tempra, in oggi,
sul tuo gelido cor di pietra aguzzo,
tu il destinavi a trapassarmi il petto.
Sol t’ingannasti, in affidarlo ad altri,
fuorché a te stessa; era tant’opra, degna
d’un’alma cruda, e bassamente iniqua,
qual’è la tua. Ma la bontá dei Numi,
d’alme simili è coi mortali avara...
Questo ferro, pur troppo, assai mi dice,
e piú di te, li tuoi pensier feroci;
e quanti un dí, fra le spergiure labbra,
sensi d’amor, donna crudel, fingesti,
in questo dí, tutti smentisce il ferro. —
Oh reo pugnal; in te pur troppo io leggo
la perfidia, l’orror di donna infida,
e d’un debole amante il rio destino!
Sí; che l’acerba, e dolorosa istoria,
del mio funesto amor, tutta rintraccio,
ed in note di sangue, in te scolpita;
ma, sia pur quel che miro, orrendo, e crudo,
l’alma d’Antonio a istupidir non basta...
Donna, del tuo furor l’ultima meta
conoscer volli; e di gran tratto avanzi
il mio debol pensier, agli odj inetto:
piú tarda assai la mente mia si mostra
a concepir le iniquítá, le frodi,
che la tua mente audace a porle in opra.
Poiché a tanto giungesti, all’ira stolta,
e all’insano furor d’offeso amante,
ricetto niego; e ognor l’avria negato,

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se la vita insidiando, e non l’onore,

tu m’avessi, com’oggi, ognor tradito.
Con rimproveri acerbi, a te ragione
non chiederò dell’oltraggiata fede:
ridonderebbe in me somma viltade,
né in quel cor desterei onta, o rossore.
Tu dell’iniquitá giungesti al sommo;
di commozione in te l’ombra non veggo: —
scoperti i falli suoi, Medea turbossi;
e nell’inferno ancor Megera, e Aletto,
confuse in volto, ad arrossir fur viste;
tu sola, o donna, freddamente atroce,
ne’ tuoi delitti infiggi bieco il ciglio,
e sol ti penti, che non sia compito
il tradimento indegno.
Cleop.   È ver, non sento
né pietá, né rimorsi, e il sol furore
m’alberga in seno; e non mi resta a dire,
se non, ch’io fui la piú spietata donna,
che l’inimico cielo irato, e crudo,
per castigo del mondo unqua creasse;
perfida sí, non, qual dovevo, accorta,
son vinta alfin dai tradimenti istessi,
che mi davan la palma: assai piú iniquo,
piú traditor di me, giubbila Augusto;
io piango invan. — Deboli troppo i detti
sono a spiegar l’orrido caso acerbo; —
rendimi il ferro; ei parlerá piú fiero.
Anton. Tel renderò fra breve; ed arrossire
il vincitor vedrassi, in faccia al vinto.

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SCENA QUINTA

Augusto, Settimmio, Cleopatra, Ismene,

Antonio, Diomede.

Augus. M’ingannò la regina, o fu ingannata.

Anton. Vieni, orgoglioso vincitor superbo,
del tuo valor vieni a raccorre il frutto;
che il trionfo di te soltanto è degno.
Io non vivrò, se non che brevi istanti,
e quanto basti ad ostentare al mondo,
e il cuor d’Antonio, e la viltá d’Augusto.
Sorte, a virtude in questo dí ribella,
ti diè vittoria, è ver, ma non ti diede
l’alma Romana, a sostenerne il merto.
Le vicende dell’armi, a me funeste,
t’han posto in alto dell’instabil rota,
e lá ti mostri generoso, e pio,
qual benefico Nume al volgo ignaro,
ch’ai tiranni felici arride ognora...
Men parzial della sorte, e piú propizia,
qual sia l’eroe di noi, morte lo dica.
Tu l’apprestavi a me, bassa, ed infame;
or per ultimo dono, il ciel piú grato,
libera, invitta me l’accorda, e degna.
Non mi spaventa, no, l’orrida morte;
la vidi spesso, e non rivolsi il ciglio;
l’alma avvezzai a disprezzarla ognora;
fuggí da me, né mai fuggir mi vide,
ed or l’affronto. O dolce morte! o cara!
Qualor mi togli a reo servaggio indegno,
non sei tu d’ogni bene il primo, e il solo?
Qualor degli avi non oscuri i fasti,
e la d’eroi feconda inclita terra,
che mi fu patria, e a me non sará tomba,
non cancelli ogni error commesso in vita?

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Ah! sí; tu rendi a chi ti sprezza, ed ama

la smarrita virtude, e il prisco onore...
Onor... virtú... gloria, valor, che siete?...
Ombre fallaci, che fra noi mortali
creò l’orgoglio: v’aggirate in vano
a morte intorno, ch’ogni vel strappando,
tutte in bando vi pon, v’annienta, e strugge...
Fuggi, fuggi, o regina, all’aspro orrore
d’un trionfo, peggior d’ogni aspra morte.
Perché morir soltanto è a noi concesso?
Io ti darei piú della vita ancora...
Augusto, a te resti pur l’orbe intero;
poiché a regnar, pur troppo, io non t’appresi,
se al par di me, sei sventurato un giorno,
al par d’Antonio, a morir forte impara...3
Diom. Prode guerrier! invido il ciel ti fura
a questa ingrata terra.4
Augus.   A viva forza,
se non vagliono i preghi, omai si tragga
la regina da questi...
Cleop.   Arresta, o barbaro;
tu mi vuoi al tuo carro avvinta in Roma?
Ma nell’orror, nel sangue, e nella morte,
sí, lascia almen, che gli occhi miei compiaccia;
ch’io vi smarrisca i sensi, e ne ritragga
furor novello... A castigare gli empj
poi ch’è sí lento il cielo, e ch’io non posso
trapassare il tuo sen; trapasso il mio.5
Augus. Cleopatra... oh cielo!...
Cleop.   Ero di vita... indegna...
Ma, se funeste esser ti ponno un giorno
le imprecazion da reo furor dettate;
l’orror, gli inganni, e i tradimenti ognora
ti sieguan fidi, e in fin ti sia concessa

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la dovuta ai tiranni orrida morte...

Furie... infernali Furie... a me venite?...
Io giá vi sieguo... ah!... con viperea face
tu rischiarar mi vuoi, discordia nera:
donala a me... nel mio morir potessi,
incendiare almen, struggere il mondo...
Gridi vendetta, Antonio?... e questo è sangue...
ma è sangue infido... orror... eccidio... morte...6
Augus. Partiam, Romani; in questa iniqua terra,
tutto ispira il terror; il ciel n’è impuro,
l’aer perfin n’è d’ogni vizio infetto.


  1. Ecco un verso in vece di due. 1783:
    «Nemico a me, sí, ma Romano egli era».
  2. 1783.           Nuovi talora è necessario oprarne.
    1790.           Forza è talor nuovi adoprarne... Ahi stolta!
  3. Si uccide.
  4. Si ritira Antonio in scena.
  5. Si ferisce.
  6. Muore.