Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870)/Rassegna bibliografica/Diplomatarium Portusnaonis

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Giuseppe Occioni Bonaffons

Diplomatarium Portusnaonis ../ ../La scrittura di artisti italiani IncludiIntestazione 7 febbraio 2018 75% Da definire

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA




Diplomatarium portusnaonense. Series documentorum ad historiam Portusnaonìs spectantium, quo tempore (1276-1514) domus austriacae imperio paruit, hinc inde lectorum, cura et opera Iosephi Valentinelli, Bibliotecae palatinae Venetiarum praefecti.- Quaedam praemittuntur annorum 1029-1274. (Dalle Fontes rerum austriacarum – Seconda serie, - Diplomataria et acta - Vol. 24). - Wien, aus der kaiserlicli-königlichen hof-und staatsdruckerei, 1865, - Un vol. in 8.° grande di pag. viii-482.

Pochissimo conosciuta in Italia, e non per anco annunciata ai lettori dell’Archivio Storico, avidi di siffatte materie, è la importante Raccolta dei Documenti, che, fino dal 1864, il benemerito ed operosissimo Valentinelli, bibliotecario della Marciana, teneva in pronto da pubblicarsi intorno a Pordenone. Due anni appresso, la Commissione storica della imperiale Accademia delle scienze in Vienna diede fuori il giusto volume, di cui mi accingo in questo articolo a notare i punti più salienti, affinchè si vegga quale frutto possano trarne le storiche discipline. Dissi altra volta che oggimai, a taluno largamente fornito di buon volere, non mancherebbero i sussidi! a scrivere con verità la desiderata Storia d’Italia, tanto in questi ultimi anni si fece copiosa la stampa di ogni fatta documenti, statuti, diplomi, e tanto le commissioni o società di storia patria, diffuse in ogni parte della penisola, e le straniere associazioni dei privati e dello [p. 131 modifica]Stato, con la continua e proficua opera loro, conferirebbero all’uopo.

È Pordenone una nobile e dilettosa terra del Friuli, confermata città nel 1401 da Guglielmo duca d’Austria e nel 1810 da Ferdinando1. Lieta di acque correnti che ne abbelliscono il paesaggio e insieme si porgono ad industrio ricche e svariate, quasi se ne raddoppiò nel nostro secolo il numero degli abitatori. Nel 16 maggio 1493, al prezzo di ducento lire di piccoli denari, si stipulò il contratto per la costruzione sul fiume Noncello del porto «de muro scarpato cum aggere et capsa»2.

Di Pordenone è ricordo fino dai tempi di Berengario I, quando Arnolfo, concedendo al duca del Friuli il titolo di re d’Italia, serbò a sè la Curte Navium. Il quale castello della corona imperiale pare, a mezzo il secolo X, fosse tenuto da Enrico I duca di Baviera, e certo fino al 991 lo dominarono i duchi di Carinzia, e più tardi quelli di Stiria, e dal 1192 i duchi d’Austria, della casa di Bamberga, che lo amministravano col mezzo di un nunzio. Ma vacillante ed incerto ne fu il dominio durante la guerra del secolo XIII, finchè Ottocaro re di Boemia e poi Rodolfo d’Absburgo suo vincitore, e gli eredi di questo, serbarono il titolo, non sempre giustificato dal possesso, di signori o conti di Pordenone. E pure le sorti della terra friulana di Pordenone furono ben singolari, se, nel 1314, Federico il Bello d’Austria lo diede in pegno al conte Lodovico di Porcia3 e nel 1531, come nulla fosse il dominio anteriore, il duca Alberto lo Zoppo lo ricuperava da Bianchino di Porcia feudatario4, se Rodolfo IV, in bisogno di denari, lo impegnò prima nel 1361, per ottomila fiorini, ai signori veronesi Giovanni e Agilulfo di Lisca5, poi ai nobili Bertoldo ed Enrico di Spilimbergo6 e finalmente ai veneziani Buoninsegna7, e tutto ciò per [p. 132 modifica]combattere contro il patriarca Lodovico Della Torre. Lontano dagli altri dominii della casa di Absburgo, Pordenone si porgeva facilmente opportuno a tal genere di contratto. E invero era impegnato di nuovo a Bernabò Visconti nel 13668 e nel 1384 a Federico Savorgnano9, e nel 1382 fu dato in cauzione per trentaduemila fiorini d’oro, ammontare della dote che Lisabetta figlia del duca Leopoldo recava al conte Enrico di Gorizia, il quale gliene assegnò, su Latisana, in contradote, quarantacinquemila10. Finalmente, nel 1454, Pordenone, con altri dominii, venne ad assicurare la donazione morganatica e la dote di centoventimila fiorini fatta dall’imperatore Federico III a Leonora di Portogallo11.

Venezia nel 1420 ebbe il dominio del Friuli, ma Pordenone, isola storica, rimase suddita ai duchi austriaci ancora per un secolo. Ne vennero grandi discordie e soprusi, e il proposito di Federico di Castelbarco12 nel 1466 di spogliare il Comune delle avite franchigie. Scoppiò una rivoluzione, dalla quale il Castelbarco, ausiliari settecento fanti raccolti a Duino e a Villacco, riuscì trionfatore, e colpì gli abitanti di morte ed esilio, come s’impara altresì da questi documenti13. I fuorusciti, capitanati dai Montereale, congiurarono a molte riprese fino alla guerra del 1508, nella quale, dopo la vittorio di Cadore, i Veneziani donarono, il 10 giugno, Pordenone e il suo territorio al celebre capitano Bartolomeo d’Alviano14. Fu stretta la fatal lega di Cambrai: gl’imperiali, nell’anno appresso, il 6 giugno, accettando la dedizione di Pordenone15. Ma dopo le alterne sorti della guerra l’Alviano, nel 30 marzo 1514, ricupera armata mano contro Cristoforo Frangipane il suo feudo16, prende vendetta, con la morte e col saccheggio, dei difensori; sopprime l’uficio di podestà, [p. 133 modifica]ed egli e Livio figliuolo e successore tiranneggiano fino al 1537 il paese che dal 1521, per la pace di Vormanzia, era confermato alla Repubblica veneta. Nel 1583 Pordenone fu staccato dalla Patria del Friuli.

Diciannove documenti17 illustrano, a mo’ d’introduzione, il periodo dal 1029 al 1274, che precedette il dominio di casa austriaca su Pordenone. Gli altri 377 documenti comprendono l’epoca dal 1276 al 152118 e ne discorrono le varie vicende: i più sono scritti in latino, alcuni di essi, 44, in tedesco, alcuni, 6, misti di tedesco e latino, altri finalmente. 16, dettati in italiano. Cominciano questi a mostrarsi nel 1483, ma però fin dal 1402 Gentile quondam Francesco di Ravenna aveva scritto un lamento, a nome dei castellani di Torre incendiata dagli uomini di Pordenone per rappresaglia dei danni ricevuti dal feudatario Giovannino di Ragogna.

L’egregio Valentinelli condusse il lavoro da par suo e vi mandò innanzi un proemio, in elegante latino, che dice le ragioni dell’opera e le fonti d’onde fu tratta. Consultati i lavori che si hanno a stampa intorno a Pordenone e la triplice raccolta degli statuti e privilegi, mandata fuori in latino a Conegliano nel 1609 e a Venezia nel 1760 e nel 1755, il compilatore acuto si avvide che molta materia mancava alle future ricerche. Dai privati e dai pubblici archivi, specialmente dall’imperiale di Vienna, trasse larga copia di atti e documenti, e poi con discreto giudizio scelse quelli che s’inalzavano alla importanza della storia, sceverando dal novero gli atti particolari, di vendita, doti, testamenti od altri simili. Fece ragione altresì della storia ecclesiastica che è tanta parte degli avvenimenti del medio evo. Nella scelta poi scendeva a criteri paleografici esponendoli, in poche parole, nella prefazione19, e accompagnando il documento di poche note oltre il luogo, la data, il sommario e l’indicazione della fonte, manoscritta o a stampa, donde fu tratto. Il libro finalmente si compie con tre indici delle persone20, delle cose21 e dei luoghi22.

[p. 134 modifica]Dai documenti accennati piacemi ora far uscire qualche storico appunto. E primo, del periodo in cui dominò su Pordenone la casa di Bamberga, estinta con Federico il Bellicoso, nel 1246, e dell’altro periodo dell’interregno. Sono segnati i precisi confini delle terre pordenonesi in varii tempi e cioè nel 1029 e nel 1129, e più tardi nel 1420 e nel 1437.

Federico su nominato, per rimeritare i servigi di Ulrico Pitter di Ragogna, gli dà in feudo la torre di Pordenone ed il dazio della muta «quam nunc in tua tenes potestate». Se non che spesso il bisogno di far denari o di pagare i debiti contratti consigliava la vendita di terre, come quando nel 1248 Ermanno abate di Sesto, con la conferma del patriarca Bertoldo vende a Gupertino e Domenico di Prata per duemila secento libre di denari veronesi la villa di Fiume e pertinenze. Oltre i Prata anche i Porcia ebbero in Pordenone ampia giurisdizione; ed essendo sorto dissidio fra le due nobili famiglie e quelli di Pordenone, due arbitri nel 1.° agosto 1273, lo composero.

Come sul trono ducale austriaco sottentrarono i signori di Absburgo, allargarono essi i loro possedimenti su Pordenone; anzi il 7 gennaio 1277 Odorico e Federico de Castello vendettero ai duchi i loro dominii in quella terra. Quando poi Rodolfo nel 1282 investì del ducato d’Austria i figli Alberto e Rodolfo, ottennero questi su Pordenone la signoria, ma nonne abusarono, dacchè, l’anno appresso, rinnovarono, con beneplacito dell’imperatore, i privilegi che la terra friulana aveva per innanzi ottenuti, come vantava, da Giulio Cesare, da Nerone, da Ernesto marchese d’Austria, da Federico Barbarossa, da Enrico VI, da Federico II. Questi importanti statuti, riconfermati ancora a parecchie riprese sotto Alberto lo Zoppo nel 1353, come riguardavano la costituzione cittadina, la legge civile e criminale, non ponevano in oblio le materie ecclesiastiche. Riguardo le quali, il più notevole articolo era il divieto di matrimonio tra gli abitanti di Pordenone e quelli di Porcia.

Come Alberto I fu fatto imperatore di Germania nel 1298 cedette in feudo ai figli Rodolfo, Federico e Leopoldo il ducato d’Austria e il dominio di Pordenone. Codesto in data di Norimberga. Più tardi fece il medesimo, nel 1309, da Spira, [p. 135 modifica]Enrico VII re dei Romani. Alla multe di Federico il Bello, furono eredi del ducato e di Pordenone, nel 1331, Ottone ed Alberto. Essi dello statuto di Pordenone mutarono ciò che riguardava l’omicidio, fermando in pena la morte, tranne il caso che il reo si accordasse cogli amici dell’ucciso. E allora dovesse pagare cento libre ai duchi, venticinque al comune. Anche Leopoldo d’Austria, nel 1345, confermò agli abitanti i loro diritti. Ma quando la casa boemo-lussemburghese, con Carlo IV, salì il trono germanico, i duchi d’Austria, come s’impara da una conferma del 1348, non furono privati del dominio di Pordenone. Anzi, mentre il patriarcato di Aquileia volgeva alla decadenza, non dubitarono, sia tacitamente, sia in palese, permettere di che nel 1352 il capitano di Pordenone ne disertasse i confini, spogliandone i sudditi, rubando armenti e non perdonando a minacce e a violenze. Solo spesso tra il patriarca e il duca era tregua da osservarsi per qualche mese. Morto Alberto II, l’imperatore Carlo IV ne investi del ducato d’Austria e del dominio di Pordenone i quattro figli nel 1360. Era primogenito Rodolfo IV l’ingegnoso o il fondatore, quel desso che aggiunse agli altri dominii austriaci il Tirolo, per uno dei frequenti patti di eredità che avevano in mira la vendita sleale dei popoli, consentita da certo diritto che oggi appena volge al tramonto. Ma Rodolfo non si tenne sicuro nei suoi dominii prima che l’imperatore non gli rinunziasse in eredità le terre d’Austria, Stiria, Carinzia, Carniola, Marca e Pordenone su le quali pretendeva una supremazia feudale. E il patto chiesto con le armi alla mano, fu solennemente sancito, il 5 settembre 1360, negli accampamenti presso Esslingen23. Rodolfo IV, a compiere i suoi progetti, versava, come dissi in sul principio, in grande necessità di denari, ed oltre aver impegnato Pordenone avarie riprese, cedeva ai privati taluni diritti. E forse per la ragione di queste continue distrette, succeduto a Rodolfo IV Alberto III, l’imperatore non abbandonò il diritto di rinnovare a lui e al fratello Leopoldo le antiche possessioni della loro casa. La guerra fervente allora nel Friuli costrinse non solamente il duca nel 1368, ma sì i conti di Prata nel 1374 [p. 136 modifica]a concedere nuovi privilegi a quelli di Pordenone, dichiarandoli immuni dalle gabelle per terra e per acqua, e il duca, nel 1283, confermò senza alcuna riserva le antiche franchigie. Per dare un esempio di siffatti privilegi, basti dire che alla comunità di Pordenone, qualora le offese a lei recate non ottenessero la dovuta sodisfazione, era lecito farsi giustizia da sè.

Da che apparisce che l’autorità dei duchi austriaci su Pordenone era poco men che di nome. Oltre i fatti finora discorsi vengono in conferma gli arbitrii frequenti e impuniti che i signori di Prata, di Porcia, di Zoppola ed altri commettevano ai danni della comunità; ma le violenze maggiori e più memorabili furono fra Torre e Pordenone, dominata quella dai signori di Ragogna. Fin dal 1273 si conoscono contese pei confini reciproci24. Ma nel secolo appresso, l’anno 1395, le minaccie e i fatti crebbero a tale da indurre la comunità di Pordenone ad aver ricorso al duca austriaco, con un memorabile gravame che, distinto in quindici articoli, si conserva in tre esemplari25. Quivi sono registrate le infinite violenze di quel Giovannino di Ragogna, sottentrato al patriarca d’Aquileia nel dominio di Torre, il quale vietava ai coloni di lavorare certi mansi appartenenti al ducato, e li perseguiva con minacele di strapparne gli occhi se abbandonassero le loro case, e alcuno ne metteva prigione, e abbruciava molini, giungendo, con speranza di uccidere il capitano di Pordenone, a dire a un suo fedele: «tu vadis in terram Portusnaonis; inquire diligenter si homines terre Portusnaonis faciunt bonam custodiam, et vide sagaciter sì modo aliquo posset capi terra». Dopo tante provocazioni e danni, perduta la pazienza, quelli di Pordenone mossero contro il castello di Torre il 12 aprile 1402 e lo diedero al saccheggio e alle fiamme, rimanendo incenerite quattordici persone, fra cui Giovannino con moglie e figli. Nella raccolta che mi occupa è curioso, a questo passo, il ricordato lamento in 51 ottave, scritto sull’atto, a nome dei castellani, da [p. 137 modifica]Gentile di Ravenna. Il quale si volge al re del cielo, pregandolo così:

Adiutame ch'io dica il crudel atto
d' un traditore perfido e fellone
fuor di pietade furioso e matto
per cui se reggie anchoy Porto da None
chel recepto de Torre ha disfatto
brusando quel con tutto el suo zirone.
Un padre e una madre e dieci nati
col fuocho tutti ha morti e inabissati.


Questo fatto era avvenuto sotto l’arciducato di Guglielmo, nè più tardi cessarono le controversie con Torre. Che anzi quelli di Pordenone ebbero contezza di pratiche traditrici, avviate con Federico, figlio di Giovannino di Ragogna, da Iacopo Rubeis. Il quale «habitans in Portusnaonis, non habens pre oculis Deum neque Sanctos, contra statum terre nostre Portusnaonis nuper evidentissimis pro litionibus falsis tractavit, et intendebat in omnibus pertractare»26. Ma sembra si preferisse il signor lontano e inoffensivo al despotismo dei capitani, se, in un documento, la comunità si lagna coll’arciduca dell’amministrazione negletta e, con esempio ripetuto anche più tardi, fa istanza pel mutamento del Tanicher, formulando contro di lui dieci capi d’accusa. Cosi la comunità viveva non sempre sicura dai suoi nemici e solo compiacevasi delle franchigie, rinnovate sempre e da Guglielmo e dal successore Leopoldo e da Ernesto che condonavale ancora l’annuo censo di secentocinquanta fiorini. Nullameno pesava sopra il comune l’incendio di Torre, finchè fu assolto con bolla del 5 marzo 140627, malgrado che Federico di Ragogna insistesse per una indennità pecuniaria. La questione fu composta nel 1420 essendo Federico stato accolto qual cittadino di Pordenone, ma pur rinacque di tanto in tanto col pretesto dei confini28.

Venezia, fatta signora del Friuli, adocchiava cupidamente Pordenone e forse provocava disordini; di che si dolse [p. 138 modifica]l’arciduca Ernesto al doge Tommaso Mocenigo, raccomandandosi perchè cessassero i danni «multiplicata, innumera ac indecentia»29. Argomento continuo alle gare era la villa di Fiume che, per essere collocata al di qua e al di là dell’acqua, porgeva esca alle reciproche pretensioni. E d’anno in anno si produceva la lite, nè il podestà di Pordenone eravi straniero. Come salvarsi dalla veneta dominazione? Il capitano, il comune e il consiglio di Pordenone pensarono di mandar oratori all’arciduca d’Austria, ad Insbruck, Gaspare e Giovanni Danieli. Un curioso documento ne reca l’itinerario30, che durò dal 13 ottobre al 23 novembre del 1428. A Ospedaletto, per esempio, spesero «solidos viginti in prandio et pro feno equorum». A Cachon sulle Alpi, se mi sia lecito riferirlo: «dormivi come ancila hospitii, dedi sibi solidos quatuor», nè, durante il viaggio, fu la sola volta. A Mühlbach: «Domina illius hospitii est optime litterata et instructa, valde pulchra et placibilis». Io non ci ho colpa, o lettore, se i due legati non ebbero a riferire, del loro viaggio, cose più interessanti.

Dal 1438 in avanti i duchi d’Austria, come ognun sa, ebbero sempre la corona imperiale. E pure, malgrado la cresciuta autorità, anzi forse per questo che dovettero attendere a cose di maggiore momento, le discordie crescevano nella terra di Pordenone, nè l’appello frequente dell’imperatore al capitano tolsero che quelli di Zoppola turbassero di frequente i confini31. Si venne infine a solenne compromesso, col mezzo di arbitri; ma non quetandosi le parti, il compromesso fu confermato in Udine da nuovi arbitri «sedentes in apotheca Alberti speciarii»32. Così un luogo che nei secoli andati, e anche nel nostro, si porgeva spesso a privati conversari, non sempre innocenti, era nobilitato per questioni di più grave importanza.

Passato essendo il feudo di Ragogna presso Sacile nella Repubblica veneta, questa, sebbene ne investisse un proprio fedele, si preparava così ad ulteriori acquisti. E meglio [p. 139 modifica]poneva la mano nelle cose di Pordenone, quando, accontandosi con l’imperatore, pensava ridurre li Zoppola al senno. Ma questi non ne vollero sapere di intimazioni e non dei patti copiosi convenuti il 4 luglio 1455 tra la Signoria di Venezia e l’Austria33. Rapivano armenti ed altre ricchezze oltre i confini del loro feudo, danneggiando i territorii di Pordenone e di Cordenons; con la forza resistevano, e l’audacia teneva le veci dei luoghi poco muniti pev natura. Anche l’imperatrice Eleonora, come signora di Pordenone a titolo di dote, volendo vendicare gli insulti, ne scriveva al doge Francesco Foscari, a nome altresì di Federico suo consorte «conthoralis». Nè per anco quietarono i signori di Zoppola malgrado i nuovi e ripetuti tentativi34; di che non abbiam luogo a discorrere.

E pure gli era evidente che, soltanto per l’onore, l’Austria teneva Pordenone, il quale tanto lontano dalle altre sue terre, era soggetto a continui dissidi. Sembrò voler liberarsene, quando, per quattrocento annui fiorini, diede a Febo della Torre35 nel 1457 la investitura di capitano, o meglio, quando, più tardi, nel 1466, la rinnovò a Federico di Castelbarco, di cui vedemmo che fu spregiatore d’ogni cittadino diritto. Da tali controversie la Signoria di Venezia traeva vantaggio e soffiava nascostamente nel fuoco. I fuorusciti da Pordenone se la intendevano seco lei, e dall’altro canto l’imperatore comandava agli «honesti, prudentes, fideles, dilecti» cittadini trattassero gli esuli da nemici.

Federico III non sapea che si fare: già mirava approssimarsi la eventualità da cui rifuggiva, di chiamare i Veneziani a soccorso. Ma intanto dal 1485 conferì per dieci anni a Giorgio Elacher capitano di Duino anche la capitaneria di Pordenone. Venezia s’era impegnata di relegare in perpetuo i fuorusciti da Pordenone oltre l’Adige ed oltre il Quarnaro, ma quasi tutti erano ritornati e l’imperatore se ne lagnava al doge Agostino Barbarigo.

Nel 1493 a Federico III successe nell’impero il figlio Massimiliano. Quelli di Pordenone gli prestarono omaggio di [p. 140 modifica]fedeltà, ond’egli ad essi e ai Gordenonesi rinnovò i privilegi. Poi tentò di ordinare le questioni più urgenti di allora, degli esuli e dei confini. Anche da questi documenti36 si pare il difetto di danaro in cui versava Massimiliano, onde meritò la proverbiale canzonatura degli Italiani, contenti di vendicare con un motto arguto il rinnovato oltraggio della dominazione straniera. A tante sventure ed alla intemperanza del nuovo capitano di Pordenone Tommaso Colloredo, eletto ma non rimasto per dieci anni, si aggiunse nel 1499 la nota invasione dei Turchi. Per la quale Pordenone e le terre dtl suo dominio, Cordenone, San Quirino, Rorai, Valle e Noncello ebbero danno d’incendio e di rapine. Fecero d’accordo un istromento a salvarsi da ulteriori iatture e a provvedere al riscatto de’prigioni, mediante la meschina somma di mille ducati.

Frattanto, per le guerre rinascenti in Italia, le cose di Massimiliano andavano a male. Fallita a lui la esperienza, chiese il parere delle sue provincie per la dicta di Salisburgo. E pregò pure la comunità di Pordenone gli mandasse un membro del consiglio che fu eletto nella persona di Bernardino Corizio, cui si diedero istruzioni37. Per esse la comunità chiarivasi fedele all’imperatore, ma, tranne il caso di qualche «prestantia honesta et supportabilis», non intendeva obligarsi con danaro e invocava i privilegi per tenersi «immunem. et liberam ah omnibus severis et recollectis cuiuscumque nature». Così con ardita franchezza, indovinando la «faccenda de grandissima importanza», cui alludeva Massimiliano nella lettera d’invito, la comunità di Pordenone si accordava in un solo rifiuto con i principi dell’impero.

Scoppiò la guerra del 1508. Pordenone nel 20 aprile diessi ai Veneziani, e il capitano ne presentò a Giovanni Foscarini le chiavi. Nel giorno di San Marco fu grande festa «Ozi se fa una bella festa di ballar e altri piaceri», e al vessillo imperiale fu sostituito sull’antenna il vessillo della Repubblica. E così pure celebrossi una solennità religiosa nel tempio di San Marco. Il quale, innalzato a parrocchia fin dal 127838, ebbe [p. 141 modifica]presto privilegi temporali ed ecclesiastici e beneficii di eredità39 e virtù d’indulgenze40. Adorno di statue di marmo trasportate da Venezia nel 1417 immuni da dazio, serbava di molte reliquie, alcune delle quali tolte a Serravalle dagli Ungheresi invasori 41. Ma quello che più impoita sapere si è la elezione che i Pordenonesi facevano del vicario della chiesa, serbando a sè la facoltà di rimuoverlo ove mancasse ai suoi doveri ecclesiastici. Nè si trova esempio ch’egli cadesse in simile pena, bensì è panda di un chierico Federico, che, per aver dipinto sopra la colonna della piazza una mano «trahentem ficum in dedecus cesaree maiestatis», fu condannato al carcere e alla privazione di ogni suo benefizio42.

Resta ch’io dica un verso intorno alla questione delle usure concesse in Pordenone agli ebrei per privilegio. Due nomi appariscono nei documenti, di Samuele figlio di Salomone, nel 1399, e nel 1452, di Viviano. Rispetto al primo furono il capitano il podestà e il consiglio di Pordenone che vollero determinato l’ammontar delle usure al cinque o al sei 0[0 il mese, nella terra e distretto di Pordenone; fuori, ad arbitrio. Vari! capitoli assicuravano i contraenti, nè l’ebreo Samuele era obbligato di dar mutuo a chi gli capitasse, escludendosi del tristo privilegio chi non volesse «solvere usuras suas» colmandolo di bestemmie, di ingiurie e di obbrobri. E così il comune si assumeva di vendergli la carne per uso della famiglia «iugulando iuxta morem hebraicum» e in tutto doveva essere trattato come gli altri cittadini; se no, poteva riferirsi all’arbitrato di tre uomini probi. Curioso è quel punto che consente a Samuele di andarsene alle sue feste ecclesiastiche, a patto che in casa resti sempre taluno pei mutui. Nella eventualità d’incendio non doveva rifarsi il danno per la perdita del pegno43.

Ma questi ebrei che davano a prestito, benchè i clienti cadessero nella scomunica del papa, non cessavano di rendere ricercati i loro servigi. Il perchè Niccolò pontefice, uomo [p. 142 modifica]accorto, comandò al vescovo di Concordia sciogliesse dalle censure i cittadini di Pordenone, consentendo a Viviano giudeo l’esercizio della sua professione e, se egli mancasse, a qualunque altro ebreo sottentrasse in suo luogo44. Dopo il quale indulto si compilarono in 22 articoli i patti tra Pordenone e l’ebreo Viviano, per cinque anni, dal 1.° settembre 1452. La concessione, del tre 0]0 il mese ai cittadini, del quattro ai forestieri, era men larga di quella data già a Samuele. Poi si stabiliva «che lo detto zudio non inpresta ad algun citadino sora cosa de glesia sagrada.... E se alcun pegno che fosse impegnado sotozasesse ad algun pericolo, como de fogo, de tarme, de sorzi, o ch’el fosse involato, e ch’el fosse evidente e manifesto senza caxon del dito zudio, lo dito zudio non sia tignudo ad emendacion deli diti pegni tegnando gatte in caxa». Due soli mesi erano consentiti ai cittadini per far ricorso contro le frodi. La comunità di Pordenone esentava Viviano, per dieci ducati annui, dal servigio militare in pace o in guerra, come, per quattro, ne aveva sciolto Samuele; e in caso di bisogno, l’ebreo doveva prestarle, senza usura, fino a cento ducati45.

Tali gli appunti che dal libro prezioso procuratoci da Giuseppe Valentinelli mi venne fatto di ricavare, in compendio. Gli studii storici non potevano attendere un servizio più proficuo dall’infaticabile erudito della Marciana, dall’uomo egregio, di cui, accenno merito singolare, non sapresti dire qual fosse maggiore, tra la modestia e la grande sapienza.

Udine, 11 giugno 1870.

G. Occioni-Bonaffons.        



  1. Pag. 121, Doc. CXXI
  2. Pag. 387, Doc. CCCXXXVI.
  3. Pag. 33, Doc. XXV e XXXVI; pag. 37, Doc. XLI; pag. 45, Documento CXVIII.
  4. Pag. 53, Doc. LXII.
  5. Pag. 65-68. Doc. LXXV, LXXVI.
  6. Pag. 69-72, Doc. LXXVII-LXXIX.
  7. Pag. 76, Doc. LXXXIV.
  8. Pag. 82, Doc. LXXXVII.
  9. Pag. 98, Doc. CII.
  10. Pag. 92-93, Doc. XCVI-XCVIII.
  11. Pag. 259-264, Doc CCXXIV-VI; pag 270-275, Documen. CCXXVII-CCXXX.
  12. Pag. 314 321, Doc CCLXIII-CCLXV; pag. 296, Doc. CCXLVI.
  13. Pag. 322-332.
  14. Pag. 425.
  15. Pag. 426-429.
  16. Pag. 429, Doc. CCCXCV.
  17. Pag. 1-22.
  18. Pag. 22-431.
  19. Pag. I-VIII
  20. Pag. 433-469.
  21. Pag. 470-474.
  22. Pag. 475-482.
  23. Pag. 62, Doc. LXXII.
  24. Pag. 16, Doc. XVII.
  25. Pag. 107, Doc. CXI.
  26. Pag. 144, Doc. CXXXI.
  27. Pag. 149-152, Doc. CXXXVI, CXXXVII.
  28. Pag. 223, Doc. CXCVIII.
  29. Pag. 175, Doc. CLXIII.
  30. Pag. 194, Doc. CLXXVIII.
  31. Pag. 118-223, 230, 234, 237, 240, 246.
  32. Pag. 254, Doc. CCXXI.
  33. Pag. 279, Doc. CCXXXVII.
  34. Pag. 304, 307 - 309, 336 338, 349, 365, 377, 379, 382, 384.
  35. Pag. 301 - 303, Doc. CCXLIX e seg.
  36. Pag. 396-401, Doc. CCCXLVI, CCCXLVIII, CCCLI, CCCLII
  37. Pag. 419, Doc. CCCLXXIX.
  38. Pag. 23 Doc, XXIV.
  39. Pag. 29, 30, 49, .50, 61, 140, 153, 209.
  40. Pag. 31, 40, 74, 88, 104, 164, 321, 330.
  41. Pag. 166, 245.
  42. Pag. 110, 338.
  43. Pag. 117, Doc. CXIX.
  44. Pag., 257, Doc. CCXXIII.
  45. Pag., 263, Doc. CCXXVII.