Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte seconda. Intima lotta ed aperti disdegni/9. A Lesbia - LXXII Ad Lesbiam

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Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte seconda. Intima lotta ed aperti disdegni/8. A sè stesso - VIII Ad seipsum

Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte seconda. Intima lotta ed aperti disdegni/10. - LXXXV IncludiIntestazione 28 dicembre 2015 75% Da definire

Parte seconda. Intima lotta ed aperti disdegni - 8. A sè stesso - VIII Ad seipsum Parte seconda. Intima lotta ed aperti disdegni - 10. - LXXXV
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[LXXII]

AD LESBIAM.


Dicebas quondam, solum te nosse Catullum,
     2Lesbia, nec præ me velle tenere Jovem.

Dilexi tum te, non tantum ut vulgus amicam,
     4Sed pater ut gnatos diligit et generos.

Nunc te cognovi; quare, et si impensior uror,
     6Multo mî tamen es vilior et levior.

Qui potis est? inquis, quod amantem iniuria talis
     8Cogit amare magis, sed bene velle minus.




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9.

A LESBIA.


Dicevi un dì: sol di Catullo io fui;
     Venga Giove, se vuole,
     3Questo amor mio non cangerò per lui.

Quindi io t’amai; non come il vulgo istabile,
     Ma qual padre amar suole
     6I generi e la prole.

T’ho conosciuta alfine; e se di rio
     Foco ancor m’arde il core,
     9Men leggiero di te, men vil son’io.

Credi: ben può crescer tra l’onte il fervido
     Disìo; ma langue e muore
     12Fra l’onte il vero amore.