Chi l'ha detto?/Parte prima/36
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§ 36.
Giustizia, liti
Principio fondamentale ed eterno della giustizia è l’
598. Unicuique suum.1
599. Reddite (ergo) quæ sunt Cæsaris, Cæsari, et quæ sunt Dei, Deo.2
È pure della Bibbia la sentenza:
600. Justus ut palma florebit.3
601. Dilexi justitiam, et odivi iniquitatem, propterea morior in exilio.4
Vedi, tra le altre fonti, le Vite dei pontefici in seguito a quelle di Anastasio Bibliotecario, scritte dal card. Nicolò d’Aragona nei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori, tom. III, p. 348, cap. CX, ove si aggiunge: «Quod contra quidam Venerabilis Episcopus respondisse narratur: Non potes, Domine, mori in exilio, qui in vice Christi et Apostolorum ejus divinitus accepisti gentes haereditatem, et possessionem terminos terrae.» Si veda pure il Chronicon di Ottone di Frisinga nei Monum. Germ. hist., vol. XX, p. 247.
Altra sentenza biblica è questa che loda l’unione della giustizia e della misericordia nel principe perfetto:
602. Misericordia et Veritas obviaverunt sibi: justitia et pax osculatæ sunt.5
603. Justitia.... erga Deos religio, erga parentes pietas, çreditis in rebus fides.... nominatur.6
È pure in Cicerone quest’altro, detto a temperare la soverchia rigidità degli intransigenti:
604. Summum jus, summa iniuria.7
Jus summum saepe summa est malitia.
Esso trova riscontro nel biblico:
605. Noli esse Justus multum.8
Di siffatti apoftegmi od aforismi giuridici (paræmiæ juris) è pieno il Foro, e molti hanno anche varcato le mura della curia per diventare popolari e di comune uso. Tali sono i seguenti:
606. Audiatur et altera pars.9
Qui statuit aliquid parte inaudita altera.
Aequum licet statuerit. haud aequus fuit.
«È nella Galleria degli Ufizi una tavola d’un ignoto quattrocentista: una Madonna col Bambino, pittura di pregio mediocre, opera incerta di alcun povero scolaro di Giotto. .... Sotto cotesta Vergine, che fu certamente affissa in qualche pretorio d’un palazzo di giustizia, una mano indica allo spettatore ed al giudice l’iscrizione in grandi lettere gotiche: Odi l’altra parte» (E. M. de Vogué, ne: La Vita Italiana durante la Rivoluzione francese e l’Impero, II, Milano 1897, a pag. 306).
607. Impossibilium nulla obligatio est.10
608. Error communis facit jus.11
609. Fiat justitia et pereat mundus.12
610. Périssent les colonies plutôt qu’un principe.13
611. Meglio città guasta che perduta.
Il Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine, lib. VII (Firenze, Tipografia Cenniniana, 1873, vol. I, pag. 330) parlando di Cosimo de’ Medici il vecchio, scrive: «Dicendogli alcuni cittadini, dopo la sua tornata dall’esilio, che si guastava la città, e facevasi contra a Dio a cacciare da quella tanti uomini dabbene, rispose: Com’egli era meglio città guasta che perduta: e come due canne di panno rosato facevano un uomo da bene; e che gli stati non si tenevano con i paternostri in mano: le quali voci dettono materia ai nemici di calunniarlo, come uomo che amasse più sè medesimo che la patria e più questo mondo che quell’altro». Cosimo era tornato in Firenze dall’esilio con grandi onori il 1° ottobre 1434.
È di Virgilio il verso notissimo:
612. Discite iustitiam moniti, et non temnere divos.14
La giustizia divina, assoluta, ha veramente poco che fare con la giustizia umana. Vi sono alcuni che serbano anche in questa una fiducia illimitata: e ripeterebbero all’occasione l’audace risposta del mugnaio di Sans-Souci a Federigo il Grande:
613. Oui, si nous n’avions pas de juges à Berlin.15
614. ....Ce sont là jeux de prince:
On respecte un moulin, on vole une province!16
Alla indipendenza ed imparzialità dei magistrati allude anche la solenne risposta:
615. La Cour rend des arrêts et non pas des services.17
Ma non mancano deplorevoli esempi della fallacia e della parzialità dei giudici terreni. La Bibbia ci ha serbato l’
616. Expedit (vobis) ut unus moriatur homo pro populo.18
617. Recordève del povero Fornèr.19
La pietosa fine del Fornaretto è vivissima, come si è detto, nella tradizione popolare, ma non è autenticata dai registri Criminali, nè dalle Raspe (registri delle deliberazioni della Quarantìa), nè si trova ricordata nei minuziosi Diari del Sanuto. Però è segnata in tutti i così detti Registri dei Giustiziati, compilazioni private di età diverse, che si trovano manoscritte nella Biblioteca Marciana ed altrove. Forse il fatto seguì in altro anno di quello comunemente assegnato, e del quale mancano i registri ufficiali (Tassini, Alcune delle più clamorose condanne capitali eseguite in Venezia sotto la Repubblica, 2ª ediz., Venezia, 1892, p. 100-102). Esso ha fornito l’argomento a un dramma di Francesco Dall’Ongaro.
Altre frasi alludono a storte opinioni di giudici, quali le due seguenti:
618. Judex damnatur ubi nocens absolvitur.20
619. Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pera
E l’innocente.
620. Purchè costei si salvi, il mondo pera.
Come per alcuni è pure ingiusta, ma per altri solo imprudente, la massima di qualche personaggio politico contemporaneo:
621. Reprimere e non prevenire.
La teoria che un governo liberale manchi di mezzi legali di prevenzione contro i reati, è attribuita all’on. Giuseppe Zanardelli, che l’avrebbe bandita specialmente nel discorso-programma tenuto ad Iseo il 3 novembre 1878. Ma veramente in questa forma testuale non vi si trova, benchè in molti punti vi si accenni abbastanza esplicitamente, e in due anche più chiaramente, laddove l’oratore parlava dei circoli Barsanti e dei meetings per l’Italia irredenta, che tollerati dal Ministero di allora gli avevano procacciato il biasimo di debolezza. Però questi accenni tengono carattere piuttosto polemico che apodittico. Il principio del reprimere e non prevenire ispirava veramente gli atti di tutto quel ministero, sinceramente democratico, tanto che l’on. Cairoli, che era presidente del Consiglio, nel discorso-programma di Pavia del 15 ottobre dell’anno medesimo, aveva francamente così dichiarato i suoi intendimenti: «L’autorità governativa invigili perchè l’ordine pubblico non sia turbato: sia inesorabile nel reprimere, non arbitraria nel prevenire.» Ma gli avversari dell’on. Zanardelli ne fecero carico specialmente a lui, che a sua discolpa diceva nel discorso d’Iseo già citato: «Dopo aver cercato di dipingere sotto i più neri colori le condizioni della pubblica sicurezza, affermano che quello stato deplorevole dipende dalle mie teorie liberali, le quali fanno sì che i rappresentanti del governo, gli agenti della pubblica forza, quasi più non osano in materia di reati di frenare e reprimere perchè ciò contradirebbe le mie teorie liberali.» Del resto le vicissitudini della politica hanno mandato in dimenticanza che tale teoria fu già sostenuta innanzi alla Camera dei deputati da Bettino Ricasoli il quale negli ultimi giorni del suo ministero, rispondendo nella seduta del 25 febbraio 1862 al deputato Boggio che aveva presentato una mozione sui Comitati di provvedimento, esprimeva il concetto che «prima condizione di un governo libero nei casi di disordine è la repressione, non la prevenzione» (Atti del Parl. Ital., sessione 1861, Discussioni della Camera dei deputati, pag. 1380); e ancora prima da L. C. Farini, il quale nella seduta del 19 febbr. 1857 (Discuss. della Cam. dei deputati, ad annum, pag. 648) così disse: «Il principio di libertà deve informare tutte le nostre leggi; voi non dovete ricorrere al sistema preventivo, ma dovete lasciare alla libertà tutta la sua applicazione; potete far leggi per reprimere, non mai per prevenire.»
Per le cattive cause si citerà ben a proposito il verso di Ovidio:
622. Caussa patrocinio non bona peior erit.21
623. Adhuc sub judice lis est.22
624. Roma locuta (est), causa finita (est).23
che secondo il Büchmann avrebbe origine da un passo dei Sermoni di S. Agostino (Serm. 131, § 10): «Jam enim de hac causa [Pelagiana], duo concilia missa sunt ad sedem apostolicam. Inde etiam rescripta venerunt: causa finita est; utinam aliquando finiatur error»; ma egli non sa dirci chi avrebbe aggiunto il primo membro della frase, che solo implicitamente è contenuto nelle parole di S. Agostino. Osserva il Besso nella interessante e erudita sua opera Roma e il Papa nei proverbi e nei modi di dire (nuova ediz., Roma 1904, a pag. 35) che: «questo detto è molto comune nella curia romana per due applicazioni; nel campo ecclesiastico, perchè quando una questione è definita dal Papa, non è più questione; nel campo forense, quando dai paesi cattolici si sottoponevano questioni in supremo appello alla Rota Romana, quasi a supremo giudice internazionale, nessun rimedio legale era più possibile dopo il pronunciato della Rota».
Del resto noteremo per ultimo e come a conclusione di quanto dicemmo, che:
625. Les querelles ne dureraient pas longtemps, si le tort n’était que d’un côté.24
Note
- ↑ 598. A ciascuno il suo.
- ↑ 599. Rendete (dunque) a Cesare quel che è di Cesare, e rendete a Dio quel che è di Dio.
- ↑ 600. Fiorirà il giusto come la palma.
- ↑ 601. Amai la giustizia e odiai l’iniquità, perciò muoio in esilio.
- ↑ 602. La misericordia e la verità si sono incontrate insieme: si son date il bacio la giustizia e la pace.
- ↑ 603. La giustizia, se è rispetto a Dio dicesi religione, se verso i parenti pietà, se nelle cose affidate dicesi fede.
- ↑ 604. Il diritto estremo diventa talora anche un estremo torto.
- ↑ 605. Non voler essere troppo giusto.
- ↑ 606. Si senta anche l’altra parte.
- ↑ 607. Non vi é obbligo per le cose impossibili.
- ↑ 608. L’errore comune fa legge.
- ↑ 609. Sia fatta giustizia, e perisca il mondo.
- ↑ 610. Periscano le colonie piuttosto che un principio.
- ↑ 612. Imparate a coltivare la giustizia ed a temere gli dèi.
- ↑ 613. Sì, se non avessimo dei giudici a Berlino.
- ↑ 614. Sono scherzi da principi: si rispetta un mulino, si ruba una provincia.
- ↑ 615. La Corte fa delle sentenze, non dei servigi.
- ↑ 616. È necessario per voi che un nomo muoia per il popolo tutto.
- ↑ 617. Ricordatevi del povero fornaio.
- ↑ 618. L’assoluzione del colpevole è la condanna del giudice.
- ↑ 622. La causa cattiva diventa peggiore col volerla difendere.
- ↑ 623. La lite è ancora innanzi al giudice.
- ↑ 624. Roma ha parlato, la causa è finita.
- ↑ 625. Le dispute non durerebbero tanto tempo se il torto fosse da una parte sola.
- Testi in cui è citato Marco Tullio Cicerone
- Testi in cui è citato Giustiniano I
- Testi in cui è citato Matteo apostolo ed evangelista
- Testi in cui è citato Papa Gregorio VII
- Testi in cui è citato Antipapa Anastasio III
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