Come andò a finire il Pulcino/Il romanzo della rosa

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Quel che succede spesso Mia moglie

[p. 188 modifica]8 — — Oh Oocò, o Pulcino unico al mondo, tu meriteresti che gli uomini e i ragazzi t’inalzassero una statua! — Una statua! Eh, sicuro! Una statua deve far molto piacere ! Ma io avrei preferito un bel pastoncino di riso, con relative midolle di pane sminuzzolate. Tutti i gusti son gusti! VII. Il romanzo della rosa. Non so che ora fosse: certo un’ora molto mattutina, a giudicarne dal colore ancora cupo del cielo e dallo splendore di alcune stelle, che scendevano lente verso il tramonto. Io sognavo Vespignano, il mio verde paesello nativo, e mi pareva che la Mariuccia mi stesse annodando ancora intorno al collo un nastrino color di rosa, quando una vocetta lamentevole che gridava « aiuto! » mi tolse a quella dolce visione. Scappai fuori dalla stia, e annusai l’ar [p. 189 modifica]ia — 189 — fredda e silenziosa. Nulla si era ancora destato fra le fronde o sull’erba. — Di certo mi sarò ingannato — pensai, e stavo per rientrare al coperto col desiderio di continuare il mio bel sogno, quando molto vicino a me risonò di nuovo il grido: « aiuto! » Tesi l’udito e capii , j che quella parola susa, tutta vizza e ammaccata, sulle cui foglie stava per arrampicarsi un grosso baco grigio, la cui vista faceva nausea e ribrezzo insieme. — Salvami da costui, o buon gallettino! — sussurrò flebilmente la povera regina de’fiori. — Dio te ne dia la ricompensa! — Non incomodiamo il Signore per così poco! — risposi scherzando. B in men che si dice, addentai il verme col becco e lo uccisi. prema usciva da.... un ammasso di spazzatura, ammucchiato a pochi passi dalla stia. Mi avvicinai, e scòrsi una povera ro- — [p. 190 modifica]190 — Era così grosso e così schifoso, che non mi resse il cuore di mangiarlo. Poi, senza chiedergliene il permesso, presi la rosa con infinita delicatezza, e toltala da quell’abbiezione di ossi puzzolenti e di residui di rigovernatura, la deposi pianamente sopra un soffice letto di erbolina, da cui centinaia di viole del pensiero emergevano le piccole corolle. Lì almeno la povera vecchia avrebbe avuto una tomba degna di lei. La rosa mi soffiò sul viso un alito moribondo degli antichi profumi, e mi sussurrò con voce flebile: — Mio buon galletto, tu forse vorrai conoscere i miei casi, vorrai sapere per qual doloroso succedersi di eventi io son caduta sì basso, io, l’orgogliosa regina dei fiori.... — Mia buona signora, — le risposi pronto — io non ho davvero cotesta curiosità. Sarebbe bella che quando si ha la fortuna di prestar qualche piccolo servigio a qualcuno si esigesse poi che questo povero signor qualcuno ci raccontasse i fatti suoi! No, no, signora rosa; [p. 191 modifica]— 191 — ella si tenga per sè i suoi segreti; non voglio conoscerli. Mi basta solamente di saperla tranquilla in mezzo a codesti buoni fiorellini, che fra poco si desteranno e saranno ben lieti d’esserle vicini! — Feci per allontanarmi, ma la rosa non la intese e: — Senti, caro gallettino, — mi disse — tu devi conoscere la mia storia per due ragioni : prima perchè tu possa raccontarla un giorno a delle giovani rose senza giudizio che non vogliono seguire i consigli dei maggiori: poi perchè, credilo, quando siamo tanto infelici è un gran sollievo di potersi sfogare con un amico ! — Quand’è così, parli pure..., — risposi commosso e anche riconoscente per quel titolo così onorevole. Un povero galletto amico di una rosa! Non si è mai sentito dire! — Crescevo quieta e felice al fianco della più saggia delle madri, — cominciò il povero fiore — e nulla, nulla mi faceva presagire l’orribile strazio che mi preparava il destino. — [p. 192 modifica]192 — Un boccino roseo e odoroso mi preservava dai raggi troppo ardenti del sole il mio lungo calice tutto coperto di borraccina, e dalle avide mani dei fanciulli mi difendeva una vera selva di spine sparse lungo il mio gracile stelo. La mamma, una bella rosa semiaperta che i rosi gnoli salutavano coi loro più bei canti d’amore, aveva per me mille cure tenerissime. Mi beava col suo profumo, scuoteva sulla mia corolla sitibonda le stille della rugiada notturna, e siccome fin d’allora io nutrivo una profonda avversione per il buio e pei brutti bachi che cercano un asilo fra le nostre foglioline, la mamma aveva preso a servigio due lucciole, perchè mi facessero da lumini da notte. Non potevo desiderar di più: eppure desideravo, desideravo. Alcuni mosconi che veniJ vano giornalmente a pranzo da noi ci raccontavano quasi sempre molte storie meravigl [p. 193 modifica]iose — 193 — di rose bellissime e fortunate, che còlte ancor giovinette sui loro steli erano andate a profumare le ricche sale d’una reggia, avevano adornato le brune chiome di spose novelle o disposte leggiadramente in vasi d’oro e d’argento avevano suscitato durante un pranzo elegante, l’ammirazione di tutti i convitati. Poi erano morte deliziosamente in qualche scatola profumata, nella penombra misteriosa di qualche salottino leggiadro o, anche, fra le pagine di un bel libro legato in velluto o in marrocchino.... Mia madre crollava il capo e, quando quei chiacchieroni erano andati via, mi esortava a dimenticare que’ discorsi pericolosi e a contentarmi del mio stato così modesto eppur così bello. Accanto alla mamma e ai vecchi alberi del giardino, sotto l’azzurro del cielo, amata rispettosamente dalle libellule e dalle cetonie, festeggiata dai rosignoli, dalle allodole e dalle capinere, c’era forse un destino più invidiabile del mio? Così la mamma. Ma io ero una vanerella e vagheggiavo col pensiero i [p. 194 modifica]bei pa- — 194 — lazzi ove avrei fatto la signora e le belle capigliature nere su cui avrei brillato come una fiamma. Un giorno un moscone venne ad avvisarci in fretta e furia che i padroni del nostro giardino ricevevano, niente di meno, che il Ee e la Regina e che quindi fra poco il giardiniere sarebbe venuto a far man bassa su i fiori più belli. Là mamma non si sgomentò ; ringraziato il moscone si rivolse a me e mi disse: — Sta’ ben attenta alle mie parole. Quando sentirai i passi del giardiniere, non ti agitare, non drizzarti sullo stelo, come se tu avessi la tarantella: ma curvati dolcemente su di me, che mi rimpiatterò del tutto dietro quest’alta spalliera di mirto. È una malizia che ho messo • in pratica altre volte, con felici resultati. Egli non sospetterà neppure la nostra esistenza e passerà oltre, tanto più che vicino a noi ci sono delle magnifiche piante di viole bianche.... — Oh mamma! — esclamai con rincrescimento — e se fossimo state destinate alla Regina! che onore per noi! — 195 — [p. 195 modifica]— Va’ là, gì accherei la, che la Eegina non può prender sotto la sua protezione tutti i fiori che le vengono regalati! — Ma pure, se le piacessimo, se ci appuntasse sul suo vestito, che gloria, mamma, e che veleno per tutti gli altri fiori del giardino ! Tu non lo crederai, mamma, ma sappi che le viole bianche, i mughetti e le azalee non ci possono soffrire ! Dicono che noi rose siamo fiori ordinarii, fiori da serve e da parrucchieri. — Mentivo sfacciatamente! ma che cosa non avrei detto e fatto, pur d’indurre la mamma a cambiar d’opinione? — Io non credo quei fiori capaci di simili bricconate, tanto più che non ho mai dato loro alcuna noia — rispose calma la mamma. — A ogni modo, pensa a obbedire e a tener la lingua a posto. Io non posso soffrire i boccini arroganti e maligni. — Ma.... — Basta così! — Inghiottii la bile che mi soffocava, e decisi di romper le catene della mia schiavitù [p. 196 modifica]. — 196 — J» Dopo un’ora circa di questo dialogo, molte voci animate risuonavano nel magnifico giardino, e alcuni passi frettolosi si avvicinarono a noi. — È il giardiniere ! — mi sussurrò la mamma. — Piègati tutta su di me. La spalliera del mirto ci nasconde completamente. — Il mio piccolo cuore di rosa batteva in modo da spezzarsi. Ohe supremo momento fu quello ! O obbedire la mamma e rimanere Dio sa per quanto tempo nella solitudine di quel luogo, senz’altra compagnia che quella dei fiori, de’ mosconi e delle cetonie dorate o..., pensiero inebriante!, o andare a far figura nel mondo, a mostrar la mia bellezza e forse, chi sa? a esalare il mio respiro sul seno gemmato della più bella delle Regine!... Eimasi vinta, abbagliata dagli splendori del mio destino, e quando vidi brillare al sole fra le foglie del mirto, l’acciaio delle cesoie, - 197 [p. 197 modifica]— tesi la corolla anelante. Un àttimo e fui divelta: un àttimo e un gemito soffocato, il gemito di mia madre, mi disse tutto l’orrore della mia imperdonabile vanità.... — La povera rosa, giunta a questo punto della narrazione, diè un sussulto e alcune delle sue foglie avvizzite le si staccarono dal calice. — Signora mia, — dissi commosso — questo racconto le fa male. Non lo continui, tanto più che alcune pianticine di pensées si sono destate e allungano le orecchie, le curiosacce! — Oh buon galletto, — rispose con un singhiozzo l’infelice rosa — lascia pure che ascoltino e che l’esempio della mia sventura riesca per loro una lezione profittevole. Non fui offerta come supposi, alla Regina, ma legata insieme con molte altre in un mazzo, e posta in un gran vaso di porcellana dorata. La Regina non teneva in mano alcun fiore, ma piegava il capo biondo su tutti, e tutti lodava. 14 — Iìaccini, Memorie d'un Pulcino, ecc. — [p. 198 modifica].198 — Una signora piuttosto giovane, del seguito della Eegina, si fermò davanti al vaso dove stavo relegata insieme con le mie compagne ed esclamò: — Oh le magnifiche rose borraccine! — Una giovinetta, la padroncina di casa, si affrettò a prendere il mazzo, ed offrirlo alla gentil lodatrice che mostrò di gradirlo moltissimo. Abbrevio per non tediarti troppo, mio buon galletto, ed anche perchè il sole sta per spuntare. La signora, tornata a casa, lasciò le rose in mano alla cameriera la quale, orrore!, non ebbe ribrezzo a regalarle al cuoco.... Questo birbante, invece di metterci in un luogo fresco e di rinnovar l’acqua ai nostri poveri steli ripiegati, ci dimenticò vicino a una gran casseruola di rame, che puzzava orribilmente di cipolla e di burro rancido. Tre delle mie sorelle, non riuscendo a vincere la febbre e il disgusto, sparpagliarono a piè dell’ignobile vaso le loro foglie avvizzite e morirono. Io, più robusta, ressi fino al momento in cui un garzone di fornaio entrò in cucina, de— 199 — [p. 199 modifica]pose sulla madia una cesta colma di pane, e, adocchiatami, m’infilò nell’occhiello della sua giubba indecente. Altro che il seno gemmato d’una regina! Questo stesso garzone, uscito di là, venne a portare il pane in questa casa, nella casa dei tuoi padroni, Cocò, e mi lasciò andare, perchè oramai avvizzita e guasta, nel monticello delle immondizie, che ieri sera la donna di servizio rovesciò nell’angolo del giardino. Il resto lo sai, mio buono, mio pietoso ed ultimo amico. Oh se fossi rimasta vicina alla mia savia mamma ! A quest’ ora vivrei una vita piena di sole e di luce, e invece me ne muoio sul fiore della giovinezza! — Furono queste le ultime parole della rosa. Io, compiangendo il suo destino, la presi delicatamente tra il becco e la seppellii sotto un monticello di terriccio odoroso, le cui finissime pietruzze scintillavano al sole; al sole radioso che si levava sull’orizzonte dando il buon giorno ai fiori e agli uccelli; ai bambini che vanno a scuola e ai.... galletti chiacchieroni come me. — 200 —