<dc:title> Come andò a finire il Pulcino </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ida Baccini</dc:creator><dc:date>1902</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Baccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/Il_romanzo_della_rosa&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20180304172907</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Come_and%C3%B2_a_finire_il_Pulcino/Il_romanzo_della_rosa&oldid=-20180304172907
Come andò a finire il Pulcino - Il romanzo della rosa Ida BacciniBaccini - Memorie di un pulcino, Bemporad & Figlio, Firenze, 1918.djvu
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— Oh Oocò, o Pulcino unico al mondo, tu
meriteresti che gli uomini e i ragazzi t’inalzassero una statua! —
Una statua! Eh, sicuro! Una statua deve
far molto piacere ! Ma io avrei preferito un bel
pastoncino di riso, con relative midolle di pane
sminuzzolate.
Tutti i gusti son gusti!
VII.
Il romanzo della rosa.
Non so che ora fosse: certo un’ora molto
mattutina, a giudicarne dal colore ancora cupo
del cielo e dallo splendore di alcune stelle, che
scendevano lente verso il tramonto.
Io sognavo Vespignano, il mio verde paesello nativo, e mi pareva che la Mariuccia mi
stesse annodando ancora intorno al collo un
nastrino color di rosa, quando una vocetta lamentevole che gridava « aiuto! » mi tolse a
quella dolce visione.
Scappai fuori dalla stia, e annusai l’ar [p. 189modifica]ia
— 189 —
fredda e silenziosa. Nulla si era ancora destato
fra le fronde o sull’erba.
— Di certo mi sarò ingannato — pensai, e
stavo per rientrare al coperto col desiderio di
continuare il mio bel sogno, quando molto vicino a me risonò di nuovo il grido: « aiuto! »
Tesi l’udito e capii , j
che quella parola susa, tutta vizza e ammaccata, sulle cui foglie
stava per arrampicarsi un grosso baco grigio, la cui vista faceva nausea e ribrezzo insieme.
— Salvami da costui, o buon gallettino! —
sussurrò flebilmente la povera regina de’fiori.
— Dio te ne dia la ricompensa!
— Non incomodiamo il Signore per così
poco! — risposi scherzando. B in men che si
dice, addentai il verme col becco e lo uccisi.
prema usciva da....
un ammasso di spazzatura, ammucchiato
a pochi passi dalla
stia. Mi avvicinai, e
scòrsi una povera ro-
— [p. 190modifica]190 —
Era così grosso e così schifoso, che non mi
resse il cuore di mangiarlo.
Poi, senza chiedergliene il permesso, presi
la rosa con infinita delicatezza, e toltala da
quell’abbiezione di ossi puzzolenti e di residui
di rigovernatura, la deposi pianamente sopra
un soffice letto di erbolina, da cui centinaia
di viole del pensiero emergevano le piccole
corolle.
Lì almeno la povera vecchia avrebbe avuto
una tomba degna di lei.
La rosa mi soffiò sul viso un alito moribondo degli antichi profumi, e mi sussurrò con
voce flebile:
— Mio buon galletto, tu forse vorrai conoscere i miei casi, vorrai sapere per qual doloroso succedersi di eventi io son caduta sì
basso, io, l’orgogliosa regina dei fiori....
— Mia buona signora, — le risposi pronto
— io non ho davvero cotesta curiosità. Sarebbe
bella che quando si ha la fortuna di prestar
qualche piccolo servigio a qualcuno si esigesse
poi che questo povero signor qualcuno ci raccontasse i fatti suoi! No, no, signora rosa; [p. 191modifica]— 191 —
ella si tenga per sè i suoi segreti; non voglio
conoscerli. Mi basta solamente di saperla tranquilla in mezzo a codesti buoni fiorellini, che
fra poco si desteranno e saranno ben lieti
d’esserle vicini! —
Feci per allontanarmi, ma la rosa non la
intese e:
— Senti, caro gallettino, — mi disse — tu
devi conoscere la mia storia per due ragioni :
prima perchè tu possa raccontarla un giorno
a delle giovani rose senza giudizio che non
vogliono seguire i consigli dei maggiori: poi
perchè, credilo, quando siamo tanto infelici è
un gran sollievo di potersi sfogare con un
amico !
— Quand’è così, parli pure..., — risposi commosso e anche riconoscente per quel titolo così
onorevole. Un povero galletto amico di una
rosa! Non si è mai sentito dire!
— Crescevo quieta e felice al fianco della
più saggia delle madri, — cominciò il povero
fiore — e nulla, nulla mi faceva presagire
l’orribile strazio che mi preparava il destino.
— [p. 192modifica]192 —
Un boccino roseo e odoroso mi preservava
dai raggi troppo ardenti del sole il mio lungo
calice tutto coperto di
borraccina, e dalle avide
mani dei fanciulli mi difendeva una vera selva di
spine sparse lungo il mio
gracile stelo.
La mamma, una bella
rosa semiaperta che i rosi gnoli salutavano coi loro
più bei canti d’amore, aveva per me mille
cure tenerissime. Mi beava col suo profumo,
scuoteva sulla mia corolla sitibonda le stille
della rugiada notturna, e siccome fin d’allora
io nutrivo una profonda avversione per il buio
e pei brutti bachi che cercano un asilo fra le nostre foglioline, la mamma aveva preso a servigio
due lucciole, perchè mi facessero da lumini da
notte.
Non potevo desiderar di più: eppure desideravo, desideravo. Alcuni mosconi che veniJ
vano giornalmente a pranzo da noi ci raccontavano quasi sempre molte storie meravigl [p. 193modifica]iose
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di rose bellissime e fortunate, che còlte ancor
giovinette sui loro steli erano andate a profumare le ricche sale d’una reggia, avevano
adornato le brune chiome di spose novelle o
disposte leggiadramente in vasi d’oro e d’argento avevano suscitato durante un pranzo
elegante, l’ammirazione di tutti i convitati.
Poi erano morte deliziosamente in qualche
scatola profumata, nella penombra misteriosa
di qualche salottino leggiadro o, anche, fra le
pagine di un bel libro legato in velluto o in
marrocchino....
Mia madre crollava il capo e, quando quei
chiacchieroni erano andati via, mi esortava
a dimenticare que’ discorsi pericolosi e a contentarmi del mio stato così modesto eppur
così bello.
Accanto alla mamma e ai vecchi alberi
del giardino, sotto l’azzurro del cielo, amata
rispettosamente dalle libellule e dalle cetonie,
festeggiata dai rosignoli, dalle allodole e dalle
capinere, c’era forse un destino più invidiabile
del mio? Così la mamma. Ma io ero una vanerella e vagheggiavo col pensiero i [p. 194modifica]bei pa-
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lazzi ove avrei fatto la signora e le belle capigliature nere su cui avrei brillato come una
fiamma.
Un giorno un moscone venne ad avvisarci
in fretta e furia che i padroni del nostro giardino ricevevano, niente di meno, che il Ee e
la Regina e che quindi fra poco il giardiniere
sarebbe venuto a far man bassa su i fiori più
belli.
Là mamma non si sgomentò ; ringraziato il
moscone si rivolse a me e mi disse:
— Sta’ ben attenta alle mie parole. Quando
sentirai i passi del giardiniere, non ti agitare,
non drizzarti sullo stelo, come se tu avessi la
tarantella: ma curvati dolcemente su di me,
che mi rimpiatterò del tutto dietro quest’alta
spalliera di mirto. È una malizia che ho messo •
in pratica altre volte, con felici resultati. Egli
non sospetterà neppure la nostra esistenza e
passerà oltre, tanto più che vicino a noi ci sono
delle magnifiche piante di viole bianche....
— Oh mamma! — esclamai con rincrescimento — e se fossimo state destinate alla Regina! che onore per noi!
— 195 — [p. 195modifica]— Va’ là, gì accherei la, che la Eegina non
può prender sotto la sua protezione tutti i fiori
che le vengono regalati!
— Ma pure, se le piacessimo, se ci appuntasse sul suo vestito, che gloria, mamma, e
che veleno per tutti gli altri fiori del giardino !
Tu non lo crederai, mamma, ma sappi che
le viole bianche, i mughetti e le azalee non
ci possono soffrire ! Dicono che noi rose siamo
fiori ordinarii, fiori da serve e da parrucchieri. —
Mentivo sfacciatamente! ma che cosa non
avrei detto e fatto, pur d’indurre la mamma
a cambiar d’opinione?
— Io non credo quei fiori capaci di simili
bricconate, tanto più che non ho mai dato loro
alcuna noia — rispose calma la mamma. — A
ogni modo, pensa a obbedire e a tener la lingua a posto. Io non posso soffrire i boccini arroganti e maligni.
— Ma....
— Basta così! —
Inghiottii la bile che mi soffocava, e decisi
di romper le catene della mia schiavitù [p. 196modifica].
— 196 —
J»
Dopo un’ora circa di questo dialogo, molte
voci animate risuonavano nel magnifico giardino, e alcuni passi frettolosi si avvicinarono
a noi.
— È il giardiniere ! — mi sussurrò la mamma. — Piègati tutta su di me. La spalliera
del mirto ci nasconde completamente. —
Il mio piccolo cuore di rosa batteva in modo da spezzarsi. Ohe supremo momento fu
quello ! O obbedire la mamma e rimanere
Dio sa per quanto tempo nella solitudine di
quel luogo, senz’altra compagnia che quella
dei fiori, de’ mosconi e delle cetonie dorate
o..., pensiero inebriante!, o andare a far figura
nel mondo, a mostrar la mia bellezza e forse,
chi sa? a esalare il mio respiro sul seno gemmato della più bella delle Regine!...
Eimasi vinta, abbagliata dagli splendori
del mio destino, e quando vidi brillare al sole
fra le foglie del mirto, l’acciaio delle cesoie,
- 197 [p. 197modifica]—
tesi la corolla anelante. Un àttimo e fui divelta: un àttimo e un gemito soffocato, il gemito di mia madre, mi disse tutto l’orrore della
mia imperdonabile vanità.... —
La povera rosa, giunta a questo punto della
narrazione, diè un sussulto e alcune delle sue
foglie avvizzite le si staccarono dal calice.
— Signora mia, — dissi commosso — questo racconto le fa male. Non lo continui, tanto
più che alcune pianticine di pensées si sono destate e allungano le orecchie, le curiosacce!
— Oh buon galletto, — rispose con un singhiozzo l’infelice rosa — lascia
pure che ascoltino e che l’esempio della mia sventura riesca per
loro una lezione profittevole.
Non fui offerta come supposi,
alla Regina, ma legata insieme con
molte altre in un mazzo, e posta
in un gran vaso di porcellana
dorata.
La Regina non teneva in mano alcun fiore,
ma piegava il capo biondo su tutti, e tutti
lodava.
14 — Iìaccini, Memorie d'un Pulcino, ecc.
— [p. 198modifica].198 —
Una signora piuttosto giovane, del seguito
della Eegina, si fermò davanti al vaso dove
stavo relegata insieme con le mie compagne
ed esclamò:
— Oh le magnifiche rose borraccine! —
Una giovinetta, la padroncina di casa, si affrettò a prendere il mazzo, ed offrirlo alla gentil
lodatrice che mostrò di gradirlo moltissimo.
Abbrevio per non tediarti troppo, mio buon
galletto, ed anche perchè il sole sta per spuntare. La signora, tornata a casa, lasciò le rose
in mano alla cameriera la quale, orrore!, non
ebbe ribrezzo a regalarle al cuoco.... Questo
birbante, invece di metterci in un luogo fresco
e di rinnovar l’acqua ai nostri poveri steli ripiegati, ci dimenticò vicino a una gran casseruola di rame, che puzzava orribilmente di cipolla e di burro rancido.
Tre delle mie sorelle, non riuscendo a vincere la febbre e il disgusto, sparpagliarono a
piè dell’ignobile vaso le loro foglie avvizzite
e morirono.
Io, più robusta, ressi fino al momento in
cui un garzone di fornaio entrò in cucina, de— 199 — [p. 199modifica]pose sulla madia una cesta colma di pane, e,
adocchiatami, m’infilò nell’occhiello della sua
giubba indecente. Altro che il seno gemmato
d’una regina!
Questo stesso garzone, uscito di là, venne
a portare il pane in questa casa, nella casa dei
tuoi padroni, Cocò, e mi lasciò andare, perchè
oramai avvizzita e guasta, nel monticello delle
immondizie, che ieri sera la donna di servizio
rovesciò nell’angolo del giardino.
Il resto lo sai, mio buono, mio pietoso ed
ultimo amico. Oh se fossi rimasta vicina alla
mia savia mamma ! A quest’ ora vivrei una vita
piena di sole e di luce, e invece me ne muoio
sul fiore della giovinezza! —
Furono queste le ultime parole della rosa.
Io, compiangendo il suo destino, la presi
delicatamente tra il becco e la seppellii sotto
un monticello di terriccio odoroso, le cui finissime pietruzze scintillavano al sole; al sole
radioso che si levava sull’orizzonte dando il
buon giorno ai fiori e agli uccelli; ai bambini
che vanno a scuola e ai.... galletti chiacchieroni come me.
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