Dell'ambra

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Luciano di Samosata Antichità 1862 Luigi Settembrini Indice:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 3.djvu racconti Letteratura Dell'ambra Intestazione 30 aprile 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini


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LV.

DELL’AMBRA,

o

DEI CIGNI.



Certamente anche voi credeste alla favola, che l’ambra stilla da alcuni pioppi che sul fiume Eridano piangono Fetonte, e che quei pioppi erano sorelle di Fetonte, le quali, per il gran lagrimare sul giovanetto furono mutate poi in quegli alberi, donde ancora goccia il loro pianto, che è l’ambra. Veramente anch’io udendo contar queste cose dai poeti, speravo, se mai capitassi su l’Eridano, di andare sotto uno dei pioppi, ed aprendo il seno della veste raccogliere poche lagrime, e così aver l’ambra. Finalmente non ha guari, ma per un’altra faccenda, capitai in quella contrada, e risalendo in barca l’Eridano, non ci vedevo pioppi, per guardare che io facessi d’ogn’intorno, nè ambra; anzi neppure il nome di Fetonte sapevano quei paesani. Infatti io mi volli informare, e dimandai: Quando verremo a quei pioppi che danno l’ambra? Mi risero in faccia i barcaiuoli, e risposero dicessi più chiaro ciò che volevo. Ed io contai loro la favola, come Fetonte era un figliuolo del Sole, e fattosi grandicello chiese al padre di guidare il carro, per fare anch’egli una sola giornata: il padre glielo diede; ma ei ribaltò e morì; e le sorelle sue piangenti in qualche luogo di questi, dicevo io, perchè ei cadde sull’Eridano, diventarono pioppi, e piangono l’ambra sovra di lui. Qual bugiardo e carotaio ti ha contato questo? risposero. Noi non vedemmo mai alcun cocchiere ribaltato, nè abbiamo i pioppi che tu dici. Se fosse una cosa simile, credi tu che noi per due oboli vorremmo remare, o tirar le barche contr’acqua, potendo arricchirci con raccogliere le lagrime dei pioppi? [p. 89 modifica]Queste parole mi colpirono forte; e tacqui scornato, che proprio come un fanciullo c’era caduto, a credere ai poeti che dicono le più sperticate bugie, e non mai una verità. Ora fallitami quest’una speranza non piccola, mi affliggevo come se l’ambra mi fosse proprio sfuggita delle mani; perchè già io avevo immaginato quali e quanti usi ne dovevo fare. Ma un’altra cosa credevo si davvero di trovarcela, molti cigni cantanti su le rive del fiume, edi nuovo dimandai ai barcainoli, che si rimontava ancora: E i cigni a qual’ora cantano quel melodioso canto, stando su le sponde del fiume di qua e di là? Dicesi che essi furono uomini, compagni d’Apollo, e bravi cantatori, e che in questi luoghi furono mutati in uccelli, e però cantano ancora non dimentichi della musica. E quei con un’altra risata mi risposero: Oggi, galantuomo, non la finirai di dire fandonie contro il nostro paese ed il fiume? Noi che andiam sempre su l’acqua, e che da fanciulli facciamo il mestiere su l’Eridano, di rado vediamo pochi cigni nei greti del fiume, ma fanno un po’ di gracchiare si scordato e sottile, che i corvi e le cornacchie sono sirene a fronte ad essi: cantare dolce, e come l’hai detto tu, nemmeno per sogno l’abbiamo udito: e però ci fa maraviglia come nei paesi vostri corrano queste novelle di noi. Così spesse volte si cade in inganno, prestando fede a chi esagera le cose. Onde anche io ora temo per me, che voi testé venuti, e che la prima volta mi ascoltate, sperando di trovare non so quali ambre e cigni nelle cose mie, tra poco ve ne anderete ridendo di chi vi dava ad intendere che v’è tanta bella roba nei miei discorsi. Ma io chiamo in testimonio tutto il mondo, che né voi né alcun altro mi ha udito, né mi udirà mai, vantarmi delle cose mie. Altri non pochi incontrerete, veramente fiumi Eridani, su i quali non ambra, ma oro proprio stilla dai discorsi, e sono più melodiosi dei cigni poetici: il mio dire lo vedete com’è, semplice, alla buona, e senza sonorità alcuna. Onde badate che aspettandovi troppo da me, non vi accada come a quelli che guardando una cosa nell’acqua, credono che la sia tanto grande quanto pare a vederla da su, dilargandosi l’immagine per la luce refratta;1 quando la cavano fuori, [p. 90 modifica]trovandola molto più piccola, se ne dispiacciono. Io dunque ve lo dico innanzi, e tolgo l’acqua, e mi discopro: non v’aspettate di cavar fuori qualche gran cosa, o accagionate voi stessi della vostra credenza.











Note

  1. Εὐρυνομένης τῆς σκιᾶς πρὸς τὴν αὐγήν, dilargatasi l’ombra alla luce. Ma qui l’ombra è l’immagine della cosa; e la luce è la luce refratta, come bene osserva e prova il Gesnero, difendendo Luciano dall’accusa d’ignoranza nelle cose della fisica.