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Dell'uomo di lettere difeso ed emendato/Parte seconda/12

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Parte seconda - 12. Due gran mali de' Miscredenti

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12.

Due gran mali de’ Miscredenti: cercar le cose della Fede con la curiosità della Filosofia, e credere le cose della Filosofia con la certezza della Fede.

I Geografi nel disegnar che fanno le tavole o i globi della terra, poichè son giunti a’ confini de’ paesi fin’allora scoperti, non avendo cognizione de gli altri che restano, hanno per costume di tirare alcune non ben ferme e sicure linee di sottilissimi punti, e su lo spazio che rimane scrivere: Terra incognita. Di quest’usanza de’ Geografi si servì molto acconciamente Plutarco1 per iscusa della sua penna, se, presa a scrivere la Vita di certi antichissimi Eroi, non potea tutte ad una ad una divisare le imprese, con che si renderono grandi nel nome, e nella gloria immortali: perochè l’antichità, e la dimenticanza che le va dietro, molti paesi incogniti, molte parti della’ lor vita occulte e nascose tenea.

Ciò che delle azioni di quegli antichi valenți uomini [p. 72 modifica]disse Plutarco, è ugualmente verò di tutto il gran complesso delle cose, che possono da’ nostri ingegni sapersi. Molto v’è di conosciuto, molto d’incognito: anzi non incognito solamente, ma che conoscere non si può, fin che non entriamo in quella scuola, dove il Verbo maestro, in una lezione d’un solo sguardo, che gli si dà, insegna con indelebili e chiarissime note quanto ora i nostri ingegni con vano sforzo de’ loro pensieri s’argomentano di rintracciare. Dico gli occultissimi arcani della Fede; che, sicuri, se non palesi, vogliono suggezione che li creda, non curiosità che li cerchi.

Per d’alto ingegno e di grande intendimento che un’uomo sĩa, s’egli si misura con quello che presume d’intendere, non è più che una fossa d’un palmo per farvi capire l’Oceano. Per alte che sieno le spèculazioni e i sublimi pensieri co’ quali sollieva la mente alla cognizione delle occulte verità della Fede, con; esse non si fa loro più da presso di quello, che fossero vicini a toccare la volta de’ cieli i Giganti di Flegra, poichè furon saliti sopra Pelio, Ossa, e Olimpo.

Occhio di Nottola non è fatto per mirare il Sole, in cui appena le Aquile che hanno la pupilla di diamante possono tenervi fisso immobilmente lo sguardo. Barchette peschereccie, con un brano di vela e un palmo di timone, non sono abili a valicare l’Oceano e scoprir nuovi Mondi.

Che altro sono i nostri intelletti attaccati al peso de’ sensi, che Struzzoli di maggior corpo che ala? onde non possono, alzarsi un palmo dal suolo, nè volarè altrimenti, che tenendo l’ali in aria sì, ma i piedi in terra. Ma quando ben fossimo forniti di penne mastre, giungeremmo noi perciò col volo alle nuvole, non che alle stelle? Qual mente v’è, quale ingegno di sì alta cognizione, che non faccia Dio sagrificio de’ suoi pensieri su quel famoso altare d’Atene, dedicato Ignoto Deo2; e confessandosi inabile ad intendere ciò che Dio di se e delle cose sue tiene nascoso, quasi torcendo a’ suoi pensieri l’ali conforme la legge del Sagrificio degli uccelli, non dica con [p. 73 modifica]Agostino: Melior est fidelis ignorantia, quam temeraria scientia? etc.

L’acqua delle fonti non saglie mai più in alto di quello che sia il capo e l’origine ond’ella viene: onde suol dirsi, che l’acqua tanto saglie, quanto scende. Or’il nostro sapere non comincia egli da’ sensi? e questi di che altro sono capaci, che di cose fra’ termini della natura sensibile? E come vogliam noi aver di qui fontem aquæ salientis in vitam æternam, che s’interpreta della cognizione delle cose sopranaturali e divine?

Ma di coloro che dir si possono empiamente curiosi, altri vi sono, che presumon di farsi a loro stessi maestri di quello, di che il mondo fin’ora non ha avuto alcuno scolare; e aguzzando la punta de’ loro ingegni, malgrado dell’impossibile, vogliono penetrare fino al centro della verità, e vederla in sè stessa svelata e ignuda. Appena hanno bocca per succiare il latte della Fede, e già vògliono roder le ossa e cavarne la midolla. Come se già avessero inteso ciò che ha d’intelligibile la Natura, onde non resti loro che penetrare, senon ciò che ha d’occulto la Fede. Saranno Ercoli, che visto e vinto il mare, la terra, e l’inferno, potranno dire:

          Perdomita tellus, tumida cesserunt freta,
          Inferna nostros regna sensere impetus:
          Immune coelum est. Dignus Alcide labor.
          In alta mundi spatia sublimis ferar.
          Petatur ether3.

Ma mentre si rizzano su i piè, e allargano l’ali per buttarsi a voló, quanto a tempo sarebbe chi loro raccordassę il molto che pretendono e il poco a che vagliono. Chi loro dicesse a gli orecchi, come la Samaritana a Cristo: Domine, neque in quo haurias habes, et puteus altus est!

Prima che vogliate intendere cose maggiori, rispondete per grazia a questa dimanda, che vi fa San Girolamo: Perchè gli Elefanti, che sono un monte di carne, hanno sol quattro piedi, su’ quali appoggiano la smisurata mole del foro gran corpo; e le Mosche, che sono un punto vivo, [p. 74 modifica]ne hanno sei? Vi dà l’animo di non saper questo (che quando ben lo sapeste, non sapreste nulla); e pretendete d’intendere quello che non può intender nè pure uomo che intenda ogni cosa? Al primo passo, che vi chieggo che diate in terra nel corso delle cose che posson sapersi, inciampate, come un Talete, nella fossa; e volete giungere a vedere ciò ch’è tanto sopra le stelle? Quanto, vi verrebbe in acconcio la correzione, che Zenone, lo Stoico, fece ad un giovane ardito, che avea si nudo il mento di barba come vuoto di senno il capo, e chiedeva le risposte a cose di cui non era nè pur’abile ad intendere la dimanda! Gli fece il Filosofo mettere inanzi al volto uno specchio, e poi gli disse all’orecchio: Vi par’egli, che le dimande che voi fate, e le risposte che mi chiedete, sieno degne di cotesta barba?

Il vostro ingegno, a paragone di quello del grande Agostino, è come un Grillo a fronte d’un Cavallo; e voi pretendete di correr la lancia e di colpir nel segno, dov’egli se ne ritira nè presume tentarlo? Anzi, quasi buttandosi con quel Filosofo in mare, e dicendo: O abysse, tu me cape, quia te ipse non capio; cento volte ne’ suoi scritti protesta di non sapere, e di non sapere nè anche sapere; e va dicendo: Nescio, et non erubesco confiteri me nescire quod nescio. E a voi come dà l’animo d’aprir bocca e alzar voce per contradire o per dubitare in quello, a che hanno per sedici secoli sottoscritto le penne d’un mondo di dotti, il sangue d’un mondo di martiri, il consenso di tanti popoli, la pruova di tanti miracoli? Con la lucernetta del vostro poco sapere pretendete d’esaminare la luce del Sole? Non può tanto con voi la Sapienza di Dio Maestro, quanto quella di Pitagora co’ suoi scolari? Nobis curiositate opus non est post Christum Iesum, nec inquisitione post Evangelium4.

Altri vi sono di genio per una parte più vile, per l’altra più ostinato, che, giurando in verba Magistri, prendono i testi di qualche antico Filosofo per sagramenti, e le sentenze per oracoli; e in tal modo s’accordano a [p. 75 modifica]confessar Cristo, che non abbiano a negare Aristotele o Platone. Così tengono in equilibrio a pesi uguali di credenza l’Evangelio e la Filosofia.

Quid Athenis et Hierosolymis? Quid Academiæ et Ecclesiæ ? Nostra institutio de porticu Salomonis. Viderint, qui Stoicum et Platonicum et Dialecticum Christianum protulerunt5. Piange anche oggi la Chiesa, e piangeralli per fin che duri il mondo, i danni che la profana e stolta sapienza del secolo le ha fatti; e gli antichi Scrittori d’essa, Padri delle tenebre e Maestri di mille errori, chiamerà sempre, col titolo che loro diede Tertulliano, Patriarchas Hæreticorum6.

Quanto scempio ne’ primi secoli della Chiesa fece Platone, troppo letto, troppo creduto, e con ciò fatto, come disse lo stesso Tertulliano, Hæresum Condimentarium? Lo dica, tacente ogni altro, poichè solo vale per tutti, l’infelice Origene, che d’un’Aquila ch’era, avvezza a metter gli occhi nel Sole della cristiana Sapienza e trarne luci d’altissime verità, trasformato in una Nottola ammiratrice di poche scintille di luce in molte tenebre d’ignoranza e d’errori, tanto divenne Platonico, che alla fine lasciò d’esser Cattolico, perdè la verità nelle favole e la Fede nella Filosofia; e quegli, il cui petto era baciato tamquam Spiritus sancti et coelestis sapientiæ templum, fatto Maestro d’una scuola d’errori e conduttore di ciechi, si pazzamente parlò, che, sì come prima ubi bene nemo melius, così dipoi ubi male nemo pejus7. Quanta strage fa ancor’oggi quello struendi et destruendi artifex versipellis, Aristotile, creduto autore della mortalità dell’anima, che in una parola è quanto dire distruttore della Fede, e padre di quei che vivono, senza anima d’uomo, vita di bestie? Quanti de’ suoi congiurati, qui nihil aliud quam Aristotelem ructant8, quelle sole verità della Fede han per sicure, che s’accordano con gli Oracoli del Peripato? quasi l’Evangelio fosse un grano che s’avesse a raccogliere dalla paglia dell’umana Filosofia, e non un pane di vita sceso dal cielo perchè al gusto del suo sapore [p. 76 modifica]si buttassero dalla bocca le paglie, quæ medullam non habent, nec possunt nutrire discentium populos, sed de inanibus stipulis conteruntur9.

Rane sono costoro, dice Agostino10: Ranæ clamantes in paludibus limosis; (quæ) strepitum habere possunt, doctrinam veræ sapientiæ insinuare non possunt. Or mentre s’aprono i cieli, e s’ode da colasù il Padre, mostrando col dito il Verbo suo Figliuolo, dire ipsum audite, si vuole egli dare un’orecchio a Cristo e l’altro ad Aristotile o a Platone? Cælum tonat, taceant Ranæ11. Dove Cristo insegna, e in lui la Verità, anzi egli Verità sè stesso palesa, mutola è la Sapienza e senza lingua la Filosofia del secolo: Et Philosophia nostra Christus est12.

Note

  1. In Vita Thesei.
  2. Acta Apost.
  3. Herc. furent.
  4. Tertull. de præscr. c. 7.
  5. Tertull. de præscr. c. 7.
  6. Advers. Herm.
  7. Cass. dis. lect. c. 2.
  8. Cyr. Alex. lib. 11. Thes.
  9. S. Hier. l. 4. in Jer.
  10. Serm. 95.
  11. Aug. serm. 109. de temp.
  12. S. Petrus Damian. ser. 57.