Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro settimo – Cap. X

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Libro settimo – Cap. X

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Del pavimento del Tempio, de gli spacii di dentro del luogo de lo Altare, de le mura, et de loro addornamenti.

cap. x.


S
Ono alcuni, che lodano, che nel pavimento del Tempio, et ne gli spatii di dentro si habbia a salire per alcuni scaglioni; et vogliono che il luogo dove si harà a collocare lo Altare per i sacrificii, sia molto più rilevato. I vani et le entrate de le tribune, che sono da gli lati, furono da alcuni lasciati aperti senza serrargli con muro di sorte alcuna, et da alcuni vi furono messe due colonne, et sopra tiratovi medesimamente gli architravi, i fregi, et le cornici in quel modo, che poco fa raccontammo de Portici. Et quel resto del vano che avanzava sopra le cornici, lasciavano aperto per porvi sopra statue et candellieri. Alcuni altri serravano l’entrate a cosi fatte tribune, con duoi muri fatti un di quà et l’altro di là. Chi pensa che per arrogere dignità a un Tempio, si debbino far le mura grossissime, si inganna. Percioche chi è quello, che non biasimasse quel corpo, che havesse qualche membro enfiato oltra modo? Oltra a che per fare le mura troppo grosse, si impediscono le commodità de lumi. Nella Ritonda quello eccellentissimo Architettore havendo bisogno di muro grosso, si servì solamente de gli ossami, et lasciò stare gli altri ripieni, et quei vani, che in questo luogo i poco accurati harebbono ripieni, occupò egli con zane, et altri vani; et in questo modo spese manco, resse la molestia del peso, et fece l’opera più gratiosa. Il muro vuole pigliare le sue grossezze da le maniere delle colonne, cioè che l’altezza sua corrisponda alla grossezza come fanno le colonne. Io hò considerato che gli Antichi nel Tempio usarono di dividere la testa della pianta in dodici parti, o dove e’ bisognasse farlo gagliardissimo, la divisero in nove, et per una di queste parti feciono grosso il muro. Il muro ne Tempii tondi non fu mai fatto da alcuno men’alto che per la metà del diametro del suo vano; molti lo feciono per le due delle tre parti del suo diametro, et alcuni per le tre de le quattro parti di esso diametro, con le quali altezze alzarono il muro di dentro insino al principio del voltare de la cupola. Ma i Maestri più saggi divisono il giro di questa pianta circulare in quattro parti, et secondo una di queste parti distesono una linea, et secondo la lunghezza di quella alzarono il muro di dentro, che corrisponda come undici a quattro; la qual cosa da molti et ne Tempii tondi, et ne quadrati, o in qual si voglia altra sorte di edificii in volta, è stato imitato. Ma dove oltre al muro, hanno da essere di quà et di là nella pianta del tuo edificio altre navi, accioche in quel luogo la larghezza de lo spazzo paia a riguardanti maggiore, alzarono alcuna volta le mura altanto de la larghezza de la pianta: Ma ne Tempii tondi non sarà l’altezza de le mura di dentro quanto quella de le mura di fuori; percioche il fine de le mura di dentro, sarà apunto dove comincierà la volta, ma il fine de le mura difuori bisogna che si alzi in fin sotto le grondaie. Questa parte adunque occuperà di tutta l’altezza de la volta, che è posta sopra le mura, il terzo; se il tetto sarà fatto a scaglioni: ma se il tetto sarà fatto piano col suo pendio ordinario, occuperà a l’hora il muro di fuori in quel luogo la metà de la altezza de la cupola. Il muro nel Tempio sarà [p. 175 modifica]molto commodo se sarà di mattoni, ma si vestirà di varii ornamenti. De lo adornare le mura de Tempii sacri, altri altrimenti hanno giudicato. A Spiga in Asia furono alcuni che adornarono le mura del Tempio con Pietre pulitissime, et ne le commettiture fra l’una et l’altra messono oro massiccio. In Elide al Tempio di Minerva dicono che il fratello di Fidia fece uno intonico con calcina spenta con zafferano et latte. I Re di Egitto cinsono atorno il sepolcro Simandio per sotterrarvi le concubine di Giove, d’un cerchio d’oro alto un cubito, cioè tre quarti di braccio, et di circuito di cubiti trecento sessantacinque, accioche in qual s’è l’uno de cubiti fusse inscritto un giorno de l’anno. Queste cose feciono costoro, et altri feciono al contrario. Cicerone seguendo l’openione di Platone, giudicò che e’ fusse bene avvertire con legge i suoi, che lasciata da parte ogni sorte, et ogni dilicatezza di adornamenti ne Tempii, si ingegnassino di haverlo innanzi tratto candidissimo. Nientedimanco disse, facciasi bellissimo. A me certo si persuaderia facilmente, che a Dio ottimo fusse cosa gratissima la purità et la simplicità del colore, si come gli è la purità de la vita. Et non è cosa conveniente che ne Tempii stieno cose, che sollevino gli animi de gli huomini da pensieri de la religione, et gli voltino a varii piaceri, et dilettationi de sensi. Ma io penso bene che colui sarà molto lodato, il quale et ne le cose publiche, et ne Tempii sacri, pur che non si discosti punto da la gravità, voglia che le mura, et le volte, et il pavimento, sia con ogni industria, et arte fatto et adorno, eccellentissimamente bene, et principalmente da dover durare quanto più è possibile. Perilche gli intonichi di dentro sotto i tetti saranno molto lodati di marmo, o di vetro, o piani, o di rilievo, che si assettino. Ma la corteccia di fuori, secondo che usarono ali Antichi, sarà lodata se la farai di calcina, et di figure, et ne l’una, et ne l’altra harai avvertenza grandissima di porre et le tavole, et le figure in luoghi et seggi convenienti. Et ne’ portici si accommodano molto eccellentemente in pittura le memorie de le gran cose seguite. Ma dentro nel Tempio a me piacciono più le tavole dipinte, che non mi piace il dipingere le facciate de le mura, anzi mi piaceranno più tosto statue che pitture, se già per aventura elle non fussino, come quelle due, che già Cesare comperò mille quattrocento scudi per adornare il Tempio di Venere Genitrice. Et io starò a riguardare una pittura, de le buone, dico, perche egli è un’imbrattare le mura a dipignervi le cattive, forse con non manco piacere d’animo che io mi stia a leggere una buona historia: l’uno et l’altro è pittore, l’uno dipinge con le parole, et l’altro col pennello, l’altre cose sono ad amenduoi pari et communi, nell’una et nell’altra si ha di bisogno di grandissimo ingegno, et di incredibile diligentia. Ma io vorrei che ne Tempii, et ne le mura, et nel pavimento non fusse cosa alcuna, che non fusse tutta filosofia. Io truovo che in Campidoglio erano tavole di bronzo, intagliatevi dentro le leggi, con le quali reggessino l’Imperio. Le quali quando arse il Tempio, furono poi rifatte da Vespasiano Imperatore sino al numero di tremila. Dicono che ne la soglia del Tempio di Apolline in Delo erano intagliati versi, che insegnavano a gli huomini, che compositioni di erbe havessino ad usare contro a qual si volesse veleno. Et io giudicherò che sia bene porvi quelli avertimenti mediante i quali habbiamo ad imparare ad essere più giusti, più modesti, più utili, più ornati d’ogni virtù, et più grati a Dio; come sono quei detti che si leggono: Fa d’esser tale, quale tu vuoi esser tenuto: Ama et sarai amato, et simili. Et vorrei che ’l componimento de le linee del pavimento fusse tutto pieno di linee, et di figure appartenenti a le proportioni, et a la Geometria; accioche da ogni banda fussino eccitati a lo esercitamento de lo animo. Gli Antichi usarono di porre ne Tempii, et ne portici per adornarli cose rare et eccellenti, come nel Tempio di Ercole furono quelle corna de le formiche arrecatevi insino da l’India, o come quelle corone di canella, che Vespasiano condusse nel Campidoglio, o [p. 176 modifica]come quella tazza d’oro che Augusto pose nel Tempio principale del Monte Palatino dentrovi una gran barba di Cinnamomo, o cannella. A Termo in Etolia debellata da Filippo, dicono, che erano ne’ portici del Tempio meglio che quindici mila pezzi d’arme, et per adornare il Tempio meglio che dumila statue, le quali secondo che racconta Polibio furono tutte disfatte da Filippo, eccetto che quelle, ne le quali era o scritto il nome di alcuno Dio, o che rendevano simiglianza alli Dii: et non è forse da considerare manco la gran quantità, che la varietà di si fatte cose. In Sicilia, dice Solino, furono alcuni, che facevano le statue di sale, et una dice Plinio ne fu fatta di vetro. Et certamente che simil cose saranno rarissime, et oltra modo degne fuor de la oppenione de la natura, et de gli ingegni de gli huomini. Ma parleremo altrove de le statue. Mettesi de le colonne ne le mura, et si applicano a vani: Ma non con il medesimo ordine che ne portici. Et ho considerato questo ne Tempii grandissimi che non havendo forse colonne, che servissino a bastanza a tanta grandezza di fabrica, e’ dettono tanto di diritto a le mosse de le volte, che quella saetta, che da la sommità de gli archi de le volte si tirasse sino al piano, rincontro a le mosse de le volte fusse un terzo più lunga del suo mezo diametro, la qual cosa ancora accrebbe bellezza a l’opera, perche rilevandosi la volta alquanto più in alto, diviene (per dir cosi) alquanto più agile, et più espedita. Nè penso che in questo luogo sia da lasciare indietro che ne le volte le mosse delli archi hanno ad havere oltre al mezo diametro, tanto di diritto al manco, quanto ne tolgono gli aggetti de le cornici a coloro che stando nel mezo del Tempio alzano gli occhi all’insuso.