Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro settimo/32. Continua

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[p. 133 modifica]32. Continua. — Nel 1792 (morto giá Leopoldo imperatore al primo marzo, e succedutogli suo figliuolo Francesco II), si mossero gli alleati contra Francia dal Reno. Ma furono respinti a Valmy, a Jemmapes, e perdettero il Belgio e la riva sinistra di quel fiume fino a Magonza. E in Italia, mentre erano per via gli austriaci in aiuto a re Vittorio Amedeo III di Sardegna, furono tolte a questo d’un tratto, senza buona resistenza, Savoia e Nizza [settembre]. — Nel 1793 [21 gennaio] salí sul palco Luigi XVI. Entrarono allora nell’alleanza molti principi che non v’erano ancora, e fra gli altri il papa e Napoli; e si sollevarono la Vandea, Lione, Marsiglia e Tolone, data poi in mano ad inglesi, a piemontesi, a napoletani [27 agosto]. Quindi, i repubblicani guerreggiavano infelicemente dentro e fuori; e perdean Belgio, Magonza e la sponda sinistra del Reno, fino alla fin dell’anno, che sotto Hoche ripresero le linee di Weissembourg e Landau. In Italia una flotta francese tentò la Sardegna, ma fu respinta [24 gennaio]. Corsica si sollevava contra [p. 134 modifica]Francia sotto Paoli, tornatovi da qualche tempo; e vi venivan poi gl’inglesi, ed eran ricacciati all’ultimo; di che, come di provincia oramai tutta francese, non diremo altrimenti. Intanto i piemontesi ed austriaci tentarono riprendere Savoia e Nizza, e dar la mano a Lione e Tolone. Combatterono non senza vigore [8, 12 giugno] al colle di Rauss nelle Alpi marittime; ma furono respinti in ogni altro luogo; e caddero poi Lione [9 ottobre] e Tolone [19 dicembre]. A questa ripresa di Tolone, Napoleone contribuí come ufficiale d’artiglieria. Quest’anno 1793 fu il bruttissimo della storia interna di Francia. Ma confessiamolo a gloria di quel popolo; quella bruttezza fu ricompra dalla magnifica difesa della indipendenza. Salvo i regi, tutti s’unirono a tal difesa. Né serve attribuirla, come fanno alcuni, chi a Carnot, chi al terrore di Robespierre e consorti; né Carnot né il terrore non avrebbon valuto, senza quel sentimento d’indipendenza che fu solo buono rimasto allora a’ francesi, che fu tanto piú forte forse perché solo buono lor conceduto, e che bastò a ricondur poi la nazione a poco a poco a tutti gli altri, salvo la costanza. Alla quale pure essi verranno: ché quanto piú si scorron tempi o paesi, piú si vede confermato che questo sentimento genera, tosto o tardi, tutti gli altri buoni. — Nel 1794 poi, mentre cessava [28 luglio], per il supplizio di Robespierre e de’ suoi complici principali, quella somma tirannia che fu detta il Terrore, gli eserciti repubblicani uscivan di nuovo di Francia da ogni parte, riprendevano Belgio e la riva sinistra del Reno, invadevano Olanda e Spagna. In Italia s’avanzavan meno; trattenuti dall’esercito piemontese, non prendeano che le somme Alpi al piccolo San Bernardo, al Moncenisio, all’Argentiera. Ma tra l’Alpi marittime e l’Appennino violavano [aprile] la stolta neutralitá di Genova, e s’allargavano nella riviera di ponente, e né per questo si riscuoteva Genova. Né si riscuoteva Venezia, l’altra decrepita aristocrazia. Quindi, i francesi prendean Saorgio e il Col di Tenda ed altri passi, e scendean qua e lá in Piemonte. Combattessi principalmente [21 settembre] a Dego, destinato a maggior rinome. In quest’anno [23 maggio] a Valenciennes fu firmato tra Sardegna ed Austria [p. 135 modifica]un trattato, che sarebbe stato fatale se non fosse stato stoltissimo allora ed annullato da’ fatti poi; un trattato, per cui casa Savoia dovea disfar l’opera de’ maggiori, riportar sua potenza in Francia, restituendo ad Austria altrettante province verso Lombardia. — Nel 1795 finalmente, quando i repubblicani francesi ebber riuscito a far una repubblica di due assemblee legislative con un Direttorio esecutivo [4 novembre], allora cominciarono a far paci colle potenze nemiche. E prima (brutto vanto) con Toscana [9 febbraio], che non era mai entrata né avrebbe potuto entrar seriamente in guerra; poi con Prussia [5 aprile], con Olanda [16 maggio], con Ispagna [22 luglio]. Quindi, giá non rimanendo essi in guerra continentale se non contro ad Austria e all’imperio e Piemonte, incominciarono in Germania a passar il Reno; ed in Italia ritentarono gli Appennini, e vinsero a Loano [23, 24 novembre], ma furono pur trattenuti al di lá. — Ma l’anno 1796 vide mutarsi a un tratto i modi e la fortuna di quella guerra, l’Italia, l’Europa, per l’elezione di Napoleone Buonaparte, giovane di ventisei anni, al posto di generale dell’armata d’Italia [29 febbraio]. Giuntovi appena [26 marzo], si cacciò tra l’Appennino, al centro della linea di difesa nemica, tra austriaci che vi stavano a sinistra verso Lombardia, e piemontesi a destra verso Piemonte. Vinse or gli uni or gli altri di qua, di lá, a Montenotte [11 aprile], a Dego [12], a Millesimo [14], a Mondoví [22]. E lí presso a Cherasco [28], i piemontesi abbandonarono la guerra, fecero una brutta tregua, mutata poi [18 maggio, a Parigi] in brutta pace; per cui lasciavano l’alleanza, cedean Savoia e Nizza; davano in mano ai francesi le migliori fortezze dello Stato, quelle fortezze vergini d’assalto, in cui e con cui avrebbon potuto e dovuto resistere, e cui date, si facean servi. Fu incredibil viltá, comparata alla virtú antica dei piemontesi, di casa Savoia; ma essi avean fatte almeno quattro campagne, una brutta, ma tre belle; avean tenuto lo straniero quattr’anni su quell’Alpi e quegli Appennini, ove eran accorsi con essi pochi austriaci, non un altro italiano. Conchiudiamo, che allora il migliore Stato italiano valea poco, gli altri nulla. — Intanto Buonaparte proseguí sua invasione, sue [p. 136 modifica] vittorie. Subito passò il Po a Piacenza [7 maggio], concedé una tregua con multa al duca di Parma [9], combatté e passò l’Adda a Lodi [9]; entrò in Milano [15] trionfante ed applaudito da’ repubblicani, o, come li chiama Botta, gli «utopisti» italiani, esecrato dal grosso delle popolazioni che si sollevarono qua e lá. Trattenutone pochi dí, riavanzò, passò l’Oglio, entrò nel territorio della moribonda Venezia, che per la terza o quarta volta deliberò non tra pace o guerra, ma tra neutralitá armata o disarmata, e s’appigliò a questa. E vincendo poi a Borghetto [28 maggio], entrò in quel campo di guerra tra Mincio ed Adige, dove egli, il giovane ed arditissimo de’ capitani antichi o moderni, vi si fece quasi un Fabio indugiatore, vi si fermò, vi si piantò, vi aspettò quattro eserciti nemici, contentandosi di vincerli in una guerra difensiva e lunga di otto mesi intieri, dove poi quella devota vittima di Carlo Alberto non fu rimasto un mese senza che i capitani di bottega, di setta, di piazza, od anche di piú autorevoli assemblee, lo spingessero ad uscire, ad avanzare, a correr paese, a dar la mano a chiunque si sollevasse, a guarnir l’Alpi, ad estendersi, a perdersi, a perder la piú bella occasione che sia stata mai all’Italia. Ed a piú dolore e piú vergogna si ritenga, che il gran capitano francese aveva, lasciategli da’ veneziani, Peschiera, Legnago e Verona, mentre l’infelice italiano aveva contro sé queste tre fortezze, l’ultima delle quali accresciuta a tal segno da annullare in paragone l’importanza di Mantova stessa, e da essere il baluardo, la piazza d’armi, il palladio della potenza austriaca in Italia. Cosí dismessa ogni altra impresa, ogni altra idea, ogni altro pensiero, avesse egli assalito Verona seriamente, lentamente, destinandovi i mesi, gli anni, qualunque tempo! Ma, sinceramente, era egli possibile ciò? Forse sí; ma se mai, co’ due modi napoleonici: primo, lasciar dire, e ridur la guerra a quell’impresa; secondo, minacciar di far fronte addietro, contro ai perturbatori della patria. Ma non erano né dovevano essere modi nostri. Vi pensi, sí, per un’altra volta, l’Italia. I campi di guerra dati dalla natura non si mutano per andar de’ secoli; l’arte, rinforzandoli, li fa anzi piú importanti. E da Mario e i cimbri, o forse prima, fino [p. 137 modifica]a noi, quel campo di Mincio ed Adige fu, è e sará quello ove si combatterá, se mai, la causa nostra. Diavi allora la patria campo libero, e senza disturbi a’ suoi soldati. Chi sta al terribile ed onorato gioco dell’armi è suscettivo, concitabile, iroso, e, se sia lecito dire, nervoso. Rispettate i combattenti, non disturbateli; non meno che le loro ire, temete le loro svogliatezze; serbate loro alacritá, lasciateli vincere una volta; e ricompensateli poi, se vi paia, coll’ingratitudine. Non sará il primo esempio; ma intanto voi sarete stati liberati. — Sei giorni appresso, Buonaparte accerchiò Mantova [3 giugno]. Cosí collocato, die’ alcuni giorni, e gli bastarono, ad assicurarsi, a spalla, degli Stati minori italiani. Entrò a Modena [19], poi a Bologna, in Toscana [26]; gettò un presidio a Livorno, e firmate tregue con Napoli e col papa, tornò dinanzi a Mantova. Ivi egli era minacciato da un secondo e grande esercito austriaco, che scendea sotto Wurmser per Tirolo, dai due lati del lago di Garda. Al 29 furono assaliti i posti francesi. Al 31, quel giá sommo de’ capitani moderni abbandonò l’assedio, si volse tutto alla guerra campale; ed in sei dí, vincendo a Lonato [3 agosto] e a Castiglione [5], rigettò Wurmser nelle Alpi tirolesi. Ma rifattovisi questo e minacciando nuova discesa, di nuovo Buonaparte prese l’offensiva; e combattendo dal 3 al 5 settembre, risalí Tirolo fino a Trento: poi, non trovatovi Wurmser che scendea intanto per Val di Brenta, ve l’inseguí con magnifica risoluzione, a Bassano, a Legnano, e lo ridusse a buttarsi in Mantova [13]. Allora, libero di guerra campale, ricominciò e spinse l’assedio. — Ma minacciava intanto dal Friuli Alvinzi con un terzo esercito, la terza campagna austriaca dell’anno; bella costanza da svergognare le debolezze italiane. Le virtú degli avversari son le piú importanti a riconoscere, per prenderle e vincerle. Al 10 ottobre Napoli, al 5 novembre Parma firmavan lor paci con Francia. Modena, Bologna e Ferrara, occupate e sommosse da’ francesi, si dichiaravan libere, formavano l’efimera repubblica cispadana [16 ottobre]. Il medesimo dí, morto Vittorio Amedeo III, succedeva Carlo Emmanuele IV figliuolo di lui, nel regno occupato ed asservito; nel regno che, egli principe buono [p. 138 modifica]e pio, tenne pochi anni poi, quasi una sventura, una penitenza, una croce. Il dí 1º novembre Alvinzi passò la Piave, ed in vari combattimenti respinse l’esercito francese sull’Adige, fece pericolar la fortuna di Buonaparte. Ma a un tratto, questi scende da Verona per la destra d’Adige, il passa, prende in fianco Alvinzi, lo sconfigge ad Arcoli [15, 16, 17 novembre], e torna quindi all’assedio di Mantova. Tal fu l’anno 1796, che rimarrá famoso sempre nella storia militare, per l’arte innalzata al sommo dalla giovanile e meravigliosa facoltá inventiva di Buonaparte. In Germania gli eserciti francesi avanzati oltre Reno, erano sforzati a indietreggiare dall’arciduca Carlo, e facevano una bella ritirata sotto Moreau; ed anche queste operazioni e questi capitani sono gloriosi. — L’anno 1797 s’aprí con una quarta discesa austriaca, una quarta difesa offensiva e nuove vittorie di Buonaparte. Alvinzi ridiscendea dall’alto Adige, Provera assaliva sul basso [12 gennaio]. Buonaparte corre al primo, e lo vince a Rivoli [14]; corre al secondo giá arrivato alla Favorita dinanzi a Mantova, e vince lui e Wurmser uscito dalla piazza, e prende il primo, e fa rientrar il secondo [16]; ondeché questi, ridotto agli ultimi, in breve capitolò [2 febbraio]. Ed ora, ad uno solito ed anche buon capitano sarebbe paruto tempo di riposar l’esercito; ma non a Buonaparte. Mossosi contra il papa, firmava [19 febbraio] la pace a Tolentino, facendosi cedere (oltre Avignone) Bologna, Ferrara, le Legazioni, trenta milioni. Poi, addí 10 marzo, moveva Joubert per il Tirolo, Massena per la Ponteba, se stesso al Tagliamento, per finir la cacciata degli austriaci dall’Italia, per passare d’Italia ad Austria, quell’Alpi tante volte passate a rovescio; un esercito francese doveva venirne a dar l’esempio. L’arciduca Carlo, il piú grande de’ capitani che abbiano combattuto Francia fino a Wellington, comandava quel rinnovato e forte esercito austriaco che era il quinto da un anno. Ma addí 16 Buonaparte vinse al Tagliamento, addí 19 all’Isonzo; varcate l’Alpi, si trovava addí 31 a Klagenfurth, riunito con Massena, presso a riunirsi con Joubert. Intanto, a sue spalle sollevavansi contro a lui Bergamo [12], Brescia [17], Salò [24], Crema [28]; tutte quelle popolazioni veneziane che la [p. 139 modifica]vil repubblica non aveva sapute usare contro all’invasore in faccia, che ora ella gli sollevava o si sollevavano a spalle, opportunamente come poteva parer allora, piú inopportunamente che mai, come si vide in breve. Buonaparte sentí il pericolo, accresciuto dal non saper che gli eserciti francesi del Reno avesser incominciate lor mosse; temé aver tutta Austria dinanzi, tutta Italia addietro; propose negoziati [31]. Ma rifiutato, riavanzò arditamente, combattendo a Unzmark [3 aprile], e fino a Leoben [7]. Allora Austria, minacciata al cuore, domandò essa l’armistizio. Fecesi di cinque giorni. Finiva addí 13 al mattino; arrivarono in quel punto i plenipotenziari austriaci a trattar pace. Trattossi altri cinque dí; e firmaronsi i preliminari lí a Leoben, addí 17. Austria cedeva il Belgio e il Milanese da rivolgersi in repubblica; doveva compensarsi in Germania coi principati ecclesiastici da abolirsi, in Italia col territorio di Venezia fino all’Oglio; rimanendo Venezia da compensarsi colle Legazioni e Modena, cioè colla efimera repubblica cispadana: stranissimo riparto della schernita Italia. Ma il dí prima de’ preliminari [17], che era un lunedí di Pasqua, anniversario de’ vespri siciliani, sollevavasi Verona, facevansi vespri veronesi. Ridiscese quindi il gran vincitore e mal pacificatore dall’Austria in Italia; mandò sue minacce, suoi ordini, sua vendetta a Venezia, ed egli, con stupenda arte di perfidia, si scostò dall’esecuzione, fu ad aspettarla a Milano. Addí 12 maggio, in gran Consiglio, la vile aristocrazia veneziana abolí se stessa, restituí, diceva, la libertá alla nazione, cioè a una repubblica democratica, cioè a una municipalitá alla francese. Questa chiamò gli stranieri addí 16. E, al medesimo dí, le medesime condizioni, i medesimi patti pattuivansi in Milano, tra i plenipotenziari veneti e Buonaparte! Talmente a cenni, a dito del vincitore fu consumata quella distruzione d’uno Stato di mille anni. Seguirono moti in Genova, per cui anche quella repubblica fu mutata da aristocratica a democratica francese, e prese nome di «ligure»; moti nella Valtellina contro a’ grigioni, per cui Buonaparte, fatto arbitro, tolse quella provincia a’ grigioni e diedela alla repubblica cisalpina, che stavasi, come si disse allora, organizzando. E seguirono negoziati, dapprima di [p. 140 modifica]pace generale in vari luoghi, e poi, rotti quelli, di pace particolare tra Francia ed Austria presso a Campoformio; e Buonaparte in persona li condusse, vi tiranneggiò Austria, Francia, Italia a modo suo. Rigettato da Cobentzel il suo ultimatum, ruppe addí 16 ottobre; e addí 17 fu accettato quello, e fattane pace definitiva. Francia (giá accresciuta di Savoia, Nizza, Avignone) rimase accresciuta del Belgio e della riva sinistra del Reno; e questi e gli altri ordinamenti germanici rimandati legalizzare ed ultimare a un congresso futuro a Rastadt. Venezia e la efimera repubblica cispadana sagrificate del tutto; Austria compensata in Italia con Venezia e tutto suo Stato (salvo l’isole) fino all’Adige. Una repubblica cisalpina (brutto nome che sottintendeva «Francia») costituita a Milano, e formata di Lombardia, Modena e le Legazioni. — Napoleone fu incontrastabilmente il piú gran capitano di questo e molti, e forse tutti i secoli; e l’anno non corso intiero, dall’11 aprile 1796 al 7 aprile 1797, basterebbe a dargli tal vanto. Ma Napoleone fu, senza dubbio, mediocre politico ad ordinare Stati internamente, pessimo ad ordinarli insieme, a rifar quella carta d’Europa che egli tanto pur meditò e rimutò. Negli ordinamenti interni, non badava a libertá, negli esterni, non a nazionalitá; né in quelli né in questi, ai desidèri, ai voleri, al potere dell’opinione universale. Nei tanti riordinamenti che fece d’Europa, non badò mai a limiti, a schiatte, a lingue, a natura; non ebbe mai l’idea, sola effettuabile durevolmente, di costituir nazioni. Qui non pensò a costituir l’italiana che era pur sua, o del padre e della madre sua: egli non vi lasciò solamente, vi accrebbe fin d’allora la potenza austriaca; egli ve la stabilí in modo da far l’Italia settentrionale campo inevitabile di nuove lotte tra Francia ed Austria, campo di servitú alla prima di queste per pochi anni, alla seconda Dio sa per quanti; egli fu il primo inventore degli ordinamenti del 1814 e 1815. Vero è che vi fu aiutato dall’incredibile stoltezza di quasi tutta Italia, della rimbambita Venezia principalmente, e di quelle popolazioni sollevatesi appunto appunto per autorizzar chi le voleva sacrificare.