Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831/Il viaggio di Pulcinella/Scena ottava
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Il viaggio di Pulcinella
Scena ottava
Scena ottava
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SCENA OTTAVA.
Pulcinella, il Dottore, e un Professore della Università.
- Il Dottore
- È questa il portone della Università?
- Il Professore
- Sì, è questo; cosa desiderate?
- Il Dottore
- Desideriamo di parlare con un filosofo per essere ammaestrati nelle cose della rivoluzione.
- Il Professore
- Se non volete altro, ogni professore è al caso di compiacervi, e posso farlo io medesimo.
- Il Dottore
- Forse nella università non s’insegna altra scienza che questa?
- Il Professore
- Al contrario, s’insegnano tante scienze che oramai sono più i professori degli scolari, ma la scienza della rivoluzione s’insegna da tutti. Senza di noi la rivoluzione non si sarebbe mai fatta.
- Pulcinella
- Forse i principi vi pagavano a posta perchè insegnaste ai loro sudditi la rivolta?
- Il Professore
- Lasciamo questo discorso, e domandate quello che volete sapere.
- Il Dottore
- Ditemi di grazia, cosa si guadagna con la rivoluzione?
- Il Professore
- Oh bella! Si guadagna il tesoro inestimabile della indipendenza e della libertà.
- Il Dottore
- E in cosa consiste la libertà?
- Il Professore
- Consiste in questo, che ognuno è libero di fare tutto quello che gli piace, senza venire costretto da nessuno.
- Pulcinella
- Ammazzare, rubare, barattarsi un poco le mogli.....?
- Il Professore
- Questo no, e s’intende che ognuno può fare liberamente tutto quello che non è proibito dalla legge.
- Il Dottore
- Dunque anche nel regno della libertà ci sono questi impicci delle leggi e delle proibizioni?
- Il Professore
- Come potrebbe sussistere una nazione senza leggi?
- Il Dottore
- Questo va bene, ma quando ha da essere così, è lo stesso che vivere sotto il comando dei re. Anche nei governi assoluti ognuno è libero di fare tutto quello che le leggi permettono.
- Pulcinella
- Anche i Turchi, quando si sentono il palo fra le natiche, sono liberissimi di fare quello che vogliono purchè ubbidiscano alle leggi e ricevano quel serviziale.
- Il Professore
- Nei governi assoluti il sovrano è il re, e le leggi si fanno dal re, laddove nei governi costituzionali il sovrano e il popolo, e le leggi si fanno dal popolo.
- Il Dottore
- Ditemi un poco, nei governi costituzionali ciascheduno del popolo siede sul trono e detta le leggi?
- Il Professore
- Vedete bene che questo non può essere. Nei governi costituzionali per certe apparenti formalità si mette sul trono un Luigi Filippo di carta, il quale non conta niente e riceve un tanto all’anno per fare la figura di re. Le leggi però si fanno dai rappresentanti della nazione, e in sostanza la sovranità si esercita da quelli.
- Il Dottore
- Dunque anche nei governi costituzionali quelli che comandano sono pochi, e a tutti gli altri resta solo ubbidire?
- Il Professore
- Ma i rappresentanti vengono eletti da tutto il popolo, il quale commette ad essi di esercitare la sovranità in suo nome.
- Il Dottore
- Tutti, tutti del popolo sono elettori dei rappresentanti? Uomini, donne, facchini, pescivendoli, ruffiani....?
- Il Professore
- Oibò, oibò. Sono stabilite certe classi più distinte, alle quali soltanto appartiene il diritto delle elezioni.
- Il Dottore
- Dunque tutti quelli che non sono compresi in queste classi non sono popolo sovrano nè poco, nè assai, e anche nel regno della costituzione non hanno altra parte fuorchè quella della ubbidienza. Questa cosa non è un poco contraria ai diritti dell’uomo?
- Il Professore
Non già, perchè la natura istessa dell’uomo rende indispensabile che le classi escluse rinunzino a qualunque esercizio della sovranità e si contentino di stare al fatto degli altri per il buon ordine del mondo e per il vantaggio della società.
- Il Dottore
- Questa cosa la intendo bene: ma ditemi, signor professore, se per il buon ordine del mondo e per il vantaggio della società, la maggior parte del popolo deve rinunziare tutta la sua sovranità vivendo sempre nell’ubbidienza e questo non è contrario ai diritti dell’uomo; perchè sarebbe contrario a tali diritti che anche i pochi elettori dovessero rinunziare le loro porzioni di sovranità per maggior quiete del mondo e per un vantaggio sociale tanto più grande, come sarebbe quello di tenersi un re in santa pace e non avere nè la rivoluzione, con tutti i suoi subbissi, nè la carta, nè la camera di deputati, nè tumulti, nè miseria, nè stragi, nè sangue, nè gloriose giornate?
- Il Professore
- Questa è una difficoltà alla quale non avevamo pensato prima di fare la rivoluzione.
- Il Dottore
- Poco male; ci penserete dopo. Frattanto facciamo un piccolo conto. In Francia sono trenta milioni di abitanti, e fra questi gli elettori saranno appena un mezzo milione. Dunque di sessanta parti del popolo, cinquantanove parti sono popolo suddito come in tutto il resto del mondo e non assaggiano mai neppure un fragmento di sovranità.
- Il Professore
- Si intende.....
- Il Dottore
- Di grazia; lasciatemi finire il conto. Quando viene il caso delle elezioni, un terzo almeno degli elettori è ammalato, ovvero impedito in qualche altro modo, sicchè in realtà le elezioni si fanno al più al più dalla centesima parte della nazione. Queste elezioni poi si fanno ogni cinque o sei anni una volta, e perciò un uomo potrà esercitare l’uffizio di elettore cinque o sei volte in vita e non più. Dunque novantanove centesimi del popolo francese non sono sovrani mai, e i francesi del centesimo elettorale esercitano la sovranità per cinque o sei minuti nel corso di tutta la vita con mettere una fava dentro il bussolotto delle elezioni. Vi pare che questa sia una vera sovranità, oppure una buffonata che farebbe smascellare di risa Bertoldo con tutti li Bertoldini?
- Il Professore
- E la camera dei deputati, in cui risiede sostanzialmente l’esercizio della sovranità, non è tutta composta di popolo?
- Il Dottore
- Verissimo; ma facciamo ancora un altro conto. Li quattrocento deputati della camera corrispondono a un deputato per ogni settantacinque mila francesi, e perciò di tutta quanta la Francia settantaquattro mila novecento novantanove parti sono suddite, ubbidiscono e stanno al fatto altrui come in tutto il resto del mondo, e una sola particella insensibile a fronte del tutto, è quella che gode qualche esercizio di sovranità. Ditemi dunque in coscienza vostra, che male ci sarebbe se anche questa particella insensibile fosse suddita come tutti gli altri francesi, e se la Francia intiera si lasciasse governare in pace da un re sovrano, piuttostochè farsi governare tumultuosamente da una camera sovrana che fa tutto il giorno a capelli e scandalizza il cielo e la terra!
- Il Professore
- Così si tornerebbe al potere assoluto; il popolo non sarebbe più sovrano, e le leggi non si farebbero dal popolo, ma dal re.
- Il Dottore
- Forse, il re è qualche bestia feroce la quale abbia bisogno di satollarsi con lo sbranamento dei sudditi? Al contrario il re è il padre e il padrone del popolo. Se anche non sentisse l’amore di padre, sentirà sempre quell’interesse che sente ognuno per tutto ciò che è suo, e le leggi del re saranno sempre dirette al bene del popolo, perchè il popolo è suo, e nessuno può volere il danno di quello che gli appartiene.
- Il Professore
- Ma il re può ingannarsi, e può venire ingannato.
- Il Dottore
E i deputati della camera possono ingannarsi molto di più, perchè nel cuore del re parla una passione sola, la quale è difficilmente contraria agli interessi del popolo, ma nel cuore dei deputati parlano tutte la passioni private, le quali molto spesso contrastano con gl’interessi del pubblico. Anzi, osserva di grazia. Nella camera nessuna legge passa con la unanimità dei voti; ma chi la vuole, chi non la vuole, e dei due partiti, uno deve certamente ingannarsi e stare dalla parte del torto. Se dunque anche molti deputati della camera s’ingannano sempre, chi assicura la nazione che l’inganno sia nella minorità che soccombe, e non sia nella maggiorità che prevale?
- Il Professore
- Questa sicurezza al mondo non ci può essere, e nelle cose umane ci è sempre il pericolo di qualche errore.
- Il Dottore
- Anche questo va bene; ma se per destino dell’umanità le nazioni devono contentarsi di essere esposte agli errori dei deputati, perchè non dovranno contentarsi di essere esposti agli errori meno facili e meno pericolosi dei re?
- Pulcinella
- Signor professore, perchè vi andate torcendo? Forse quando insegnate la rivoluzione, siete soliti di ragionare coi piedi, e vi travaglia lo stomaco se udite ragionare con la testa?
- Il Dottore
- In conclusione, in un regno costituzionale si gode la libertà, ma non Si può fare niente fuori di quello che è permesso dalla legge; il popolo è sovrano, ma di 75 mila parti del popolo 74999 parti ubbidiscono sempre e non esercitano mai nessuna sovranità; i deputati della nazione fanno le leggi coi voti, e non si sa se dica bene la pluralità che le approva, ovvero la minorità che le rigetta. Signor professore, dite la verità, nel regno della costituzione ci sono altri vantaggi?
- Il Professore
- Che sappia io non ci è altro.
- Il Dottore
- Quando è così, scusate l’incomodo, e non ci bisognano altre lezioni. La rivoluzione sarà bella e buona per li professori dell’università, ma tutto il resto del mondo sta peggio dopo che prima. Signor Pulcinella, andiamo per la nostra strada.
- Pulcinella
- Signor maestro, vi riverisco. Continuate a predicare la rivolta, e così sarete un uomo veramente onorato, e vi mostrerete fedele al re che vi paga per ammaestrare la gioventù.