Diario di Nicola Roncalli/1852

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3 Gennaio. — Nella mattina del giorno 1° gennaio si trovarono dall’Arco de’ Carbognani fino al Caffè Nuovo una quantità di piccoli berretti repubblicani di carta, sparsi nella notte precedente.


15. — Nella sera dell’11 corr., in un’osteria presso la salita di Marforio, vi fu gran trambusto tra soldati francesi ed alcuni artigiani. Un soldato francese, con una sassata sul capo, fu ferito gravemente. Gli abitanti di quella contrada vi presero parte e gettarono proiettili dalle finestre contro i Francesi che dovettero fuggire. Si fecero numerosissimi arresti (26 persone).

Nella stessa sera un soldato francese fu colpito, proditoriamente, con una sassata mentre sedeva tranquillamente al caffè in via Alessandrina.


11 Febbraio. — Il giorno 9, essendo l’anniversario della repubblica, non mancarono le solite imprudenti dimostrazioni demagogiche.

[p. 253 modifica]La sera precedente fu innalzato un piccolo globo areostatico presso il Colosseo. La mattina furono esplosi varii involti di polvere presso il Campidoglio, la Consulta e S. Andrea delle Fratte, il cui rombo fu inteso a molta distanza.

Nella sera del giorno 9 fu acceso un fuoco di bengala sulla piazza della Cancelleria vicino al quartiere francese. Presso piazza Agonale fu fatta un’altra esplosione di polvere incartata.

Alcuni giovinastri furono arrestati sul fatto. Essi appartengono alla classe di falegnami e manescalchi.

Fu sparsa la voce che in tale giornata, dalla setta demagogica, doveva essere pugnalato monsignor Savelli, ministro dell’Interno.


14. — In data dei 7 corrente, per riparare allo sbilancio della finanza, fu aumentata di un bimestre la Dativa. Oltre a ciò, fu aumentato dai bajocchi 2 1|2 a 3 il sale, ed alcuni generi coloniali furono aumentati di dazio. Ai Comuni fu imposta un’altra somma di scudi 250,000.

Ciò produsse un malcontento generale.

Nella mattina dei 15 corrente, fu trovato affisso per la città un foglietto nel quale si leggeva; «Il popolo vuole libertà di lavoro, meno tasse, meno giubilei».


21. — In casa di un tale Luigi Jacopini, ex impiegato alla zecca, si rinvenne un deposito di 15 bombe di cristallo intonacate di gesso, con quattro stili.

[p. 254 modifica]Le bombe dovevano essere incendiate in varii punti del Corso giovedì grasso, al segnale del 1° sparo di mortaletti. Quindi, approfittandosi della confusione, si doveva fare un eccidio di varie persone designate al pugnale e risultanti da una nota che, similmente, fu trovata. Fra queste vi sono il generale Gemeau, il cardinale Antonelli, M. Ruflni.

Il Jacopini fu arrestato all’istante insieme a varii complici. Fra questi vi sono un Bizzarri, un Flamini, un Fazi, due fratelli Lipari, due fratelli Fabbri, fratelli Stadarini.

La Polizia, non ostante il discoprimento della congiura, prese le necessarie precauzioni perchè la pubblica tranquillità non fosse turbata.

Molti, che avevano avuto sentore della cosa, si astennero dall’andare al Corso.


28. — Gli arrestati politici dal 19 cadente in poi, per la nota congiura, si assicura che siano 47.

I rei principali sono soltanto tre, cioè: Luigi Jacopini, — Bizzarri, — Fazi.

Gli altri sono meramente sospetti.


3 Marzo. — Il figlio di un cadetto del principe Ruspoli fu carcerato, ultimamente, come uno degli autori degli spari di esultanza per l’anniversario della repubblica. Si dice che in carcere gli sieno state date 25 legnate1.

[p. 255 modifica]Si proseguono le intimazioni di esilio a carico di individui turbolenti. È stato esiliato un Federici, figlio unico di uno dei primarii giureconsulti.

Si dice che ai compromessi nella congiura sia stato messo in scelta l’esilio piuttosto che sottostare all’esito d’un rigoroso processo.


30. — Da varii giorni circola per Roma un libello dei più infamanti contro il cardinale Antonelli.

Esso è il seguente:

«Il Dagherotipo.


«Arcigno, rio, saracinesco muso
Sicario infame, a nordici flagello,
Poiché fedel conservi il patern’uso2
Pur se' glorioso, o perfido Antonelli.
Degno ministro, anzi padrone intruso
Del più vii, dei vilissimi ribelli
Che Papa, ha nome e che si ben t’abbraccia
O arcigna, ria, saracinesca faccia».


27 Aprile. — Un Baldassarri, ex-direttore della stamperia Camerale, una delle prime vittime dei pro-ministro delle finanze, non ha guari, fece stampare, clandestinamente, un opuscolo contro di Galli3, corredato d’interessanti documenti e lo [p. 256 modifica]diresse al Papa con sopraccarta «Affari di coscienza e perciò riservato al Papa solo».

Il suddetto opuscolo fu dal Santo Padre passato al Consiglio dei ministri di Stato. S’ignora con quali istruzioni.

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19 Giugno. — Si assicura, generalmente, che i ministri pontifici fecero qualche rimostranza a Vienna relativamente alle truppe di occupazione. Osservavano , in particolar modo, che se ne faceva figurare un maggior numero del reale; che in Bologna vi era uno Stato Maggiore eccessivo, e perciò si chiedeva di diminuire la contribuzione di scudi 80.000 che paga il Governo pontificio.

Il comandante austriaco, istrutto di tale rimostranza, se ne offese, e dichiarò non esser anzi sufficiente ed esser doverosa la suddetta somma, e che ne pretendeva perciò una maggiore, unitamente agli arretrati dal principio dell’occupazione.

La somma arretrata si fa ascendere a due milioni di scudi.

Alcuni impiegati delle finanze assicurano che si sia inviato un acconto di scudi 800.000.

Si è stabilito di spedire a Vienna un tal Nonnini, uno dei principali impiegati nella computisteria Camerale, per coadiuvare il Nunzio nella liquidazione dei conti relativi all’occupazione militare.

Si assicura, da provenienza accreditata, che, dopo nuove rimostranze fatte a Sua Santità sugli attuali ministri, i medesimi, nel dì della Pentecoste, si consideravano come rinunciatarii, e di già si stabiliva un prossimo Concistoro. Se non che un abboccameuto di 20 minuti, tenuto da S. Santità col conte Mastai, bastò per paralizzare nuovamente ogni cosa.

Intanto proseguono le lagnanze sulla ingiusta ripartizione della tassa d’industria, ed il Governo, [p. 258 modifica]a ripararvi possibilmente, sta concertando commissioni per inviarle nelle provincie onde verificare se la tassa sia stata debitamente ripartita.

Contro il ministero delle armi si avanzarono reclami per la sua inazione, imperciocché vi sono nove mila posizioni arretrate.

Il pro-ministro delie finanze conservava tuttora la qualifica ed il soldo come computista della Trinità de’ Pellegrini. Per non pagare la tassa, preferì di rinunziare a quel tenue impiego.

Il suddetto pro-ministro, non ha guari, acquistò, per proprio conto, le mole di S. Pietro Montorio, appartenenti ai fratelli Ricci, per la somma di scudi diecimila.

Ultimamente, si recò ad esaminare la villa Meliini, posta sul monte Mario, per trattarne l’acquisto.

Tratta similmente di acquistare il palazzo Marescotti.

Si assicura abbia acquistato, insieme con i fratelli Antonelli, una porzione delle paludi Pontine per la somma di sopra a centomila scudi.

In Castelnuovo di Farfa, in Sabina, divenuto oramai suo feudo, con le rendite del Comune, rese carrozzabili ed adagiate tutte le strade che conducono alle immense sue possessioni.

Intanto le finanze dello Stato corrono sempre più a precipizio. Dopo il ripristinamento del Governo pontificio, si aumentò un debito di 14 milioni di scudi. Il totale del debito a tutt’oggi è di quarantasette milioni di scudi.

Il pro-ministro delle finanze è stato autorizzato a coniare altri 300 mila scudi di bajocchi da cinque.

[p. 259 modifica]Gli affari commerciali cominciarono a soffrire una nuova crisi per l’aumento acuì è asceso il cambio della moneta. Fin da ieri è giunto al 7 1|2 per cento.


22. — Il Baldassarri, autore dell’opuscolo di accusa contro il pro-ministro delle Finanze, ier raltro ricevette un perquiratur in casa. Gli furono sequestrati alcuni esemplari dell’opuscolo, che riteneva per farli leggere a coloro che ne mostravano desiderio ed interesse. Ciò fu per opera del Galli.

Si dice, con qualche fondamento, che non si procederà altrimenti ad un sindacato sulle operazioni del pro-ministro, imperciocchè, ciò facendosi, ne risulterebbero gravemente compromessi il cardinale Antonelli ed il conte Mastai. Anzi, si aggiunge che si tenterà un colpo politico col togliere cioè al Galli il prò, che, per l’effetto, si calcola che agirebbe come reazione sullo spirito pubblico.


9 Luglio. — Circolano per Roma e per lo Stato alcune nuove cartelle mazziniane, sottoscritte da Agostini, segretario, all’oggetto di trovare fondi da servire alla setta per tentare un colpo decisivo. Si è venuti in cognizione che varie di queste cartelle sono state smaltite.

Circolano alcune stampe clandestine, in data di Londra, con cui vengono designati ai pugnale gli attendenti alle vendite giudiziarie degli appignoramenti provenienti dalla tassa4.

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16. — Ai 12 corrente, il pro-ministro delle armi presentò a S. Santità i militari ultimamente promossi. Tanto dell’avvenuto avanzamento, quanto della presentazione al Santo Padre si volle che il giornale ufficiale osservasse il più stretto silenzio.

Il vero motivo ignorasi; ma il pubblico crede di doverlo riferire alla illegalità tenuta nelle promozioni, per essersi, cioè, premiati coloro cui non concorrevano i giusti titoli e preferiti ad altri ai quali, per anzianità e merito personale, veniva, per dritto, la superiore considerazione. Ciò però che veramente si notò, con generale disapprovazione, fu che l’unico avanzamento che il pro-ministro diede nell’amministrazione sia stato nella persona di un tal Arati che venne promosso ad ispettore di 2a. A tutti è noto che costui, nelle passate vicende politiche, fu intendente generale del corpo de’ carabinieri, segretario del generale Galletti, da cui non si divise mai nel fatto d’armi di che ben meritò della repubblica. Sembra che tali meriti siano stati valutati anche dal pro-ministro delle armi.

In tale circostanza, Sua Santità diresse alcuni rimproveri al pro-ministro per non aver dato esecuzione ad un suo ordine relativo all’ammissione nei ruoli militari ad un giovine Forlivese pel quale la Santità Sua aveva manifestato il desiderio. Conchiuse col dirgli, essere a tutti noto che una premura del Sovrano ha forza di un comando.


19. — Ai 26 del corrente partiranno alla volta di Senigallia il pro-ministro delle finanze e del commercio, nonché Sterbini, Mazio e Benucci.

[p. 261 modifica]Il pro-ministro scrisse a quel Delegato onde si fosse disposto il conveniente alloggio nel palazzo pontificio. Gli aggiunse la preghiera di evitare, possibilmente, che colà gli venissero fatte dimostrazioni , mentre il suo viaggio non aveva tate scopo.

La gita dei suddetti ministri e seguito sembra che non si limiterà a Senigallia soltanto, ma si estenderà ad Ancona, Bologna ed anche a Milano. In quest’ultima città il pro-ministro delle finanze si proporrebbe di accomodare le vertenze che vi sono tra la guarnigione austriaca ed il Governo pontificio.

Intanto, per tale viaggio, già si diedero le disposizioni perchè fossero allestite due carrozze di posta con la scorta dei finanzieri.

Alcuni vorrebbero raccomandata ai magnifici, agli illustri viaggiatori l’economia nei pranzi, per un caritatevole riguardo al Governo che ne sostiene la spesa, poiché, ultimamente, per un loro pranzo a Fiumicino, soltanto per un storioncino si spesero 17 scudi.

Frattanto la Depositeria è senza danaro, e sabato, 17 del corrente, come spesso avviene, fu chiusa poco dopo mezzogiorno per non esservi più fondi, e moltissimi mandati di pagamento non poterono essere realizzati dai possessori.

È vero, per altro, che il pro-ministro delle finanze, penetrato degli odierni bisogni, fa lavorare, con molta alacrità, nuovi Boni del tesoro, ed anche rame; ma, disgraziatamente, è più sollecito lo smaltimento della fabbricazione del numerario.

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7 Agosto. — Il pro-ministro delle finanze, per spese di viaggio, fece mettere a sua disposizione un fondo di scudi 10.000.

Il suddetto, prima di partire, partecipò all’eminentissimo Tosti il progetto di provvedere altrove i panni per le truppe piuttosto che a quell’opificio, per veduta economica. 11 cardinale si adirò talmente contro il medesimo che poco mancò non giungesse a percuoterlo. Infine lo scacciò con disprezzo dicendogli: «Va via, vero ministro del diavolo».

Si vociferò che il suddetto pro-ministro avesse anche in progetto di togliere la carta monetata; ma si ignora su quali basi.


12. —Il preventivo del 1852, pubblicato dal pro-ministro delle finanze, apparisce chiaramente non elaborato da un benché discreto finanziero, ma soltanto da un torbido computista. Infatti, esso non presenta nessuna idea finanziera, ma soltanto un vizioso giro di cifre numeriche, i cui estremi sono od erronei, o totalmente insussistenti.

L’assegno alle truppe austriache, che ascende a circa un milione di scudi annui, non è compreso nella cifra assegnata al ministero delle armi, e lo si vuol nascondere al pubblico, non si sa il perchè.

I lotti si fan figurare come partita vantaggiosa al Governo, quando, per lo contrario, e per le innovazioni portate colle cambialette, e colla nuova tara sulle vincite che ne diminuirono le giuocate, e colla spesa che tuttora conservasi degli impiegati che furono ringraziati, ora sono totalmente passivi.

[p. 263 modifica]Il pro-ministro si tace sul debito galleggiante e, coi due milioni circa di deficit che soltanto occupa, nasconde le piaghe vergognose ed incurabili dello Stato, e crede così di rassicurare il pubblico, che, d’altronde, è troppo illuminato sui fraudolenti maneggi di quell’amministrazione.

Egli, intanto, all’urgenza del caso, crede di provvedere col solo prestito di altri due milioni con Rotschild, e ciò principalmente per pagare al medesimo gii 800.000 scudi di frutti scaduti.

Non riflette però che al secondo semestre l’imbarazzo sarà eguale e forse anche più grave.

Si vuole che abbia tentato un prestito maggiore; ma che il sovventore, per mancanza di fiducia e per non trovare le debite garanzie, se ne sia ricusato. Con altri sovventori le difficoltà diverrebbero insuperabili.

Esso crede di poter fare appello alla tassa sull’industria ed a quelle che vorrebbe introdurre sui legni di lusso e sui cani. Generalmente, però, tali risorse veggonsi incerte ed insufficienti a riparare il vuoto tenebroso ed enorme che vi è nella finanza, e queste, in sostanza, non faranno che aumentare la sfiducia nel Governo, gli inimici al medesimo, l’avvilimento nel commercio ed il malcontento generale.

In siffatto deplorabile stato di finanze, il pubblico, frattanto, con indignazione osserva che il pro-ministro non desiste dalle soverchie spese, imperciocché ora ha disposto d’inviare commissioni a Londra ed a Parigi per studiare i Bolli a secco, prendendo argomento dalla facile falsificazione verificatasi nella Stato pontificio nei Boni del Tesoro.

[p. 264 modifica]Il clero romano, poi, freme nel vedere una siffatte dilapidazione, e prevede già il punto a cui mira il Galli, di rappresentare, cioè, al S. Padre non esservi altro scampo, per risorgere, che quello d’intaccare i beni ecclesiastici, il cui progetto dal medesimo fu già sviluppato e fatto presentare ai ministri del Governo repubblicano.


21. — Fra il Governo della S. Sede e la Russia si stabili un concordato di navigazione. Questo fu pubblicato sul Giornale di Roma, in data dei 10. Frattanto il giornale mazziniano, Italia e Popolo, lo riportava in data dei 15, dicendo di essergli stato comunicato prima della pubblicazione.

Nel giorno 25 corrente la Polizia ebbe sentore che dovevano distribuirsi due stampe clandestino intitolate:

La diplomazia in Inghilterra e la giustizia in Roma.

E l’altra:

Giuseppe Viola.

Non ostante tutta l’attività del Governo, qualche esemplare fu sparso.

Si fecero nella notte varie carcerazioni.


23. — Lo spirito pubblico, sul viaggio del proministro delle finanze, fa i seguenti commenti:

Crede ch’egli, conoscendola ferma indisposizione al pagamento della tassa, si allontani in un tale momento per vedere l’effetto della coercizione, la quale rende incerta la sua sicurezza personale. Si suppone, inoltre, ch’egli, con mezzi pecuniarii, cerchi [p. 265 modifica]le ovazioni fuori della Capitale per rassicurarsi sulla pubblica opinione. In fine, che osservi da lontano qual piega prendano, nell’insieme, le cose dello Stato, per essere a portata di porsi in salvo in qualsiasi evento.


3 Settembre. — Fra le stampe clandestine, requisite non ha guari dalla Polizia, ve n’era una intitolata: Giuseppe Viola.

Questa fu anche pubblicata da un giornale mazziniano di Genova, ed in sostanza non è che una biografia. Risulta dalla stessa che il Viola, figlio di un negoziante di gesso in Roma, all’Arco della Ciambella, era un dotto matematico, e che, divenuto uffiziale di artiglieria nell’assedio di Roma, con molta abilità, presiedeva al comando delle batterie di Testaccio e del Monte Aventino. Questi morì in Roma nello scorso luglio, ed il biografo (che si crede Federico Torre) ne forma un eroe e ne adorna l’elogio con termini ingiuriosissimi al Governo pontificio5.

Intanto, per questa e per altre stampe clandestine, furono arrestati due fratelli Chiassi, stampatori a Montecitorio, un Modesti ed un Mugno, lavoranti presso la suddetta stamperia, nonchè un Giacomelli, fratello dell’attuario del tribunale criminale del Governo ed impiegato nella cancelleria degli uffici civili, presso cui si trovò una corrispondenza settaria, custodita in ufficio, scritta in cifre.

[p. 266 modifica]Nelle gite fatte dal Sommo Pontefice, durante la sua villeggiatura, varii personaggi distinti si recarono ad ossequiarlo nel suo passaggio.

Il pro-ministro delle finanze prese la circostanza della gita che il S. Padre fece a Nemi, e non trovò luogo più adatto per essere in pieno carattere che farsi trovare nella macchia della Fajola6. Ivi complimentò il suo Sovrano.

Avvenne altro aneddoto. Alcune donne, lungo la strada, chiesero l’elemosina a Sua Santità, che erasi recata ad altra gita di sollazzo; la Guardia Nobile che era al suo fianco le invitò a dirigersi a Monsignor Elemosiniere, che è l’ultimo somaro. È da sapersi che la gita si faceva, dal corteggio, somarescamente.

Il Papa rise molto ad una tale espressione.


17 Novembre. — Il resoconto del pro-ministro delle finanze relativo all’antica gestione Tosti, pubblicatosi nel foglio officiale, è stato accolto con ilarità poiché meglio sarebbe piaciuto ch’egli si fosse occupato di dare sfogo alle sue operazioni, di quello che alle altrui, svisandole ed alterandole.

Lo stesso pro-ministro inserì nel giornale ufficiale, numero 211, un ordine del giorno esponendo la necessità di una riforma del corpo dei Finanzieri.

Naturalmente, produsse un forte malumore in quel corpo poiché ciascuno è in timore di essere espulso.

[p. 267 modifica]Il pubblico, poi, sindacando l’ordine stesso, non vede la necessità nel ministro di esporre in piazza il suo divisamente, e perciò lo trova indecoroso ed ingiurioso ai membri della Censura che non seppero, o non vollero fare il loro dovere nel sindacare la condotta degli impiegati militari e civili.

In fine, si rimarcò la bassezza usata dal pro-ministro il quale, nell’aver dianzi giubilato il capitano Frezza, uomo onorevolissimo ed espertissimo nella finanza, volle dipingerlo presso il pubblico per uno di coloro in cui fossero tali pregiudizi da allontanarsi pel primo dalla finanza, nulla curando le lagnanze di questo ed il malcontento delle persone probe su tale misura.

I membri, poi, componenti la Commissione, sono sempre quelli che, collegati col pro-ministro per ragione d’ufficio o per gratitudine, secondano ciecamente i di lui capricci e le di lui stravaganze.


26 Novembre. — La Consulta di finanze, in forza delle facoltà che il Papa le attribuì verbalmente, allorquando la ricevette nel giorno 18 del corrente, nella sua prima seduta, che tenne ai 19, nominò una Commissione perchè redigesse un Rapporto sul modo di togliere di mezzo la carta monetata. Il presidente della medesima è il principe Orsini.

In quella prima seduta la Consulta chiese al proministro delle finanze:

1° La tabella consuntiva del 1851, per conoscere la natura delle spese;

2° La cifra della carta monetata;

[p. 268 modifica]3° L’importo della spesa della fabbricazione della medesima;

4° L’importo dei cambi per trasmettere all’estero i frutti e le quote di ammortizzazione dei prestiti, contratti nella somma di 21 milioni di scudi.

Si dice che il pro-ministro delle finanze siasi sconcertato alle richieste fattegli e che probabilmente non corrisponderà all’invito.


1° Dicembre. — Ultimamente vennero in Roma alcune cravatte con colori ed emblemi settari. Alle estremità vi erano impressi teschi di morti.

Furono pure messi in commercio coltelli aventi sulla lama le iniziali M. A. T. (morte ai tiranni), lo che pose in attività la Polizia.


9. — La proclamazione di Napoleone III all’impero francese fu solennizzata, nel dì 8, dal corpo di occupazione nel modo seguente:

Nella mattina, nella chiesa nazionale di S. Luigi de’ Francesi, si cantò messa solenne e si esegui un Te Deum in musica, coll’intervento dell’ambasciatore francese, del comandante in capo, dei generali, nonché del figlio maggiore del principe di Canino (D. Giuseppe), nepote cugino dell’imperatore a cui fu dato il primo posto di onore, assumendo, in pari tempo, il titolo di Altezza.

Quindi, ad un’ora pomeridiana, l’ambasciatore passò in rivista la guarnigione, schierata lungo il Corso, e poscia, dalla loggia del Casino militare a piazza Colonna, comunicò il decreto imperiale. Le [p. 269 modifica]truppe, per tre volte, con voce debole, gridarono: Viva Napoleone III.

Frattanto, l’artiglieria francese, dal forte di Sant’Angelo, sparò 101 colpi.

L’ambasciatore, nello stesso giorno, riuni a lauto banchetto i generali ed altri notabili francesi. Erano 64 coperti. Torlonia gli prestò il servizio da tavola.

Nella sera, a piazza Colonna, ebbe luogo una illuminazione dell’intiera facciata dov’è il quartiere. Fra i due orologi si osservava una grandiosa aquila coll’iscrizione: «A Napoleone III». Seguivano poi le iniziali L. N.

Pasquino, credendo che le iniziali riguardassero il nome di quella mostruosa bestia, che non conosceva, la prese per un uccello di rapina e lesse: La Nottola.

Marforio lesse: L’ultimo Naufragio.

L’aquila di legno, di giorno presentava uno scheletro, senz’alcun effetto. Si disse, pertanto, che avendo l’aquila perdute le penne, ed essendo ridotta in ossa, gli orologi, presso cui era situata, contavano le ore di sua vita, per cui si sarebbe trovato ben a proposito il motto: Hodie mihi, cras tibi.

Altri poi lo scheletro e le iniziali L. N. le interpretarono politicamente, cosicché, ravvisando nello scheletro medesimo il vero stato della Francia, lessero La Nazione, ossia la fisonomia della nazione francese.

In Roma vi è un’antica superstizione volgare, consolidata dall’esperienza, che se di Santa Bibiana piove, il tempo piovoso dura 40 giorni ed una settimana. Ora, essendosi osservato che la proclamazione di Napoleone III avvenne ai 2 corrente e precisamente nel giorno di Santa Bibiana, i presaghi [p. 270 modifica]astronomici giudicarono che l’impero durerà soltanto per 40 giorni ed una settimana.

Del resto, generalmente si è rimarcato nelle truppe francesi un freddo accoglimento ed una totale indifferenza alla proclamazione dell’imperatore.

I Francesi avevano ideato di fare la dimostrazione di esultanza al Campidoglio e perciò lo richiesero al Municipio. Questi si oppose dicendo che una tale festa non riguardava la città.

Nella notte dall’8 al 9 furono affisse, perle contrade di Roma, e specialmente presso i quartieri francesi, alcune stampe contenenti le seguenti parole: Viva la Repubblica, morte a Napoleone III.

A S. Eustachio si eresse il solito casotto per i giocattoli. Nel suddetto giorno vi si trovò scritto, a grandi lettere, Ville de Paris, alludendo ai fantocci che vi sono.

Il principe di Canino ha in Roma tre figlie, maritate a Campello, Del Gallo e Primoli.

Pasquino, vedendo che costoro si pavoneggiavano per essere divenuti cugini d’un imperatore, disse che i medesimi avevano avuto realmente una promozione poichè da bauli erano divenuti imperiali.


17. — Nella notte dal 10 all’11 furono arrestati 21 individui sospetti di cose politiche. Tali individui sono tutti precettati dalla Polizia. S’ignora il vero motivo del loro arresto; ma sembra che possano essere supposti autori, o smaltitori della stampa clandestina contenente le parole: Viva la Repubblica, morte a Napoleone III.





Note

  1. L’arrestato Enrico Ruspoli, figlio di Sigismondo dei principi Ruspoli, cugino ad Emanuele Ruspoli deputato al Parlamento e già Sindaco di Roma, era stato cadetto nell’esercito della republica romana, e s’era conservato fedele ai principi liberali.
  2. Si diceva che il Cardinal Antonelli provenisse da una famiglia di briganti.
  3. La repubblica aveva lasciato le finanze in così buon stato che tre Commissari, destinati dall’Oudinot a ricevere le casse ed i portafogli del tesoro, «certificarono non solo le casse integre e limpidi i conti, ma che la finanza era stata governata con tanto ordine, tanta rettitudine e tanta abilità, che a riscontro dei tempi e delle consuetudini dell’amministrativa clericale erano meravigliosi; di che lasciarono scritto documento».
          Ben diverso giudizio si fece dell’amministrazione finanziaria pontificia quando cadde nelle mani di Angelo Galli «Antico computista della tesoreria, costui aveva col suo abbaco generata tale confusione, che egli solo sapeva leggervi dentro; a lui solo quasi ad interprete di inesplicabili geroglifici dovevano avere ricorso tesorieri e ministri. Il buono cardinale Tosti non lo aveva tenuto in istima, ma in ufficio, perchè era diventato un arnese necessario; lo scaltro Antonelli successore del Tosti non ne aveva potuto fare a meno, quantunque dicesse non averlo caro; la Consulta di Pio IX, che lo stimava quanto valeva, era stata costretta ricorrere a lui per non ismarriisi in quel dedalo di sue cifre. Monsignore Morichini, se volle compilare nn bilancio preventivo pel 1847, fu in necessità di fare buoni i dati di quel rendiconto del decennio, intorno al quale il Galli aveva speso molto tempo e guadagnato molto denaro senza rendere il conto: i Ministri laici costituzionali e repubblicani al Galli avevano dovuto far capo se volessero qualche notizia di quella computisteria che era il suo segreto, la sua cabala, il suo genio. Cosi egli era stato sempre a galla, o non era ito mai pienamente a fondo, così diventò poi il principe della finanza pontificia, sebbene ognuno sapesse che nella confusa mente non capiva dramma di buona dottrina economica, e che poco onesto nome aveva dato di sè, facendosi cogliere una volta in colpa di contrabando, largheggiando coi parenti, bazzicando cogli appaltatori, facendo suo prò della fortuna di un infelice nipote, del quale era tutore» (Farini. Lo Stato Romano dall’anno 1815 al 1850. Firenze, Le Monnier, 1853, 3° edizione, iv, 233-235).
  4. Cioè dalla tassa d’industria.
  5. Il Diarista non si mostra qui ben informato. Chi fosse l’autore dello scritto intorno al Viola non sono riescito a sapere, ma certo non fu Federico Torre.
  6. Macchia estesissima che dal territorio di Velletri si prolunga, da una parte, nella provincia romana, e dall’altra in quella di Frosinone. Fu sempre covo di briganti.