Discorsi politici (Guicciardini)/XIII. - Ragioni che consigliano a Clemente VII di accordarsi con Carlo V

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XIII. - Ragioni che consigliano a Clemente VII di accordarsi con Carlo V

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XIII. - Ragioni che consigliano a Clemente VII di accordarsi con Carlo V
XII. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V a Clemente VII XIV. - Sullo stesso argomento. In contrario

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XIII

[Ragioni che consigliano a Clemente VII di accordarsi con Carlo V.]


Disputavasi innanzi a papa Clemente doppo la arrivata del delegato alla corte di Cesare e la partita di madama d’Alanson con la rottura delle pratiche della concordia tra lui e franzesi, se Sua Santitá doveva ristringersi in nuova confederazione con lo imperadore, quale gli era offerta con condizioni oneste e ragionevoli, overo temporeggiarsi per vedere le resoluzione de’ franzesi. Sopra che, parlò come séguita chi consigliava Sua Santitá a intendersi bene con Cesare:

Io parlerò piú per obedire a Vostra Santitá che perché mi venga da cuore, avendo veduto, non dico che e’ ricordi miei non siano stati accetti, di che uno servidore non si può lamentare, ma che io sia venuto a sospetto come troppo affezionato alle cose di Cesare; e nondimanco se io fussi stato creduto, non sarebbe Vostra Santitá e gli altri di Italia nelle difficultá che ora è. Perché se doppo la assunzione del papato, avessi continuato di favorire quella parte la quale, per avere lei procurata la grandezza sua, gli era obligata e schiava, e non cominciato a promettere al re, insino in Francia, la neutralitá, era facile cosa che lui non passassi, e le cose di Cesare non sarebbono diventate sí grande che fussino formidabile a Vostra Beatitudine. Anzi lui sentendoseli obligato ed avendo bisogno di conservarsela amica, gli sarebbe sempre stato [p. 163 modifica]ossequentissimo figliuolo, ed almanco se Vostra Santitá, o per fuggire la spesa o parendoli via piú sicura o piú conveniente a uno pontefice, si risolveva essere neutrale, avessi, come in secondo luogo io la confortavo, conservato sempre la neutralitá totalmente, e non col capitulare col re di Francia in sul colmo della guerra avessi dato ombra agli imperiali, ed offesigli col lasciare passare le munizione, col consentire el transito al duca di Albania, e per piú crescere e’ sospetti e le querele, servitosi sanza alcuna necessitá delle loro gente nelle cose di Siena, se fussi, dico, stata totalmente neutrale, non sarebbe per la vittoria di Pavia spaventata tanto, che gli fussi bisognato, per fuggire una ruina, fare con loro nuovi capituli e perdere assai della sua degnitá.

E se pure doppo tanti inconvenienti avessi prestato piú fede a me di quello che io dicevo della buona mente di Cesare, e della devozione sua alla Sedia apostolica, e non lasciatasi persuadere el contrario da chi desidera farla saltare, e non attribuito a lui quello che procedeva da qualche suo ministro di qua, parte per la loro mala natura e parte per la condizione de’ tempi, non arebbe intromessosi in pratica alcuna contro a Cesare, e considerando quanto era grande, e quanto fondata la vittoria sua, arebbe sperato piú nel temporeggiarsi ed intrattenersi seco e nel non gli dare causa alcuna giusta di querela e di sospetto, che in sulle leggerezze di chi gli mostrava facile le cose che erano impossibile a riuscire.

Ora che la infermitá è quasi incurabile, e che allo imperadore si è fatto toccare con mano, che non solo si impedirebbono volentieri e’ suoi progressi, ma cercato di tôrgli el regno di Napoli, e che quanto le piaghe sono maggiori tanto piú bisognerebbe medico pesato e piú provata medicina, si cerca curare gli errori fatti con errori nuovi e piú perniziosi che e’ primi, e precipitare deliberazioni importantissime in sulla necessitá, la quale loro medesimi hanno procurata co’ suoi perversi consigli, non allegando ragione ma desperazione, e chiamando animo e virilitá quello che procede da somma [p. 164 modifica]viltá e timiditá. Io, Padre Beatissimo, poi che la Santitá Vostra vuole che io parli, non veggo che, se la piglia le arme, la possa avere alcuna speranza verisimile della vittoria; né mi diffido che, se la vuole, tagliate una volta veramente tutte le pratiche contro a Cesare, avere buona intelligenzia seco, che la non possa trovare luogo assai conveniente secondo la condizione de’ tempi; e mi ingegnerò giustificare l’una cosa e l’altra.

Io credo che chi vuole fare giudicio chi abbia a avere vittoria di una guerra, la prima considerazione che fará, sará circa lo esercito, quale sia migliore, cioè dove sia migliori capitani e migliore gente; il che in questo caso è sí manifesto che non può essere piú. E’ capitani cesarei sono oramai capitani vecchi, astuti, esperti, pieni di riputazione, della virtú de’ quali non bisogna fare altro testimonio che le opere che hanno fatto, e le vittorie tante che hanno avuto con animo e con industria, in modo che la condizione loro non si può revocare in dubio; la gente anche lei è ottima, el nervo della quale è spagnuoli e tedeschi, nazione l’una e l’altra gagliarda ed animosa; gli spagnuoli di piú agilissimi e pieni di industria; e’ tedeschi confidenti nella sua ordinanza, sono soldati avezzi in su queste guerre di Italia ed usi a vincere, cognosciuti da’ loro capitani, e loro gli cognoscono; desiderosi, e che tengono conto quanto dire si può di questa gloria ed onore militare, devoti al principe suo, al quale reputano capitale non piccolo el satisfare, e da altro canto perdita equale el mancargli; sperano della vittoria avere Italia in preda; nel succumbere non solo perdere quello che posseggono ed el luogo grande che cognoscono avere in questa provincia, ma ancora mettere in pericolo la vita. In che riputazione siano oggi e quanto temuti, ognuno lo sa; el nome solo ed el terrore che n’ha tutta Italia, sará sempre in ogni conflitto momento grande alla vittoria.

Facciáno ora comparazione delle cose di questi altri, e vedreno che instrumenti voi avete da vincere. Principalmente e’ capitani, se hanno a essere italiani, bisogna che e’ principali [p. 165 modifica]siano el duca di Ferrara, se entrerrá in questa lega, ed el duca di Urbino; se franzesi, el migliore che abbino è Lutrech, el quale è stato vinto altra volta da’ medesimi inimici, ed a tempo che era in Milano; però per tacere le altre sue qualitá che sono pure note, considerate che riputazione porterá seco, o con che animo andrá contro a costoro. El duca di Ferrara è poco esperto nella guerra, e ne’ tempi che l’ha praticata si è visto di lui poca altra pruova che quello suo maneggio di artiglierie; chi ha notizia dell’ultima sua impresa per la recuperazione di Modena, ha sempre affermato che la fu governata con poco cuore e con poco ordine. Confesso che ha piú riputazione che altri di Italia, e che per la grandezza sua gli altri signori non faranno difficultá di deferirgli; ma questo non basta contro a inimici che si hanno a cacciare col ferro e non co’ gridi. Ed a chi ha vinto e fatto prigione uno re di Francia con tutta la nobilitá di uno tanto regno, fará poca paura el vedere uno duca in campagna. Fassi, per quanto comprendo, fondamento in quello di Urbino, el quale io non biasimo, ma non si è però visto ancora di lui esperienzia tale, che una tanta impresa si abbia a fondare totalmente in su le spalle sue.

Altra cosa è guidare sei o ottomila uomini, altra a essere capitano di uno tanto esercito, e contra a inimici gagliardi, astuti ed esperti, ed in una impresa dove si può avere a maneggiare ogni spezie di milizia: la campagna, difendere terre, espugnare terre, invitare gli inimici a giornata, cercare di temporeggiarsi sanza combattere, ora fare el gagliardo, ora sapersi valere degli avantaggi. Però se voi mi direte che in questo esercito non sará uomo di chi si possa fare piú fondamento di questi, io lo cederò facilmente; ma se direte che siano tali che basti a tanta impresa, e che siano da paragonare a’ capitani inimici, io tacerò per ogni rispetto, ma non avendo visto altra esperienzia, non mi dará giá el cuore di affermarlo.

Non voglio pretermettere che io non so quali dua maggiori inimici abbia Vostra Santitá in Italia, e forse nel mondo, [p. 166 modifica]che questi dua duchi: all’uno è stato tolto lo stato ed ancora si gli tiene occupata parte; allo altro sono state fatte tante persecuzione, quante ognuno sa, continuate in ogni accidente, in ogni tempo, insino a ieri, insino a stamani, né mai alcuno mezzo, alcuni suoi prieghi, alcuna umiliazione, alcune offerte hanno potuto mitigare queste asperitá, né in quanto a l’uno né in quanto a l’altro, ed ogni promessa, ogni blandizia, ogni reconciliazione che si è fatta loro, è stata una simulazione, una insidia; in modo che possono essere certi che in ogni fortuna che tornassi, sarebbono a’ medesimi termini. Però non so come potete disporvi a fidarvene, a mettere loro in mano tutto lo stato vostro, a credere che si affatichino per la vostra grandezza, della quale sempre temeranno. Io sono stato sempre alieno dal perseguitarli, non vi vedendo drento acquisto, ma carico e perdita assai; non sono giá facile a confortarvi vi rimettiate sí liberamente in loro. Dio voglia che chi vi consiglia al farlo, abbia, per parlare modestamente, migliore fortuna in questo che non ha avuto nel consigliarvi a offendergli.

Resta comparare la qualitá delle gente, che è cosa troppo manifesta. El nervo della fanteria vostra saranno svizzeri, della natura ordinaria di chi, e delle difficultá che s’hanno a maneggiargli, non voglio dire altro; ma sono stati battuti tante volte da questi inimici, e tanto, come ognuno confessa, inviliti, che io non credo possino piú vedergli, non che sostenergli; lanzichenech non arete, o pochi, né vi potresti fidare di molti per andare contro a Cesare. Adunche bisogna una banda molto grossa di italiani, de’ quali io parlerò costumatamente, perché io sono di altra nazione; ma infinite esperienzie hanno mostro che fondamento si possi fare, e che non sono da comparare alle fanterie forestiere. Né voglio dire che questo mancamento proceda dalla virtú degli uomini, quanto forse dalla condizione de’ tempi e degli accidenti di Italia, e da’ modi e luoghi dove sono stati adoperati. Non sono avezzi in sulla ordinanza come e’ tedeschi; non hanno uno principe a chi pensino di satisfare come gli spagnuoli; le guerre da uno pezzo in qua sono state fatte quasi sempre [p. 167 modifica]sotto nome ed in compagnia di oltramontani, di sorte che non gli può muovere el desiderio di satisfare al suo re, non hanno potuto pigliare l’obietto della gloria della sua nazione; forse se fussino fuora di Italia sarebbono piú uniti tra loro, piú fermi ne’ pericoli, piú obedienti, manco tumultuosi, tollererebbono meglio la dilazione delle paghe, non fuggirebbono con esse: o queste o altre cagione che siano, hanno tutti questi difetti.

E se voi avessi a servirvi solo di cinque o seimila fanti italiani, io crederrei gli troverresti forse da mettergli in ogni pericolo, ma bisognandovi maggiore numero, ve ne troverrete ingannati. Che credete che sará uno esercito fatto in fretta di queste generazione, dove saranno infiniti che mai veddono guerra, uno esercito di tanti pezzi, di tanti vescovadi? Metteretelo voi sicuramente contro agli spagnuoli, dove sono molti fanti che fanno lo uficio di connestabili, molti connestabili atti a essere capitani? La quale buona disposizione in tutti e’ membri dello esercito ha fatto grandissimo onore a’ capitani generali, perché ed innanzi a’ pericoli vi sono assai, el parere de’ quali è utile a intendere, e ne’ pericoli non solo sanno bene osservare ed esequire gli ordini del capitano, ma etiam, bisognando, valersi per loro medesimi, cosa che fa utile grande a’ capitani, come si legge di Cesare, in qualche diffícultá. La bontá in effetto de’ capi loro fa utile la virtú de’ soldati, e la virtú de’ soldati non solo è tale che fa bene gli offici suoi, ma fa anche operare a’ capitani effetti migliori.

Io vi domando: con questi disavantaggi, in su che è fondata la speranza di vincere? Bisogna o che speriate avanzargli tanto di numero che loro non possino uscire in campagna, e vincergli nelle terre; o che se loro saranno potenti a uscire in campagna, non credo disegnate di combattergli, ma che el temporeggiare gli abbia a disordinare per mancamento di danari; overo che mentre el giuoco sta tavolato in Lombardia, accendergli uno altro fuoco nel reame, dove si faccia tale progresso, che vincendo lá, ringagliardisca la riputazione e forze vostre, e si indebolischino gli inimici, in modo che la [p. 168 modifica]vittoria di Lombardia diventi piú facile. Ne’ quali discorsi quante fallacie voi pigliate, vi prego udire con pazienzia.

Principalmente io non credo che gli spagnuoli si rinchiudine nelle terre; perché se alle forze che hanno ora, aggiugneranno otto o diecimila lanzichenech, il che gli sará facilissimo, potranno comparire contro a ogni vostro esercito, perché sempre aranno piú uomini, ancora che voi avessi piú gente; e quando gli eserciti sono sí grossi, importa poco che lo inimico ti superchi di quattro o cinquemila persone piú, perché a ogni modo non combattono tutti. E se pure al presente non uscissino, vi dimando se credete pigliare le terre con impeto, o con tempo: se con impeto, vi ingannate, perché almanco quando disegnassino abandonare Milano e Cremona, Lodi, Pavia ed Alessandria sono fortificate e saranno guardate in modo che non si potranno sforzare sanza grandissima difficultá; di natura che, poi che vi aranno aggirato dua o tre mesi intorno a esse, come feciono a’ franzesi nello assedio di Pavia, ingrossati usciranno in campagna, e sará come se la guerra fussi al primo dí, salvo che el vostro esercito, stato giá nel cuore della vernata uno pezzo allo scoperto ed a’ travagli, sará manco fresco e piú disordinato che el suo, che sará sempre stato con commoditá nelle terre. Però bisogna fare conto, o nel principio o nel progresso, avergli a vedere in campagna, dove se andrete con animo di fare la giornata, sará con troppo disavantaggio, né faresti mai deliberazione piú imprudente, né che piú siate per pentirvene. Se vi risolvete a non la volere fare, ma temporeggiare, guardate che debolezza è giá la vostra, poi che fate una impresa di andare a guadagnare uno stato, e la fate risoluti di non volere combattere cogli inimici per giudicargli piú potenti che voi.

Ma diciamo piú oltre: se costoro vi si avicinano, come sanza dubio faranno cognoscendo el suo vantaggio e la vostra timiditá, che procedere sará el vostro? Non sapete voi che quando dua eserciti sono vicini, che possono nascere infiniti casi che di necessitá conviene combattere, e massime quando vi è una parte che lo desideri? Sanza che, col cercare di [p. 169 modifica]impedire le vettovaglie e con altre arti vi potranno necessitare o a combattere o levarsi; di che l’uno sará contro alle vostre resoluzione, l’altro nella vicinitá degli inimici si fa con pericolo grande e con grande diminuzione di riputazione.

Ma diciamo che voi possiate fare questo, di intrattenervi sanza venire alle mani; che beneficio arete voi del temporeggiare? pensate voi che gli manchino danari per sostentarsi? Voi avete veduto la esperienzia nelle imprese de’ franzesi, quanto questo disegno sia stato vano, perché hanno avuto danari piú lungamente che non si credeva, e quando gli sono mancati, e’ loro soldati, le loro fanterie gli hanno servito tanti mesi sanza danari. Ora sará el medesimo e molto piú, perché Cesare, come io dirò di sotto, ha danari che non aveva allora, e questi soldati saranno piú facili a sopportare le dilazione, avendo visto che altra volta sono stati pagati di quello che erano creditori; e come saranno imbarcati di uno mese o di dua, il che sará facilmente, el non volere perdere quello che aranno servito, sará come uno pegno, perché gli fará stare fermi.

Ma ditemi: questo temporeggiare fa egli beneficio a voi, che avete per uno de’ fondamenti e’ svizzeri, la impazienzia de’ quali è nota a ognuno; a voi, che sarete di tanti vescovadi e dependenti da tanti capi e da tante voluntá, che una che ne varii, mette ogni cosa in rovina?

Due sono le ragione perché le imprese di molti contro a uno, ancora che siano piú potenti, si perdono: la prima, perché le provisione non concorrono sempre tutte in uno tempo, ché quando uno ha proveduto, l’altro comincia a provedere, l’altro ancora non è in ordine, in modo che concorrendo rare volte el colore secondo e’ disegni, non riescono nello esequire quelle conclusione che si sono dipinte per le camere; l’altro, che poi che el moto depende da molti, uno che ne manchi disordina ogni cosa, e di molti è facile el mancarne uno, quando si dá tempo, o perché muti sentenzia, o per morte, o per altri impedimenti che tuttodí occorrono, e piú facilmente a uno di molti che nella persona di uno solo. Però ricordano e’ savi, che [p. 170 modifica]chi ha parte nelle imprese che dependono da tanti, si ingegni che gli effetti suoi siano presti, perché a lungo andare non si conservano ordinate, il che quanto voi osserviate, lascio pensare a voi, poi che fate fondamento in sul temporeggiarvi.

Ma consentiamo che lo allungare non vi abbia a disordinare; che beneficio vi fará egli? Nessuno; se giá mentre le cose di Lombardia stanno tavolate, voi non rivoltate el reame di Napoli, il che non sará facile come sarebbe stato al tempo del duca di Albania, perché allora il re di Francia era in persona in Italia, aveva Milano, e le cose cesaree parevano declinate; ora tutto è variato: el re prigione, la riputazione di Cesare al cielo. Però e’ movimenti non saranno sí facili, ma ognuno aspetterá volentieri gli esiti di Lombardia, dove si daranno le sentenzie del resto, e quando pure si facessi novitá, si terranno almanco le fortezze di Napoli: terrassi Ischia, Gaeta e Taranto, che sono le briglie del regno, e le quali insino che Cesare non perde, non si potrá dire che l’abbia perduto; e tutto questo presupponendo che lui stia come morto, né soccorra le cose di Italia. Il che chi crede, si inganna grossamente, perché a lui non suole mancare uomini, pure che non gli manchi danari; e danari non gli mancano per el parentado di Portogallo, che tra la dota e sussidio che gli danno e’ popoli, gli metterá in borsa piú di uno milione e mezzo di ducati, co’ quali sará potente a fare guerra con tutti e’ principi cristiani.

Sentirete presto prepararsi armate in Spagna per venire in Italia, nella Magna farsi diete e muovere gente; le quali nuove quando verranno addiacceranno el cuore a Vostra Santitá, ma sará tanto innanzi che non ará piú rimedio. Se Francia ed Inghilterra concorressino a travagliare Cesare di lá da’ monti, in modo che bisognassi adoperare le gente ed e’ danari di lá, io chiamerei questa impresa di qua assai sicura; ma se libero fuora di Italia potrá attendere con tutte le sue forze alle cose di Italia, come potrá, perché di questo non si parla, è pazzo chi crede che non l’abbia a soccorrere gagliardamente; e vi varrá poco la riputazione di Inghilterra, se non vi serve di [p. 171 modifica]altro che di nome, né le braverie de’ franzesi, se non pigliano la impresa con tutte le forze del regno suo.

Dove è adunche fondata questa speranza di vincere, avendo gli inimici esercito piú potente di voi, sendo padroni di terre fortissime, né potendo sperare che abbino a cadere per mancamento di danari? Io non ne veggo nessuna, se giá non confidate nella mala fortuna di Cesare, la quale l’ha al continuo favorito sí estraordinariamente e fatto, io parlerò cosi, tanti miracoli per lui, che quando tutte le altre ragione fussino in contrario questa sola mi spaventerebbe. E quanto la fortuna possi nelle cose della guerra, e quanto si tema uno principe fortunato, ne sono pieni tutti e’ libri, e testimonio infinite esperienzie. Questa ha acciecato e’ principi a procurare la grandezza sua, alla quale dovevano essere inimici, questa fatto impazzare infiniti uomini per farlo grande, questa portatoli le vittorie a casa quando aspettava le rotte, questa fatto che e’ soldati mercennari, che non l’hanno mai veduto né cognosciuto, l’hanno servito sanza danari piú amorevolmente, piú caldamente che non fu mai servito principe alcuno che fussi in persona in sulla guerra; questa non solo gli ha fatto guadagnare gli stati, ma dato el modo di poterli acquistare giustificatamente, come ora di Milano, che ognuno sa el duca, el Morone avergli dato giustissima causa di punirgli; questa gli fa avere contrasti, non per farlo succumbere, ma perché con lo sbattere le opposizioni diventi piú potente, e lo necessita per farlo maggiore a entrare di impresa in impresa, il che forse non farebbe per sua natura; questa dubito che, non contenta di averlo fatto re di tanti regni, di averlo fatto imperadore, di avergli aperta la via alla monarchia temporale de’ cristiani, voglia anche farlo papa o padrone dello stato della Chiesa, poi che fa precipitare uno pontefice a pigliarli l’arme contro, acciò che lui vincitore abbia non solo potestá ma quasi necessitá di riformare a suo modo la Chiesa e la autoritá pontificale. Forse che a questo la Germania non sará punta? forse che la Italia lo biasimerá? forse che la Ispagna non lo seguirá? forse che tutti e’ laici non sono inimici a’ preti? [p. 172 modifica]

Ricordisi Vostra Santitá che la grandezza della Chiesa è nelle arme spirituali, e che le sue arme temporali valsono sempre poco. La sa quale è el proverbio di Italia con irrisione degli eserciti della Chiesa; di quelli de’ viniziani non parlo, che non vinsono mai se non con la spada nella guaina. Adunche, crediamo che el papa e viniziani bastino a cacciare di Italia una potenzia sí grande, uno esercito sí vittorioso? El timore ci inganna, la passione ci accieca, la fortuna di Cesare ci conduce a precipitare. Ma diciamo piú oltre: se la guerra riuscirá grave a Cesare, non ha egli in mano la pace co’ franzesi? non gli fará egli posare le arme ogni volta che, come dice el proverbio de’ fiorentini, mostrerrá loro la civetta? Per recuperare el suo re, la madre tenera del figliuolo, e’ baroni per non si opporre alla liberazione del re, el regno perché veduto non mutilare la Francia terrá poco conto de’ casi di Italia, vi lasceranno in preda ogni dí; né mai, pure che riabbino el re, ricuseranno uno accordo, dove non solo vi lascino a discrezione, ma ancora venghino a’ danni vostri.

Sapete di che natura sono state le loro pratiche, sapete che a’ mesi passati, quando vi ebbono invitati e giá condotti a’ disegni loro, in sul bello delle speranze, mossi da qualche buona parola di Cesare, vi lasciorono in asso, e mandorono madama di Alanson in Spagna con animo di rivendervi el dí cento volte. Questo medesimo faranno sempre, perché vi saranno le medesime ragione che vi sono ora, né mancherá a Cesare, se accorderá con loro, modo di assicurarsi; di sorte che almanco le prime esecuzione, e massime quelle che siano contro a Italia, aranno effetto. Cosí bisogna perdiate in ogni modo, perché o sarete sforzati dagli inimici o abandonati dagli amici, e la prima ruina sará adosso al papa e fiorentini, perché e’ viniziani hanno le terre forte, loro le hanno debole e sbandate, e lo stato in mezzo del ducato di Milano e del regno di Napoli, e Siena imperiale in mezzo delle viscere della Chiesa e di Firenze.

Adunche nessuna ragione può giustificare questa impresa, se non lo fa la necessitá; né questa anche la giustifica, chi non [p. 173 modifica]vuole avere piú paura che el bisogno, e non considerare che el remedio a’ pericoli ed a’ mali non è mettersi in maggiori pericoli e mali, ma cercare di diminuirgli quanto si può, e se, perché le cose del mondo girano cosí, non si può liberarsene totalmente, accommodarsi a’ tempi ed abracciare per buono quello manco male che l’uomo può avere. La paura che si ha di Cesare procede da dua fondamenti: l’uno, che si dubita che lui tenendosi offeso delle pratiche tenute a’ mesi passati o almanco insospettito, per vendicarsi, per assicurarsi, voglia abassare Vostra Santitá; a che se mette mano, non sará contento di poca ruina e cercherá di fare el piú male potrá, ed essendo quella a sua discrezione, potrá fare tutto quello che disegnerá; e vedendosi che ha in animo rovinare franzesi e veneziani, imprese grandi e che potrebbero tirarsi drieto molte difficultá e pericoli, vorrá ragionevolmente, innanzi ci metta mano, dare forma alle altre cose di Italia, ed assicurarsi del papa sospetto ed inimico, acciò che, se per sorte le cose sue si riducessino in qualche angustia, non possi el papa, del quale non si può piú fidare, unirsi insieme con gli altri alla sua ruina.

L’altra ragione che fa temere è la ambizione naturale di tutti e’ príncipi, che sempre cercano augumentare; e questo si vede che aspira alla monarchia. Lo stato della Chiesa è grande e bello e da non disprezzare da uno che cerchi el tutto: è da credere gli torrá el temporale e vorrá riducere e’ pontefici in quello grado che solevano essere quando le elezione e tutti e’ progressi loro dependevano dalli imperadori; in che non solo satisfará alla ambizione, ma gli parrá anche non offendere la conscienzia, recuperando allo imperio le ragione che hanno tenuto e’ suoi antecessori, e lasciando lo spirituale al papa, et quae sunt Dei Deo; el temporale et quae sunt Caesaris Caesari. Io credo che chi dice cosí non è certo che questo abbia a succedere, né io posso essere certo che abbia a essere el contrario; ma dico bene che la ragione persuada piú di gran lunga la opinione mia che la loro, perché, discorrendo prima el capo della ambizione, io dico che questo principe ha dimostrato sempre in tutte le azioni sue buona mente, e fatto [p. 174 modifica]professione di conscienzia, di essere devoto alla Chiesa e di non volere turbare quello di altri, o almanco desiderato che si creda che lui procede giustificatamente e con ragione. Ne potrei di questo allegare molte testimonianze, ma perché sono notissime a Vostra Santitá, e lei molte volte me l’ha confessato, non le replico; e se questa è veramente la mente sua, non abbiamo da temere di questi pericoli, perché non sendo, come di sotto si dirá, el maggiore premio questo che sia, non debbiamo credere che di principe buono, divoto, osservantissimo della Sedia apostolica, diventi in un momento uno ladrone, uno assassino, e che sí vituperosamente, sí impudentemente spogli la Chiesa di quelle cose che ha avuto non da altri che dagli antecessori suoi, e possedutole centinaia di anni, in modo che non sono piú di Cesare, ma di Dio e de’ vicari suoi.

Se questa è simulazione, dico che piú gli importa e piú gli vale, avendo a fare ancora grandissime guerre e faccende, el conservarsi questo nome che ha acquistato e questa professione che ha fatto, che non gli vale el tôrre lo stato alla Sedia apostolica, massime che, sendo grande in Italia, sa che Vostra Santitá lo gratificherá e lo accommoderá di tutto quello che potrá, in modo che avendola per amica e congiunta, ne trarrá molto piú frutto ed in Italia e fuori di Italia che non farebbe a spogliarla; sanza che, di piú si publicherebbe per tutto el mondo uno scelerato e perderebbe quella opinione di che si vede che fa capitale assai.

Non abbiamo adunche a credere che per ambizione pigli uno partito che non lo fa piú grande, né gli accresce la utilitá, ma gli oscura assai della gloria e dello onore; né anche a mio giudicio che per vendicarsi; perché oltre che le ingiurie che può pretendere da Vostra Santitá sono state pratiche e non effetti, oltre che sa averla mossa parte el sospetto, parte e’ mali trattamenti e delusione fatte a quella del viceré e suoi capitani, di che si è piú volte lamentato ed escusato con Vostra Santitá, non è da credere che lo sdegno lo muova a quelle cose che non gli sono utile e gli sono vituperose; el quale quando pure potessi in lui, è piú verisimile serberebbe [p. 175 modifica]la vendetta a altro tempo, cioè poi che avessi espedito le imprese maggiore, perché cosí ricerca la utilitá e l’onore suo. La quale cosa si tira drieto tanta dilazione che possono nascere facilmente accidenti da liberare Vostra Santitá di questo pericolo; o lo spazio del tempo, aggiunto a’ buoni modi che tenessi seco Vostra Santitá, mitigherebbe verisimilmente questa indignazione.

Non resta adunche altro che el sospetto, el quale io non credo che sia sí grande in lui che gli faccia fare questi salti, perché naturalmente tra Vostra Santitá e lui è stata benevolenzia ed amore, né la Chiesa pretende al dominio di Francia o di Italia, ma solo a conservare quanto a altri tempi gli hanno dato gli imperadori, però ogni volta che lui non molesti quella, gli acquisti suoi non vi hanno a essere ingrati, e lui non ha da temere che la potenzia sua dispiaccia a Vostra Santitá, quando sia sicura che lui non la voglia opprimere. E questa sicurtá è in mano sua el darla, perché ogni volta che Vostra Santitá lo vedrá in Italia in persona, e lui la onori, gli osservi le promesse e l’abbia in quello rispetto che si debbe avere uno pontefice, resterá sicurissima di non avere da temere di lui, e la sicurtá sua assicurerá Cesare, perché non ará causa di temere di Vostra Beatitudine, e sará questo piú facile, piú giusto, piú glorioso modo a assicurarsi di quella, che non sará el cercare di opprimerla e di ruinarla. Tanto piú che se Vostra Santitá rifiuta ora quelle pratiche che gli sono proposte e stabilisce gli apuntamenti fatti seco, questa sará una cura dello animo vostro, la quale comincerá a persuadergli che voi volete vivere seco in buona intelligenzia; e vi si confermerá ogni dí piú, vedendo che la tagli in futuro simili ragionamenti, né presti piú orecchi a cosa alcuna che gli sia proposta contro.

Diranno, Padre Santo, questi che la vogliono fare pigliare le arme, che presupposto ancora che Cesare non gli sia inimico, tamen che la grandezza sua vi offende, perché sendo lui in Italia potentissimo, la riputazione vostra diminuisce, dependendo in tutto dalla sua discrezione. Ed io confesserò che se le cose si potessino riducere in termini che in Italia non [p. 176 modifica]ci fussi principe alcuno che potessi dare le legge agli altri, che questo sarebbe el migliore stato che si potessi avere; ma dirò, poi che è piaciuto a Dio o è cosí el circulo ordinario del mondo, che la grandezza di Cesare sia tale, che questo si può desiderare ma non sperare; in modo che chi vorrá calcitrare contro a lui calcitrerá contro allo stimulo. E però è officio di prudenzia non volere con la desperazione peggiorare le condizioni sue e precipitarsi interamente, ma accommodarsi a questa necessitá e cercare di avere manco infelice luogo che si può; e se non si può vivere con le qualitá e con la autoritá che l’uomo desidera, non per questo volere morire. Perché oltre che la vita è meglio che la morte, possono facilmente tornare de’ tempi e degli accidenti, che a chi sará morto non faranno frutto alcuno, ma a chi fussi ancora vivo restituirebbono la sua degnitá.

Io, Padre Beatissimo, non voglio dire che a uno pontefice sarebbe forse meglio ommettere questa signoria e cure temporali e conservarli la autoritá spirituale: volere in effetto essere pontefice e non principe; perché se bene io ho questa opinione per vera, cognosco che è parlare troppo insolito a chi si lascia ingannare da’ mali abiti; ma accommodandomi al gusto e corruttela commune, dico che se io vedessi speranza che si potessi, col pigliare l’arme, moderare questa grandezza di Cesare, conforterei a farlo ancora che fussi con pericolo. Ma non ci vedendo altro che partiti disperati e sanza alcuno fondamento, ed e’ quali chi piglierá non solo accelererá l’ultima sua ruina, ma sará notato da ognuno per uomo poco prudente e poco misuratore delle cose, non saprò mai consigliare Vostra Santitá che per paura della voluntá di Cesare, la quale non si può negare che ci sono molte ragione che persuadono che abbia a essere buona, faccia una deliberazione che non ci sia ragione che dia speranza che el fine abbia a essere buono; che per paura che la potenzia di Cesare non faccia parere minore la sua autoritá, pigli uno partito che non solo sia per diminuirgli la autoritá, ma per ruinarla in tutto e del temporale e dello spirituale. [p. 177 modifica]

Ricordisi Vostra Santitá che non è tenuto animoso ma timido e vilissimo chi per paura di uno male dubio abbraccia per desperazione gli ultimi mali, che non è generositá el precipitarsi ma estrema pazzia, e che al grado e degnitá sua ed alla prudenzia ed esperienzia che ha delle cose si conviene non essere autore di ruinare la Sedia apostolica, né pigliare rimedi temerari e da giovani, ma procedere pesatamente e con tale maturitá in una deliberazione di tanta importanza, che quando mille volte gli effetti riuscissino infelici, che almanco non si possa mai dire che e’ consigli non siano stati buoni né bene considerati, e che a quella non sia mancata piú presto la felicitá che la prudenzia.

Io pregherò Dio che la illumini a risolversi bene; ma in ogni resoluzione che la fará, sia di che sorte la voglia, me gli offerisco cosí fedele e cosí amorevole ministro, come sono obligato a essere e come sono stato sempre per el passato.