Dracula/XXII

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Capitolo XXII

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Bram Stoker - Dracula (1897)
Traduzione dall'inglese di Angelo Nessi (1922)
Capitolo XXII
XXI
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CAPITOLO XXII.


Giornale di Mina.


31 ottobre.

Giunti a Veresti verso mezzodì. Noleggiato una vettura e dei cavalli. Abbiamo davanti a noi più di 70 chilometri di percorso. Paese incantevole. Se viaggiassimo per diporto, sarebbe delizioso.

L’albergatrice di Veresti ci ha dato un cesto di provviste come per un reggimento.

— Non protestate — ha detto il professore; — trascorrerà forse una settimana prima che possiamo vettovagliarci.

1 novembre.

Tutta la giornata abbiam corso a gran velocità. Una fermata per il cambio dei cavalli e bere del caffè caldo. Van Helsing spende l’oro a piene mani. La contrada è splendida. Il popolo è prode, semplice ma superstiziosissimo. [p. 188 modifica]Al primo cambio, l’albergatrice vedendomi la scottatura in fronte si fece il segno della croce e puntò due dita verso di me per proteggermi dal malocchio. Adesso, tengo sempre il velo abbassato.

Il Professore è instancabile. Non volle prendersi nessun riposo: mi fece dormire alcune ore.

Al sorger del sole m’ha ipnotizzata. Ho risposto come al solito: — Oscurità. Acqua calma. Scricchiolìo dei remi.

Dunque il nostro nemico è sempre sul fiume. Io penso con inquietudine a Jonathan. Ci riposiamo in una fattoria aspettando i cavalli. Il Professore sembra molto stanco. Adesso gli chiederò di lasciarmi guidare e lo costringerò a riposare in fondo alla vettura.

2 novembre, sera.

Ancora una giornata di vettura. Siamo in mezzo ai Carpazi. Domattina arriveremo al Passo del Borgo. Ci sono poche abitazioni. Non potremo certo effettuare il cambio dei cavalli. E infatti nell’ultima tappa Van Helsing ne fece attaccare quattro.


Memorandum di Abraham Van Helsing.


4 novembre.

Scrivo per il mio caro amico Seward, nel caso non dovessi più vederlo. Scrivo accanto ad un fuoco che abbiamo mantenuto acceso tutta la notte, la signora Mina ed io. Fa freddo. Il cielo grigio e pesante è pieno di neve. La signora [p. 189 modifica]Mina par che ne soffra. Non mangia più e dorme d’un sonno pesante. Tuttavia stassera è più sveglia. Ho cercato invano d’ipnotizzarla, al tramonto.

Siamo giunti al Passo del Borgo iermattina, dopo la levata del sole. Andammo avanti senza mai sostare. Con l’aiuto d’un po’ di legna minuta, abbiamo acceso questo fuoco. Poi, andai ad esplorare un po’ la strada, staccai i cavalli e diedi loro da mangiare. Quando tornai, la cena era pronta.

— Mangiate — disse la signora Mina; — avevo tanta fame che non potei aspettarvi e ho pranzato.

Ho dei sospetti ma non oso formularli.

La pregai in seguito di dormire. Ella s’adagiò ma non potè chiudere gli occhi. Invece fui io che sonnecchiai, in parecchie riprese. E ogni volta che mi sveglio sussultando, vedo fissi su me i suoi occhi brillanti. È strano. Non s’è addormentata che sul mattino, d’un sonno pesante.

5 novembre, mattina.

Il paese diventa sempre più selvaggio. Ci sono grandi precipizi. La signora Mina dorme ancora. Ho cercato invano di svegliarla. Temo che questo paese non eserciti il suo incanto malefico e che la maledizione non cominci ad agire. Poichè dorme tutto il giorno, mi guarderò bene dal dormire io di notte!

Ci accostiamo ad una collina dominata da un castello somigliante, sotto ogni aspetto, a quello descritto da Jonathan. Ho svegliato la signora [p. 190 modifica]Mina. Mi par riposata e seducente quanto mai. Preparai il pasto; ma non volle mangiare protestando che non aveva fame. Ho dunque cenato solo non senza inquietudine. Poi, tracciai un circolo intorno al luogo ov’ella era seduta e prendendo alcune tuberose le sfogliai intorno. La signora Harker impallidì orribilmente.

— Venite accanto al fuoco — dissi per metterla alla prova.

Ella si alzò, fece un passo e si fermò.

— Venite — insistei.

Ma ella sedette nuovamente, scosse la testa e disse semplicemente:

— Non posso.

Respiro, poichè se il suo corpo è in pericolo, la sua anima è salva ancora.

A un tratto i cavalli nitrirono e s’impennarono. Durai fatica a calmarli. Il fuoco si spense alla mattina e la neve cominciò a cadere con una nebbia fitta, che faceva pensare a donne con sciarpe strascicanti. Il silenzio fu interrotto all’improvviso dal nitrito dei cavalli. Una vaga inquietudine s’impadronì di me. È il ricordo delle avventure di Jonathan? Ma mi sembra scorgere e muoversi fra i turbini di neve e la nebbia le tre orribili sorelle del Castello Dràcula!

La signora Mina è calma e mi sorride. Il fuoco essendosi spento, ho voluto alzarmi per riaccenderlo; ma la signora Mina mi prese il braccio.

— No, no, restate accanto a me — disse sottovoce soltanto qui siete al sicuro.

— Ma è per voi che io temo!

Allora ella ebbe un riso basso e strano:

— Per me? Perchè? Io non temo nulla. [p. 191 modifica]

Vidi allora la bruciatura della fronte e capii. Finalmente sorse il sole e dissipò il mio terrore. La signora Mina dormiva profondamente. M’accostai ai cavalli per attaccarli; ma constatai che erano stesi al suolo, morti tutti.

5 novembre.

Lasciando lì la signora Mina addormentata, mi munii di un’accetta e m’avventurai solo verso il Castello, pronto a sfondare le porte. Erano tutte spalancate; ma per prudenza le tolsi dai cardini, per essere sicuro che non si rinchiudessero dietro a me.

Grazie alle indicazioni di Jonathan trovai senza fatica la via della cappella. L’aria era opprimente e come appestata da esalazioni sulfuree. Sapevo di dover trovare almeno tre tombe. Dopo un po’ di tempo, trovai la prima. Una giovine donna incantevole dormiva del suo sonno di vampiro. Era tanto bella ch’ebbi l’impressione di commettere un omicidio. M’immobilizzai davanti a lei, muto d’ammirazione e come affascinato. Ma con uno sforzo violento mi strappai da quella contemplazione e continuai le mie ricerche.

In un feretro vicino scopersi l’altra sorella bruna, e in un gran monumento la terza sorella bionda. Era di così fulgida bellezza in quel sonno voluttuoso che il mio cuore battè d’emozione. Ma m’irrigidii e continuai le mie ricerche. Non c’erano altre forme umane. Ne dedussi che il castello era abitato soltanto da loro.

Una gran tomba più signorile delle altre, portava quest’iscrizione: [p. 192 modifica]


Qui giace il Conte Dracula.


Dunque, era quello il covo del Vampiro!

Prima di estinguere violentemente le tre belle sorelle, deposi nella tomba del Conte un fiore d’aglio benedetto per scacciarnelo per sempre.

Poi cominciai il mio orribile compito... Come potei compiere quel massacro?... Il pensiero della mia cara signora Mina mi sosteneva e il pensiero degli amici... E se non fossi stato ricompensato dalla beatitudine che lessi sul viso delle tre sorelle prima della decomposizione finale, mai, no, mai, avrei potuto per tre volte commettere lo stesso assassinio... Ma adesso tutto è finito. Quelle povere anime dormono in pace... Le ho salvate...

Prima di partire, protessi le uscite del castello in modo che il Conte non vi potrà rientrare.

Poi raggiunsi la signora Mina. Dormiva ancora, ma si svegliò di soprassalto al rumore de’ miei passi. Era molto pallida.

— Andiamo a raggiungere mio marito — disse.

— So che cammina alla nostra volta.


Giornale di Mina.


6 novembre.

Il pomeriggio era già inoltrato quando il Professore ed io ci riavviammo verso l’Est per andare incontro a Jonathan. Avanzavamo lentamente, essendo sovraccarichi di coperte, provviste, ecc. [p. 193 modifica]

Sul far della sera eravamo sfiniti dalla stanchezza. Nevica sempre. Il Professore scelse una specie di caverna formata dal riavvicinamento di due roccie. Spiegò e stese a terra le coperte.

— Adagiatevi — disse. — Veglierò io. Se i lupi s’avvicinano, saprò difendervi.

Mi provai a mangiare, per fargli piacere; ma invano. Qualunque cibo mi fa orrore. Van Helsing interrogò l’orizzonte con la scorta del suo binoccolo.

— Guardate! Guardate! — esclamò.

Mi tese il binoccolo, indicandomi una certa direzione. Dalla roccia su cui eravamo, si scorgeva tutta la campagna, lontano. Proprio di fronte a noi, a molta distanza, s’avanzava un gruppo di cavalieri scortanti una specie di carro che sobbalzava da destra a sinistra per le ineguaglianze del terreno. Dai vestiti, riconobbi dei paesani slovacchi, zingari. Sul carro, una lunga cassa.

Il cuore mi balzò in petto: eravamo presso alla meta. Ma la sera cadeva e sapevo che col tramonto il Mostro avrebbe ripreso la propria libertà arrischiando di sfuggirci. Mi volsi verso il professore. Era saltato giù dalla roccia e vi tracciava un gran cerchio intorno.

— Sì, sarete al sicuro — disse.

Mi riprese dalle mani il binoccolo e se lo portò agli occhi.

— Sferzano i cavalli continuamente. Visibilmente, vogliono giungere prima del tramonto.

Una nuova tempesta di neve ci acciecò.

— Guardate! guardate! — esclamò ancora Van Helsing quando il nevischio si fu dissipato. Due [p. 194 modifica]uomini a cavallo a gran trotto dal sud. Devono essere Quincy e Seward.

Guardai anch’io e vidi, a mia volta, venire dal nord due altri ch’erano evidentemente lord Godalming ed il mio caro Jonathan.

— Urrà! — gridò il professore come un monello.

Caricò il suo winchester, prevedendo l’attacco degli zingari. Quanto a me, estrassi la mia piccola rivoltella, poichè l’urlo dei lupi si avvicinava. Ogni momento pareva un secolo. Il vento soffiava con forza sollevando bufere di neve, tanto che, in certi momenti, non ci si vedeva davanti a sè.

Gli zingari s’accostavano ed i nostri cavalieri minacciavano di tagliar loro la ritirata. A un tratto, due voci gridarono: «Alt!» Riconobbi la cara voce del mio Jonathan e il tono deciso di Quincy Morris.

Gli zingari si fermarono, meravigliati. Ma il capo, un magnifico centauro vestito di rosso, nel suo linguaggio diede un comando breve ed essi si rimisero in moto.

Lord Godalming e Jonathan a destra, Seward e Morris a sinistra li circondarono, impugnando la loro winchester. Nello stesso punto, Van Helsing ed io ci mostrammo. Gli zingari, vedendosi circondati, estrassero le armi, pronti alla difesa.

Jonathan, incosciente del pericolo e trasportato dal proprio ardore, si slancia in mezzo agli uomini. Noi accorriamo alla riscossa. Il capo mostra il sole che cala sull’orizzonte e par esorti i compagni.

Jonathan è balzato sul camion e con una energia di cui non l’avrei creduto capace, ne butta [p. 195 modifica]giù la cassa. Gli zingari s’avventano su di lui; vedo luccicale un coltello e lancio un grido. Morris interviene; è lui che riceve la coltellata. Jonathan si sforza di scassinare il feretro. Gli zingari, sotto la minaccia dei fucili, sembrano domati. Il sole sta per scomparire. Vittoria! Jonathan ha fatto saltare il coperchio della cassa e scopre il corpo del nostro nemico: il Conte è pallido come la cera e da’ suoi occhi traluce un folle terrore.

Lo spazio d’un lampo e il largo coltello di Jonathan gli mozza il capo mentre Quincy Morris gli immerge il proprio pugnale nel cuore.

Il miracolo è istantaneo: il corpo cade in polvere.

Dietro di noi, il castello si stacca sul cielo rosso.

Gli zingari, atterriti, son saltati sul carro, allontanandosi a corsa.

Ma il nostro povero amico Quincy s’accascia, portandosi la mano sul fianco sinistro. Un fiotto di sangue gli cola fra le dita. Accorriamo. Egli mi prende la mano e guardando la mia fronte dice con aria di beatitudine: «Il segno è scomparso, posso morire tranquillo.»

Ci siamo inginocchiati accanto a lui, piamente.

È morto da prode.