Edizione completa degli scritti di Agricoltura, Arti e Commercio/Lettera XVIII

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Lettera XVIII

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LETTERA XVIII.



Il vano timore adunque, illustrissimi Signori, radicatosi ne’ cuori de’ nostri compatriotti, che la coltivazione de’ mori e dei vermi da seta, possa pregiudicare alla raccolta delle biade, delle quali non vorrebbero perderne un grano, e de vini, de’ quali temono d’averne a rimaner pregiudicati perfin nelle gocciole; siccome fu cagione che di queste due sole rendite presero cura, e le sole produzioni utili vennero da essi riputate, cosi s’oppone a tutti que’ notabili ed evidenti vantaggi, che ho nelle precedenti mie accennati.

Queste sono le prime impressioni, che dall’infanzia ricevonsi, e che unite ad altri nazionali pregiudizj, passano di posterità in posterità; nè mai si volge ad altro il pensiero, fuorchè alle biade ed al vino, per aver abbondanza di questi, e carestia di tutto il restante, che richiedesi alle altre necessità, ed agli altri comodi della vita: per [p. 340 modifica]la qual cosa la condizione di tutti e molto diversa, e per tutti infelice si rende. Molte persone ricche d’entrate negli anni di abbondanza, non ritrovando lo spaccio delle loro raccolte, vivono in ristrettezza, e possono ancor essi dire: inopes nos copia fecit. Ma più infelice ancora è la condizione del popolo, e degli artefici, mancando ad essi il lavoro. Che giova loro aver un grosso pane per un soldo, se poi lor manca il modo di guadagnarlo? Nasce questo sconvolgimento universale, quando il danaro vien meno, essendo il danaro, come dice il card. Pallavicino1, virtualmente ogni cosa: onde manca ogni cosa a coloro, cui questo manchi. Si passi ora a considerare con più maturo e pesato discorso, se il distrarre alquanto i contadini dalla coltivazione de’ terreni, per applicarli a quella de’ mori e de’ vermi da seta, sia guadagno d’apparenza ed incerto, o di sostanza e sicuro.

Chiamerannosi guadagno apparente ed incerto que’ 300 e più mila ducati annui, che passano direttamente in mano di que’ contadini, che nodriscono i filugelli? Somma duplicata nel giro d’anni 25, e che in altri [p. 341 modifica]dieci forse nuovamente s’accrescerà il doppio; e se vorrassi pensar daddovero a promuovere l’industria, porterà de’ grandissimi vantaggi ad ogni ordine di persone, e moltiplicherà il popolo alla città; e non un popolo ozioso ed intemperante, ma un popolo operoso ed utile.

Vi sarà più uomo ragionevole, che possa dire, che l’introduzione e moltiplicazione della seta sia invenzione dell’industria mercanatile, per profittare sull’altrui lusso? Spero che un giorno dimostrerò quale sia vero lusso, se quello di valersi delle stoffe di lana e de’ panni che comperiamo da’ forastieri, o quello d’usare i drappi di quella seta, che nasce ne’ nostri campi, ed è opera delle mani del nostro popolo.

Le cose da me finora dette in questa storia della seta, smentiscono e rendono vane tutte quelle tradizioni che vengono con molta franchezza e senza verun fondamento addotte. Mi è accaduto talvolta, che per illuminare alcuno sopra di questo, mi sono offerito di dargliela a leggere manoscritta; ma conobbi che nel suo cuore mi scherniva, e si rideva di me. Io però anzichè chiamarmi offeso, deplorai nel mio cuore la disgrazia della mia patria, considerando in quali inu[p. 342 modifica]tili pensieri si occupassero tante persone, che col solo approvare ciò ch’io aveva scritto, potevano incoraggiare gli altri a ricevere le mie instruzioni. Non riflettendo essi alle varie divisioni della storia, nè alle sue suddivisioni, e non considerando che la mia appartiene a quella parte, che storia naturale s’appella, ed in cui è lecito ad ognuno di scrivere sopra quelle cose, nelle quali ha cognizione ed esperienza, si raccapricciarono del mio ardimento; supponendo nell’animo loro, che io avessi posta mano in quella sublime facoltà, che Cicerone dichiarò essere Summum Oratoris Opus. Immaginandosi eglino adunque, ch’essa fosse da me profanata in troppo vile soggetto, quale credono essere quello della seta, non si degnarono neppure di leggerla; quantunque io sappia di certo, che ad alcuni avrebbe potuto giovare ad accrescere le loro rendite, e non avrebbe pregiudicato, ma recato anzi miglioramento alla condizione de’ loro coloni.

Guardimi Dio dall’avere in animo di mettere fra loro in dispregio la memoria venerabile di que’ maggiori, da’ quali l’essere ed i loro beni ricevettero. Io, cercando solamente di renderli avvisati, che non commettano simiglianti errori, e di fargli, se sia possibile, [p. 343 modifica]rinunciare agli ereditati dannosi pregiudicj; desidero che osservino, come per amor proprio, passione di tutte le altre regina e madre, avendo voluto i loro antenati raccogliere anticipatamente que’ frutti, che lasciar dovevano a’ posteri, o che doveano almeno divider con essi; privarono i nipoti di que’ beni, ch’eglino speranza non ebber di raccogliere a’ tempi loro; la qual cosa chiaramente manifestarono, quando, acquistati i beni comunali dal principe, cercarono con sollecita avidità di raccogliere anticipatamente da questi tutto quel copioso frutto, che dannoper ordinario anche le terre più sterili rimaste per lungo tempo incolte; lasciandole poi a’ loro successori sfruttate e smunte.

Ora pare a me, che s’essi avessero considerate le cose con qualche fondamento di ragione e di lume naturale, avrebbero conosciuto, ch’era da farne altrimenti. Imperciocchè egli è conforme appunto alla ragione il pensare, che gli antichi de’ secoli più lontani abbiano fatto sperienza di tutti i campi, e che avendo preso a coltivare i più fecondi, e lasciati senza coltura i più sterili, questi, col tempo rimasi abbandonati e senza padroni nelle rivoluzioni delle guerre o altre disgrazie, sieno diventati beni [p. 344 modifica]comunali. Tali suppongo che fossero quelli del Friuli, trattone quelli, che tanto sono per l’ubertà loro felici, quanto per l’aria pessima sfortunati; dove i coltivatori vanno ad accorciarsi la vita, per vivere fra stenti minori.

Se chi comperò i beni comunali gli avesse lasciati quali gli acquistò, e solo quella coltivazione avesse loro data, che a’ prati conviensi (ricercando anche questi la loro coltura), avrebbero primieramente sè medesimi arricchiti, ed i loro coloni di armenti e di greggie di ogni generazione; indi, mercè l’abbondanza maggiore di concimi sparsi ne’ campi vecchi, avrebbero avute più copiose messi, e lasciato avrebbero questo perpetuo beneficio a’ loro posteri, a’ quali, per mal intesa economia, lasciarono dimagrati e poco fruttiferi i vecchi terreni ed i nuovi, e poveri di armenti e di greggi i coloni: a tal che da alcuni fummi detto con asseveranza, che avendo i loro maggiori, coll’acquisto de’ beni comunali, raddoppiato il numero dei campi, hanno oggidì con dispendio maggiore e con capitali maggiori di fabbriche necessarie, quella medesima rendita, che aveano prima de’ nuovi acquisti. Di qua parmi che nascano que’ veri sconcerti, che tengono oppressi ed avviliti i poveri contadini (la [p. 345 modifica]Pagina:Collezione-di-opere-scelte-di-autori-Friulani (Antonio Zanon).djvu/345 [p. 346 modifica]Pagina:Collezione-di-opere-scelte-di-autori-Friulani (Antonio Zanon).djvu/346 [p. 347 modifica]Pagina:Collezione-di-opere-scelte-di-autori-Friulani (Antonio Zanon).djvu/347 [p. 348 modifica]Pagina:Collezione-di-opere-scelte-di-autori-Friulani (Antonio Zanon).djvu/348

  1. Del Bene. Lib. 3, cap. 13. n. 2. a c. 244.