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Elementi di economia pubblica/Parte seconda/Capitolo IV

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Parte seconda - Dell'agricoltura politica

Capitolo IV - Della proporzione fra le differenti colture delle terre

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Parte seconda - Dell'agricoltura politica

Capitolo IV - Della proporzione fra le differenti colture delle terre
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Cap. IV. — della proporzione fra le differenti colture delle terre.

30. Si sono sforzati alcuni scrittori d’economia di ricercare qual proporzione passar debba fra le varie colture delle terre d’uno Stato, acciocchè si ottenesse l’oggetto fondamentale, cioè la maggior quantità di travaglio utile. Non è possibile, in primo luogo il fissare una numerica e generale proporzione, la quale deve variare secondo le circostanze di ciascun paese. Il clima, la situazione, la forma di governo, le circostanze de’ popoli finitimi, le future speranze sono a vicenda effetti e cagioni che daranno varie determinazioni. Dunque non è nemmeno fattibile il dare una soluzione particolare d’un tale problema. In secondo luogo, io son d’avviso che la vera proporzione si stabilisca da sè medesima, ogni qual volta sia dato un libero sfogo al commercio de’ prodotti, perchè in quel caso l’eccesso d’una produzione si diminuirà da sè stesso a misura che l’abbondanza ne avvilirà il prezzo; ed il difetto d’un’altra produzione sarà tolto a misura che l’accrescimento del valore prodotto dalla scarsezza renderà utile al proprietario la coltivazione di quella. Ciò non ostante, siccome nel ricercare queste produzioni ci verrà fatto di dimostrare più chiaramente il rapporto che ha l’agricoltura con il resto delle parti di pubblica economia, io darò qui brevemente alcune riflessioni che ci potrebbero servire a ritrovare una tale proporzione, quando per qualche [p. 286 modifica]accidentale circostanza tornasse meglio lo stabilirla, invece di abbandonarla al lento giro delle combinazioni dei privati interessi.

31. E in primo luogo si può proporre un dubbio, se un paese fosse egualmente e dappertutto suscettibile dell’uniforme coltura di una sola derrata che avesse dentro e fuori dello Stato uno spaccio sicuro e considerabile, sarebbe egli più vantaggioso ad una tal nazione il continuar perpetuamente una tale uniforme coltura, piuttosto che variarla in guisa che molti e varj fossero i prodotti e le materie prime? Nel caso d’un’uniforme coltura, quali persone ne sentirebbero l’immediata e maggiore utilità? Le due classi degli agricoltori e dei proprietarj delle terre. Ma la maggior parte delle arti mancherebbe delle materie prime accessorie, le quali si dovrebbero tirare da’ lontani paesi; il salto immediato di tutta la ricchezza della nazione, dagli agricoltori ai proprietarj delle terre, non ne farebbe influire nelle arti intermedie la quantità necessaria, perchè queste avessero tutto il loro massimo vigore; e una quantità considerabile di tal ricchezza servirebbe al mantenimento delle arti forastiere, tanto più facilmente, quanto la ricchezza è impaziente e disdegnosa nel soddisfarsi.

Dunque l’uniformità della coltura, quantunque vantaggiosa alla nazione, sarebbe certamente meno utile che una qualche varietà, quando le circostanze del suolo lo potessero soffrire. Nel primo caso, havvi un solo stimolo al travaglio, cioè la necessità dell’alimento; nel secondo, ve n’ha due; l’istessa necessità e il comodo delle materie prime.

Ciò premesso, supponiamo che questa derrata esclusiva, a cui abbiamo detto limitarsi l’agricoltura d’una nazione, fosse il frumento. Egli è vero che la produzione di quello è necessaria a tutte le nazioni: che è il primo motore delle arti tutte e della popolazione: che deve circolare in tutte le classi e rappresentare tutti i lavori. Quando esso fosse soprabbondante, è certamente utile che abbia uno sbocco fuori di Stato, perchè se è troppo avvilito e di troppo facile acquisto, l’indolenza sempre occupa il luogo dell’industria; ma sarà vero altresì che non debbe essere la sola produzione delle [p. 287 modifica]terre d’un ben regolato Stato. Possono in tale supposizione ciò non ostante stabilirsi arti e manifatture, prelevando le materie prime dalle estere nazioni; ma quale ne sarà il vantaggio? Quello solo più o meno considerabile che nasce dalla mano d’opera; molte arti subordinate ad una tale manifattura non saranno benefiche allo Stato, ma gravose perchè forastiere; non vi sarà una circolazione dalle infime alle superiori classi, ma salti ed aggregati di varia e mal distribuita ricchezza; e questo guadagno della man d’opera medesima sarà sempre precario e dipendente dagli stabilimenti delle nazioni che ci forniscono la materia prima.

Rechiamo in mezzo un altro esempio. Dopo l’alimento che serve al mantenimento degli uomini, v’è un’altra derrata non meno necessaria ad essi, la quale devesi considerare come l’alimento, perchè l’uso di quella è appunto la consumazione; questa è la legna, sia per i bisogni del vitto, sia per l’uso delle arti e manifatture; sonovi gli olj e liquori, ed altri generi che immediatamente si consumano. Se una nazione manca di questi, manca di alcune cose necessarie, e per conseguenza di molte arti, e dovrà provvedersene presso i forastieri; sarà dunque dipendente da quelli. Quanto più di queste materie si saranno provvedute, tanto minore sarà il vantaggio dello spaccio delle proprie derrate; quanto più costerà il trasporto sino a noi di coteste materie prime, tanto sarà maggiore il prezzo della mano di opera, e tanto più difficile lo smercio di quella in concorrenza delle altre simili manifatture presso quelle nazioni, nelle quali le rispettive materie prime sono coltivate; perciò queste arti forzatamente introdotte cadranno ben presto nell’ultimo languore. I più grandi stabilimenti saranno simili a quelle materie che s’innalzano per una accidentale fermentazione della terra, per fare una istantanea comparsa nell’aria, ma che bentosto ricadono per la propria gravità alla nativa palude d’onde sortirono.

32. Considerando dunque la cosa in astratto, vi sarà un limite alla consumazione delle derrate, quantunque produttrici per qualche tempo di abbondanti ricchezze alle nazioni che coltivano; come fissare questo limite? Siccome può es[p. 288 modifica]ser utile talvolta il conoscerlo, quantunque, come abbiamo detto, sia il più delle volte preferibile il lasciare la direzione alla libertà che equilibra più d’ogni altra forza gl’interessi degli uomini, gioverà, ciò non ostante, l’esaminare brevemente su quali principj dovrebbe fondarsi una tale ricerca.

Per dir qualche cosa di preciso su di ciò rifletteremo, potersi le diverse colture considerare sotto due generali e differenti aspetti, cioè di colture inclusive e di colture esclusive. Chiamo inclusive quelle che contemporaneamente possono esercitarsi sul medesimo terreno, come quelle di frumento, vino e gelsi, ed esclusive quelle che non possono ad un istesso tempo esercitarsi sul medesimo terreno, ma soltanto successivamente, come lino, frumento, prati ec.

A riguardo dunque delle esclusive premetteremo per assioma, che ciascuna nazione deve procurare di rendersi indipendente dalle altre più che sia possibile; dico indipendente, perchè la situazione de’ suoi interessi e le fortune de’ suoi cittadini non siano precarie dagli altrui stabilimenti, ma abbiano tutto il lor vigore dalla forza e dall’industria interna.

Premetteremo per secondo assioma, che noi dobbiamo preferire l’attuale popolazione alla futura, la felicità dei viventi che hanno un diritto acquistato sulle cose, a quella di coloro che sono ancora ingolfati nello scuro abisso de’ possibili.

33. Ciò supposto, abbiamo provato nella Prima Parte essere l’alimento, ossia il prodotto di consumazione, quello che rappresenta tutti i travagli e tutti i valori; dobbiamo dunque dire che le terre coltivate ad alimento, o piuttosto generalmente a prodotto d’immediata consumazione, debbono essere le più numerose, e la suddivisione di queste terre a produrre varietà di cose consumabili proporzionata ai differenti bisogni, ossia alle consumazioni di tali piuttosto che tali cose; cosicchè per questo riguardo noi dovremo avere (parlando di colture esclusive) più terre a frumento che a boschi, più terre a boschi che a qualche altro genere di coltura. Ma bisogna qui riflettere ed aver riguardo alla differente feracità d’un prodotto, paragonato con l’altro che [p. 289 modifica]sul medesimo spazio si coltivasse. Non è l’estensione materiale del terreno che misurar deve la proporzione, ma l’estensione produttiva, se è lecito di così esprimersi. Sarà dunque la quantità totale della terra impiegata a produrre la quantità d’alimento A, alla quantità di terra impiegata a produrre l’alimento B, in ragione composta direttamente della rispettiva necessità d’alimento e della fertilità nel produrlo, sia naturale, sia artificiale.

Abbiamo detto ancora che a misura che le arti dipendenti le une dalle altre si scostano dalla produzione dell’alimento, ossia dall’essere conversibili in immediata consumazione, devono essere tanto meno numerose (non avuto riguardo allo smercio esteriore); e che a misura che un’arte maggiore ne è più lontana, il di lei valore rappresenta una maggior quantità d’alimenti ossia di consumazione. Dovendo l’arte dunque rappresentatrice di tali alimenti esser più ristretta, la quantità di terra impiegata alla produzione della materia prima d’una tal’arte sarà tanto minore, quanto maggiore sarà la distanza d’una tal’arte dall’immediata consumazione.

Ripetiamo, prima di conchiudere, ciò che abbiamo dimostrato, cioè che la troppa viltà del prezzo delle derrate primarie è contraria alle arti egualmente come l’eccesso del prezzo; che dunque il commercio esteriore può esser utile finchè arrivi ad alzare il prezzo delle derrate in modo che l’agricoltura renda al di là delle spese, il prodotto delle quali è sempre in proporzione del vigore o dell’avvilimento dell’arti.

34. Ciò premesso, diremo, che come la totalità della consumazione necessaria a tutte le arti prese insieme è alla totalità della derrata necessaria di ciascun’arte particolare, così la quantità di terra da impiegarsi alla produzione delle cose immediatamente consumabili è alla rendita delle terre ed ai salarj impiegati a pagare l’industria. Frattanto è da avvertire, che io ho parlato delle arti per rapporto al bisogno interiore, non all’esito esteriore, perchè un’arte può essere accresciuta al di là di ciò che richiede l’interna coltivazione e le diverse produzioni; ma in quel caso dirassi, che l’arte [p. 290 modifica]sarà composta di due sorta di materia prima, di quella cresciuta nel territorio nazionale, e della materia prima venutaci da’ forastieri. Supponiamo che, in grazia dello spaccio esterno e della non libertà o non valore di alcuni prodotti avviliti dai vincoli, la coltura della materia prima che è la base della supposta manifattura sia al di là di queste proporzioni fissate, dico che ciò sarà a spese ed in aggravio di tutto il resto de’ prodotti; che vi sarà un minor prodotto netto nelle mani de’ proprietarj; e questo prodotto netto non avrà il maggiore spaccio possibile, e perciò la totalità delle arti medesime sarà minore e meno vigorosa, quantunque vasto ed esteso potesse essere l’ingrandimento di quella particolare manifattura. Ma se l’accrescimento dell’arte sarà per aumento della materia prima venutaci dal di fuori, allora quest’arte sarà insieme dipendente dalle arti subalterne e dai prodotti delle forastiere nazioni.

Figuriamoci un’altra volta la nostra piramide; ella si può dire di tanti piani decrescenti composta, quante sono le classi diverse de’ lavori. Se un piano cresce a misura che è più vicino alla base, cioè all’agricoltura, quantunque quella porzione di base che corrisponde allo sporgimento di questo piano non appartenga alla nazione, pure questo sporgimento stesso sarà un principio di una nuova piramide, della quale la porzione superiore apparterrà alla nazione manufattrice, e l’inferiore alla produttrice. La piramide interiore rappresenterà i risultati de’ prodotti interiori, e la piramide esteriore quelli degli esteriori prodotti. Quindi saranno tanto più utili alla nazione, quanto questi piani saranno più vicini alla base, perchè una maggior porzione ne apparterrà alla nazione, la quale abbonderà di maggiori salarj, di maggiori comodità e di una concorrenza di consumatori maggiore e più vicina alla produzione.

Da ciò ne caveremo un’utile riflessione, cioè che fino ad un certo segno una nazione può prosperare a spese d’un’altra; ma al di là d’un certo segno la vera prosperità nostra produce la prosperità altrui, non essendo data agli uomini un’esclusiva felicità o miseria: chiaro indizio d’una secreta comunione di cose, e d’una non intesa fratellanza [p. 291 modifica]voluta dalla natura fra il genere umano, dalla quale la più profonda filosofia travede, che i varj nostri interessi hanno una totale ed ultima dipendenza dalla virtù; onde sì belle contemplazioni possono elevare l’animo nostro dalle piccole e servili viste del privato interesse nelle serene e tranquille regioni della giustizia e della beneficenza.

Si è detto quanto basta per indicare i principj generali e le proporzioni colle quali, quando facesse d’uopo, conviene animare e distribuire le differenti colture esclusive d’un territorio: dal che concluderemo che bisogna nella considerazione delle arti e delle materie prime valutar prima il bisogno interiore, e con questa norma fissare le differenti proporzioni di coltura; perchè altrimenti, se le materie prime d’alcune arti fossero animate al di là del limite stabilito, ciò sarebbe a spese di altre colture egualmente necessarie, e per conseguenza a spese di tutte le arti da quelle dipendenti.

35. Ma in qual maniera potremo noi animare ed incoraggire le diverse colture in modo che non siano nè eccedenti, nè mancanti la ricercata proporzione? Rispondo, che fissata ne’ casi particolari, secondo le viste e limitazioni sopra indicate, la quantità di terreno necessario ad una tale coltura che si vuole introdurre, misurate e censite le terre tutte d’uno Stato, può essere ripartita idealmente su tutti i proprietarj la quantità di terra che si vuol mettere a tal coltura; e fatta questa tal ripartizione, può una legge pubblicarsi, che chi su tanta terra coltivata ne adatterà una tal porzione, nè più nè meno, alla desiderata coltura, sia di tanto sollevato per un certo tempo dal tributo che s’impone sulle terre; e questo tanto di sollievo debb’essere calcolato in modo che a questa nuova disposizione si trovi l’interesse del proprietario. Per lo contrario se una nuova coltura introdotta fosse tale, che il proprietario fosse determinato dall’utilità ad escludere la proporzione indicata, si può invece del sollievo sostituire l’accrescimento, e con questo aggravio repristinare secondo l’esigenza l’antica coltura. Ecco come i tributi sono in un tempo stesso ed un freno ed uno stimolo alle diverse sorta d’industria, sicchè rallentati o accresciuti a proposito, fanno della confusa e molteplice varietà d’interessi un tutto [p. 292 modifica]che collima al bene universale della società: ma di ciò sarà parlato accuratamente quando tratteremo delle finanze.

36. Le colture inclusive poi seguono altri principj e direzioni, soffrendosi l’una e l’altra, e qualche volta aiutandosi reciprocamente, sia per le leggi fisiche della vegetazione, sia per le combinazioni morali; perchè, impiegandosi un maggior numero di mani ad una minor quantità di terreno e crescendo il prodotto contemporaneo, aumentasi l’attività del lavoro e la ricchezza conservatrice dell’agricoltura. Queste dunque possono animarsi contemporaneamente, perchè più difficilmente l’una si eleverà al disopra dell’altra, giacchè essendo contemporanee le colture ed i prodotti, gli sbilanci de’ prezzi ridoneranno l’equilibrio.

37. Da queste teorie caveremo per corollario, che fra due arti o manifatture, le quali possono tener luogo l’una dell’altra nei bisogni e nelle facilità dello smercio, sarà meglio preferire ed animare quella di cui la materia prima può combinarsi coll’altre colture, in confronto di quella che le esclude. Per esempio, se noi potessimo ridur la seta a tale facilità d’esito, e a tale varietà e comodità di usi appresso a poco come la lana (e chi sa che l’industria ed il tempo, sovrano maestro delle cose, non v’arrivi), non v’ha dubbio che noi dovremmo animar più la coltura dei gelsi, che si combina colle altre colture, che la coltura delle pecore o per dir meglio de’ pascoli, perchè il campo su cui vivono è un terreno quasi perduto per altri generi di coltura.

38. Finalmente non sarà inutile l’accennar di passaggio, che le suddette massime d’agricoltura direttrice possono benissimo essere applicate all’economia privata delle famiglie. Interessar gli uomini alla fatica, è una massima che c’insegnerebbe a rendere migliore la condizione dell’agricoltore, a lasciar che egli possa disporre più liberamente dei frutti della sua industria, a non usurpare con una distribuzione arbitraria quel prodotto di cui conviene la divisione. In questa maniera non ascoltando inavvedutamente nè il presente guadagno, nè i troppo vantaggiosi ma brevi progetti, per cui l’accorto coltivatore, esaurendo in poco tempo le forze tutte di una terra ch’egli considera come non sua, [p. 293 modifica]isterilisce ed annichila al proprietario la sorgente delle ricchezze, si verrebbe a fare il miglior uso, sia in proprio vantaggio, sia in quello del pubblico, della fatale ma necessaria disuguaglianza de’ beni. Così il variar le colture non può non esser caro a quel privato che considera e calcola la varietà delle risorse e la maggiore moltiplicità delle azioni delle quali diventa distributore; moltiplicità di azioni, in cui la vera ricchezza consiste, e che è il segno più naturale e più stabile della prosperità.