Fedele, ed altri racconti/Una goccia di rhum

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Una goccia di rhum

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UNA GOCCIA DI RHUM




Gli occhi suoi mi dissero di tacere: un domestico entrava con il vassoio del thè.

— Per me sola — diss’ella a mezza voce — come Leopardi. — Amava, benchè straniera, Leopardi, che io le leggevo qualche volta; e non soffriva, allora, che chicchessia ne udisse un sol verso. Quella sera non leggevo, avevo una febbre di passione troppo forte; dicevo all’amica mia le visioni avute di lei e del nostro amore immortale prima [p. 206 modifica] di conoscerla, prima ch’ella venisse in Italia. Non so qual genio m’ispirasse le parole ardenti che salivano dal mio cuore come onde in furia, mi si rompevano sulle labbra. I domestici non avevano, forse, molto ad apprendere sul nostro legame; ma Elena si crucciava veramente che altri m’udisse, anche solo un momento e per caso, nelle rare effusioni dell’anima mia.

— Accendete — diss’ella al cameriere. Mi spiacque che non lo congedasse subito, e, quando restammo soli, tacqui guardando sul vassoio la pura fiamma azzurrina come uno spirito dell’argento. Elena pure taceva; ma, dopo un lungo silenzio, vidi due lagrime rigarle il viso, benchè gli occhi gravi non esprimessero, quasi, dolore.

— Elena! — esclamai.

Ella fermò il mio slancio con un [p. 207 modifica] sorriso ed un gesto. Mi accennò di spegnere e disse:

— Devo parlarvi.

Non mi sorprese che adoperasse il voi invece del tu; qualche volta diceva anche lei, ed ero avvezzo a queste bizzarrie; ma mi fece paura l’accento. Non parlò subito; vôlta alle grandi invetriate che chiudon la loggia da ponente, guardava giù nella scura notte piovosa i lumi di Firenze, stringendo una fronda del colossale rhododendron, tutto fiori sanguigni sopra il suo capo.

Il thè era pronto. Lo versai nella tazza d’Elena e, ricacciandomi l’angoscia in gola, le feci con la solita voce la solita domanda:

— Latte o rhum?

Mi si permetta di non dire perchè Elena non voleva che io le domandassi mai espressamente di rimanere con lei [p. 208 modifica] un’ora o due dopo la mezzanotte, quando si spegnevano, di solito, i fanali del cancello, la lampada del vestibolo. Era convenuto fra noi che se Elena prendeva rhum nel suo thè, invece di latte, questo favore mi veniva concesso. Dunque le domandai:

— Latte o rhum?

Elena si voltò. Non le si vedevano più in viso le due righe lucenti.

— Senti — diss’ella come se non avesse intesa la mia domanda — mi hai detto una volta che vi sono troppi enigmi nel mio carattere, ch’esso è troppo inverosimile per farne una creazione artistica. Non me l’hai detto?

Era vero e lo confessai.

— Non dev’essere così — riprese Elena con impeto. — Tu ami troppo le donne della tua fantasia! Io sono più bella, più viva e più vera! Chi è questa [p. 209 modifica] gente che mi troverà inverosimile? Che t’importa di loro, a te? Credi forse che avrai mai fama? Non ti amerei tanto! Io non degno neppur ricordarmi di tutta questa povera gente al di sotto di noi. Voglio che tu faccia di me un poema quando cominceresti a dimenticarmi.

La interruppi protestando, le afferrai una mano.

— Voglio — proseguì abbandonandomi la sua gelida mano — rinascere nella tua mente, essere amata da te come le altre e più ancora. Me lo prometti?

— Elena — esclamai — mia, per sempre mia Elena, perchè mi parli così, come mai pensi?...

Ella impallidì, gli occhi suoi lampeggiarono d’impazienza.

— Me lo prometti? — ripetè affannosa — me lo prometti? [p. 210 modifica]

— Sì, Sì — le risposi, e volevo soggiungere altro; ma ella si portò con tant’impeto la mia mano alle labbra che una commozione senza nome mi spense la voce.

— Guardami bene gli occhi — diss’ella, alzando il viso: — devi essere un pittore fedele.

— Mai mai — le risposi — non potrò descrivere i tuoi occhi magnetici!

Ella lo sapeva, glie lo avevo detto altre volte che non c'era espressione umana per descrivere il carattere singolare del suo sguardo. Sorrise tristemente e soggiunse ponendosi la mano sul cuore:

— Ma il più difficile è qui.

— Elena — le dissi con tenerezza — è per questo che piangevi, è per questo che mi hai fatto paura?

Fu allora ch’ella mi disse le parole [p. 211 modifica] amare di cui, dopo tanti anni, la memoria mi assale ancora di notte e nella solitudine. Le avevano scritto dalla Lituania; parenti poco degni di lei, forse poco leali, facevano appello, dopo una lunga storia, alla nobiltà del suo cuore, perchè ritornasse colà nella fredda patria; ed ella, sapendo che il clima e l’amore l’avrebbero uccisa, partiva l’indomani, con la sua fatale sete di sacrificio, per Vilno, dove nessuno la poteva seguire.

Vorrei dimenticare le folli cose che dissi e feci, malgrado la mia solita calma scettica, in quell’ora terribile; ma avrei spezzato il marmo del tavolo che tempestavo col pugno fremente, prima di piegar Elena con le preghiere e lo sdegno. L’accusai per ultimo di egoismo; le dissi che pensava solo a sè, sempre a sè; che metteva la virtù come un abito [p. 212 modifica]di Parigi e il sacrificio come un gioiello, per ammirarsi sopra ogni creatura. E subito le caddi a’ piedi, le chiesi perdono.

— No — diss’ella, alzandosi — è forse meglio lasciarci così; si soffre meno.

Invano la supplicavo, la scongiuravo, sempre ginocchioni, trattenendole una mano.

— Si soffre meno — ripeteva — si soffre meno.

La sua voce lottava col pianto, ma vi si sentiva il dispetto di questa debolezza dei nervi; la mano che trattenevo mi fu tolta.

Sorsi in piedi. In quel momento suonò mezzanotte.

Elena, ritta, non mi parlava, non mi guardava, pareva aspettar ch’io partissi.

Tolsi dal volume di Leopardi, ch’era sul tavolino, un ramoscello d’olea fragrans postovi da lei per segno la sera innanzi, e dissi piano: [p. 213 modifica]

— Permette?

Allora ella mi guardò con quel suo sguardo divino di una volta, ma non fè’ cenno nè disse parola. Posai il ramoscello; mi sentivo morire.

Mi fermai, prima d’uscire, sulla soglia e mi voltai per un tacito saluto. Elena susurrò senza muoversi:

— Lei mi farà migliore e mi amerà più nel suo libro che viva.

Il domestico entrò ad avvertire che c’era la mia carrozza, ma che pioveva molto.

— La prego — mi disse Elena sorridendo, come per nascondere a colui la nostra emozione — un’altra goccia di rhum.

Mi accostai al tavolo barcollando come un ebbro, mentre il domestico usciva. La boccia di cristallo era vôta. Nei miei trasporti di prima le avevo fatto [p. 214 modifica]un’incrinatura sul fondo, e il rhum era colato silenziosamente sul pavimento.

— Ve n’è ancora per due — disse Elena.

Ell’aperse una piccola custodia nel suo braccialetto d’oro, vi raccolse, sorridendo fra le lagrime, l’ultima goccia di liquore che oscillava sull’orlo del cristallo, la povera ultima goccia del nostro tempo felice. Si recò il braccialetto alla bocca; ma, prima che lo porgesse alla mia, io colsi sul suo labbro l’umore ardente.

Ne serbo ancora nel petto un fuoco che solo la morte può estinguere: e sempre sempre, quando lavoro al libro in cui Elena rivive, tutto quello che mi esce veramente dal cuore ha la straniera fragranza, il fuoco fantastico di quella goccia di rhum.