Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 33

Da Wikisource.
N. 33 - 18 agosto 1872

../N. 32 ../N. 34 IncludiIntestazione 22 dicembre 2021 25% Da definire

N. 32 N. 34

[p. 271 modifica]SALVATORE FARINA Si pubblica. OGNI DOMENICA Il 2.° fascicolo di Agosto della Rivista Minima sarà pubblicato il 25 corrente. BIBLIOGRAFIA La Legislazione e la Giurisprudenza dei teatri. Trattato dell’Aw. Carlo Rosmini, preceduto da un’introduzione Storica di Paolo Ferrari. Piccolo Romanziere di E. Panzacchi. La Musica come mezzo d’educazione. Discorso di Davide Parmigiani. Atti dell’Accademia dell’istituto musicale di Firenze. Anno Decimo. Cronologia degli spettacoli dei RR. teatri di Milano di P. Cambiasi. (Continuazione e fine). Il sig. Davide Parmigiani lesse non è molto in Parma, in occasione d’una distribuzione di premii, un discorsetto intorno alla Musica come mezzo d’educazione. L’argomento è vecchio come la musica stessa, la quale prima ancora d’educare sè stessa ha incominciato ad educare gli uomini; al signor Parmigiani non rimaneva adunque che ripetere ciò che fu detto da mille, e il suo merito è di aver adoperato un certo garbo e molta brevità per riuscire a questa conclusione di prammatica: che la musica è la regina delle arti. Non vi ha artista che ami l’arte sua, il quale in fondo al cuore non sia intenzionato di sederla in trono, nè oratore che si rispetti senza che si provi con due bravi sillogismi a rovesciare le dinastie, a benefìzio del proprio argomento. Per tacer d’altri, lo stesso Paolo Ferrari di cui fu fatta parola nel numero passato, prima di esporre la storia della drammatica, pone in sodo che quest’è l’arte per eccellenza ed è pittura, scultura e musica insieme. Ecco adunque un suddito ribelle che per opera di Paolo Ferrari si mette in corpo la regina di Davide Parmigiani. Si hanno mokissimi esempi di scandali siffatti, poiché l’illusione è universale e la buona fede sempre cieca ad un modo. Più di entrambe avrebbe ragione,, parmi, di pretendere lo scettro la Poesia, che è il primo latte intellettuale dell’umanità, che si atteggia a tutte le forme, che può dir tutto, e da per tutto, senza bisogno nè di palcoscenico, nè di attori che non studino la parte, nè di suggeritore che la rammenti, che vanta dai primordi gli Omeri, che è nata regina anzi che divenirla, eccetera. Ma ammettendo che i poeti siano cattivi avvocati della loro causa e dimentichino la replica a tempo, e che la questione sia tutta ridotta alla drammatica e alla musica io posso dar qualche ragione a Ferrari, ma non m’intendo punto coll’egregio signor Parmigiani. Un’arte che vuol essere educativa nello stretto senso della parola e che pretende di esser regina sulle sue sorelle deve anzitutto avere l’evidenza del linguaggio che alla musica non è concesso. Non basta commuovere e ispirare gentili sentimenti, il che fa la musica, ma conviene ribadirli e convincere, e questo non può fare. Per me penso che si andrebbe sempre d’accordo purché ei intendessimo una buona volta sulla forma di governo; non si tratta qui d’una monarchia assoluta ma d’una repubblica democratica; le arti non sono nè regine, nè ancelle, sono sacerdotesse alleate che cooperano all’ingentilimento e all’educazione dell’umanità per vie diverse, e se talora sembrano confondersi gli è perchè hanno comuni il punto di partenza - il bello - e la meta - il buono. Il R. Istituto Musicale di Firenze ha pubblicato in un volumento gli Atti dell’anno decimo. Una breve relazione del segretario Ciancili, circa i lavori accademici del 1871 è quasi interamente spesa a rammentare con meste parole otto morti: Alessio Lvoff, Giovanni Gordigiani, Giuseppe Busi, Luigi Gherardeschi, Francesco Giuseppe Fétis, Daniele Francesco Auber, Girolamo Barbieri e F ordinando Marcucci, tutti membri effettivi, corrispondenti od onorarli dell’accademia. A questa relazione tien dietro una Memoria sul Lohengrin di Wagner del cav. G. A. Biaggi. Il Biaggi dice molto bene di questo lavoro del compositore tedesco, ne loda le arditezze, e nega che l’autore sia da porre, come vogliono i detrattori ed i difensori ancor’più incorreggibili, fra i rivoluzionari! della musica; fruga nel passato e ritrova Wagner in Weber, in Monteverde e più nel Morlacchi; senza farsi apostolo dei suoi intendimenti melodrammatici, concede che la musica non debba prendere il posto del dramma, infine asserisce che Wagner è un genio. Intorno a tutto ciò siamo pienamente d’accordo; quanto agli intendimenti di Wagner resta ancora a vedere, se, oltre all’essere egli come compositore in contrasto con sè stesso come critico, (il che scema a parer mio valore alla sua religione) non rimanga aperta altrove al melodramma una via migliore di quella tracciata dal Lohengrin. Ma non è il momento di far simile discussione. In una cosa sola dissento per ora dall’egregio Biaggi ed è nella lode che egli vuol attribuita a Wagner per i suoi libretti, i quali anziché rispondere all’indole deWarte musicale mi pajono sfibrarla in una fantasmagoria inutile, in un sensualismo che non dice nulla, e la riducono all’ufficio d’una nenia carezzevole che accompagna la menzogna dei sonni. Codesta nuova arcadia che vanta [p. 272 modifica]274 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO i silfi invece dei pastorelli, i lutini invece elei satiri, che fa parlare cigni e bestie feroci, non riconduce, come afferma il Biaggi, ad una antica e poetica semplicità, ma rinfanciullisce l’arte; nè è buona ragione perchè uomini maturi si sono compiaciuti nelle carnifìcine letterarie di correggerli mettendo loro i balocchi nelle mani. Il Biaggi che loda Wagner non sembra però accettarne tutte le forme; biasima nel Lohengrin la monotonia e la minuziosa analisi musicale che produce lentezza, peso, e sopprime gli effetti, e infine non pare disposto a far troppo buon viso alla scuola puramente drammatica. Ecco come ne ragiona: Le due arti da cui è costituito il melodramma tendono continuamente a sopraffarsi, e di qui, sòrte subito dopo la riforma del secolo XVI come abbiam visto e vive sempre e sempre combattenti e sempre armate delle medesime argomentazionioni, — due scuole: la musicale, dirò così, e la drammatica. — La prima vince l’avversaria e trionfa, quando sorgono i compositori ricchi d’abbondante ed eletta fantasia melodica. Col canto lirico, la musica raggiunge i più naturali, i più universali e i più potenti suoi effetti. Con essi ella agisce direttamente sul cuore e allora, vuoi nelle scuole o vuoi nelle platee non è più chi cerchi altro dal dramma che un accettabile pretesto al far musica, nè chi cerchi alla rappresentazione scenica la fedele e ragionata pittura del vero. Inutili i trattati filosofici e inutili i sistemi; il cuore commosso ha argomenti ed ha ragioni che la ragione non giunge ad intendere, e che la vincono e la vinceranno sempre. L’altra scuola, non accadrebbe dirlo, si fa strada e signoreggia, quando mancano le abbondanti ed elette fantasie melodiche; e quando i melodisti cadono (il che, per verità, segue frequentemente) ne’modi comuni, nella volgarità e in quelle insipide sequele di suoni che tutti e musicisti e non musicisti sanno immaginare e sanno mettere insieme. La scuola allora trionfa, non è dubbio; ma trionfa però a forza di restrizioni e di concessioni; che se volesse seguire rigorosamente il discorso della ragione, essa sarebbe inevitabilmente condotta a fai’ tavola rasa della musica e a fermarsi al dramma propriamente detto, al dramma parlato. Dotta e ricca d’osservazione psicologiche è la memoria del cav. Maglioni intorno ad un quesito accademico sugli accozzi di suoni ad intervallo di seconda e sulle successioni di quinte. Egli stabilisce con molto giudizio come l’uso di queste maniere possa non solo essere tollerato ma in alcune occasioni necessario all’effetto, e avvalora il suo dire con molti esempi. Il sig. Adolfo Baci nella sua Memoria intorno al teatri) di musica in Italia, fa la diagnosi di un ammalato con molto acume, e suggerisce ottimi rimedj. Egli è sempre nel vero quando biasima e quando corregge; finita la lettura delle parole del Baci siamo rimasti più che mai convinti che i nostri splendori musicali sono più in potenza che in atto e piuttosto come privilegio di pochi eletti che come patrimonio pubblico. Belle parole e assai opportune scrive il sig. Baldassare Gamucci, prendendo ad esame le condizioni presenti della composizione, che secondo lui è in decadenza, colpa la trascuranza degli studi fondamentali. Pompeo Cambiasi è benemerito della statistica teatrale; da molti anni egli segue pazientemente le fasi dei nostri teatri, e le registra; il suo recente libro: Rappresentazioni dei Regi teatri di Milano dal 1778 al 1872, è come uno storico riassunto degli splendori passati, che può giovare immensamente allo splendore avvenire. La fatica.del Cambiasi, oltre aH’iiitento, merita lode per l’ordine e per la chiarezza con cui è condotta, in guisa da rendere facilissima qualunque ricerca; nè l’autore fece solo prova di pazienza, ma di criterio giusto ed imparziale nell’assegnare gli esiti delle opere in ogni stagione, ufficio spinoso da cui è uscito senza graffiarsi e senza graffiare. APPENDICE ■ oj=^=ia—

LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL PILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI DANIELE RUBBI (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31 e 32/ XI. IL RITRATTO DELLA REGINA. Nell’istante in cui il de Olivares usciva dalla camera di Anna, Velâzquez entrava in quella del Re. Un istante dopo vi entrò pure il favorito, senza farsi annunciare, come usava. Nel vedere entrare il conte-duca, Filippo IV indirizzogli uno sguardo di ansiosa interrogazione, che fu corrisposto da altro di orgogliosa soddisfazione, e con un sorriso pieno di promesse. Velâzquez, pallido, magro, cupo, appoggiavasi macchinalmente alla spalliera d’una sedia; quegli occhi infossati da tre giorni di disperazione e tre notti d’insonnia, guardavano vagamente; le guancie incavate, il disordine de’ capegli, e la barba non rasata sulla sua faccia pallida e rannuvolata, gli davano un aspetto iracondo, violento e doloroso. Bastava fissare lo sguardo una sol volta su quell’uomo per accorgersi che aveva l’anima travagliata da un cruccio inconsolabile. Nel vedere entrare il conte-duca, i suoi grandi occhi acquistarono fierezza e s’impiantarono schizzanti furore sul volto del favorito. Il Re, che s’era commosso profondamente nel notare l’aspetto di Velâzquez, sentì che l’ira dominava la sua tenerezza quando vide la foga dipinta sul volto del pittore. In quanto al de Olivares, sostenne freddamente la iraconda occhiata di Velâzquez. — Signore, disse questi dirigendosi a Filippo IV, vengo a chiedere a V. M. che mi restituisca la sorella che avevo, e che mi è stata involata. Attonito il Re, per così violento esordio, si volse a guardare il favorito. — Questo sguardo, continuò Velâzquez con voce cupa, questo sguardo mi dice, signore, che il ladro di Anna è il conte-duca. E Velâzquez, col volto infiammato, pose la mano sull’elsa della spada, e avanzò due passi verso l’Olivares. — Velâzquez, tu sei pazzo!... esclamò il Re, punto da tanta audacia, ma nello stesso tempo commosso profondamente da cosi intenso dolore. — Sono in possesso di tutta la mia ragione, signore, rispose il pittore di camera, levando la mano dall’impugnatura della spada; ma assicuro V. M. che la perderò se quest’uomo continua a stare in mia presenza. Velâzquez tacque aspettando che il Re faces^ uscire il conteduca; ma il debole monarca non si arrischiò di formulare un ordine, il cui solo cenno aveva fatto infuocare come due bragie gli occhi di quello che avrebbe dovuto eseguirlo. Un sorriso di scherno si dipinse sulle grandi labbra di don Gasparo de Guzman y Pimentel. — S. M., disse egli accentuando tranquillamente le sue parole, S. M. pare che non abbia difficoltà di sorta che io ascolti la domanda della vostra amante. — Menti come un villano! gridò il pittore di camera, rosso dalla collera; e cavandosi un guanto, che fece a pezzi con rabbiosa frenesia, lo gettò sul volto del favorito. Andate! continuò con sorda voce, partite se non volete che vi sputi in volto, signor conte-duca de Olivares!.... Partite, o viva Dio saprò strapparvi, colla mia spada, quanto pagaste a comperare il mio mulatto Giovanni e il nome del luogo dove avete nascosta non l’amante ma la sorella mia. — Prima di tutto, signor Don Diego, rispose il conte-duca, [p. 273 modifica]GAZZETTA MUSI Rivista Milanese Sabato, 17 agosto. La settimana che è passata fu tutta una settimana di gestazione, benemerita forse dell’avvenire, ma niente affatto della Rivista d’oggi! Il Politeama, intanto che preparava la Follia a Roma per questa sera, si tenne alla meglio in arcioni passando dal Papà Martin alla cavalcatura zoppicante della Jone, e gli altri teatri hanno serbato come al solito un silenzio di rigore. Non metto nel novero il teatrino estivo, parodia di teatro in cui si fa la parodia di opere in musica, perchè la sua natura microscopica lo sottrae ai rigori della critica. Non voglio però tacere che Y Elisir d’amore vi è eseguito meglio che non mi aspettassi, da una prima donna che sa il fatto suo, da un tenore, da un baritono e da un buffo pieni di buona volontà. Ora che l’impresa ha ricorso al mezzo eroico di aggiungere allo spettacolo una consumazione (sic), senza aumentare il prezzo del biglietto, può darsi che le stelle guardino con occhio benigno il Don Procopio che va in scena questa sera. Si fa un gran dire delle feste prossime in occasione dell’Esposizione, che sarà inaugurata il 26 corrente. Siccome il programma non è ancora determinato, i collaboratori alla compilazione sono innumerevoli, e ciascuno vuol dir la sua. Oltre la mezza dozzina di inaugurazioni che avranno luogo in quest’occasione, oltre l’inevitabile fuoco di bengala fra le guglie del duomo, si pronostica una magnifica illuminazione in Piazza della Scala, e un Concerto monstre allestito per cura del violinista Marzorati e del dilettante cav. Castoldi. Se la cosa non va in fumo, in questo concerto verrà eseguito un inno di Leopoldo Marenco alle Arti posto in musica dal maestro Quarenghi, senza contare le nuove composizioni del Marzorati, e il debutto del celebre Mario che come si sa non volle mai cantare in Italia. Augurando che tutto si avveri appuntino, mi permetto di dubitare di quest’ultima diceria. CALE DI MILANO 275 Quanto agli spettacoli teatrali è un peccato che non ne sia pronto almeno uno per il primo giorno delle feste, chè il Teatro al Foro con quel che segue si aprirà il 31 corrente e la Scala intorno a quel tempo. Rimarrà il Politeama, più il Serraglio di bestie feroci del signor Bidè] che è sorto all’improvviso in Piazza Castello. Questo serraglio è variato e ricco, e il sig. Bidel gode l’intimità dei suoi dozzinanti, a cui fa fare le più graziose moine che quella brava gente sappia fare. È uno spettacolo nuovo. Si vedono i lupi a braccetto cogli agnelli, e i leoni che danno del tu alle pantere - il problema della genesi è così risoluto: il paradiso terrestre... era una gabbia del signor Bidel. S. F ALLA RINFUSA Un processo per frode fu discusso a Monaco- il 24 luglio, interessante per ciò che F imputato si faceva passare per un Luigi van Beethoven di Aiennà. Egli insieme colla sua consorte commise varie truffe. Come sedicente parente del celebre Luigi van Beethoven si volse anche al re di Baviera per ottenere un sussidio, ed ebbe dalla cassetta particolare di S. M. varie somme dell importo totale di fiorini mille. L inganno rendendosi sempre più evidente, la rea coppia disparve ed i creduli restarono mistificati. Il processo fu fatto in contumacia. Durante il soggiorno dell’imperatore di Germania a Wiesbaden, fu rappresentata, per ordine suo, la Dinorah di Meyerbeer. Il gioviale maestro Himmel (notisi che Himmel in tedesco significa cielo) diede un giorno alla cantante Schwalz una lettera di raccomandazione diretta al maestro Naumann, la quale cominciava con queste parole: «Colla presente l’Himmel (il cielo) vi spedisce un angelo grosso». > Un’importante scoperta bibliografica fu fatta testò nella Biblioteca Mazzarino di Parigi dal sig. Pottier, il quale ha posto finalmente la mano sul famoso esemplare tanto ricercato della «Musique Universelle, contenente tutta la pratica e la teorica» (208 pagine) di Antonio de Cousu, canonico di SaintQuentin, esemplare che il sig. Teodoro Nizard (abbate Normand) assicurava esistere in un pubblico deposito dove egli l’aveva copiato per intero e del quale, da bibliofilo egoista, non aveva voluto divulgare il nascondiglio agli eruditi. Si sa che il sig. Thoinan ha consacrato a questo libro rarissimo, di cui non raccogliendo freddamente il guanto di Velâzquez: prima di tutto sarà bene che mi proviate il diritto che avete di volere essere il padrone assoluto di quella infelice fanciulla, che tenete sottomessa al più indegno servaggio. — Partite, vi dico!.... tornò a gridare Velâzquez snudando la spada. Il favorito si diresse lentamente allo scrittoio del Re, e agitò il campanello d’oro che vi stava. — Il capitano delle guardie di S. M. il Re! disse don Gaspare con calma glaciale all’usciere che si presentò. — Siete un infame, signor conte-duca de Olivares! urlò don Diego, in pari tempo che il capitano delle guardie entrava. — Per ordine del Re, disse il favorito senza neppure guardare il pittore, per ordine del Re arrestate don Diego Velâzquez de Silva. Il capitano avvicinossi a Velâzquez, e aspettò la spada che stringeva con mano tremante dal furore. In quell’istante aprissi strepitosamente la cortina di velluto che copriva una porta situata alle spalle del Re. — S. M. la Regina! gridò un usciere in tutta gala. E Isabella di Borbone, vestita d’una lunga veste di cerimonia, apparve in sulla soglia. — Eseguite gli ordini di S. M. gridò imperiosamente l’Olivares al capitano delle guardie, nello stesso tempo che lanciava un’occhiata sinistra sulla Regina. Isabella rispose a questo sguardo con altro di sprezzo. — Vengo, signore, disse poscia dirigendosi al Re, vengo a cercare don Diego affinchè finisca il mio ritratto già incominciato giorni sono, perchè la nostra Maria Teresa lo desidera nella sua camera. Un raggio di gioia irradiò l’abbattuto sembiante del nobile artista; il favorito, invece, rimase scornato e livido di rabbia. Filippo IV guardò dubbioso il favorito e la Regina; l’istante facevasi sempre più imbarazzante. Improvvisamente udissi un grande rumorio di passi e di spade, e un istante dopo, un paggio annunciò: — Sua Signoria l’ambasciatore di Fiandra! Alzossi Filippo IV per ricevere colui che rappresentava l’Infanta sua zia, e assai contento che quella persona gli evitasse l’esplosione della collera che da mezz’ora stava per iscoppiare. Il conte-duca uscì ad incontrare Rubens, maledicendo in sè qùel contrattempo d’etichetta. La Regina lasciò spuntare sulla sua bella bocca un sorriso di orgoglioso trionfo. — Signor ambasciatore, ella disse dirigendosi a Rubens; il nostro pittore di camera vi invita per bocca mia a visitare domani il suo studio, dove sarà esposto il mio ritratto che ora sta per terminare. Rubens inchinossi profondamente e baciò la morbida e bianca mano della Regina, frattanto che essa guardava con mestizia la pallidezza e lo sfiorirsi di quel viso. Senza dubbio il Re della pittura era divorato da qualche occulto e intenso dolore. Quando Pietro Paolo Rubens alzò il capo, Isabella presentò la sua mano a Velâzquez, il quale, dopo d’essersi inchinato innanzi al Re ed all’ambasciatore, voltò le spalle con disprezzo al favorito, e parti colla Regina. XII. LO STUDIO. Gli scolari di Velâzquez andavano e venivano confusi e affannati; era il giorno in cui Rubens doveva visitare lo studio del loro maestro. Quei poveri ragazzi erano giunti da Madrid nei tre giorni che Velâzquez trovavasi all’Escoriai, perchè il loro amore all’arte era tanto grande, e stimavano tanto il maestro, che non avevano risparmiato preghiere presso le loro famiglie, affinchè permettessero ad essi di continuare le lezioni nella reale residenza di S. Lorenzo. Nel giorno di cui parliamo, terzo dell’arrivo all’Escorial di Velâzquez, i discepoli erano assai occupati a pulire dalla polvere, diligentemente, i cavalletti, collocandoli in fila secondo la loro grandezza, con una uguaglianza scrupolosa, e ponendo a posto tutti i mille oggetti che si vedono nelle dimore dei pittori. — Quale mancanza è per noi quella di Giovanni! disse un [p. 274 modifica]276 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO esistono che due esemplari nel mondo (senza contare la copia manoscritta dell’abbate Normand), un opuscoletto pubblicato in soli 50 esemplari, oramai fatto esso pure rarissimo! ¥ Nel vedere incensate sui giornali tante mediocrità e peggio vi fu chi domandò: — Perchè si raffigura la verità tutta nuda? E siccome nissuno rispose, quel cotale aggiunse: — Perchè ciascuno possa vestirla come più gli piace. Una circolare del ministro della guerra ha rimesso in vigore in Francia un’ordinanza del 1853, relativa alla formazione in ogni reggimento d’una scuola obbligatoria di canto. Ond’è che da alcuni giorni al campo di Villeneuve-l’Etang, si odono i soldati cantar la solfa sotto la direzione dei capimusica e dei sotto capi. Per il 19 agosto è annunziato ad Anversa un gran concerto vocale ed istrumentale, dato dalla sezione musicale del Circolo artistico. L’orchestra sarà composta di dilettanti e il programma non deve comprendere che opere dei gran maestri classici.

  • Nella stessa città avrà luogo il 22 corrente una vendita di strumenti

ad arco e di musica classica. Comprenderà la collezione lasciata dal signor Wiyts. Si notano fra i violini: uno Steiner, dono che l’imperatrice Maria Teresa fece nel 1743 a Kennis, che fu maestro di cappella della chiesa di S. Pietro a Lovanio nel 1750. La collezione comprende inoltre molta musica per violino, di antichissime edizioni, rilegate riccamente. ★ Fu detto altra volta che una gran parte della fortuna del celebre Mario fu assorbita da un disastro finanziario. Le grandi famiglie inglesi hanno iniziato una sottoscrizione in suo favore: chi conosce la puntigliosa generosità dell’aristocrazia britannica immagina già il risultato. Basti dire che la famiglia reale ha sottoscritto per 2000 sterline (50,000 lire).

  • Il teatro di Palazzolo era così ben costrutto, che giorni sono rovinò la

vòlta. Per buona sorta non si lamentano disgrazie; se quella vòlta non era solida, aveva almeno giudizio; pensate se fosse caduta durante una delle rappresentazioni, che dovevano aver luogo nel prossimo mese di ottobre, e per cui era stata già scritturata la compagnia di canto!

  • Il maestro De Giosa ha finito la musica di un’opera: I Galanti e dà

l’ultima mano ad un altro spartito: Tiberio e Properzia a Posilipo.

  • La celebre Teresina Stolz, nel partire da Padova fece consegnare al

Sindaco la somma di lire 300 perchè fossero distribuite ai poveri. I giornali annunziano il prossimo arrivo dal Marocco in Europa di una compagnia di Mori, che formarono un’orchestra di nuova sorta. Invece di strumenti si giovano di stoviglie (chiamate fra loro gulabes), sulle quali battono con un legno (aragug) e ne cavano effetti sorprendenti. Si fecero non ha guari udire a Tripoli di Barberia, e suonarono fra gli altri pezzi la sinfonia della Semiramide e il rataplan dell’Assedfo di Leida del Petrella. ¥ Si leggé in un giornale inglese: «Il sig. John H. Withe ha inventato un flauto senza chiavi col quale si eseguiscono in breve i passi più difficili, con maggior precisione e facilità che non coi flauti del sistema Boehm.» La notizia ei pare molto inverisimile. Contrariamente alle voci corse che indicavano già le opere scelte per la prossima stagione al Comunale di Bologna, quel teatro è ancora da appaltare. Le proposte devono essere dirette al Municipio entro il 25 corrente; la dote è di L. 40,000. E stato ritrovato (i giornali non dicono dove) un Codice di Lutero dell’anno 1530, concernente un inno sacro, cantato ancora al presente nei tempii de’protestanti. Risulta da quell’antico manoscritto, che Lutero era appassionatissimo apprezzatore e cultore della musica sacra.

  • È morto Filippo Cuccoli, il rinomato marionettista di Piazza Maggiore

in Bologna. IP Eptacordo di Roma, giornale che aveva raggiunto i 12 anni di vita, ha dovuto cessare le sue pubblicazioni. Quest’anno, al Teatro del Casino di Homburg, verrà rappresentata La lotteria di Vienna, del maestro Luigi Orsini. CORRISPONDENZE NAPOLI, 14 agosto. Il Don Procopio al Fondo — La Repetto-Suardi — Concorso e nomina al posto di Direttore della Musica al R. Albergo dei Poveri — Altri concorsi e onorificenze. Niente d’importante e di nuovo ebbe luogo in quest’ultimo periodo, salvo qualche rappresentazione del Don Procopio, musica comica del Fioravanti e d’altri maestri, e nè pur nuova, chè molti rammentano d’avere udito quest’opera allo stesso teatro molti anni fa, ma sotto altro titolo, Il Notaio d’Ubeda. Se non che dopo qualche rappresentazione più non si potè eseguire, perchè il buffo Fiorini chiese lo scioglimento del contratto per guarirsi da un’infermità che lo travaglia. In sua vece è stato scritturato il Correggiola, per questa ragione udremo un po’ più tardi la Fiera del Delfico. In questo mentre alternansi le rappresentazioni delle Educande e della Sonnambula, nelle quali opere desta sempre ammirazione la giovane prima donna Repetto-Suardi, la quale presenterassi tosto nella Linda di Chamounix. bel ragazzo dal colore bruno e occhi neri, nel passare con una tavolozza carica di colori. — In verità che si, rispose un altro di tinta bianca e occhi chiari come un inglese; dacché è scomparso lo amo di più. Oh! se si fosse trovato qui lui, sarebbe già tutto regolato da molto tempo. — Povero Giovanni! Quante volte mi pentii del molto che lo feci arrabbiare! disse un terzo con aria mesta; di certo se n’è andato perchè gli abbiamo fatto perdere la pazienza. — Io, aggiunse un quarto, sono stato ieri al nostro studio di Madrid, e pigliai dal suo ripostiglio alcune cose che egli conservava con cura. — Perchè? — Perchè amo avere qualche ricordo del povero mulatto, che era tanto buono, malgrado l’atroce martirio che gli procuravamo colle nostre burle; guardate questa tela rotolata che c’era in quell’angolo vicino al cavalletto del maestro; è uno degli oggetti che conservava con maggior cura. — Vediamola. — Cosa dobbiamo vedere? Questo piego sarà di carta bianca; forse il povero Giovanni amava servirsene per farvi su delle parole.... desiderava tanto di apprendere da sè solo a scrivere! — Lo credo io! Aveva nessuno che gli insegnasse! — Zitto! disse all’improvviso uno scolaro: zitto!... mi pare di udire dei passi! — La paura che vengano non ti lascia tranquillo.... ma infine devono venire. — Lo so. — Ma se lo sai perchè tremi? — Io tremo? — Tu. — Inverità non me n’ero accorto! Ti confesserò che mi spaventa il pensiero di vedere Rubens, assai più di quello di vedere il Re. — Certamente! Altrettanto succede a me. — Anche a me! — Anche a me! — Ma zitto, zitto.... ora si che vengono proprio! Infatti, un sordo rumore di passi e di voci confuse annunciò ai giovani l’arrivo dei due Re: quello di Spagna e quello della pittura. Pochi momenti dopo apparvero entrambi sul vestibolo, seguiti da un grande codazzo di cortigiani. Quei poveri giovanotti rimasero pigiati alla parete, gli uni a ridosso degli altri, senza alzare gli occhi, nè quasi respirare. Filippo IV si appoggiò famigliarmente al braccio di Rubens, ed entrambi, seguiti dal brillante corteo, incominciarono a fare il giro dello studio. — Come va il lavoro, figli miei? chiese Rubens con nobile e leale bonomia, dirigendosi al gruppo degli attoniti scolari. — Abbastanza.... abbastanza bene.... signore.... risposero tremando due o tre. — Io desidererei di vedere le opere vostre, continuò Rubens; si, avrei sommo piacere a vederle, quando Velâzquez me lo permetta. — Ah Dio mio! disse a bassa voce il più giovane dei discepoli; che disgrazia che non ei sia qui il maestro! — Mi permette V. M., disse Rubens dirigendosi a Filippo IV, che lo mandi a chiamare? — Con molto piacere, caro Rubens, rispose il Re scuotendosi dalla preoccupazione dolorosa in cui lo aveva immerso il caso di Anna. Olà, disse volgendosi ad un paggio, andate a cercare don Diego Velâzquez. — Sono qui, signore, disse l’artista comparendo sulla porta d’ingresso, in pari tempo che il conte-duca penetrava nello studio per la porticina che comunicava coll’appartamento del Re. — Venite qui, Velâzquez, disse l’ambasciatore, frattanto che il Re, obbedendo a un segno del conte-duca, avvicinavasi a questo. — Desidero, soggiunse Rubens, desidero di vedere i lavori di questi giovani. — Oh, signore! esclamò il pittore di camera con effusione; credete che mi commuove assai il generoso interesse che vi inspirano i miei scolari. — Don Giovanni, aggiunse dirigendosi a un tarchiato giovanotto che avrà avuto sedici anni, e che dall’elegante e ricco vestito si dava a conoscere come appartenente alla più alta nobiltà; don Giovanni, tirate il vostro cavalletto innanzi a Sua Signoria. {Continua) [p. 275 modifica]GAZZETTA MUSI Ma queste notizie a spizzico quasi quasi facevanmi dimenticare che io non dissi per anco una parola del Don Procopio. Me ne sbrigo subito, subito. Vincenzo Fioravanti, ora molto innanzi negli anni e direttore onorario della scuola di musica nel R. Albergo de’ Poveri, dove fu primamente chiuso mendico e infermo, rappresenta il primo anello di quella catena di quegli artisti che contribuirono alla decadenza della musica comica in Italia. Scrittore di moltissime opere, quasi tutte poste in oblio oggi, ebbe spedita franchezza nello scrivere ma poca correzione. In quelle opere nessun sentimento interrompe il corso d’un monotono ridicolo, sì che è ben naturale che, riprodotte oggi, facciano nascere l’indifferenza, questa cappa di piombo che soffoca tutto quanto è spoglio del prestigio di novità. Il Fioravanti ha per di più l’altro torto di aver esagerato quell’ibridismo mirabile, consistente negli spropositati canti buffi a note e parole e di aver fatto una miscela di generi da’ quali non risulta il comico. Nè so dirvi fra noi di quanto male fu madre questo genere; i pedissequi imitatori del Fioravanti, i Moretti, i Buonomo, i Ruggì spensero l’ultima favilla dell’antico e bello stile per incapacità di emulare i veri grandi maestri. Meno periti nell’arte del loro duce, senza alcuna coltura letteraria, costoro confusero gli stili e le forme e noi poveri napolitani fummo costretti a sorbirci gran copia di opere che altro non ei hanno valso se non una fastosa miseria e la nota d’ignoranza, mentre nella città nostra sonovi degli artisti serii, eruditi e che avrebbero vergogna di dirsi autori del Don Policarpio, del Cicco e Cola e della Festa del paese. Dopo tutto questo, voi crederete che io mi sia ito a trincerare fra’nemici del Don Procopio, eppure non è cosi. Fra molte cose mal fatte, in questa musica trovo in più d’un punto concetti veramente comici e gli accompagnamenti non destituiti di grazia e leggiadria. Taccio dell’ineguaglianza di stile, chè il manifesto avvisami non esser tutto il lavorio dello stesso Fioravanti. E per lasciare il Fondo o Mercadante che sia, vi annunzio che per qualche sera la Repetto-Suardi cantò una Mazurka del Cirillo, il Canarino. Questo componimento fu già eseguito al Circolo Bonamici or è quasi cinque anni, ed è pieno a ribocco di trilli, fioriture, agilità, sbalzi, note pichettate e son tutte cose bonissime a far brillare una esecutrice di gran merito come la Repetto-Suardi. Che se poi mi chiedeste il parer mio sulla composizione, dirovvi che a me piace udire nelle opere per canto l’accento del cuore, ed il significato della parola liberamente spiegato; e tanto l’uno quanto l’altro non può mai ottenersi in lavori fatti a simiglianza di quello del Cirillo. Forse a Londra, dove l’autore si è recato da qualche giorno, per farvi sua dimora, questo genere troverà ammiratori, ma qui solamente la meravigliosa facilità d’ugola della RepettoSuardi e i suoi gorgheggi, i trilli e tutte le delicate sfumature di bel canto, onde spesso ella sfoggia, possono essere il sicuro passaporto di tali quisquiglie musicali. Il Concorso al posto di Direttore generale della musica nel R. Albergo di Poveri, e Ospizi e Stabimenti riuniti è ormai finito, e la Commissione esaminatrice a mezzo del suo segretario prof. Polidoro ha inviato la relazione del suo operato alla soprintendenza del Pio Luogo. Piacemi pertanto farvi rilevare una importante iniziativa presa; nel formulare il programma fra le altre prove, si richiese un saggio del sapere letterario dei candidati, e questa, a parer mio, fu un’idea felice. Il santissimo idioma del sì, quello che Anton Maria Salvini, ottuagenario, studiava dal suo letto di morte per non averlo a profanare in paradiso, il santissimo idioma del sì, fatte poche eccezioni, negli scritti di certi artisti musicali, diventa un gergo intollerabile, e le orecchie avvezze all’armonia di classici, sentonsi intronate e lacerate, come dagli strumenti d’una numerosa orchestra che suonino in toni diversi e sbaglino le note per soprappiù. Servendo di sostrato questo esempio ad altre Commissioni di esame, e facendo richiedere qualche esperimento sopra tesi di letteratura musicale, si può, credo, ridurre la maggior parte dei maestri di musica a fare miglior calcolo del sapere letterario, e può ottenersi pure che ne’ licei musicali gli studi della lingua e delle lettere non sieno ritenuti cose da prendere a gabbo, ma da venerare e che i musicisti prima di apprendere a modulare i dolci lamenti delle passioni debbano comprendere, non che queste e quelli, ma le loro manifestazioni eziandio. Taluno osservò che gli esperimenti furono troppi e che potevansi ridurre, e forse avrebbero ragione, se non ei fosse l’altra riflessione da farsi che con questo caldo insoffribile non potevansi torturare di soverchio i canditati con molteplici prove nello stesso tema. E qui son lieto di parteciparvi che il maestro Claudio Conti già allievo del Mercadante, sostenne con molta sua lode, oltre gli altri esperimenti, quello della disposizione a quattro parti e la Commissione insieme col massimo dei punti concessi al suo CALE DI MILANO 277 lavoro, volle gli si rendesse un attestalo di lode. Compiuti gli esperimenti la Giunta d’esame proclamò meritevole del posto il Conti, siccome quegli che aveva riportato il maggior numero di voti. La Giunta poi, lodando del pari l’ingegno ed i molti studi dell’altro candidato d’Arienzo, il quale negli esperimenti erasi accostato al massimo, sempre avea vinto il minimo, fece voti che il posto di maestro d’armonia e composizione, che vaca nell’Albergo stesso e pel quale dovea bandirsi il concorso, fosse accordato al d’Arienzo. Ed ecco cosi degnamente collocati due fra nostri più giovani e valorosi artisti. Il maestro Mattei Luigi Fischietti fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia; e ignoro se sia in guiderdone della composizione fatte o da farsi. Al concorso per corista al S. Carlo non si sono presentati che gli uomini solamente, cosi che il Musella verrà costi a reclutarne. Nel mese venturo si riaprirà a spettacolo melodrammatico il Rossini; fu scritturata una prima donna esordiente, allieva di codesto Conservatorio. 5A.CUTO. TORINO, 15 agosto. La Traviata all’Alfieri — La nuova opera promessa al Gerbino — Saggio degli allievi del Liceo Musicale — Guai dell’orchestra del Regio — Futuri spettacoli. La Traviala è andata in scena ieri sera all’Alfieri e come al solito, oltre al piacere da capo a fondo, ha procurato applausi e chiamate alla protagonista sig.a Capozzi, sul cui metodo di canto faccio le mie riserve, ed al tenore Franchini che dice questo spartito da artista accurato ed intelligente. Il resto lasciamolo li sulle undici oncie, poiché siamo all’Alfieri e conviene moderare le esigenze. Gli affissi teatrali promettono per sabato prossimo al Gerbino la nuova opera del maestro Mariani Montaubry, Le nozze di Marcellina: ma chi bazzica per quei paraggi afferma che quello spartito, essendo molto elaborato, non potrà veder la luce della ribalta prima di martedì della ventura settimana: dicesi pure vi siano delle buone cose e l’orchestra specialmente sia trattata con singolare magistero. Se saran rose, dice il proverbio, fioriranno e noi ne godremo T effluvio. Per difetto di spazio nell’ultima mia non ho tenuto parola del saggio dato dagli allievi del Liceo Musicale: per debito di cronista lo faccio ora dicendovi che ha avuto luogo domenica 21 dello scorso mese alle ore 2 pom. nel teatro Vittorio rigurgitante di spettatori i quali fecero un mondo di feste agli alunni di canto e di suono, quantunque d’assai migliori questi di quelli per la solita ragione che il cantante nasce, il suonatore si forma. Un altro saggio ha avuto pur luogo in un altro teatro: ma è stato un saggio privatissimo e d’un maestro, non d’un allievo del quale anche a costo di commettere una indiscrezione non posso tacere il nome, perchè infine il Franceschini, il capo-musica della nostra Guardia Nazionale, studiosissimo com’è, ha voluto esperimentare un brano sinfonico della nuova opera, che sta compiendo; perciò, formata da compiacenti professori un’orchestra abbastanza numerosa, ha fatto eseguire un preludio che fu trovato lavoro di squisita fattura. Ad occupare il doppio ufficio di primo contrabasso al cembalo nella civica orchestra del teatro Regio e di professore dello stesso istromento al liceo di Torino, ufficio lasciato vacante dalla lamentata perdita dell’Anglois, è stato chiamato il professore Conti da Parma, già alunno e poi maestro in quell’Istituto’Musicale. Questa scelta eccellentissima ha disgustato uno dei nostri professori, che già sostituito dell’Anglois al Regio, credeva doverne prendere il posto nell’uno e nell’altro luogo, ed ha perciò lasciato l’orchestra. Ma i guai di questo rispettabile corpo filarmonico non si fermano qui: il Municipio volendo togliere alle parti comprimarie il privilegio di riposare durante il ballo, quando si sostituiscano alle primarie nell’opera, alcuni professori han preferito di perdere il loro posto, piuttosto che assoggettarsi a questa municipale disposizione. Quanto agli spettacoli del prossimo carnevale e quaresima sulle regie scene niente ancora di positivo: solo si sa che manca la prima donna di cartello sulla quale la Commissione non è punto disposta a transigere. Si sa del pari che per l’interpretazione delle opere di Wagner, una casa editrice tiene in pronto una mezza dozzina di prime donne di buona fabbrica tedesca; si sa ancora che dopo il Tannhduser si avrebbe il Manfredi di Petrella, il Guarany di Gomes, e se i torinesi saranno buoni si regalerà loro in ultimo un poco di Ruy-Blas. Prima che finisca il mese la Commissione darà il suo parere, ed allora soltanto potremo sapere il vero vero. Ç. tJVI. [p. 276 modifica]278 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO GENOVA, 14 agosto. Divagazioni per la riviera. Melpomene ed Euterpe si danno la vita delle signore della moderna società, e forse per suggerimento di qualche Esculapio del Parnaso, hanno pensato bene di abbandonare Genova, per correre a sollazzarsi lungo la riviera. Io-, e con me tutti gl’innamorati di queste due divinità, abbiamo pensato di correr loro dietro, e ponemmo in atto il nostro progetto servendoci dei prosaici omnibus che con pochi centesimi ei condussero a S. Pier d’Arena, a Cornegliano, a Pegli. Specialmente poi a Cornegliano, non vi pare d’essere in Liguria, ma in piena Milano, perocché fra 4, o 500 bagnanti d’ambo i sessi ch’ivi incontrate non ve n ha uno che non parli il pretto accento della vostra Milano. Alla Villa. Rachel si danno continui trattenimenti musicali che poi vanno a finire in allegre ed animate danze. Non passa giorno senza che allegre brigate corrano ad ammirare e a darsi spasso nella poetica Villa ex Pallavicini ora Durazzo. Peccato che questi signori sieno tanto degeneri dai loro antenati che furono i primi ad innalzare teatri in Genova! Infatti il teatro delle Vigne, il più antico di Genova, quello di S. Agostino ed il Falcone - sono i tre primi teatri di Genova di proprietà di tali famiglie. Ora però il primo serve per le marionette, il secondo, acquistato dal Municipio nel 1825, venne ceduto a privati ed ha il nome di teatro Nazionale. Il terzo poi è ora della famiglia Reale e serve a rappresentazioni della Società Filodrammatica. Però col settembre venturo le fuggiasche divinità ritorneranno all’ovile, e al teatro Paganini, al Doria e al Nazionale ei faranno udire opere in musica. Vidi in vari giornali annunciato il nome di artisti scritturati pel Carlo Felice, ma prima di credere voglio vedere il cartellone d’appalto. A p. p. VENEZIA, 15 agosto. La Cenerentola al Malibran — L’esecuzione — Futuro spettacolo all’Apollo. Ieri l’altro al Malibran la Cenerentola, quarta opera della attuale stagione, segnò, e meritamente, il quarto trionfo. A dire il vero io vaticinava un successo mediocre, fatto riflesso che ormai abbiamo l’orecchio abituato a musica del tutto diversa in cui l’elemento drammatico, più largamente, e, diciamolo pure, più, accuratamente svolto servendosi di mezzi nuovi, ottiene pure effetti nuovi. — Sia la bellezza reale della musica, che, attraverso pure a forme antiquate, conserva sovente un’impronta freschissima; sia il fatto che codesto lavoro da molto tempo dormiva della grossa; sia, infine, le amorosissime cure spese dal Mariani nel riprodurla con religiosa precisione e con intelligenza rara, la morale si è che la Cenerentola piacque e piacque assai. Lungo e malagevole sarebbe il fare un accurato esame della esecuzione che da parte dell’orchestra specialmente, si ebbe quel gioiello rossiniano, quindi, per tagliar corto, cercherò di dire molto in poco: assai di rado avemmo la fortuna di udire in orchestra tanta precisione, tanto equilibrio da cui nascono quei coloriti, quell’impasto, che sì potentemente cooperano al buon successo generale, come il solo Mariani finora ei ha fatto in modo insuperabile gustare. La sinfonia, che è un delizioso componimento, dovette essere replicata, fra le ovazioni al Mariani, ovazioni che si ripeterono al temporale, eseguito meravigliosamente. Venendo alla parte vocale il primo posto spetta alla Marchisio (Cenerentola) che cantò come un angelo. Il lutto domestico che aveva conturbata cotanto la povera Barbara pella prematura morte, avvenuta non è guari, della sorella Carlotta faceva temere che non avesse potuto cantare in questa stagione; ma la poveretta, credendo che ciò valesse a danneggiare l’impresa, volle, sacrificando sè stessa, onorare il proprio impegno, e noi veneziani dobbiamo ringraziamela. La mesta soavità, abituale del suo canto, forse per la subita sciagura, ha acquistata un’impronta ancor più tenera e delicata: nella dolcezza unica della sua voce campeggia un certo languore (non saprei definirlo altrimenti), che incanta, che trasporta. Dalla prima all’ultima nota la Marchisio fu immensa e fra un’onda di applausi venne domandata infinite volte alla ribalta tanto nel corso che dopo finita la rappresentazione. Vi fu però un punto nel quale si sollevò ad altezza che oserei dire insuperabile e ciò fu al famoso rondò: Non più mesta accanto al fuoco e più particolarmente all’adagio che lo precede, adagio che essa chiude con una cadenza irta di difficoltà e di irresistibile effetto. Il Maurel (Dandini) ha, eseguendo questa parte, completata la sua bella fama, perchè ha dato in questa parte, di per sè tanto difficile, prova di un’estensione straordinaria e di agilità sorprendente. La parte di Dandini è più per basso centrale che per baritono; eppure il Maurel la canta senza fatica, e quanto ad agilità ne fece d’ogni conio arrivando fino al trillo! Peccato che l’uso della lingua francese non gli permetta di far gustare ancora meglio il suo eletto modo di canto! Peccato che nei parlanti, pello stesso motivo, riesca talvolta imbarazzato ed incompreso! Ma con tutto questo il Maurel è artista di primissimo ordine anche nel difficile canto rossiniano. Il Ciampi è sempre un grande artista ed un capo scarico amenissimo. Potenza di voce, distintissimi modi di canto, intonazione perfetta sempre (cosa tanto rara in un cantante comico), azione castigata sono le doti che formano il ricco patrimonio di questo artista forse unico oggi nel suo campo. All’aria di sortita, all’altra aria nell’ultimo atto (che spesso viene ommessa); al gran duetto con Dandini ebbe applausi singolari e chiamate. Il Ciampi, appunto per la sua forza di voce e per la sua sicurezza, cooperò potentemente anche al buon esito dei pezzi concertati. Il Sarti (Don Ramiro) ha pochissima voce, ma sa molto adoperarla. Anche egli, rispetto all’agilità sa molto bene il fatto suo ed il pubblico seppe apprezzarlo applaudendolo qua e là ed in modo singolare al duetto con Cenerentola, laddove fanno una stupenda cadenza con ammirabile precisione, quantunque di somma difficoltà. Le seconde parti fecero del loro meglio. I cori inappuntabili; la messa in scena decorosa. Ora si sta provando la Linda colla Urban, ed in questa opera farà la sua prima comparsa nell’attuale stagione il Cotogni. Nel mio carteggio di otto giorni or sono vi ho promesso delle notizie, sopra un progetto di spettacolo al nostro teatro Apollo nella prossima stagione di carnevale e quaresima; eccovele in poche parole. Certamente in seguito alla deliberazione improvvidissima della Presidenza del teatro La Fenice, colla quale si decretava la chiusura del teatro nella solita stagione invernale venne in mente al sig. Giovanni Pogna, impresario teatrale, di sostituirvi uno spettacolo grandioso al teatro Apollo. Si tratta di dare opera e ballo, ed eccovi i nomi dei principali artisti già scritturati, delle opere finora destinate. Soprano, Virginia Pozzi-Branzanti; contralto, Carolina Dory; tenore, Bignardi; baritono, Squarcia Davide; basso profondo, D’Ottavi Raffaele (ed altro con cui pendono le trattative). Maestro concertatore e direttore d’orchestra, E. Bernardi; maestro dei cori Domenico Acerbi. Opere: Semiramide, Vespri Siciliani, Anna Bolena, Il Profeta ed altra da destinarsi. I balli saranno: Asie del coreografo sig. G. Pogna con musica del maestro Bernardi; l’Odalisca e la schiara del coreografo sig. Magri. Il terzo ballo da destinarsi. Coppia danzante di rango francese: Elvira Salvioni - Arturo Viganò. Come vedete il progetto grandioso per un teatro secondario e relativamente piccolo. È vero che già hanno incominciato a lavorare per ingrandire il palco scenico, ma temo assai che, anche traendo partito da tutto, lo spazio che è possibile ottenere sia sufficiente. Basta! Chissà che una volta lo spettacolo in piedi qualche santo provveda. Potrebbe anche darsi che si venisse ad un accordo per trasportarlo alla Fenice. Se ne vedono tante a questo mondo! F BRESCIA, Il agosto. La Forza del Destino — L’esito — L’esecuzione. Eccovi, in stile quasi telegrafico, i particolari della prima rappresentazione della Forza del Destino che fu un assoluto trionfo. La sinfonia fu lungamente e fragorosamente applaudita; al levarsi del sipario un’ovazione alla Stolz, che cantò la romanza con tale accento da venire più volte interrotta da grida di ammirazione; applausi all’apparir di Fancelli, e dopo il suo a solo del duetto, e dopo il duetto. Calato il sipario i due valenti artisti furono chiamati con insistenza al proscenio. Nell’atto secondo applausi prolungati alla canzone Viva la guerra, in cui la Waldmann fu piena di fascino; piacque pure assai la preghiera che fu eseguita con perfetta intonazione e con molto colore; ottimamente Pandolfini nell’aria di sortita: Son Pereda; alla fine della scena dell’osteria Pandolfini e la Waldmann dovettero presentarsi alla ribalta; nella seconda scena l’aria della Stolz, cantata stupendamente, fu segno d’un uragano di applausi, che si ripeterono frequenti durante e dopo il duetto con Junca. Tutta la scena della vestizione e la preghiera alla Madonna degli Angeli fu un trionfo completo; alla fine dell’atto parecchie chiamate agli artisti. [p. 277 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 279 Nell’atto terzo la romanza del Fancelli elettrizzò il pubblico il quale ebbe lunghi applausi per il duetto e per l’aria del baritono in cui Pandolfini fu sommo. Cambia scena; il duetto tra Fancelli e Pandolfini e tutta la scena delFaccampamento piacquero assaissimo, il Belletti (Melitone) dopo la predica fu chiamato al proscenio, la Valdmann fu applaudita vivamente nelle sue strofe, e il rataplan produsse tale impressione,* che si dovette rialzare la tela e far la replica ’Chiesta a grandi grida dal pubblico. Nell’atto quarto fu applaudito il duetto tra Melitene e il Padre Guardiano, il magnifico duetto di sfida e in special modo la Stolz nella romanza Pace mio Dio. Il terzetto ebbe un esito colossale; non ho mai udito baccano che si possa paragonare e quello che servi alla manifestazione dell’entusiasmo prodotto da questa musica. Tirati i conti, come vedete, la Forza del Destino fu un trionfo! Non mi dilungo sul merito della musica che voi conoscete e ■che i lettori della vostra Gazzetta conoscono, per non ripetere cose oramai viete. Quante all’esecuzione dirò che fu somma, quale non si poteva desiderare migliore. Le masse vocali fecero prodigi di precisione e dirò anche di calore e di sfumature; l’orchestra fu un fino ricamo, e ne va massima lode all’energia del maestro Faccio che la dirige con intelligenza poco comune. Degli artisti somma, voi lo sapete, la Stolz; insuperabile il Pandolfini, che sta sulla scena da maestro; bene assai Fancelli, sublime per voce e per accento, non biasimevole nemmeno scenicamente; bravissimo il basso Junca, il quale è sempre un artista di vaglia, e il Belletti che diede alla parte di Melitene il vero carattere comico non esagerato che le conviene. Quanto alla Waldmann fu, come sempre, artista piena d’anima, di baldanza, di disinvoltura, sicura della sua voce che senza essere poderosissima non le viene però mai meno. V. R. LOTS’DIÎÆ, 12 agosto. Voci che corrono — Il teatro Her Majesty’s — Altre notizie. Corre voce che Lord Dudley abbia consentito ad aprire per la stagione dell’anno venturo il Teatro di Sua Maestà.’ È questa una notizia che non mancherà d’esser gradita nel mondo musicale, poiché, ove si confermasse, sarebbe veramente foriera d’importanti novità. Disgraziatamente ha bisogno però di conferma; poiché gl’inglesi non sono precisamente come gli altri popoli, i quali accontentansi difficilmente. Gl’inglesi sono di pasta dolce, e piegansi senz’altro alla volontà dell’impresa, sia questa acquartierata o al Drury Lane o al ricostruito Her Majesty ’s. Sono varii anni, dacché questo teatro è stato, come sapete, ricostruito, e sebbene sia interamente compiuto non è aperto ancora. Se le voci che corrono sono esatte, sarebbe il Mapleson che l’aprirebbe nell’anno venturo; e tal fatto confermerebbe in certo modo i recenti rumori di componimento fra il Gye e Lord Dudley nella causa non ha guari dibattutasi tra quei due si gnori davanti ai Tribunali civili. Il Gye è, come v’ho detto altra volta, in forza d’una promessa di Lord Dudley, il fittaiuolo del teatro; e sinora egli ha creduto di servire ai proprii interessi in Covent Garden lasciandolo chiuso e pagandone il fitto. Senza dubbio il Gye ha fatto affari avendo potuto impossessarsi dell’altro teatro; ma il pubblico anche desidera di farne, e non vuol essere privo della migliore occasione favorevole a ciò! La gara che parte dal Drury Lane non fa paura davvero al Covent Garden; ma il caso sarebbe altrimenti, ove Mapleson potesse farla partire Her Majesty’s. E qui giova osservare che il nuovo Her Majesty’s non vale il vecchio e per vastità e per qualità acustiche e persino (il che è più mirabile) per decorazioni. L’opera di ricostruzione venne affidata da Lord Dudley al suo architetto particolare; ed è liuscita, come doveva aspettarsi, piena di difetti. L’architetto del nobile lord pare che non sia nato per costruire teatri e particolarmente teatri di musica. La gran stagione essendo compiuta, il Parlamento essendo stato prorogato, e Londra essendo letteralmente in campagna, quasi tutti i teatri tacciono, all’eccezione di due o tre. Non ha guari udivansi generali lagnanze contro la stagione tropicale, che avevamo, ed ora possiamo forse a miglior dritto lagnarci della stagione piovosa e tempestosa. Non passa giorno, da qualche settimana oramai, in cui la tempesta manchi di far capolino sulle nostre nubi, con qual risultato, lascio immaginarlo a voi. Il signor Harris del Covent Garden è stato scritturato dal sig. Merelli per dirigere la messa in scena dell’Amleto in Russia con la Nilsson. M Amleto fu, se ricordate, il creatore della fama della Nilsson. Certo migliore Ofelia di lei non è comparsa ancora; ma v’hanno gravi ragioni per dubitare ch’essa oggi sia, o possa essere, la stessa Ofelia di ieri. I presenti di nozze della Nilsson sono stati depositati dall’onorevole C. Bentinck presso la Banca d’Inghilterra. Un’altra versione d’Alì Babà è stata scritta dal sig. Reece, e sarà rappresentata al Gaiety nel mese prossimo come un operatie extravaganza. I giurati dei meetings nazionali musicali, che devono in avvenire aver luogo ciascun anno al palazzo di cristallo, si sono adunati recentemente per scegliere il genere di musica pel concorso dell’anno prossimo. Erano presenti fra gli altri Benedict, Arditi e Randezzer: e presiedeva il fondatore dei concorsi, signor Wilbert Beale. Un premio addizionale verrà dato quest’altro anno al miglior suonatore di tromba; e ciascun anno un premio vi sarà pel miglior suonatore di qualche strumento di orchestra. Se Dio ei dà vita, udremo una qualche volta al concorso, fra le altre novità, il canto corale di chiesa! Le opere inglesi, o dirò meglio, le opere italiane, tradotte in inglese, continuano ad essere una delle principali caiamite del Palazzo di Cristallo. f. RUHLA (Tlinriug iii), 2 agosto. Due parodie del Faust — Hervé e Hopp — Il Flauto magico al teatro Kroll — La Nilsson ed altri futuri ospiti a Berlino — Nuovo oratorio del maestro Kiell — La Mallinger e la gioia dei Berlinesi. Trovandomi di passaggio in Berlino ebbi la fortuna, o meglio la sfortuna di vedere ed udire due nuove operette buffe; o meglio due parodie del celebre poema Faust di Goethe, T una specialmente della bella musica di Gounod. Benché il pubblico ami queste farse ed i compositori mediocri mostrino una vera mania di deformare le opere degl’intelletti superiori, credo sia dovere di ogni critico probo, biasimare l’irriverenza di vestire un capolavoro qual è il Faust, coi panni d’Offenbach. Vero è che le due imitazioni buffe sono innocenti assai e che la veste musicale rassomiglia molto alle parole, ma nondimeno si bada all’intenzione e si rimane contristati. Delle due la migliore è il Petit Faust (datosi col titolo di Dott. Faust Junior) di Cremieux et Paime, musica di Hervé. Il compositore appartiene ai migliori (in questo genere naturalmente) della Francia e sa serbar i limiti dell’onesta musica; è pregevole la sua abilità nell’istrumentazione e sono molto lusinghevoli le sue melodie. L’esecuzione di quest’operetta nel Woltersdorff-Theater fu ottima: bellissima, attraentissima e valentissima era la protagonista; la Stauber di Vienna, che fece del suo meglio tanto nel canto, quanto scenicamente, e seppe nascondere colla sua amabilità decente le molte situazioni equivoche. L’altra farsa, rappresentata dalla Società-Strampfer nel Friedrich-Wilhelmstaedtisches-Theater, è un prodotto originale delle rive dell’azzurro Danubio, ed ha per nome, nel dialetto viennese «Fauestling und Margarethl»; autore tanto delle parole, quanto della musica è il maestro austriaco Giulio Hopp. Ogni personaggio del dramma di Goethe vi è trattato in modo ridicolo, la favola è molto innocente, la situazione cambiata è cosi ingenua, che ricorda molto il conosciuto libretto: 100 storielle ossia tu devi ridere. La musica è in massima parte una miscela della musica di Gounod e d’altri compositori valenti: il maestro Hopp vi pose del suo parecchie canzonette belline, già fra noi naturalmente popolarissime. L’esecuzione era perfetta; fu eccellentissima la Finaly (protagonista) e non meno buono T Adolfi (Fauestling) e migliore di tutti lo Schweighoffer (Mepheles) un cantante buffo, come raramente se ne trovano. Queste due parodie riempiono la cassetta dell’impresario; cioè lo scopo loro, disgraziatamente l’arte musicale non vi guadagna nulla. Maggior soddisfazione ebbi udendo il Flauto magico nel teatro Kroll. Vi scrissi nell’ultima lettera che il detto teatro appartiene a quelli di secondo ordine, e che perciò è molto difficile rappresentarvi un’opera cosi difficile e minuziosa, come è il Flauto magico, in maniera veramente artistica; i tedeschi sono usi ad udire splendidamente eseguito codesto capolavoro prediletto dell’immortale Mozart, a cui non occorrono solamente le cantatrici ed i cantori valenti, ma decorazioni e costumi che costano spese e fatiche, e lunghi corteggi che richiedono uno spazio assai ampio. Stando alle proporzioni locali del teatro, tutto il necessario vi era, e non si può che ringraziar la direzione infaticabile che fece accessibile al popolo quest’opera totalmente puerile ed invecchiata (come la chiama l’Eco di Berlino). L’esecuzione fu infatti eccellente e l’esito ottimo, come non mi sarei aspettato dal pubblico berlinese. Degli artisti i migliori fu [p. 278 modifica]280 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO rono la Lauterbach (Pamina) e la Ferrée, (regina della notte); quest’ultima superò senza alcuna fatica le difficoltà tecniche immense accumulate nella sua parte. Il Massen, famoso baritono, fu un Papageno buonissimo, e principalmente nel duetto colla Lauterbach eccitò vero entusiasmo. Il Baumann (Sarastro) fu magnifico nell’ar.ia «0 Isi ed Osiride»; ha voce d’una potenza ferrea, i tuoni bassi gli riescono benissimo e la sua maniera d’esecuzione è di vero artista. La Monhaupt (primo ragazzo e Papagena) fece bene, ed è dir molto, perchè questa giovane artista non appartiene alla scena che da pochissimo tempo. Solo il protagonista Tantino (Reinhold) nocque all’insieme; è incapace di produrre un tono puro, di più non è tenore lirico, ma drammatico, ed è appunto privo delle qualità di voce che occorrono a questa parte. L’orchestra fu lodevole assai, benché il maestro-direttore non sapesse, alle volte, troppo bene che tempo prendere. Ora è deciso che la Lucca non verrà questo inverno a Berlino, nonostante l’alta pena stabilita per la frazione della scrittura, ma avremo invece l’usignuolo svedese, la Cristina Nilsson, già rinomatissima in Francia, Inghilterra ed in America, che da parecchi anni è promessa alla nostra scena, senza farne nulla, causa le pretensioni troppo alte della bella bionda, (minori è vero che quelle della Lucca, ma: «Quod licet Jovi non licet bovi).» La Nilsson sarà nostra ospite durante tutto il mese di settembre. Inoltre avremo gli artisti stranieri: la Gungl, altro soprano da Monaco (figlia del conosciuto compositore di danze), lo Schott buonissimo tenore della stessa scena regia, già ufficiale di Wurtemberg e la Janson da Vienna (soprano). Non voglio finire senza comunicarvi che il massimo di tutti i compositori viventi di musica sacra, il nostro celebre concittadino Kiel, trovandosi nella Svizzera, ha testé finito un grandioso oratorio per soli, cori ed orchestra, pigliando ad argomento «La passione e la morte del Salvatore,» lavoro che desterà certo all’esecuzione un entusiasmo immenso. Mi bisogna dirvi, che tutti i grandiosi prodotti del maestro, in questo genere, non furono che. le preparazioni per questo capolavoro gigantesco: il suo «Requiem, Te Deum, Stabat Mater, Missa solemnis» non furono che gli antecessori, di quest’ingegnoso oratorio, in cui volle dimostrare tutto il suo potere. Ha allargato con maestria stupenda le forme severissime della musica da chiesa sino ad alture non mai immaginate, e cosi ha guadagnato effetti, che la penna fredda mal potrebbe descrivere. Quest’uomo dal saper vastissimo e dalla modestia estrema, merita veramente la corona d’alloro concessa ad altri, che non seppero se non trombettare la gloria loro in tutto il mondo. Ï^ARO. P. S. In questo momento apprendo che la Mallinger. per desiderio espresso dell’imperatore, ha accettato una nuova scrittura per tre anni, colla paga fìssa di 2000 talleri per anno, ed un compenso per ogni rappresentazione (almeno 8 per mese) di 200 talleri. Questa sarà occasione di gran gioia per i berlinesi, sopratutto per la Società Mallinger-Treu, di cui dirà un altro mio carteggio. TEATRI UDINE. Esito entusiastico ebbe la Dinorah, che andò in scena il giorno 11 corrente; la De Maesen, Minetti e del Puente furono applauditi ad ogni pezzo; del Valzer dell’Ombra si voleva la replica, cosi pure del quartetto, dell’aria del tenore e della romanza del baritono; l’orchestra fu perfetta, belle le scene. Il Giornale d’Udine parlando delle successive rappresentazioni scrive: «La Dinorah, al Teatro Sociale, continua ad essere sempre meglio gustata; e se ne, ebbe una prova iersera nel pubblico assai nemeroso accorso ad udirla e negli applausi con cui furono accolti molti punti dell’opera. Tutti gli artisti furono vivamente festeggiati e piauditi; ma specialmente la signora De Maesen che nell’aria dell!Ombra trasse decisamente il pubblico all’entusiasmo, meritandosi fragorosi e prolungati applausi e chiamate. Essa dovette anche ripetere una parte dell’aria medesima; ciò che le valse nuove e grandi ovazioni». SAN SEBASTIANO. L’apertura del nuovo teatro ebbe luogo colla Favorita, benissimo eseguita dalla signora Lianes, da Baragli, Varvaro e Caprile». Applausi a tutti, specialmente a Baragli e a Varvaro. Ottima l’orchestra. OMBURGO. La compagnia italiana del sig. Franchi, in capo alla quale rifulge Adelina Patti, inaugurò la stagione il 3 corrente colla Lucia. L’esito fu entusiastico; la celebre cantante fu pari alla sua fama; a tutti i pezzi ebbe applausi da non dirsi che divise col tenore Stagno, col baritono Herger e col basso Capponi. PARIGI. Un contratto di società fu conchiuso fra i signori Verger, Lemaire e Mare, col capitale di un milione, per l’impresa del teatro Italiano. PESTH. Si fanno preparativi per la riapertura autunnale del teatro Nazionale. Sono annunziate due opere nuove ungheresi ed una tedesca, cioè: Almos, del defunto Mosonji, Branckowicz, di Erkel, e il Vascello fantasma di Wagner. NOTIZIE ITALIANE — Piacenza. Domenica passata nel teatro Filodrammatico ebbe luogo il saggio finale degli allievi della Scuola Comunale di musica. L’esito fu lietissimo, e fece onore ai maestri, e in special modo al maestro Antonio Malocchi, che ne è ispettore ed attende a questo uffizio meglio che con zelo, con vero amore. NOTIZIE ESTERE — Parigi. Un ultimo credito d’un milione fu inscritto sul bilancio del 1873 per il compimento dei lavori architettonici del nuovo teatro delFOpera Quanto ai lavori di decorazione interna, costeranno meno cari che non si fosse pensato. Si ha in fatti rinunziato a disporre e decorare sontuosamente gli appartamenti che, secondo il disegno primitivo, erano destinati all’imperatore ed al suo seguito. — Il concorso di canto corale fra le scuole comunali della città di Parigi, poste sotto la direzione del maestro Bazin, ebbe luogo giorni sono; vi presero parte 34 scuole; gli esercizi comprendevano: l’esecuzione di un coro, la lettura a prima vista d’una lezione di solfeggio, un dettato musicale e domande teoriche. NECROLOG I E — Genova. Filippo Bolognesi, professore di violino, allievo di Paganini, morì il 3 corrente. — Parigi. Il sig. Soufleto, fabbricante di pianoforti, morì il l.° corrente a 58 anni. — Eugenio Mathieu de Livran, compositore di musica, morì giorni sono a 52 anni, in una casa di salute. Era autore di molte composizioni che non pubblicò per eccesso di modestia, ma che gli amici apprezzano molto, e si propongono di pubblicare in parte. — Dresda. Emilio Drevient, artista di canto del teatro di Dresda, morì il 5 agosto; il fratello maggiore Carlo, marito alla celebre Scroeder-Devrient, era morto pochi giorni prima. ULTIME NOTIZIE — Milano. Una Follia a Roma del maestro Ricci ebbe ieri sera al Politeama esifo abbastanza felice. Tutti i pezzi del primo atto furono applauditi con entusiasmo. Nel secondo e nel terzo atto si ebbe a lamentare qualche incertezza di esecuzione e alcuni pezzi non compresi abbastanza passarono piuttosto freddamente. E musica elegante, squisita, piena di melodie e di bellezze originali; l’orchestrazione è un ricamo. Udita più volte non può che guadagnare. Bùttero fu sommo, la signora Pernini, sebbene un po’indisposta, fece sfoggio di modi di canto assolutamente rari, bene la signora Luini; lodevole il tenore Parasini e poco a posto il baritono Baldassari - Orchestra diligente, cori scorretti e qualche volta stonati. Messa in scena discreta. TELEGRAMMA MACERATA. La Forza del Destino fu l’opera destinata per la riapertura dell’elegante teatro di Macerata ed ebbe un esito brillantissimo. Si distinsero la signora Blume, Bolis, Aldighieri e Maffei. Benissimo i cori e l’orchestra diretta dal maestro dall’Argine — Replicato il rataplan. Impieqhi Y ACANTI Cascia (Umbria). Fino al 25 Corrente è "aperto il concorso al posto di maestro-direttore del Concerto Musicale Civico. Lo stipendio è di lire 1200 annue. Dirigere domande e documenti all’ufficio Comunale. RE BUS TX n N N N VN VN VN ]J (j! n $ N N N CZ N N N Quattro degli abbonati che spiegheranno il Rebus, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 31: RE — BECCHINO Ne mandò la spiegazione esatta il prof. Angelo Vecchio. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.