Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro III/Capitolo III

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CAPITOLO TERZO

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Strabone - Geografia - Volume 2 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
CAPITOLO TERZO
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CAPO III.


Descrizione del lato occidentale e settentrionale dell’Iberia, cominciando dal promontorio Sacro. — Il Tago e gli altri fiumi di quella spiaggia. — Popoli a traverso dei quali discorrono. — I Lusitani e gli Artabri. — Loro costumi.


Chi dal promontorio Sacro comincia di nuovo il viaggio verso l’altra parte della spiaggia alla volta del Tago, trova primamente un seno di mare, poi il capo Barbario1 ed ivi presso le bocche del Tago [p. 328 modifica]stesso, alle quali si va, navigando in linea retta lo spazio di duecento dieci stadii. E v’hanno colà intorno anche lagune; una delle quali si stende a più che quattrocento stadii dal promontorio già detto, e dentrovi sono situate Olisipo e Laceia. Il Tago alla sua foce ha una larghezza di circa venti stadii, e tanta profondità da potervi navigare con legni di gran carico. Quando la marea si gonfia cotesto fiume fa due lagune nelle pianure che stanno al di sopra delle sue bocche; sicchè ne sono altamente inondati ben centocinquanta stadii, e diventa navigabile tutto quel piano. E nella superiore di queste lagune si trova compresa anche un’isola lunga circa trenta stadii, e larga quasi altrettanto, boscosa e vitifera. Quest’isola è presso a Morona, città situata sopra una montagna in vicinanza del fiume e distante dal mare circa cinquecento stadii, con un fertile territorio all’intorno: andando a quest’isola si naviga per gran tratto con grossi legni, e poscia con barche da fiume. Al di sopra di Morona si naviga per un tratto ancora più lungo. Di questa città si valse, come di piazza d’arme, Bruto soprannomato Gallaico, quando guerreggiò contro i Lusitani e li soggiogò2, [p. 329 modifica]pigliando vantaggio a loro distruzione dalle piene del fiume, sicchè poteva e navigare liberamente, e trasportare a suo agio tutto quello di che aveva mestieri. E però queste sono le più forti fra le città situate lungo il Tago3. Questo fiume poi abbonda di pesci ed è pieno di couchiglie: trae il suo principio da’ Celtiberi e scorre pei Vettoni, Carpetani e Lusitani verso l’occidente equinoziale; e fino ad un certo punto va parallelo coll’Ana e col Beti, poscia se ne dilunga, quando essi declinano alla spiaggia meridionale.

Sopra i monti già detti4 stanno, più meridionali di tutti, gli Oretani; alcuni dei quali occupano anche una parte della spiaggia al di qua delle Colonne. Dopo costoro vengono i Carpetani verso il settentrione; poscia i Vettoni e i Vaccei pe’ quali scorre il Durio5, il cui varco è presso ad Aconzia città de’ Vaccei. I Gallaici poi sono gli ultimi e tengono molta parte del paese montuoso. Il perchè sono più guerrieri di tutti, e diedero il soprannome a colui che debellò i Lusitani, i quali ora per la maggior parte si dicono anch’essi Gallaici. Le città principali dell’Oretania sono Castalona ed Oria 6. Al settentrione del Tago è la [p. 330 modifica]Lusitania, la più grande delle iberiche nazioni, che fu combattuta a lungo dai Romani: e questo paese è circondato a mezzogiorno dal Tago, a ponente ed a settentrione dall’Oceano, all’oriente dai Carpetani, Vettoni, Vaccei e Gallaici, conosciute nazioni, ed anche da altre che non occorre di nominare a cagione della loro piccolezza ed oscurità. Tuttavolta alcuni, contro il costume ora prevalso, denominano Lusitani anche questi popoli ch’io sono venuto accennando. Confinano poi dalla parte verso l’oriente i Gallaici colla nazione degli Asturii7, e gli altri coi Celtiberi. La lunghezza della Lusitania è di tredici mila stadii ma la sua larghezza è molto minore, e si stende dal fianco orientale all’opposta spiaggia marittima. La parte verso l’oriente è elevata ed aspra; ed il paese che le sta sotto è tuttoquanto pianura infino al mare, tranne pochi monti e non grandi. Il perchè Posidonio dice che Aristotele ascrisse alla natura della spiaggia d’Iberia e della Maurosia la ragione del flusso e riflusso; come se quella spiaggia a motivo delle sue elevate e scabre estremità costringesse il mare a rifluire, resistendo fortemente ai fiotti che vanno a percuoterla8: mentre per lo contrario a dir vero quasi tutto il lido è basso ed umile. Il paese pertanto del quale ora parliamo è fertile, e irrigato da fiumi grandi e piccoli, [p. 331 modifica]che tutti discorrono delle parti orientali parallelamente al Tago. Questi fiumi sono per la maggior parte navigabili, ed abbondano di arene d’oro: i più conosciuti, dopo il Tago, sono il Monda9 che porta soltanto piccole navi, il Vacua di cui dee dirsi lo stesso, e dopo questi il Durio che piglia da lungi il suo corso e lambe Numanzia e molte altre abitazioni de’ Celtiberi e de’ Vaccei, e può navigarsi con grandi barche per lo spazio di circa ottocento stadii. Seguitano poi altri fiumi, e fra questi il Lete che alcuni dicono Limeo10 ed altri Beliona, e scorre anch’esso da’ Celtiberi e da’ Vaccei, ed il Benis (alcuni lo chiamano Minio) molto maggiore di quant’altri fiumi sono nella Lusitania, nvigabile anch’esso per ben ottocento stadii. Posidonio afferma che anche questo fiume ha origine fra i Cantabri: d’innanzi alla sua foce trovasi un’isola, e due argini con porti. E vuolsi in questo lodar la natura, che i fiumi hanno colà sponde elevate ed acconce a capire negli alvei il flusso del mare, sicchè non trabocca nè si diffonde sui campi. Or questo fiume11 fu l’estremo [p. 332 modifica]confine della spedizione di Bruto. Più addentro ne sono parecchi altri paralleli ai già detti.

Gli ultimi abitanti della Lusitania sono gli Artabri posti verso quel promontorio che chiamasi Nerio12, il quale è tutto insieme il fine del fianco occidentale e di quello a settentrione. Intorno a questo promontorio abitano popoli celtici di una stessa origine con quelli che stanno lungo l’Ana. Perocchè si dice che costoro ed i Turdoli avendo fatta una spedizione in que’ luoghì, passato il fiume Limeo, vennero in discordia fra loro, e dopo un combattimento nel quale fu morto il condottiero dei Celti, questi rimasero colà intorno dispersi; d’onde poi il fiume fu denominato Lete13.

Hanno questi Artabri frequenti città dentro un seno di mare, che dai naviganti soliti a frequentare que’ luoghi vien detto porto degli Artabri. I moderni poi chiamauo Arotrebi gli Artabri.

Circa trenta nazioni occupano il paese ch’è fra costoro ed il Tago. E sebbene il terreno sia ferace così di frutti come di pecore, e vi abbondino l’oro e l’argento ed altre consimili produzioni, nondimeno le più di quelle nazioni, negligentando quello che il suolo potrebbe somministrare, consumavano in ladronecci ed in guerra continua la vita, talvolta fra loro medesimi, talvolta coi confinanti, oltrepassando il Tago: infino a tanto che i Romani non li fecero cessare [p. 333 modifica]da quel costume soggiogandoli, e convertendo in villaggi la maggior parte delle loro città, alcune delle quali peraltro furon da loro rendute migliori mandandovi nuovi coloni. Primi di tutti a cominciar quella vita contraria alle leggi erano stati i montanari, com’è naturale: perocchè coltivando un paese sterile e angusto, agognarono ai possedimenti degli altri; i quali per respingere gli assalitori dovettero di necessità negligentare le proprie faccende, sicchè invece di attendere all’agricoltura si diedero anch’essi alla guerra. Così poi avvenne che il paese nerligentato si fece sterile di naturali produzioni, e si trovò abitato sol da ladroni. È fama pertanto che i Lusitani siano esperti nelle insidie, nello spiare i fatti altrui, veloci, leggieri, versatili. Hanno un piccolo scudo concavo il cui diametro è di due piedi, e sospeso a corregge, senza fibbie, senza manico. Hanno inoltre un pagnale o coltello; corazze di lino per la maggior parte; pochi le portan di maglia. Gli elmi con tre creste son rari; i più li hanno tessuti di nervi. I fanti hanno anche gambieri, e ciascuno parecchi giavellotti. Ve n’ha che fanno uso anche di aste con punta di rame. Dicesi poi che alcuni abitanti lungo il fiume Durio vivendo al modo de’ Lacedemoni, ungonsi due volte ogni giorno, si scaldano con pietre infuocate, si bagnano nell’acqua fredda, e mangiano un cibo solo con nettezza e sobrietà. I Lusitani sono grandi sagrificatori, e considerano le viscere senza estrarle dalle vittime ed investigano inoltre anche le vene del petto, e ne traggono augurii. Si valgono poi anche delle viscere dei prigionieri [p. 334 modifica]che sagrificano coprendoli sotto saj. Quando la vittima sia stata ferita nel basso ventre dal sagrificatore, cominciano a trarne auspicio dal modo con cui essa cade: tagliano poi le mani destre dei prigionieri, e le consacrano agli Dei.

Tutti quei montanari si nutrono rozzamente, bevono acqua, dormono sulla nuda terra e portano lunga chioma e diffusa a modo delle donne, e combattono colla fronte fasciata14. Mangiano per lo più carne di cervi, e sogliono sagrificare a Marte un cervo non meno che prigionieri e cavalli. Fanno inoltre ecatombi di ciascun genere alla greca, siccome dice Pindaro: Immolare centinaia di vittime. Celebrano combattimenti ginnastici15 armati di tutto punto ed a cavallo, alla lotta, al corso, a modo di scaramucce, od in battaglia di coorti. I montanari mangiano ghiande di quercia due terze parti dell′anno: dopo averle fatte seccare le pestano, le macinano e ne fanno farina che poi riducono in pane da potersi conservare gran tempo. Usano anche Zito16, perchè scarseggiano di vino, e quel tanto che ne fanno lo consumano [p. 335 modifica]incotanente celebrando banchetti di parentela. In vece di olio adoperano butirro. Cenano seduti, avendo sedili a tal uopo costrutti intorno alle pareti: ed i luoghi più onorevoli sono occupati secondo l’età ed il grado. Le vivande portansi in giro. Banchettando ballano e menano cori a suono di flauto e di tromba, or piegando le ginocchia, ora alternativameute saltando. E nella Bastetania danzano anche le donne frammiste cogli uomini tenendosi per mano. Vestono tutti di nero; i più di sajo; e ravvolti in questi abiti sogliono dormire sopra letti di erba. Usano vasi di terra17, come anche i Celti. Le donne portano tonache e vesti ricamate. Quelli che stanno nell’interno del paese, non avendo denaro, sogliono trafficare con permute, o tagliano via pezzetti di lamine d’argento ch’essi hanno, e pagano con quelli. I condannati alla morte vengono precipitati da rupi18: i parricidi son lapidati fuor de’ confini e delle città. Fanno le nozze alla maniera dei Greci. Espongono i malati, come usavano anticamente gli Egiziani, nelle pubbliche vie, affinchè possano essere consigliati da coloro che hanno sperimentata già quella malattia. Fino ai tempi di Bruto usarono solo barche di cuoio per attraversare le maree e gli stagni; al [p. 336 modifica]presente ne hanno alcune, ma rade, fatte di un tronco solo. Il sale è in que’ paesi purpureo, ma pestandolo divien bianco.

È dunque la vita dei montanari siffatta; di quelli si intende che stanno all’estremità del fianco settentrionale d’Iberia, quali sono i Gallaici, gli Asturii, i Cantabri, fino ai Vasconi19 ed ai monti Pirenei; perocchè il modo del vivere è uniforme presso tutti costoro. Tralascio di registrar qui maggior copia di nomi per fuggire di rendere disaggradevole la mia scrittura, se pure non v’ha a chi piaccia di sentir mentovare i Pleutauri, e i Bardiati e gli Allotrigi ed altri nomi peggiori e più oscuri di questi.

La rozzezza poi e la ferocia di queste genti non procede soltanto dal loro costume di vivere sempre in guerra, ma sì anche dall’avere le abitazioni in luoghi gli uni dagli altri disgiunti gran tratto di navigazione o di via: il perchè non potendo senza difficoltà ritrovarsi insieme, hanno abbandonato il vivere sociale e l’umanità. Ma in questo hanno a’ dì nostri migliorato alcun poco a motivo della pace che godono, e de’ Romani che si son trasferiti appo loro: però quelli cbe meno possono godere di tai beneficii, sono tuttavia più aspri e più selvaggi degli altri; e tali sono ognor più, a misura che i luoghi sono più montuosi, e che la sterilità del paese è maggiore. Ora poi, come già dissi, abbandonarono tutti il costume di guerreggiarsi; perocchè [p. 337 modifica]Cesare Augusto soggiogò i Cantabri e i loro vicini che fino ai dì nostri conservarono il costume del ladroneccio: e i Coniaci e quelli che abitano presso le fonti dell’Ibero, tranne soltanto i Tuisii, invece di depredare come solevano gli alleati dei Romani, ora combattono a pro dei Romani stessi. E Tiberio succeduto ad Augusto avendo mandate in que’ luoghi tre coorti, presidio già da Augusto medesimo divisato, giunse non solamente a renderne pacifici gli abitanti, ma in parte ben anco civili.

    τὸ Βαρβάριον, καὶ αἱ τοῦ Τάγου ἐκβολαὶ πλησίον, ἐφ´ ἃς εὐθυπλοίᾳ στάδιοι διακόσιοι δέκα. Ἑνταῦθα δὲ καὶ ἀναχύσεις, ὧν μία ἐπὶ πλείους ἢ τετρακοσίους σταδίους ἀπὸ τοῦ λεχθέντος πύργου, καθ' ἣν ὑδρεύονται Ὀλεσίπων καὶ Λάκεια.

  1. Ora Capo Espichel. - Tutto questo periodo poi nell’originale è sommamente guasto. Io leggo col Coray: ἔπειτα ἄκρα
  2. Di questa guerra trovasi appena qualche menzione in Orosio ed Eutropio. — Morona dicesi ora Al-Merim.
  3. Il testo: ὥστε καὶ τῶν περὶ τὸν Τάγον πόλεων αὐταὶ κράτισται.
  4. Il Bréquigny vorrebbe leggere ποταμῶν fiumi, invece di ὁρῶν. Per verità non è ben certo a quali monti Strabone qui alluda.
  5. Il Duero
  6. Caslona ed Oreto.
  7. Il testo aggiunge καὶ τοῖς Ἴβηρσιν e cogl’Iberi, ma trattandosi qui di popoli tutti Iberi queste parole paiono una corrotta ripetizione delle seguenti τοῖς Κελτίβηρσιν.
  8. Il testo aggiunge καὶ ἀνταποδιδούσας τῇ Ἰβηρίᾳ che potrebbe tradursi letteralmente e respingendoli verso l’Iberia.
  9. Ora Mendego. Le antiche stampe leggono Muliada. Il Vacua è ora detto Vouga. Il Durio è il Duero.
  10. Ora dicesi Lima. Leggo poi colle antiche stampe e col Coray οἱ δὲ Βελιῶνα καλοῦσι. Il Casaubono seguitato dagli Ed. franc. e da altri leggono οβλιουιῶνος, fiume dell’oblivione. - Il Benis o Minio che vien poco appresso è il moderno Minho.
  11. Se questo fiume è il Minio, come dee credersi per la sintassi grammaticale, vuolsi osservare che Bruto andò oltre sino al Neiva. Ma o Strabone non conobbe questo secondo fiume o nol credette degno di essere menzionato.
  12. Capo Finisterre.
  13. Lete. Forse perchè obbliarono di ritornare alla patria? O perchè vinti furono quivi in certo modo obbliati essi medesimi?
  14. Il testo: μιτρωσάμενοι δὲ τὰ μέτωπα μάχονται. Gli Ed. franc. riferiscono il μιτρωσάμενοι alla chioma (τὴν κόμην) nominata poco prima, e traducono ils les attachent avec une bandelette autour du front.
  15. Gli Ed. franc. invece di γυμνικοὺς leggono γυμνητικοὺς, e traducono armati alla leggiera in opposizione a quello che viene subito dopo. La correzione è senza dubbio ingegnosa e probabile.
  16. Specie di birra.
  17. Il Coray non ha dubitato di sostituire nel suo testo κεραμέοις a κηρίνοις (di cera) come si legge in tutte le edizioni.
  18. Καταπετροῦσι potrebbe significare anche vengono lapidati. Subito dopo i più leggono: ἔξω τῶν ὅρων ἢ τῶν ποταμῶν, fuori dei monti e dei fiumi.
  19. Ciò sono i Gallicj, quei delle Asturie, i Biscaini ed i Navaresi.