Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro I/X

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Cap. X

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CAPITOLO DECIMO.

Giardino Reale di Saratabat, e congedo dato

dal Re agli Ambasciadori del Papa, e

del Re di Polonia.


P
Assai in Zulfa il Mercordì 18. e nel ritorno fui a vedere il Giardino di Saratabat, allato della strada. Vi passa il Re da’ Giardini d’Ispahan per un ponte di quattordici archi di pietra (sopra il fiume Sanderù) all’incontro al quale, dalla parte di Zulfa, si vede una loggia, il cui Cielo è sostenuto da 20. colonne di legno ben dorato, dove il Re trovandosi a diporto, riceve gli Ambasciadori. Vi sono le medesime separazioni della sala d’Ispahan, un bel fonte, e tre camere dietro il Trono Reale. Ha comunicazione altresì con un’altra loggia dalla parte del Giardino.

Or’ in questo si vede una folta selva di alberi di varie frutta; un canale di pietre [p. 162 modifica]con diverse picciole fontane nel mezzo, e due grandi nell’estremo; ed una casetta dello stesso modello di quella del giardino di Bach-Xosc-Cunà. Lungo il fiume è l’Aram con picciole camere, senza grande ornamento.

Non avendo ormai più che vedere, dopo aver desinato il Giovedì 19. col Direttore della Compagnia d’Olanda, andai il Venerdì 20. a visitare il Superiore del Convento de’ Padri Cappuccini Francesi. Però il Sabato 21. ben per tempo mandò ad avvisarmi l’Ambasciador di Polonia, se volea andar seco all’Udienza. Io sapendo, che quella era di licenza; curioso d’osservare il costume, incontanente mi vestii; e montato a cavallo me ne andai in casa dell’Ambasciadore, accompagnato dal mio servidore, e da quello del Prior del Convento. Ci trattenemmo circa un’ora, aspettando che venisse l’Introduttore co’ cinque destrieri, che suol mandare il Re; e giunto ch’egli fù ci ponemmo tutti a cavallo, onorandomi l’Ambasciadore del primo luogo appresso di lui. Componevasi l’accompagnamento di 19. persone a piedi, armate di archibusi; di 20. a cavallo, e di altri, che in tutto facevano il numero di [p. 163 modifica]60. Smontammo alla porta d’Ala-capì, dove trovammo in fila quattro Tigri, molti Leoni, e quattro Elefanti (due grandi, e due piccioli) coperti di drappi d’oro. Quello ch’era stato presente di Hecbar figlio del G. Mogol (che prima l’avea avuto in dono da Scia Selemon) avea sopra una gran sedia d’argento, come si costuma su simili animali. Entrati poi nella prima e seconda volta, ne fu additata un’arcata, dove bisognava che aspettassimo sino all’ora dell’udienza. Questo luogo era più alto due palmi degli altri solaj, e coperto di buoni tappeti. Nella parte interiore sedeva l’Ambasciadore del Re d’Imanì Arabo (il di cui Reame è vicino alla Mecca) venuto a far che il Persiano movesse guerra all’Imam di Mascati nell’Arabia Felice. Nel lato opposto stavano l’Armeno Ambasciadore del papa, e’l Provinciale de’ Domenicani con un’altro Frate. In un’altra volta a destra stava seduto, alla maniera barbara, l’Ambasciadore del Re degli Usbeki, con la gente del suo seguito. Nel mentre stavamo discorrendo, passò la famiglia di Hecbar al numero di 40. persone vestite delle Calate, o vesti d’oro e seta mandate dal Re, co’ loro turbanti [p. 164 modifica]all’India piccioli, e di tela finissima.

Costumano i Re di Persia dar quattro Calate a gli Ambasciadori nella prima, ed ultima udienza, a differenza del Turco, che le dà solamente nella prima: però l’Ambasciador di Polonia quella mattina non n’ebbe che una; perche le quattro le avea avute in tempo di Scia-Selemon, quando fu licenziato dall’Atmath-Dulet. Or non avendo avuto il suo effetto quella prima licenza per la morte del Re, e per le altre cagioni riferite, mi parve sconvenevole alla generosità di sì gran Re, mettere in conto le già donate. Che che sia di ciò, quell’una ch’ebbe, era una Cabaya alla Persiana di tela d’oro; una sopravvesta di seta a color di perla, con liste d’oro, fatta a guisa d’un piviale con lunghe maniche; ed un turbante, e cintola anche di seta, e d’oro. Ad Hecbar avea mandato il Re un presente del valore di 3000. Toman; cioè 2. mila in oro, ed argento, e mille in drappi, con dodici Calate o vesti; ma quel Principe si scusò d’andare all’udienza, se non passavano prima 40. giorni dopo la morte del Re, e gli fusse cresciuta la barba, che s’avea un poco mozzata in segno di dolore.

L’Ambasciadore del Papa n’ebbe tre: [p. 165 modifica]quella ch’avea indosso era una Cabaya di tela d’argento, la sopravvesta di tela d’oro, e la cintola, e’l turbante anche di seta e d’oro. L’altre due, che portavano i Domenicani, erano dell’istessa ricchezza, ma di colore differente. L’Ambasciadore Usbeko avea la Cabaya di tela d’oro con fiori, e la sopravvesta (detta in Persiano Balapusc) di tela d’argento. L’altre due Calate, ch’egli avea avuto eziandio differenti di colore, le portavano due persone del suo seguito. Il suo turbante però era alla moda del suo paese, picciolo, ed aguto nella sommità, con una piuma nera nel mezzo.

Essendo stati più d’un’ora in luogo così poco decente, circondati da lacchè e servidori, in fine cominciò l’udienza dall’Ambasciadore del Re d’Imani, vestito con le sue vesti alla Turchesca, non avendo avuto Calata. Entrammo appresso noi dalla porta del giardino, 50. passi distante dalla volta del ricevimento; però ne fu d’uopo trattenerci qualche tempo presso una fontana, prima d’essere introdotti dal Re.

Questo giardino è grande circa ducento palmi in quadro, ed ha quattro viali in croce, adorni di ben’alti Cinar. Dal [p. 166 modifica]lato contiguo al Talar-Tevile, o Sala d’udienza, ha una bella fontana lunga circa venti palmi, con un poggetto nel mezzo chiuso di balaustri d’argento, e coperto di tappeti, per starvi il Re, e’ Grandi al fresco. Nell’estremità della fontana, che tocca la suddetta Sala, erano due gran vasi di argento. Nel viale vicino stavano in ala ducento Topscì, o moschettieri del Re; alcuni Giarcì, o esecutori di Giustizia, con certi bastoni in spalla, nella punta de’ quali era un globo inargentato, detto Topus; e parecchi Sofì, che aveano la berretta della stessa forma che i Giarcì, però coperta di tela, a differenza di costoro. V’erano anche sotto il muro della Sala 20. destrieri, con arnesi tutti adorni di grossi smeraldi, diamanti, rubini, ed altre pietre di gran valore. Le staffe erano d’oro massiccio; e le peggiori selle erano coperte di drappo d’oro, con chiodi dell’istesso metallo.

La sala d’udienza non fu la medesima dell’altra volta; perche su una gran stanza vicina ai giardino, come si è detto, con le mura ben dipinte e dorate, et adorne anche di cristalli; siccome erano le quattro colonne di legno, che sostenevano un picciol palco. Nel mezzo era una [p. 167 modifica]fontana, e nell’estremità vedevasi come una gran nicchia, o gabinetto contenente il Trono Reale di 16. palmi in quadro. Dalla parte terminata dal giardino stavano sonatori, toccando varj strumenti, seduti sopra tappeti; mentre altri con barbari modi cantavano. Dal primo piano, ove stavano costoro, montammo alla seconda separazione (a guisa dell’altra sala) dove lasciati noi, fu l’Ambasciadore condotto per lo braccio destro dal Memondar, e per lo sinistro dall’Esciacgasì-Bascì. (G. Portiere, e come Maestro di cerimonie) avanti al Re. Sedeva questi sopra un’origliere posto sopra buoni tappeti, e due altri origlieri di broccato avea dietro le spalle; all’intorno standogli molti Eunuchi in piedi, come si disse nell’altra sala. Giunto che fu l’Ambasciadore sei passi distante dal Re, pose per riverenza le mani a terra, piegando la fronte quasi sino al suolo. Rizzato ch’egli si fu, si fece innanzi l’Atmath-Dulet; e presa la lettera da dentro un bacino d’oro (che stava a piedi del Re con altre lettere, e pieno di fiori) la pose in mano all’Ambasciadore; e questi con grande umiltà se la mise in testa. Poi la presero il Memondar, e’l Maestro di cerimonie, e glie la [p. 168 modifica]situarono sul turbante, in modo che potesse esser ben veduta da tutti. Era la lettera coperta di tela d’oro (come si costuma fra gli Orientali) due palmi lunga, e larga a proporzione. Ricevuta la lettera, e i complimenti di congedo per bocca dell’Atmath-Dulet, fece in ritirandosi una simile riverenza, e fu da i medesimi Uficiali riportato nel piano del giardino.

Entrò poscia l’Ambasciador del Papa, e noi l’aspettammo nel giardino sino a tanto che uscisse, per andarcene tutti insieme; giacchè come licenziati non doveamo restare al Mangeles, o desinare del Re. Oltre la lettera grande per lo Sommo Pontefice, n’ebbe quegli un’altra picciola per la Repubblica di Vinegia.

Ritornati adunque (con maraviglia degli Europei, che vedevano quelle lettere su i turbanti) l’Ambasciador di Polonia mi onorò della sua tavola, che valea assai meglio, che il mal concio pilao, (avvegnache in bacini d’oro) che gli altri mangiavano in Palagio. In questa seconda udienza osservai meglio le fattezze del Re. Egli si era dilicato, e debole di complessione, di volto picciolo, belle ciglia, occhio nero, e nera ma corta barba. Vestiva una Cabaya di tela d’oro [p. 169 modifica]incarnata, con una sopravvesta senza maniche e corta, a color d’oro, detta in lingua Persiana Curdì: a destra del turbante teneva una piuma d’Aghirone sopra una gioia di diamanti.

La Domenica 22. andai a sentir Messa da’ Padri Carmelitani Scalzi, nè seci altro degno di memoria tutto quel giorno.