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Gli amori di Alessandro Magno/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

Camera.

Barsina sola.

Barsina. Ancor non mi è concesso

Alessandro mirar. Lodar lo sento
Da ciascun che lo vide. Ogni un l’ammira,
Cerca ogni un1 di vederlo; anche Statira
Lo vide e gli parlò; parmi che anch’essa
Penetrata ne sia. Tolto a me sola
È il poterlo veder! Chi viene? Oh stelle!
Un nemico guerriero. Al ricco arnese

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Un de’ primi rassembra. Ah! fosse mai

Alessandro! Chi sa? Fuggir vorrei,
Vorrei restar. Sì, resterò: che puote
Una regal donzella
Temer dagli stranieri?
Sono umani e cortesi anche i guerrieri.

SCENA II.

Leonato e detta.

Leonato. (Qual beltà peregrina

Si offerisce al mio sguardo!)
(da sè, mirandola attentamente
Barsina. (Ah! che mi sento
Tremare il cor). (guardandolo interrevolmente
Leonato.   Alma gentil donzella,
Posso saper chi sei?
Barsina. Se tu fossi Alessandro, io tel direi. (timida
Leonato. (Scusi amore l’inganno). In me tu vedi
Quel medesmo Alessandro,
Che mostri desiar.
Barsina.   Signor, perdona
L’innocente desio. Veder bramai
Un che nemico ancora,
Per cotante virtù si cole e onora.
Leonato. Tu, che virtude apprezzi,
Dei conoscerla appieno.
Barsina.   Il regio sangue
Me l’infuse nel seno.
Leonato. (Oh Dei! che sento!)
Tu di stirpe sovrana?
Barsina. Sì, di Statira la minor germana.
Leonato. Barsina?
Barsina.   Appunto quella. Hai tu contezza,

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Signor, del nome mio?

Leonato. Parlarne intesi
Con rispetto e stupor. Chi il tuo bel volto,
Chi il bel labbro dipinse, e chi il bel ciglio
Ma la beltà maggiore,
Che in te fummi lodata, è il tuo bel core.
Barsina. (Non vorrei che Statira
Sopraggiungesse ancor).
Leonato.   (S’io re non sono,
Regio sangue ho nel cor, e non indegno
Della prole di Dario).
Barsina.   (Agli occhi suoi
Parmi non dispiacer).
Leonato.   (Ma s’or mi scopro,
D’irritarla pavento).
Barsina. (Ah! non vorrei
Lusingare il mio cor).
Leonato.   Del tuo destino,
Principessa, mi duole. Io, se ti aggrada,
Posso farlo miglior.
Barsina.   Signor, chi puote,
Sia pietà, sia giustizia,
Il dono ricusar?
Leonato.   Dimmi, Barsina,
Hai tu ancora d’amor piagato il core?
Barsina. (Mi fa arrossir). No, non conobbi amore.
Leonato. (Questa cara ignoranza
Accresce i pregi suoi). Negar sapresti
A un amante mercè?
Barsina.   Non chiudo in petto
Anima sconoscente a un giusto affetto.
Leonato. Se ti offrissi un legame?
Barsina.   Al mio destino
La fronte piegherei.
Leonato.   (Vincerla io spero).

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Barsina. (Mi avvicina la speme a un grande impero).

Leonato. Bella, un prence di Caria
Nato di regio sangue,
So ch’è acceso di te; se non lo sdegni,
Se ricusar nol vuoi,
Supplice puoi vederlo a’ piedi tuoi.
Barsina. (Ah ingannommi il pensier!)
(da sè, mostrandosi mortificata
Leonato.   Che non rispondi?
Mi palesa il tuo cor.
Barsina.   Se mel concedi,
Libera parlerò. Credea, signore.
Che alla figlia di Dario un Alessandro
Non sdegnasse pensar; negli occhi tuoi
Parventi ravvisar per me una fiamma,
Che nascesse dal cor. Ma non avvezza
A distinguer gli affetti, in van sperai:
Io credea che mi amassi, e m’ingannai.
Leonato. Ah no, non t’ingannasti
Qualor dal mio sembiante
Di te il mio cor tu giudicasti amante;
Chi mirarti potrebbe
Senza penar, senza languir d’amore?
Chi può vederti, e non donarti il cuore?
Ti amo, ma il crudel fato
Vuolmi ancor sfortunato. Il destin rio
Forse si cangierà. Barsina, addio. (parte

SCENA III.

Barsina sola.

Barsina. Qual dubbietà importuna

Agita il di lui cor? Ah! il mio sospetto
Pavento di avverar. Mi ama Alessandro,

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Ma il suo cor prevenuto

Forse è da un altro amor. Chi sa? Si speri.
Tranquillar può l’affetto i suoi pensieri.
Sola però non voglio
Di me stessa fidar. Quest’avventura
Sì inaspettata e strana
Confidare destino a mia germana.
Ma se invidia la punge? In ogni guisa
Cederle non saprei.
Ella pensi ai suoi casi, io penso ai miei. (parte

SCENA IV.

Statira, Policrate, Lisimaco, Niso.

Statira. Amici, il nostro regno,

È vicino a perir. Deciso ha il fato
In favor d’Alessandro. Il padre mio
Dario, il vostro buon re, tentato ha in vano
Il riparo finor. La terza volta
Già rimase sconfitto; ogni battaglia
Gli costò una provincia. Arbela è oppressa,
Ed è in periglio Babilonia istessa.
Lisimaco. Babilonia a quest’ora
Preda è del vincitor.
Policrate. No, si difende
Con estremo coraggio.
Lisimaco. Io so di certo,
Che Babilonia è resa.
Policrate. Babilonia dai Persi è ancor difesa.
Statira. Qualunque sia di quella reggia illustre
Il presente destin, la Persia tutta
Destinata è a cader. Le nostre schiere
Avvilite, disperse,
Mancan già di fortezza e di consiglio;

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E il mio padre e il mio re veggo in periglio.

Dal Ciel sperar soccorso
È opportuno conforto, è ver, ma il Cielo
Par sdegnato con noi. Non ode i voti
Delle querule genti,
Ed a pro del nemico usa i portenti.
Dunque in chi confidar? Ah sì! pur troppo
Solo sperar ci resta
Nell’inimico istesso: egli nel seno
Pari all’ardire ha la virtù compagna;
E se la sua fierezza
Fatta ha sopra di noi la crudel prova,
Ora la sua pietà tentar ci giova.
Policrate. Principessa, che dici?
Dall’inimico audace
Con atto di viltà chieder la pace?
Lisimaco. Viltà non può chiamarsi
Cedere al suo destin. Sì, d’Alessandro
Il nobil core ogni clemenza eccede;
Andiam la pace a domandargli al piede.
Niso. Non ascoltar, Statira,
Di costoro il consiglio. In lor tu senti
Passion favellare. Odia Alessandro
Policrate ostinato, e l’ama troppo
Lisimaco imprudente. Ambi son tratti
Per diversa cagione
Dal fanatico stil fuor di ragione.
Statira. Ecco la via di mezzo
Che giovare ci può. Mi offre Alessandro
L’amicizia e l’amor. Colla mia destra
Posso calmar lo sdegno,
E promover la pace al padre e al regno.
Policrate. Ah! non fia mai, Statira,
Che tal nodo si compia.
Lisimaco.   Ah! voglia il Cielo,

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Che non tardi un momento

A recare alla Persia un tal contento.
Niso. Potrebbe da un tal nodo
La pace rifiorir. Ma di te stessa
Senza il voler del padre
Tu disporre non puoi.
Statira.   Sì, Niso, è questo
Il consiglio miglior. Dal padre mio
Bramo averne l’assenso. E chi è di voi
Che sappia ove celato
Per arte o per timore,
Si trattenga al presente il genitore?
Lisimaco. Io lo so.
Policrate.   Non lo credo.
Lisimaco.   Ei si nascose
Fra i deserti di Scizia.
Policrate.   Ah! tu non sai
Della Persia i confini, e ti figuri
Quell’inospita terra
Facile a penetrar? No, principessa,
Non fugge il padre tuo; so che del Tigri
Fu veduto alle rive; ei corre ardito
Di Babilonia a riparar l’offesa.
Lisimaco. Dario s’asconde, e Babilonia è resa.
Policrate. Non è ver.
Lisimaco.   Lo sostegno.
Statira.   Olà, frenate
Gl’impeti in faccia mia.
Niso.   Statira, il solo
Che possedè il segreto, e che di Dario
Può saper la dimora,
È Besso il capitano.
Statira. Besso lo svelerà.
Niso.   Lo speri in vano.
Statira. Per qual ragion?

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Niso. Ti è noto

Della Persia il costume. Un giuramento
Prestasi al re di custodir gli arcani
Confidati da lui, che sol la morte
Può strappare dal sen.
Statira.   Besso infedele,
Besso che lo tradì cedendo Arbela
Affidata dal rege alla sua mano,
Niegherà per mercè svelar l’arcano?
Niso. Si può tentar.
Lisimaco.   Perchè cercarlo altrove?
Manda in Scizia, e lo trovi.
Policrate.   A Babilonia
Spedisci i messi tuoi.
Lisimaco. A trovarlo fra i Sciti andrò, se vuoi.
Niso. Ecco Besso, Statira.
Statira.   Ah! nel vederlo
D’ira m’accendo il cor.

SCENA V.

Besso e detti.

Besso.   Scusa, s’io vengo

Trista nuova a recarti.
Statira.   Hai tu contezza
Del padre mio?
Besso.   So dove il re dimora,
Ma non permette il palesarlo ancora.
Lisimaco. Ciascun sa ch’egli è in Scizia.
Policrate.   A Babilonia
Che ha diretto il cammin lo sa ciascuno.
Besso. Non è ver, non è ver; s’inganna ogni uno.
Io lo so, ma nol dico. A te, Statira,
La novella ch’io reco,

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So che non piacerà. Mi è noto il foco

Che nel seno ti accese
La virtù di Alessandro, o a dir più giusto,
Il suo volto, il suo cor, la sua fortuna.
So che speri il bel nodo, e ti lusinghi
Alla patria donar riposo e pace.
Ma il colpo andò fallace; in questo punto
Giunta è Rossane amabile, vezzosa,
Che dell’eroe di Macedonia è sposa.
Statira. Ah! perfido, tu vieni (si alzano
A insultarmi con gioia. Il so, Rossane
Fu l’amor d’Alessandro,
Ma sua sposa non è. Di lui gli amici
Condannaro un tal nodo, e non pavento
Che quell’eroe che a immortalarsi inclina,
Anteponga una schiava a me reina.
Ite a cercar mio padre. A chi di voi
Lo ritrova primiero,
Impegno la mia fede,
Avrà d’oro e d’onori ampia mercede.
Lisimaco. Fidati pur di me. Di tanti amici
Io mi posso vantar, che da per tutto
Quel che gli altri non sanno,
Saper mi comprometto.
La patria, il sito, il tetto
Dove Dario si cela,
Trovar non mi confondo.
Lo saprò s’egli fosse in capo al mondo. (parte
Policrate. Statira, io dagli Egizi
Traggo l’origin mia. La scienza antica
Del numero divino
La mia mente coltiva. Ove si trovi
L’infelice signor di questo regno,
Colla cabala mia trovar m’impegno. (parte
Niso. Oh! stoltezza inaudita. Un dì costoro

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Confida negli amici e l’altro poi

Nelle cabale sue; ma niun di loro
Ha saputo predir con simil cura,
Che Alessandro veniva a queste mura. (parte
Besso. Io, se il brami, Statira,
Dario rintraccerò.
Statira.   No, non mi fido
Di un traditor.
Besso.   Tu traditor mi credi,
E pur tale non sono. È vero, Arbela
Che difender poteasi
Qualche giorno di più, ceduta ho al primo
Apparir del nemico. E qual motivo
Alla resa m’indusse? In me viltade
Credi tu forse, o avidità perversa
Di ricchezze e d’onori? Ah! no, t’inganni.
La reale tua vita,
Quella della germana, i più fedeli
Sudditi del mio re sottrar mi piacque
Dalla strage imminente,
E il prezioso serbar sangue innocente.
Anche i tesori istessi
Dissipati, dispersi,
Stati sarian dei vincitori in preda.
Tutto per mio consiglio
Tutto è salvo, Statira, e alla mia fede
Titol di traditor dai per mercede?
Chi più di me sospira
Rivedere il mio re? Lascia ch’io vada
L’afflitto a consolar. Ma colla macchia
Che mi apposero al volto i miei nemici,
Presentarmi non vo. Tu, se ti cale
Che lo trovi e gli parli, e il tuo progetto
Lo consigli abbracciar, tu mi accompagna
Coi caratteri tuoi. Della mia fede

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Assicuralo in pria, se vuoi che ascolti

Dario da me placidamente i sensi
Della cara sua figlia. In altra guisa
Non arrischio la vita, e al genitore
Noto fare il tuo cor non sperar mai.
Statira. Va; lo scritto che chiedi or ora avrai.
Besso. Esecutor fedele
Sarò de’ cenni tuoi. (L’ultimo colpo
Tentar vo’ della sorte, e non in vano
Posso sperar di divenir sovrano). (parte

SCENA VI.

Statira, poi Barsina.

Statira. Ah! il destin mi costringe

Fidarmi di costui.
Barsina.   Statira, alfine
Sola pur ti ritrovo.
Statira.   E qual ti sprona
Frettoloso desio?
Barsina.   Vidi Alessandro.
Statira. Che ti sembra di lui?
Barsina. Non mi credeva
Ritrovarlo per noi sì giusto e pio.
Che bontà! Che bel cor!
Statira.   Non tel diss’io?
Barsina. Egli il sangue di Dario
Ama e apprezza così, che lusingarci
Francamente possiam di miglior sorte.
Statira. È ver, ma a queste porte
Importuna Rossane
Giungeci a disturbare.
Barsina.   E chi è costei?
Statira. Di barbara nazione

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È una schiava vulgar, che meritato

Ha l’onor d’Alessandro. Ella ha il coraggio
D’aspirar alle nozze
Del monarca del mondo e suo signore.
Barsina. (Ah! lo diss’io che prevenuto ha il core). (da sè
Statira. Ma non temo di lei. Chi rege è nato
Sa distinguere il pregio
Di una destra real. Vederla aspetto
Tremare in faccia ad un più degno affetto.
Barsina. Mi consoli, germana. Il pio Alessandro
Ti ha svelato la fiamma
Che ora nutre nel cor?
Statira.   Sì, col suo labbro
E cogli occhi languenti e coi sospiri
Mi svelò l’amor suo.
Barsina.   Ah! me felice,
Se un sì lieto destin sperar mi lice.
Statira. Del tuo bel cor, Barsina,
Grata io pure ti son. Se meco parla
Il labbro tuo sincero,
Quel che a me tu dimostri è affetto vero.
Barsina. Tutto alla mia germana,
Tutto voglio svelar. Mi vide appena
11 macedone invitto,
Gli occhi tenne in me fisi, e fra se stesso
Lo sentia ragionar. Sai ch’io non soglio
Favellar francamente. Egli conobbe
Il verginal rossore,
Mi diè coraggio, e mi promise amore.
Statira. Chi?
Barsina.   Alessandro.
Statira.   Alessandro?
Barsina.   E qual stupore?
Statira. Ti diè coraggio e ti promise amore?
Barsina. Sì; meravigli? ei forse

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Non lo disse a te stessa?

Statira.   O tu m’inganni,
O si rendon più crudi i nostri affanni.
Barsina. Ingannarti? perchè?
Statira.   Ma Io conosci
Quell’eroe di cui parli?
Barsina.   Il di lui nome
Seppi dai labbri suoi.
Statira.   Disse d’amarti? (agitata
Barsina. Lo disse, e lo giurò.
Statira.   Parlò di nozze?
Barsina. Sì, sì, delle sue nozze
Le speranze migliori ancor mi ha date.
Statira. Barsina, oh giusti Dei! siamo ingannate.
Barsina. Come?
Statira.   Ah! l’empio Alessandro
Con simile linguaggio
Meco pur favellò! Disse d’amarmi, (agitata
Mi promise la fè; la destra mia
Chiese il perfido in dono.
Ah! derisa tu sei, schernita io sono.
Barsina. Stelle! Ciò sarà ver?
Statira.   Lo giuro ai Numi.
Teco non so mentir. Chi sa dell’empio
Il disegno qual sia?
Barsina. Oh Dei! può darsi
Un sì barbaro core? Oh me infelice!
La prima volta è questa,
Che nel seno innocente accolsi amore.
Ah! se un vil traditore
M’ingannò a questo segno,
Giuro contro d’amor perpetuo sdegno. (parte
Statira. Ma che mai d’Alessandro
Degg’io pensar? Che per costume avvezzo
Sia le donne a tradir? Ciò non s’accorda

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Col dover, coll’onore,

Nè può gloria sperar chi è traditore.
Crederò che soggetto
A debolezza estrema
Arda per ogni foco? Eh! un’alma grande
Cui la virtude alletta,
Non può a tal debolezza andar soggetta.
Dunque che crederò? L’amor, lo sdegno,
Il decoro, il rossor, le smanie irate
Mi tormentano il core. Oh stelle ingrate! (parte


Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Qui nel testo è stampato: ogn’un.