Gli scorridori del mare/6. L'incrociatore

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6. L'incrociatore

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Capitolo VI.

L’INCROCIATORE


Il vento soffiava dall’est abbastanza regolare e la Garonna con tutte le vele spiegate, filando a sei nodi all’ora, navigava verso la costa americana.

L’equipaggio, lieto di essere sfuggito agli incrociatori si abbandonava a una gioia prematura e non pensava che alla ricca paga che dovevano ricevere dopo la vendita del carico di carne umana.

Gli schiavi, aggruppati nella stiva, si mantenevano tranquilli, intimoriti da due marinai armati di fucili, che passeggiavano lungo le corsie, pronti a sedare qualsiasi tentativo di ribellione.

Anche Bonga, che era stato incatenato all’estremità del frapponte, rimaneva silenzioso e calmo; i suoi occhi però lanciavano sulle sentinelle sguardi terribili, pregni di odio.

Mentre gli uomini erano incatenati, le donne invece erano state sdraiate sul duro tavolato, esse facevano giuocare i loro figli, che stringevano di frequente al seno, prevedendo che compiuta la traversata, la tratta si sarebbe incaricata di separarle violentemente dalla loro prole.

Dopo alcune ore di navigazione, il capitano e il secondo scesero nella stiva, per visitare la loro mercanzia vivente. Il secondo, anima vile e feroce, era armato di un lungo scudiscio, e guidava il capitano in mezzo ai negri.

— Che ve ne pare capitano del nostro carico? — domandò [p. 33 modifica]il secondo, respingendo un negro con un vigoroso colpo di scudiscio.

— Guadagneremo molto, — disse il capitano aggrottando la fronte alla vista dello staffile.

In quel mentre passarono accanto al capo negro, il quale stava sdraiato all’estremità del frapponte e pareva che dormisse.

— Bonga, — disse il secondo, mostrando al capitano l’erculeo negro.

— Disgraziato monarca, — mormorò il capitano che in fine aveva un cuore buono.

— Guardate che occhiate furibonde che mi lancia, — ghignò il secondo abbassando lo scudiscio sulle spalle del negro.

— E perchè batterlo senza alcuna ragione? — chiese il capitano, fermando Bonga che si era rizzato, terribile nella sua collera.

Il secondo si strinse nelle spalle e guardando Solilach gli disse beffardamente:

— In verità, capitano, voi non eravate nato per esercitare la tratta.

— Forse, ma io non so trovare motivo perchè si debbano tormentare questi poveri diavoli che sono già abbastanza disgraziati, — rispose il capitano con voce severa.

— Suvvia, non andate in collera. Non credevo che dopo tanto tempo che esercitate la tratta, aveste ancora pietà di questi diavoli di negri.

— Io esercito la tratta è vero, ma la esercito quasi onestamente e disapprovo coloro che si divertono a tormentare questi disgraziati.

— Non li batterò più, — disse il secondo gettando invece su Bonga uno sguardo d’odio.

Compiuto il giro, essi tornarono sul ponte perfettamente d’accordo, e andarono a vuotare una bottiglia nella cabina dell’ufficiale. Risaliti in coperta, esplorarono attentamente l’orizzonte per tema di veder improvvisamente apparire qualche incrociatore, però nessun veliero era in vista.

Il capitano, onde prevenire qualsiasi evenienza, ordinò che due marinai muniti di forti cannocchiali salissero sulla crocetta, pronti a segnalare la prima vela che apparisse.

Il secondo intanto girava su e giù pel ponte e ogni volta che passava dinanzi al boccaporto di maestra, lanciava uno sguardo feroce sugli schiavi. Pareva che meditasse qualche sinistro progetto contro Bonga, che già due volte l’aveva minacciato. Dopo alcuni giri discese nella stiva, si avvicinò alla sentinella, e le ordinò di raddoppiare la catena del monarca africano.

Il negro si lasciò incatenare senza aprir bocca, però parve che indovinasse il triste disegno del secondo, poichè un lampo d’ira gli avvampò negli occhi. [p. 34 modifica]

Il briccone però non ebbe l’ardire di vendicarsi subito e aspettò la notte, temendo che il capitano sventasse il suo piano.

Allorquando sul ponte non rimasero che gli uomini di guardia, si munì di uno scudiscio e discese nel frapponte col pretesto di vedere se i negri dormivano.

Dopo aver gironzato qua e là ordinò alla sentinella di salire sul ponte e di recarsi nella sua cabina a prendere un martello per ribadire la catena ad uno schiavo.

La sentinella ubbidì e sparve pel boccaporto di prora.

Allora il secondo si precipitò addosso a Bonga che dormiva, e avvolgendolo con un colpo di scudiscio gli disse:

— A noi due, ora, canaglia! Ti voglio mostrare come si vendica un uomo bianco.

Bonga, al colpo, si era raddrizzato come un leone in furore, facendo due passi innanzi fin dove lo permetteva la lunghezza della catena, e guardò l’avversario con due occhi sfolgoranti di rabbia.

— Credi di farmi paura, furfante? — gridò il secondo, percuotendolo a più riprese.

Questa volta il negro tese il pugno chiuso verso il secondo e con voce furente gli disse:

— Bianco, ti dissi ancora di non toccarmi. Guardati: io sono Bonga, il potente re della tribù dei Cassegna.

Uno scroscio di risa tenne dietro alle sue parole.

— Cane di negro: ecco come io tratto il re di Cassegna! — disse Parry e tracciò sul petto di Bonga un solco sanguinoso.

Fu un lampo. Il nero gettò un urlo di rabbia, e, afferrando il secondo, con un colpo violento lo fece rotolare fin presso la scala che conduceva al boccaporto.

Sbalordito e furibondo, il secondo si rimise in piedi imprecando orribilmente, e perdendo ogni prudenza si avventò nuovamente sul negro tempestandolo di colpi.

Bonga, approfittando di un passo falso del secondo, gli applicò un pugno formidabile in mezzo alla faccia, poi con uno strappone spezzò la catena e gli si slanciò addosso.

Il secondo si era dato alla fuga verso il ponte, perdendo sangue dal naso.

I negri, che fin allora erano rimasti semplici spettatori, visto il loro capo vittorioso, si misero a schiamazzare, facendo un baccano infernale.

I marinai, e il capitano, temendo una sommossa, balzarono fuori dalle cabine e, mezzi nudi, corsero sul ponte, ove regnava la massima confusione. Il secondo continuava a fuggire, chiamando all’armi, mentre Bonga, atterrati gli uomini di guardia, gettando grida selvagge cercava di raggiungerlo. [p. 35 modifica]

Il capitano Solilach si gettò dinanzi al negro colle pistole in pugno e, prendendolo di mira, gli disse:

— Bonga! Guardati!

Il negro, vedendo il capitano, si fermò: aveva conosciuto colui che aveva sgridato il secondo.

Incrociò le braccia sul petto, chinò il capo, dicendo:

— A voi mi arrendo.

Il capitano scorgendo sul petto dell’ercole le tracce delle battiture, fece un gesto di minaccia al secondo, poi ordinò che lo si riconducesse nel frapponte. Bonga non fece nessun motto e si lasciò incatenare.

— Ed ora, signore, mi direte perchè avete battuto quel negro! — disse Solilach con accento severo, volgendosi verso Parry.

— Perchè tentava di spezzare la catena, — rispose il secondo, asciugandosi il sangue che gli sgorgava dal naso.

— Badate che ciò non succeda più. Voglio che gli schiavi siano lasciati in pace.

— Ma fu lui che...

— Silenzio!... Voi avete voluto vendicarvi, lo so. Guardatevene dal toccarlo poichè un giorno quel negro sarà nostro marinaio. — Ciò detto lo lasciò solo, scendendo nel quadro.

Il secondo lo seguì collo sguardo, poi, facendo un gesto di minaccia, mormorò con rabbia:

— Maledizione! Verrà un giorno che il pirata si vendicherà del negriero.

Poi, dissimulando la sua collera, accese un cigarito e andò a fumare presso la ribolla del timone.

Al mattino, appena il sole fu sorto, si udì la voce di un marinaio di vedetta sulle crocette a gridare:

— Vela a dieci miglia sottovento!

A quel grido inaspettato, capitano e marinai si guardarono in faccia, poi tutti si precipitarono sulle griselle volgendo gli sguardi verso il luogo segnalato.

— Non si vede nulla, — disse un marinaio rompendo il silenzio generale che regnava in coperta.

— Nemmeno noi vediamo nulla, — affermarono gli altri.

— Ehi, Walker, dove vedi la vela? — domandò Solilach all’uomo di vedetta.

— Laggiù, a dieci miglia sottovento, — rispose il marinaio dall’alto della crocetta.

— Ah!... Non vedete che il briccone si è munito di un cannocchiale, — disse il capitano ridendo.

Il secondo corse a prendere un cannocchiale, e lo porse al capitano, il quale lo puntò con grande calma.

L’equipaggio lo aveva circondato e ansioso aspettava che [p. 36 modifica]dicesse se si trattava d’un semplice legno mercantile o d’un formidabile legno da guerra.

Tutti trattenevano il respiro, tutti i cuori palpitavano.

Finalmente il capitano staccò il cannocchiale.

— Dunque? È un incrociatore? — domandarono simultaneamente tutti i marinai.

— La distanza è troppa per sapere se quel veliero è un vascello da guerra, — disse il capitano.

— Se è un buon legno, non tarderemo a conoscerlo meglio.

— E intanto che cosa faremo? — domandò il secondo.

— Per ora aspettiamo. Se abbiamo da fare con un incrociatore, non tarderà a darci la caccia.

— Io intanto vado in crocetta per cercare di conoscere la portata di quel vascello, — disse il secondo inerpicandosi su per le griselle.

La maniera per conoscere la grandezza di un vascello, di cui non si vede che l’alberatura, è una cosa facilissima e semplice. Quando stando sul ponte, si scorge il totale dei pappafichi di un bastimento segnalato, allora si sale in crocetta del proprio bastimento e di là si guarda.

Se da quell’altezza si scorge il ponte del vascello nemico, vuol dire che è della medesima grandezza; se invece non si scorge, allora sarà più grande, poichè avrà un’alberatura più alta; se invece si scorgono il ponte, il corpo del vascello e la sua linea d’acqua, vuol dire che e più piccolo avendo un’alberatura più bassa.

Questo sistema si basa sul principio che i bastimenti di egual portata hanno alberatura di egual altezza.

Il secondo aspettava che l’alberatura fosse visibile, e che il capitano dalla coperta, lo avvisasse che si scorgevano le crocette del veliero segnalato.

Passò un quarto d’ora durante il quale i marinai rimasero immobili ai loro posti, fissando la vela che lentamente ingrandiva. Ad un tratto il capitano con voce vibrante gridò:

— Le crocette!

Il secondo lanciò un sguardo sul vascello segnalato; e tosto con voce allegra gridò:

— Evviva! Si vede il ponte, la linea d’acqua e al di là l’Oceano.

Un grido di gioia risuonò a bordo del negriero: il bastimento che si avvicinava era più piccolo.

Tutti però rimasero ai loro posti; il vascello, che pareva un rapido camminatore, guadagnava sensibilmente e ingrandiva a vista d’occhio.

Quella scoperta inattesa fece meravigliare il capitano, il quale fu tosto colpito da una serie di sinistre riflessioni e finì per convincersi che quel bastimento doveva essere un incrociatore. Un vascello [p. 37 modifica]mercantile non avrebbe navigato direttamente verso la Garonna con tanta rapidità.

Passò un’altra mezz’ora, poi il capitano volse ancora il cannocchiale verso quel veliero sospetto e per alcuni istanti lo guardò fissamente.

D’un tratto la sua faccia assunse una espressione grave, e staccando il cannocchiale, e volgendosi verso l’equipaggio disse con voce inquieta:

— Quel vascello è un brik da guerra; ho scorto la fiamma rossa ondeggiare sulla cima dell’albero di maestra.

— Un incrociatore? — chiesero i marinai con una certa ansietà.

— Lo temo, — rispose il capitano puntando nuovamente il cannocchiale.

L’equipaggio guardava pure attentamente quelle vele che ingrandivano sempre più. L’alberatura ormai era interamente visibile, perchè il brik navigava già a circa sette miglia di distanza.

— Ci corre addosso, — dissero i marinai.

— È un incrociatore, — rispose Solilach, — esso si prepara a darci la caccia.

— A quale nazione appartiene? — domandò l’ufficiale.

— Aspettate, — disse il secondo puntando alla sua volta lo strumento. — Sì, la bandiera rossa sventola sul corno; è inglese al pari di me e bene armato. Se non m’inganno deve avere almeno dieci cannoni ed un centinaio d’uomini. Sono certo di non ingannarmi; deve essere il Cape-Town.

— Il Cape-Town! — esclamarono i marinai.

— Sì, e scommetterei che fra tre ore sarà qui!...