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Guerino detto il Meschino/Capitolo XLII

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Capitolo XLII

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Capitolo XLI Conclusione
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CAPITOLO XLII.


Il castello di Selvaggia Rocca.


PP

a notte cavalcando Guerino, Artibano, Alessandro e Antinisca con il fedel Trifalo, lasciarono la via che andava verso Soria, e voltaronsi verso le montagne di Media, le quali sono in mezzo tra la Persia e la Media, e sono grandissime, e verso queste per due giorni camminarono senza mangiare. E giunti in una gran selva, trovarono molti frutti selvatici, e di quelli mangiarono, ma Antinisca veniva meno, essendo il terzo giorno circa vespero. Antinisca pregò il Meschino che la battezzasse, perchè si sentiva mancare; ed ei tutto addolorato non sapeva che fare, e disse a Trifalo: — «Caro mio amico, come dobbiam fare? quanto cammino abbiamo noi a fare, prima che troviamo abitazione?» — Ei rispose che vi era ancora una giornata, ma per certo esser gran fatto che in questa selva non vi fosse qualche abitazione di gente fuggita da Persepoli con i loro bestiami. Trifalo pregò il Meschino a rimanere con la donna, e Alessandro ed Artibano che andassero con lui, e così fecero, e cominciarono a cercar per la selva in molte [p. T41 modifica]Stretti insieme si comminciarono ad allontanare. [p. 325 modifica]parti oscure e spaventose. Essendo giunti nella selva, videro una bella fortezza, lungi da loro circa due miglia in capo di questa valle; allora si confortano, e andarono di buon passo sino alla fortezza la qual era poco tempo che era stata fatta. Questa fortezza aveva due torri alte, ed era in cima di un monticello molte forte. In questa rocca stava un Saraceno molto valoroso della sua persona, nominato Sinogrante di Saragona, il quale aveva fatto questa Rocca, e teneva in sua balìa una bella damigella, che aveva tolta in una festa al re di Saragona, ed aveva nome Diaregina, e aveva con lui in questa rocca cinquanta cavalieri, che avevano preso tutto il bestiame di Persepoli e condotto in quella rocca. Quando Trifalo vide questa fortezza, molto si maravigliò, perchè in avanti non vi soleva essere fortezza alcuna; niente di meno s’inviarono a quella volta, ma come furono appresso, uno che stava sopra una di quelle torri suonò un corno, e quelli del castello si armarono, cioè i cinquanta cavalieri. Il loro signore Sinogrante si fece ad una finestra, e vedendo venire questi tre cavalieri armati, subito dimandò le sue arme ed il cavallo, e la bella Diaregina lo ajutò ad armarsi. Egli abbracciò nel partire, dicendole: — «Tutto quello che io guadagnerò sarà tuo, e quelli ti darò per prigioni, sieno chi si vogliano, e detto questo montò a cavallo, e uscì di fuori incontro a questi tre cavalieri.

Quando Artibano vide venire questa gente, si fermò e disse ad Alessandro: — «Noi avremo battaglia con questa gente; che ti par di fare?» — Alessandro disse: — «A me pare di mandare per Guerino,» e d’accordo dissero a Trifalo: «Va, e dirai al Meschino dove noi siamo, che venga in queste parti». — Allora Trifalo tornò indietro, e Alessandro ed Artibano si assettarono le armi. In questo giunse Sinogrante appresso loro d’un trar di mano, e fermatosi disse ad un suo vassallo: — «Va incontro di questi due; dimandagli chi sono, e di quel che vanno cercando». — Il famiglio andò a loro, e salutolli da parte di Macometto, e poi gli disse: — «Sinogrante, signor di questo castello, vi manda a chiedere chi voi siete, e quello che andate facendo». — Disse Artibano: «Noi domandiamo da mangiare per noi e per un nostro compagno, il quale per la [p. 326 modifica]fame abbiamo lasciato nella selva; torna al tuo Signore, e digli per nostra parte che noi gli vogliamo parlare per questa cagione». Il famiglio tornò e recò l’ambasciata. Allora Sinogrante si mosse, ed ei se ne venne verso Artibano ed Alessandro, chiedendogli che cosa volesse. Disse Artibano: «Siete voi il Signore?» Rispose di sì. Artibano disse a lui, come aveva detto al famiglio, e pregollo che gli facesse dare da mangiare. Rispose Sinogrante: «Se voi volete da mangiare e da bere, donatemi uno di questi vostri elmi». Rispose Artibano: «Troppo sei caro oste, noi ti pagheremo di argento e di oro». Disse Sinogrante: «Se volete da mangiare vi conviene acquistarlo con la lancia in mano, se voi mi abbatterete avrete da mangiare e da bere, e se io abbatterò voi vi torrò l’arme e i cavalli, e vi darò prigioni a una damigella la quale è in quel castello, chiamato Selvaggia Rocca, e quella damigella ha nome Diaregina». E detto queste parole si scostò e imbracciò lo scudo e impugnò la lancia.

Vedendo questo Alessandro, disse ad Artibano: «Io voglio esser il primo», e mosso il cavallo venne contra Sinogrante, si diedero due gran colpi, e Alessandro ruppe la lancia, e cadde da cavallo, e i cavalieri di Sinogrante lo menarono dalla damigella la quale lo fece tutto disarmare, e gli dimandò come avea nome. Alessandro le disse: «Io ho nome Alessandro, e cercava da mangiare e da bere». Di questo increbbe alla damigella, e gli fece dar da mangiare e da bere, poi lo fece metter in una camera e fu serrato dentro. In questo mezzo Artibano percosse con la lancia Sinogrante, e ruppegliela addosso. Sinogrante disse: «Cavaliero, tu non hai lancia, io te ne darò una». Rispose Artibano: «L’usanza di cavalleria si è che rotte le lancie si dee dar fine alla battaglia con la spada in mano». — «Per Macometto, disse Sinogrante, che io son contento, ma prima voglio che noi facciamo un altro colpo di lancia». Artibano si contentò, e venuti d’accordo fecero portare due lancie molto grosse, e disse ad Artibano: «Piglia quella che ti piace», e così fece. Si diedero due grandissimi colpi, e il cavallo cadde sotto ad Artibano, e se lo rivolse addosso, ed Artibano fu preso e menato nella rocca e presentato alla damigella [p. 327 modifica]predetta. Ella fece di lui come aveva fatto ad Alessandro, e poselo nel medesimo luogo. Sinogrante fece pigliare i loro cavalli e condurli nel castello, comandando che fossero ben governati, ed ei con que’ cavalieri ch’eran seco, cominciò ad andare giù per la valle dietro a Trifalo, ch’aveva veduto partire da questi due. Or torniamo al Meschino e alla bella Antinisca.

Partiti Alessandro, Artibano e Trifalo dal Meschino e da Antinisca, la quale per la fame si veniva meno, il valente cavaliero addolorato per non le poter dar da mangiare, andava cogliendo erba e frutti selvatici, e con questo la sostentava al meglio che poteva, dicendo: — «Oimè! perchè ti cavai dalla tua terra? meglio era che tu fosti morta per le mani de’ tuoi nemici, che venire a morire in questo luogo di fame!» — Era già presso vespero quando un cavaliero armato di armi lucenti, arrivò dove era il Meschino, e vedendo la donna posta in terra a giacere, credendo che fosse un maschio, dimandò al Meschino cosa aveva quell’uomo. Rispose il Meschino: «Non ha altro male che la fame. Non possiamo trovare niente da mangiare». Rispose quel cavaliero: «Egli è presso due giorni ch’io non ho mangiato; noi eravamo tre compagni che venivamo da Persepoii, andando per questa selva, e non sapendo la via trovammo lungi da questo luogo circa due miglia ben cento pastori, i quali ci hanno assaliti, hanno uccisi i miei compagni ed io sono campato per il buon cavallo». Allora disse il Meschino: — «Io ti prego che tu m’insegni dove son questi pastori». Il cavaliero rispose: «Io te li mostrerò, ma ti consiglio di non andarvi imperocchè son troppi». Disse Guerino: «Meglio è morire francamente che vivere stentando!» — e appena potè far rimontare Antinisca a cavallo, quel cavaliero gli mostrò la via, e andarono tanto che trovarono que’ bestiami, e fu veduto da’ pastori, i quali gli vennero incontro. Guerino lasciò Antinisca e quel cavaliero, il quale aveva già mezzo perduta la vista per la gran fame. Giunto il Meschino a que’ pastori, li salutò, ed essi s’ingegnavano di metterlo in mezzo, avevano archi e lancie, e al saluto del Meschino non risposero perchè lo voleano ammazzare a tradimento. Conoscendo il Meschino la loro volontà, mise mano alla spada e gridò: «O traditori ladroni, voi avete trovato il brando della giustizia!» gittossi tra loro e [p. 328 modifica]ne uccise più di trenta. Quando videro i pastori la smisurata forza del Meschino, gridarono: «Basterebbe che costui fosse il Meschino il quale difese la nostra città di Persepoli!» e cominciarono a fuggire. Allora il Meschino tornò per la donna e pel cavaliero, e andarono agli alloggiamenti di que’ pastori e trovarono pane e carne cotta assai, e mangiarono e bevettero dell’acqua. Quando Antinisca ebbe mangiato lodò Iddio. Allora quel cavaliero conobbe il Meschino, e inginocchiatosegli avanti, disse piangendo: «Tu sei il mio signore, ohimè che insino a qui non t’ho conosciuto!» Il Meschino gli dimandò chi egli era; rispose: «Io sono di Media, e fui di que’ cavalieri che tu mandasti col traditore Parvidas, il quale quando ebbe dato la città a Lionetto, fu tagliato a pezzi sopra la piazza di Persepoli, e tutta la città è stata messa a sacco, tutti i cittadini vennero uccisi, e noi di Media riuscimmo a campare in duecento. E quelli che scamparono, furono di quelli che si abbatterono la notte di andar fuori». — Quando il Meschino udì queste novelle fu molto allegro. Il Mediano molto ringraziò Dio, e dimandò quello che era avvenuto d’Alessandro e d’Artibano, e il Meschino gli disse averli mandati a cercar da mangiare.

Vedendo Guerino da cinquanta cavalieri, Trifalo, che aveva raggiunto il Meschino, subito disse: «Oime! questi son quelli di quel castello che io ti dissi, per certo Alessandro e Artibano sono morti o imprigionati». — Per questo il Meschino adirato montò a cavallo, e confortato egli e i compagni, chiamò a sè tutti questi pastori coi quali aveva fatto pace, e disse: — «Non abbiate paura che noi ci difenderemo, e se voi sarete valenti e leali, noi piglieremo questo castello e lo daremo nelle vostre mani». — In questo punto Sinogrante si fermò coi suoi cavalieri e disse: «Per Macometto! questa è una gran ricchezza, se io posso aver pace con que’ pastori». Costoro, i quali erano in numero di cento circa, venivano verso di lui. Sinogrante mandò un messo, dicendo: «Il signore Sinogrante dalla Selvatica Rocca, manda salutando tutti i pastori imperocchè Sinogrante vi vuole per suoi fedeli, purchè voi teniate questo bestiame e per voi e per lui, e vi darà ricovero nel suo castello, il quale è in sì forte luogo che non teme de’ nemici». Allora tutti i pastori gridarono: «O signor nostro! noi non vogliamo la sua amistà». Il Meschino disse: «O [p. 329 modifica]gentil messaggiero, per la fede che tu porti al tuo signore, che avete fatto di que’ due cavalieri?» Rispose il messo: «Furono abbattuti dal signore, e sono stati mandati in prigione nel castello». Il franco Meschino, grandemente s’allegrò, poichè seppe ch’erano vivi, e disse: «Va, e torna al tuo signore, e digli da parie mia che per l’amore ch’io porto a que’ due cavalieri, io combatterò con lui a corpo a corpo, e se egli mi vince, tutto questo bestiame è suo; ma se io vincerò lui, voglio ch’egli mi dia il suo castello, e mi renda que’ due cavalieri». — Il messaggiero tornò a Sinogrante, e fecegli l’ambasciata da parte del Meschino. Sinogrante se ne rise e disse: «Sia lodato Macone, che mi fa più grazia che non voglio! Digli che si faccia innanzi». Così fece il Meschino, e spronò il cavallo con una lancia in mano. Quando Sinogrante lo vide venire, stimò che egli fosse il cavaliero che lo mandò a richieder di battaglia, e spronò il cavallo verso il Meschino. Essendosi appressati l’uno all’altro, disse il Meschino: «Macometto ti salvi cavaliero!» Sinogrante si maravigliò che in un pastore fosse tanta gentilezza e cortesia, e rispose: «Tu sia il ben venuto». — Disse il franco Guerino: «Per tua fede, che è avvenuto dei due cavalieri che per trovar da mangiare vennero al tuo castello?» Disse Sinogrante: «Essi sono miei prigioni, ma dimmi tu che mi domandi, che hai tu a fare con loro?» Disse Guerino: «Que’ cavalieri sono miei cari compagni», e dissegli come la fame li aveva oppressi, e come non avevano ancora veduto questo bestiame, ma che un cavaliero glielo aveva insegnato. Disse Sinogrante: «Questi morti, ch’io vedo per la campagna, chi li ha uccisi?» Rispose il Meschino: «Certa questione che ebbero con certi cavalieri che passavano di qui». Intanto Sinogrante, mentre parlavano, molto guardava le armi del Meschino ed il suo cavallo e tanto gli piacquero, ch’egli disse: «O cavaliero, qualunque tu sia, ti conviene lasciar a me le tue armi e il tuo cavallo». — Rispose Guerino: «Per mia fede, tu devi essere un villano». Sinogrante si adirò e disse: «Adesso tu lo vedrai,» e preso del campo dieronsi due gran colpi colle lancie, poi misero mano alle spade ed una gran battaglia cominciarono. Quando i cavalieri di Sinogrante videro che il Meschino stette così saldo a cavallo, dubitarono della battaglia; i due combattenti adirati l’uno per il [p. 330 modifica]domandare dell’arme e del cavallo, l’altro per essergli detto villano, si corsero a ferire con le spade in mano, tagliandosi l’armi, e sì smisurati colpi si davano che Sinogrante si maravigliava, e Guerino diceva non aver mai combattuto con un guerriero sì forte, dicendo: «O vero Dio, ajutami contra questo inimico della tua fede!» Un gran pezzo durò l’assalto, tanto ch’essi e i cavalli erano molto affannati, e tirati indietro presero un poco di riposo. Allora disse Sinogrante: «Cavaliero! tu hai poco senno a voler morire per difendere pastori da bestiame». — Rispose Guerino: «Non faccio tanto quanto vorrei per difendere le armi ed il cavallo da un villano ladrone come sei tu». Adirato Sinogrante strinse la spada, e diede al Meschino sì terribil colpo che il fece tutto intronare. Allora il Meschino gittò via lo scudo, e a due mani prese la spada e diedegli sì gran colpo che lo fece uscir di sè, e poco mancò che non cadesse da cavallo. Il franco Meschino si fermò; Sinogrante vedendo il gran pericolo, al qual era stato, s’immaginò di non combatter più con lui, e disse al Meschino: «Per la tua valentia, io ti voglio far grazia, che tu vada alla tua via con l’arme ed il cavallo, e con que’ compagni che tu hai in questa brigata, e lasci far a noi con i pastori». Disse il franco Meschino: «La tua fierezza si comincia ad umiliare, per certo la superbia che ti avanza la spada mia conviene che la raffreni, però mostra se tu hai possa, che conviene abbandonare la vita ed il castello dove tu tieni i rubatori, perch’io l’ho promesso a questi pastori.» E dette queste parole, si corsero a ferire, rompendosi l’armi a pezzi. Allora disse Sinogrante al Meschino, avendo per la battaglia messo riposo, e l’uno e l’altro stando fermo: «O franco cavaliero, per lo Dio, in cui tu hai speranza, dimmi chi tu sei, ch’io non avrei creduto ch’altri che il franco Meschino da Durazzo mi avesse potuto durare, ma or ti prego che tu mi dica il tuo nome?» Rispose il Meschino: «Il mio nome si è Guerino e son cristiano». Sinogrante non l’intese, perchè disse: il mio nome si è Guerino, e non disse Meschino. Disse allora Sinogrante: «Io sono alle mani con un cristiano; per Macometto, io voglio avanti morire portare la tua testa alla più bella damigella del mondo!» Ed il Meschino rispose: «Per la fede che ho promesso [p. 331 modifica]alla bella Antinisca, figliuola del re di Persepoli, io le presenterò la tua!» — Allora di nuovo si corsero a ferire, e Sinogrante gli diede un colpo: ma il Meschino ne diede un altro a lui che gli spaccò l’elmo in più parti. Guerino gridò: «Gesù Cristo, che mi facesti trovar mio padre e mia madre, dammi virtù contro questo infedele!» Quando Sinogrante udì queste parole, disse: «Tu devi essere il franco Meschino;» ed egli rispose: «Tu dici il vero». Allora Sinogrante voltò il cavallo verso i suoi cavalieri e cominciò a gridar soccorso; ma il Meschino lo raggiunse e a due mani lo percosse sull’elmo, ch’essendo fesso, tutto s’aperse, e così morì il fiero Sinogrante.

Morto Sinogrante, i suoi cavalieri cominciarono a fuggire, e i pastori montarono sopra certi cavalli, e andarongli dietro seguitandoli e molti ne furono morti. Dopo il Meschino con quei pastori a piedi ed a cavallo posero campo al castello, dove era preso Alessandro, la qual cosa vedendo quelli del castello si fecero grandissima maraviglia, e domandarono che gente essi erano. Il franco Meschino fece dire come il loro signore era morto, e perchè credessero, fece portare il morto Sinogrante al castello, e quando la donna vide il corpo morto, alzò le mani al cielo e laudò gli Dei che l’avevano cavata dalle sue mani, fece trarre di prigione Alessandro ed il feroce Artibano, e loro disse: — «Generosi cavalieri, voi avete detto che siete cristiani, però se voi promettete menarmi al padre mio il re di Saragona, vi renderò le vostre armi e i cavalli, perchè i cavalieri cristiani hanno nome di essere i più leali del mondo, però io mi fido di voi. È venuto un cavaliero di fuori del castello, il quale combattendo uccise Sinogrante che tradì mio padre, il quale l’aveva fatto capitano di tutta la sua gente, e questo traditore, essendo io d’anni quattordici e con quaranta damigelle nel giardino di mio padre fuori della città, mi prese e con molti armati mi menò in questa selva; fece fare questo castello, ed hammi qui due anni tenuta, ma ora ch’egli è morto, mi raccomando a voi, per amor del vostro Dio». — Artibano udendo queste parole, rispose: «O nobile donna, non dubitate, che per la fede che ho promessa al miglior cavaliere del mondo, io mi vanto di rendervi al padre; ma io vi prego che ci rendiate l’armi e i [p. 332 modifica]cavalli». — Diaregina li menò sopra un balcone e mostrò loro i pastori che erano al campo al castello, e il franco e ferocissimo Artibano molto se ne rise e disse: «O donna, se la fame grandissima non avesse vinto il mio cavallo, tienti per certo che costoro non avrebbero ucciso Sinogrante; che l’avrei ben morto io». — Ella li menò dov’eran l’armi loro, e ambedue si armarono, e gli fece dare i loro cavalli, e armati con le lancie in mano uscirono dal castello ed assalirono il campo del franco Meschino. Artibano ed Alessandro assalirono i pastori, e nel giugnere il feroce Artibano uccise quel cavaliero di Media, e ancora sarebbe trascorso nei pastori, se il Meschino non fosse giunto a tempo; nondimeno ne furono morti quattro, ma quando il Meschino vide il feroce Artibano, gridò: — «O carissimi fratelli, per qual cagione mi siete fatti nemici, ch’avete preso l’arme contra di me?» Come Artibano lo conobbe si gettò a terra da cavallo, e disse: — «Signor mio, non piaccia a Dio ch’io contra a te pigli l’arme!» e gridando andò ad Alessandro. Ei venne dove erano, e fecero insieme grand’allegrezza, e l’un disse all’altro come il fatto era passato. Il forte Artibano disse l’onore che Diaregina gli aveva fatto, e come ella se gli era raccomandata, chi ella era e quello che le aveva promesso, e d’accordo menarono dentro il Meschino e la bella Antinisca e il valente Trifalo, che giurarono di renderla a suo padre e metterla in Armenia. Presero il castello dove stettero il dì e la notte vegnente, poi la mattina lo diedero a’ pastori. Vestita Diaregina come uno scudiero, partirono con due guide, e vennero in Assiria, e passarono molti paesi, e giunsero nel reame di Saragona ad una città detta Artacan nella quale città d’Artacan fu riconosciuta Diaregina, e fu fatto onore a lei, al Meschino ed a’ suoi compagni.

Giunti nella città d’Artacan, la vezzosa Diaregina disse guardando verso il Meschino: «O nobilissimi cavalieri, noi siamo nella città del padre mio, e però a voi sia di piacere, che noi andiamo a smontare alla corte dove sta il luogotenente per mio padre». — E così furono giunti alla corte. Essa dimandò chi era il luogotenente, e trovò che era un suo bailo chiamato Arparo, il quale, quando la vide corse ad abbracciarla e tolsela con gran pianto da cavallo, ed ella gli disse: «Padre mio Arparo, non fate onore [p. T42 modifica]Deliberò di abbandonare il mondo e far vita romita. [p. 333 modifica]a me, ma fatelo a questi cavalieri che mi hanno cavata dalle mani del traditor Sinogrante a forza di battaglie». — Allora Arparo andò incontra a loro, e sontuosamente li fece alloggiare, e Diaregina menò seco la bella Antinisca, ed Arparo subito mandò lettere al padre di Diaregina. Appena furono disarmati nella loro camera i cavalieri, che le donne vestite con la moglie di Arparo vennero a vederli, e furono portati molti vestimenti, e poscia andarono sulla sala reale, dove venne gran gente della città per veder la vezzosa Diaregina, e quasi tutti pieni d’allegrezza piangevano. E furono ordinate le tavole per mangiare, e posti a tavola fu ogni cosa della chiaramente per bocca di Diaregina, come Sinogrante l’aveva per forza tolta, e dove l’aveva menata, e fatta sua sposa, e tenuta là nel paese di Persepoli, e come i cavalieri l’avevano liberata e ucciso Sinogrante, e come poi l’avevano accompagnata.

Quel giorno e quella notte stettero nella città d’Artacan e nella seguente mattina montarono a cavallo e andarono, avendo con loro Arparo con più di duecento persone a cavallo. Diaregina ed Antinisca salirono in una carretta, molto riccamente adornata, tirata da quattro cavalli bianchi. Il settimo giorno andarono ad un castello ch’era a mezzo il cammino tra una città e l’altra chiamato Vesia, e il mattino seguente in sul mezzo giorno videro comparir molti armati. Guerino e i compagni si misero gli elmi in testa e con le lancie in mano si fecero incontro a tutte quelle genti, e se non fosse stato che Arparo conobbe ch’era il padre di Diaregina che veniva verso Artacan, avrebbero combattuto; ma quando il re Polidone vide la figliuola, cominciò un dirotto pianto, ed ella discese dalla carretta, e ginocchioni gli dimandò pietà. Il padre gli perdonò, perchè contra la sua volontà fu tolta. Il re Polidone in mezzo al Meschino e ad Alessandro, andò cavalcando alla città d’Armauria, dove si fece gran festa, e quando seppe il re che costoro eran cristiani fu molto allegro, e la bella Diaregina pregò il padre che gli desse per marito uno di questi cavalieri: per questo ne parlò al Meschino, il quale rispose che esso non faria parentado se lei non si battezzava; il re Polidone disse che i suoi antichi eran stati cristiani, e che egli aveva due figliuole, e disse che Alessandro di Costantinopoli ne piglierebbe una e l’altra l’avrebbe [p. 334 modifica]data ad Artibano, se essi volessero la pace col re d’Armenia, onde essi lo promisero. E per questo fu eletto ambasciatore Guerino ed Arparo gli fu dato in compagnia, e andarono in Armenia con cinquanta cavalieri. Parlò al re, e fu fatto grande onore al Meschino, il quale ebbe ogni grazia ch’ei dimandò, e fece doppia pace. Tornato Guerino, fece battezzare il re Polidone, le figliuole, Antinisca e tutto il reame, e diede per moglie ad Artibano Diaregina e l’altra ad Alessandro, la quale era chiamata Lauria d’anni quattordici. Ognuno si accompagnò con la sua, e andarono dal re d’Armenia, dove si fecero molte feste, finite le quali ognuno tornò a casa sua. Rimase Artibano dal re Polidone, e dopo la sua morte venne eletto re di Saragona, ed ebbe molti figliuoli dalla bella Diaregina, che furono valenti cavalieri in fatti d’armi. Tra questi ne ebbe due, uno chiamato Polidone per il suocero, l’altro Guerino per amore del Meschino: e costoro fecero tremar tutta Soria ed acquistarono Gerusalemme e furono valenti cavalieri.