Gynevera de le clare donne/31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria
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31. De Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria
Hyppolita Sphorza, duchessa de Calabria, oltra a tutte l’altre donne, senza iniuria de altrui, pare, per origine de’ parenti et per costumi, sia stata donna tanto illustre, che più sarebbe laude tacere de lei, che poche cose scrivere. Pur, ornamento de la muliebre gloria, infra le clare donne, di spectata virtute, maritate, in quello sarà possibile, recordaremo.
Fu duncha costei figliuola cara de Francesco Sphorza, coltissimo principe de Milano, et de Bianca Maria sua consorte, et mogliere de lo inclyto duca de Calabria Alphonso, primogenito del serenissimo re Ferdinando. Fu alevata da li gloriosi parenti, cum grande excellentia de virtute, dimostrandoli, sopra tutte l’altre cose, havesse in abominatione l’avaritia inimica de ogni virtute et de ogni gloria. Quando andò ad marito, fu in la cità nostra, in lo palazo del principe Bentivoglio, felice marito de la mia excelsa madonna, consanguinea de lei, cum quello honore et fede che fie possibile, receputa. Da la porta de la cità fin al palazo Bentivoglio fu adorno, in honore et triumpho de tanta sponsa, de fronte, fiori, raggi et insegne ducal de Milano et sphorcesche et de Aragonie, in festoni pendenti per le strate. Erano suoni, canti, balli et spectaculi belli in li canti de vie, che era una beatitudine a vedere. Li andò contro la mia felicissima madonna, cum molte nobile donne de la nostra citate ad cavalo, egregiamente ornate, che fu belissima pompa ad vedere, et grandissimo numero de generosi citadini, cum fogie de nobili sescalchi, et de molti armegiatori cum ciponi di seta a la sforcescha divisa, sopra legiadri cavali, fallerati de sonagli; et in capo haveano celatine cum girlande de tremolante auro, et aste in mane, pincte a la divisa sphorcesca; et similmente calciati cum scarpe rosse a la gallica fogia.
Nel tempo de duo giorni che quivi dimorò, hebbe più caro visitare li templi et li lochi pii et devoti, che vedere altre dignitate seculare; et andò al monastero de le monache del corpo de Cristo ad far reverentia al corpo de la beata Catherina, quale le monache l’haveano posto vestito de damaschin bertino ad sedere sopra l’altare de la sua ecclesia; che è cosa miranda, che uno corpo morto de certi anni consentisse sedere; quantuncha non sia così da maravigliare, permetendo a le volte così Dio simile, o vero de magiori effecti in le cose sue sancte. Questa felicissima sponsa, havendo al sancto corpo facto reverentia, cum egregia oblatione, cum auxilio de una scranna scese sopra l’altare, et devotamente pose una corona de argento in capo de la beata donna, dicendo: «A costei ben la corona se conviene.» Et d’alhora in qua sempre è stato de quella corona coronato, come se vede. Dipoi che lei fu quivi, ha lassato in la cità nostra aeterna benivolentia et laude.
Fu bella, biancha, bionda, hebbe occhii venusti, naso un poco aquilino che li dava gratia. Hebbe denti belli, aspecto de grande maiestà. Fu più presto grande che mediocre. Le mane havea belle, come de colore eburneo, cum le dita longhe. Lo aspecto suo fu de grande maiestà, mansueto et gratioso. Fu in eloquio facunda et eloquente. Legea egregiamente cum suavi acenti et resonantia, et intendea, assai mediocremente, latino. Dicea, che legere spesso li morali libri, la persona vile se faceva egregia; perchè era necessario che quella se acendesse a le virtù per gloria, tanto magiormente accendere se doverebbe la generosa, se non fusse ofesa da qualche iniqua stella, che, senza far difesa, permetesse fusse sepulta nel fango di vitii. Fu de colera dolce. Le sue ire, li suoi sdegni et le sue pace furono sempre cum carità, dolceza et prudentia, per modo era habiuta in singulare amore, timore et reverentia da li populi. Dove rechedea la rasone et il bisogno era familiare, affabilissima et prudente, di che li populi diceano che lei era a loro benigna matre. Havea compassione a quelle misere donne che non se conservavano in pudica fama; le amoniva cum sancto modo. Li rancori et le discordie che infra li suoi sentiva, levava via, reducendoli ad benivolentia et a pace. Fu donna devota; deiunava spesso in pane et in aqua, orava, contemplava, dicea cum frequentia suoi officii et orationi. In la chiesia del castello Capoano, dove habitava, ogni giorno volea tre messe audire, et il vespro da sacerdoti, quando ad altri templi non andava. Vivea sanctamente, come religiosa. Visitava cum fuochi et oblatione li templi et li lochi devoti et pii, et precipuamente la chiesia de la Nuntiata, loco de grande devotione. Era elemosinatrice molto. Ogni giorno a la sua corte facea dare per Dio molto pane, vino et carne. Auxiliava, in quello potea, de le sue proprie substantie maritare donzelle, et de le persone povere secrete munificava, senza che fusse adimandata, che parea proprio havesse lei provato le miserie de la paupertate. In questa magnificentia la sua anima vivea iocunda et consolata. Fu liberalissima in quanto a Dio et al mondo, come vera figliuola de Dio non che de Francesco Sphorza et de Biancha Maria, quali furono in ogni cosa felice spechio de liberalitate et munificentia.
In Neapoli, nel templo de sancta Maria de la Nova, facendosi capitolo generale di frati observanti del seraphico Francesco, de circa mille et ducento fratri, fece presentare a questo capitolo, apresso li altri provedimenti, molti vitelli, molti polami, molti castrati, pane, vino, strame et biada da cavalli, cere et zuchari, che fu bellissima cosa ad vedere passare questa spirituale magnificentia, la quale fu di valore circa ducati seicento, che sarebbe bastato a la regina Saba; quando essa, partita de le extreme parte del mondo per venire ad audire la sapientia de Salamone, che al templo li offerse cinque talenti d’oro et cose aromatarie, et geme preciose offerse de molto valore.
Una volta Constantia de Varano, bella et morigerata donna, moglie fu de Carolo Manfredo, expulso de stato suo de Faventia, rechedendo questa liberalissima Hyppolita de suffragio al vivere, et non havendo lei alhora denari nè altra cosa, quantuncha molte altre volte l’havea substentata, se trasse pietosamente de la sinistra mano uno bello adamante et dette a la bisognante donna, dicendoli che atrovasse pur denari che potesse. Molte altre volte se spogliò de le proprie vestimente per donare per Dio ad homini et a donne povere et ancora a riche, benemerite per loro bontate et virtute; molte geme et altre cose mobile, portò quando andò ad marito, finito per honore de Dio. Infra l’altre cose fu uno spechio, de valore de dieci millia ducati, et una pace, de precio de ducati duo milia; duo forceri de fino argento, lavorati cum singular felicità de nieli et smalti; et uno fornimento da cavalo de argento et auro, cum la sella, de precio ducati quattro millia; che, infra inpignate et vendute, ne rimase privata.
Quando andò ad Milano ad visitare la matre per la morte del patre, et a la sua partita per retornare ad Neapoli, essa matre li fece dono de una colana de preciose geme, al quale facendo estimare el duca Galeazo, fratello de essa Hyppolita, perchè non li piaque fusse de tanta cosa privato, ma li dette contanti ducati trenta milia che fu estimata, li quali poco tempo li durarono, sì per il suo honesto bisogno, et sì per li effecti illustri, grati a Dio, del suo magnifico animo. Dicea lei, che per questa sua munificentia non expenderebbe mai la dignità de la duchessa nel futuro titolo de la regina, ma che se facea una investita di geme in paradiso, per fugire la compagnia de la scelerata meretrice de avaricia. Non fu mai sumptuosa nel vestire; le sue vestimente erano assai de drappi rasi paonazo et neri, cum grande politeza et prestantia; li ornamenti del capo eran veli de molta honestade, sotto li quali el venusto volto rendea molta gratia, per la quale se iudicava come sancta fama de le sue illustre opere la pudicitia del suo pecto et la integrità de la mente. Fu donna de grandissimo naturale in tutte le cose. Sapea parlare de hystorie, de le condictione di stati et di regni, et come quilli de doveano acquistare et mantenere. Sapea disputare de le cose urbane, de le arme, de’ cavalli, de’ cani, sparvieri, falchoni, de la agricultura, de li exercitii de le donne et de varie virtù degl’homini, che era una felicità ad audire. Dicea che li principi di populi aquistarebbeno più facilmente el regno del cielo, che li religiosi ne le spelonche, quando cum timore de Dio regesseno. Detestava cum angoscia li vitii et specialmente de le inpudiche donne, et vituperava quelle che vogliono essere nel numero de le honeste, che vestivano fogie piene de vanità, frasche et di vento. Non haverebbe voluto che una gentildonna mai havesse facto uno sputo et uno gesto che honesto non fusse stato. Le parole de lei furono de tanta virtute et dolceza, che haverebbeno acceso el fuocho nel iazzo. Sapea cum grande modestia cum ogni generatione deportarsi, excepto cum li adulatori, suxeroni et reportatori de mali, li quali fugiva come pestifero morbo, perchè dicea erano quilli che ruinavano le citate et li regni.
Sempre fu de honeste parole et de egregii costumi. Non fu mai chachinante in piacere che havesse, ma bene cum modestissimo et casto riso. Non so se una altra intra le Cincinate donne, intra le Fabricie, Curie, Lucretie et Sulpicie, spendide, sancte giovene, ma infra le antique de proveta aetate, et infra le illustre figliuole del savio et grande Catone, essere superata, senza alcuna sentilla de lasivia; di che è da essere exaltata cum maxima laude. Quando dava audientia et che in piedi stava, era cum tanta maiestate et mansuetudine, che parea uno divino spectaculo. Se traheva a le volte, in la audientia, per uno nobil gesto spinto da propria natura, el guanto da la dextra mano, et quella cum el spogliato guanto alcuna volta distendea gioso sopra la camura, batendolo alquanto suavemente. Alciava poi a le vote gli occhii in quilli, a li quali audientia dava, et calava cum tanta veneratione, che pareano gesti celesti, non che humani. Mandava ogniuno secundo le condictione de gl’homini, satisfacti de quello che potea; li quali diceano: «O Signor Dio, quando sarà il tempo che costei sia regina, che beato tutto el regno!» Oh quanto el vero diceano! Che se iudicava non fusse stato donna, molto tempo facea, de più gratia, virtute, benivolentia et magnanimitate, per modo se regina fusse stata, il regno parthinopeo se haverebbe potuto chiamare beato. Non haverebbe temuto mai el regno le minacie de li pontifici, nè de altri potentati, perchè a lei, per il splendore de le sue virtute, se haverebbeno facti reverenti, in gloria de tanta donna. Haverebbe dato lege prudentemente a tutta Italia. Non accadette a lei dimostrare la sua virtute in li accidenti di guerra, per havere havuto marito docto in la militare disciplina, et de forza de animo et de ingegno; ma quando a lei apartenuto fusse, haverebbe dimostrato non manco gloria, che habia facto alcuna altra valorosa donna, et come vera figliuola de lo invictissimo duca Francesco Sforza.
Hebbe dui figliuoli, uno maschio, nominato Ferdinando, principe de Capua, et una femina, nominata Isabella, in memoria de la genetrice del marito, che celebrata habiamo; la quale figliuola, per pontificia dispensatione, ad quiete de li italici stati, è copulata al consobrino Zoanne Galeazo secundo, duca quinto de Milano. Questo principe de Capua, unico figlioulo de la excellentissima donna, uno giorno, per grandeza et prestantia de animo, travagliando uno gagliardo cavallo, quello li cade adosso, per modo fu levato, credendosi fusse morto, et circa xiii giorni stete come exanimato. La matre, per questo crudele accidente oltramodo dolorata, recorse a la pietate de Dio et de la gloriosa Vergene, che retornasseno il figliuolo ne la pristina valitudine; et così tutto Neapoli, per la pietate haveano a tanta dona, fece processione, perchè l’Altissimo rendesse la salute al figliuolo. Ultimamente, essendo uno giorno lei intorno al figliuolo, cum franco animo lo chiamava, confortandolo, et che se recordasse de la misericordia et fede de Iesù Cristo; et lui come morto non respondendo, lei se partì cum pianto et strido, et disse: «O principe, figliuol mio, come te ho perduto!» Et andò ella ne la sua camera avanti la ymagine de la regina del paradiso, matre de misericordia, et percotendosi il pecto cum tante lachryme et pregi adimandò la salute del figliuolo, che non se partì da la oratione, che li smariti, o forsi perduti spiriti retornarono ne lo exanimato corpo del figliuolo. Questa salute, subito nuntiata a la tribulata matre, essa fu piena de tanta consolatione, che alquanto prima potesse formare parola, in ringratiare la pietate divina, al figliuolo corse ad abraciandolo, cum quella tenerezza che credere se debbe, per haverlo veduto da morte ad vita resusitato. Li astanti tutti hebbeno tanto gaudio et tenereza de la consolatione de la matre, che tutti piangevano. Da lei, per conseguita salute del figliuolo, Dio, et la gloriosa Vergene, et tutto el paradiso, cum oblatione et oratione furono honorati et rengratiati sempre, fin che lei vise.
Dipoi circa alquanti mesi questa consequita gratia, lei se infirmò de una apostema nel capo, la qual fu de tanta crudel forza, per le inique stelle, invidendo a tanto bene concesso al neapolitano regno, che pose fine a li suoi giorni, havendo de sua aetate anni quarantadui. Moritte cum grande contritione, confessata et comunicata, existendoli, per salute de l’anima, devoti religiosi sempre, come lei havea adimandati, fin a l’ultimo spirito de la vita.
La morte de costei dolse a tutto il regno, al re socero, et a l’alto marito, et specialmente al principe suo figliuolo, che consolare non se potea. Fu sepulta cum quilli regali honori de exequio, che convenivano ad uno pudicissimo corpo de tanta duchessa; de la cui memoria tutta Italia cum benigna laude ne parla, et parlarase tanto, quanto fia la memoria de li homini amatori de’ costumi et virtù celeste, per felice gloria del sangue del nostro Gynevero, che in laude de lei dolcemente se ciba, per gloriarse ancora de tanta laude in cielo.