Hypnerotomachia Poliphili/XXI
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PERVENUTI LAETISSIMI ALLO OPTATISSIMO LOCO, LA DIGNA AMENITATE DIL QUALE ASSEVERA POLIPHILO DI PIANTE, HERBE, ET AVICULE, ET INQUILINI OPPORTUNAMENTE DISCRIVENDO. MA INPRIMA LA FORMA DILLA NAVICULA, ET COME NEL DESCENDERE DIL SIGNORE CUPIDINE DI RINCONTRO HONORABONDE MOLTE NYMPHE DOROPHORE MATURAMENTE SE APRESENTORONO.
ELIFICANTE IL DIVINO PUERULO CUM le dispanse ale, non dal utre di Ulysse, ma da obsequiose, et rorifere aure filiole di Astreo, et dilla rosea Aurora impulse, di consenso unanimi, Polia, et io ritrovantise, accensi et praecipitatissimi di aviditate di pervenire al destinato termine, cum il maiore dilecto di amore, che unque humano senso il potesse sentire, né praecogitare, et meno divulgare. Il quale quantunque negli praecordii intimamente excessivo fusse. Niente dimeno più promptamente era dalla praesentia deifica vegetato, et da quelle facetissime Nymphe remigabonde, et dal dolcissimo cantare, et dalla mysteriosa forma dilla solida et inconcussa navicula, opportuno instrumento organizato d’amore, et dalla pretiosa materia et dalla dolceza et amoenitate dil loco. Et molto più dalla propinqua fiamma, che Polia cum eximia praestantia exuberantemente nel cremabile core spirava. Perché gli amorosi et praefulgentissimi ochii sui, per gli mei ad gli intimi praecordii fulguraticiamente delapsi, uno acerrimo incendio sediciosamente commovevano. Dal quale ustibile confervefacto, et prostratamente saucio, crebri singulti scaturivano. Non altramente che il coculo sopra l’ardente et excessivo foco per gli labii fora diffunde. Cusì né più né meno gli bullienti anheliti dal fervente core compulsi habondantemente subullivano, manifestantise risonanti, et gli importuni incendii cum la sola bellecia dilla mia venusta Polia ductrice aptamente mitigava. Ma che si fusse io uberrimamente experiva tanta voluptate, che io era totalmente absorpto et absumpto, quanto mai la lingua mia decentissima valesse adaptare ad tale expresso.Finalmente laetissimi, gaudiosi et triumphanti all’insula extremamente desiderata, cum la nostra superba et remivaga exeres, non saburata, ma vacille. La quale di forma cusì era compacta. Di partitione quadripharia due erano consumate in la puppe, et nella prora, cusì di liniamento, overo forma l’una come l’altra. Le due altre partitione nel residuo inane corpo erano dispensate, et una et l’altra sponda tra la prora et la puppe initiante cum pando acclivo discorrevano gli oruli. Il quale lapso proclinava quadrante, et d’indi paulatine aequale il residuo se prolongava ad l’altro obvio. Le quale prone falcature alte constano da gli constrati bipedale. Et in una et l’altra gli tre transtri trasversariamente erano infixi, hesquipedale dal constrato sublevati. La carina poscia di lame d’oro intecta, et cusì le pande coste, da uno et l’altro extremo ventriculatamente sublevantise. Nel ultimo gracilamento dicto delphino alla deformata similitudine circumacto se aduncava, reddendo uno grato voluto. Nella rotundatione dil quale fulgeva uno ornamento di crasse et pretiosissime gemme. Dalla volutione dil quale, verso la piana dilla puppe et dilla prora, paulatinamente se incaulicava obvertentise in uno foliamento antiquario, amplificato su la piana cum naturale deformatione et exquisita di optimo oro sparsamente serpendo, cum exacti cauliculi, et colphuli lacinii, overo incisure, et fimbriature sopra le piane lambente elegantissimamente expresso. Dal quale volume similmente procedeva bellissimamente dal fastigio mucronato dilla piana descendendo sectario, cum la deformatione de gli oruli, overamente trapheco, overo labio, ove infixi erano gli scalmi, uno mirando frisio di latitudine uno palmo tuto d’oro gemmato d’incredibile impensa egregiamente cingeva cum mirifica, et amicale distributione, et locatione dille gemme, et tuto il ligneo composito tanto diligentemente, et cum eximia politura cum le tabule coassate loricatamente sencia arte stiparia redacto, et sencia alcuno calcamine, apparendo una coaequata compactura, quasi di uno integerrimo solido. Et sopra il linito dilla fragrante et nigerrima picatura nitente et speculare, et di aurea trituratione, di syriaco liniamento per tuto spectatissimamente designata cum tute le altre circunstantie di sopra opportunamente descripte. Cusì era.
Cum questi amorosi triumphi, et euphonice voce dille nautice fanciulle, et oltra dagli marini numini completo era il sereno aere, et il ceruleo pelago di confusi clamori, et multitudine resultante le unde, et feste, et tripudii, et praecipua gesticulatione et festiva iucunditate, et divote veneratione al perameno loco allabenti applicassimo, tanto benigno et quam gratissimo, tanto delectevole et bello, di singulare ornamento arborario agli sensi se offerite, quanto mai cosa excellentissima et voluptuosa cum gli ochii mirare se potesse. Imperò che ciascuna fertile lingua di caritate et parca accusarebese. Et per tale similitudine troppo disconvenevole et abusiva comparatione sareberon gli anticommemorati ad questo. Imperoché sencia existima era quam solatiosissimo, et di delicie loco tuto consito et exornato horto olitorio, et herbario, et fertile pomario, et amoeno viridario, et gratioso arborario, et periucundo arbustario. Il quale era loco non di monti devii, et desueti, eliminata omni scabricie. Ma complanato et aequabile fina ad gli gyrati gradi verso il mirabile theatro exclusivo, gli arbori erano di odore suavissimo, di provento foecondissimi di expansione di rami latissimi. Horto di oblectamento incomparabile affluente, di largissima ubertate, di fiori iucundissimo, et referto, libero de impedimenti, et di insidie tuto ornato, di manali fonti, et freschi rivuli. Il cielo non rigido, ma temprato latissimo, perspicuo, et illustre, non di horrente umbre lochi averni, immune dil variabile, et incostante tempo, che cum insidie lacescente di venti infecti offendesse, non cum moleste et hybernale pruine. Né aestuatione di importuno sole, né invaso et torrido loco di aritudine di aesto. Né di gelatione horrida excocto. Ma tuto vernante et salubre che tale non è l’aere ad gli Aegyptii la Libya spectanti, di lunga salute, et salubritate, et destinato di aeternitate. Loco consito di vireti, di spectanda densitate di frondosi arbori, di gratissima ostentatione, cum venustissima praesentatione di virentia, et per tuto il liquido aere incredibile spiramento di florea ridolentia, cum tuta la area herbescente, et di frescho roramine perfusa, et floridanti prati, et oltra il pensitare di omni piacere faetoso et naturali beni, cum colorati fructi, tra il perenne foliamine virente, cum stabile cohaesione et consenso, cum itione diffinite per le piante, et di multiplici rose arcuatamente contecte, ceda quivi dunque lo irriguo et arborato Thermiscyra campo.Per la quale cosa più che arduo iudico, et difficile arbitro il volere, (et cum acre ingegnio) narrare. Ma, quanto la rapace retinente, et arida memoria nella lauda collocata mi sovenirae, tanto io brevemente me adapterò ad scrivere.
Questo sancto loco alla faceta (ad gli mortali et miserabunda) natura dicato alumno degli dii et statione, et degli beati spiriti diversorio, circuiva (come rectamente coniectare valeva) tre miliarii, et da qualunche parte interfluxo di salse aque lympidissime. Il quale non era congestitio di tophei scopuli, dalla contumacia dille proturgente et spumicolose onde derosi, pieni di crepidine, quale fragose Plote. Né di vadosi litori praefresi, et exesi da undiculante iniuria né da vesco sale. Né etiam non era composito dilla superba Niobe scrupea, né gli sui acutissimi et durissimi filioli quivi appariscono. Ma tuto mineralmente di nitidissima materia, non fractitia, né freabile, né lutescente, ma translucida, integra, et intemerata, quale perspicace, et artificioso crystallo.
Ove cum acurata diligentia explorava da benigna illuvie gli extersi litori lapillosi di sparse gemme, di forma et dil suo coloramento divariate praelucente. Quivi dispersamente ancora habundantia appareva dil fragrante coito dille monstrose Balene, da gli frugi plemmyruli riportato. Ornatissima insula poscia di gratissimo et novello et perhenne operimento di verneo virore per tuto il piano spectatissimo.
Ma prima sopra le nude rive litorale attiguo mirai gli aequevi, et procerosi cupressi cum gli sui stiptici et rimosi coni, perseveranti, et durabili ad gli ponderosi tecti. Tigni non saporosi agli rosicanti teredini, et lo intercupressio di passi tre, l’uno separato dal altro. Questo regulare ordine, in orbe gyrato circunducto, era observato per tuto l’extremo circinao de l’insula. Poscia circularmente ambiva uno iucundissimo et floreo myrteto. Amante gli loquacibondi litori. Il quale alla divina genitrice de gli amorosi fochi consta votivo et dicato. Compacto, et densissimamente riducto et deformato in modo di murale septo, uno hesquipasso altiusculo includendo in sé gli troncei stirpi delli dritissimi cupressi, cum exordio dilla sua foliatione subrecto dui piedi dal summo aequato, overo piana dil myrteto. Dunque questa cusì facta viridura obvallava le litorale ripe, cum le opportune itione, agli lochi decenti relicte et distribute. Il quale septo minimo ligno accusava, ma protecti dilla dilectabile et florusa frondatione, che una cima né follio l’altro excedeva, ma cum eximia aequatura derasa conservava la summitate, et la circinatione.
Intro da questo circumvallato myrteo, et virente sepe (il quale essere poteva da esso verso il centro dill’insula circa uno semitertio di miliario) vidi per deductione de linee dal centro alla circunferentia litorea, in aequipartitione XX. ciascuna d’imensitate di uno stadio, et adiecta una quinta parte. La extrema clausura dil myrto imitando. In qualunche divisione era uno nemorulo di diversi prati variamente herbanti, et di arborario il simigliante. Distributo specificamente secondo il requisito aspecto dil benigno cielo. Caeda quivi Dodona silva. Le quale divisione, nella figura decangula, opportunamente interponendo per ciascuno intervallo una linea, in vinti multiplica. La quale figura facta in simplice circulo, et sectione facendo mutuamente dui diametri, davano, et il centrico puncto. Uno semidiametro di questi quale tu voi parti per equa medietate, cum una punctura. Et a questo puncto obliquamente trahe una linea recta, verso la summitate suprema dil semidiametro, et a questo supremo puncto, supra questa praefata linea, dal semidiametro signa quanto è una quarta parte di tuto uno diametro. Poscia extendi una linea dal centro secando sopra la signatura alla circunferentia, sarà la divisione dilla figura decangula.
Queste .XX. divisione erano per nobilissimi septi, diversamente cancellati cum opportune et conveniente laxatione marmorarie, di crassitudine bipollicaria tra mensurata locatione di pilastrelli perpolitule fabrefacti, di marmoro albente, et il reliquo rubicante luculentissimo, cumvestiti di varia voluptura di serpibile piante, una da l’altra excluse et separate. Nel medio dil septo patevano ad libella in ciascuno una porta, in apertura pedi septeni, alta nove fino al suo arcuare dil supremo convexo. Le quale cancellature et tale rumbee, et quadrule, et tale degenerate dal tetrangulo, et per altri bellissimi expressi. Serpivano quelle tale il periclymeno, altre iossamino alcune di convolvoli, tale di lupuli, et alcune di tanno, overo vite nigra altre di convolvolo, cum le campanule liliacee semiazurine, tale di tuto candido, alcune di momordica, diqué ciascuno era variato. Quale di flammula Iovis, di Smilace, la quale per amor dil formoso Croco, se fece Autophoros ornata di candido flore olente lilio cum sentoso folio et hederaceo, di vitilago, di viticula, cum in triquetro visicaria, cum il seme di albedine maculate, et di molti altri, che in sublime serpeno de la nominatione incogniti.
In la prima diloricatione il nemore era daphnona, overo laureto, di multiplice lauri, quivi vidi la Delphica, la Cypria, la Mustace, cum maximo et albicante folio, et la silvestra, Cino, et la Regia, overo Bacchalia, la Taxa, la Spadonica, et Chamaedaphne, quale mai in monte Parnaso spectatissima, et Apolline gratissima. Nobilissimo munere ad gli Romani misso. Né tale la laurifera terra basoe Bruto, gratissima a Tiberio. Né tale vide Drusilla portata dall’albicante Galina. Né cusì facte naqueron dall’aurispico iuso nella villa degli Caesari plantate, ornamento triumphale, praecipuamente la Sterile. Vidi ancora et Daphnoide, overamente Pelasgo, overo Eutale ridolente Thure, né di tanta bella virentia perpetua fece la filiola di Peneo fiume. Dille foglie dilla quale Apolline solito fue, et la cithara, et la pharetra exornare. Ceda quivi dunque gli siculi monti aerii, et quanto ad gli dulcissimi fonti, et quanto ad la amenitate. Quantunque il formosissimo figliolo di Mercurio in quello cum Diana se oblectasse, gli quali non sono prescripti dalla ira dill’altissimo Iove, offerentise cusì grati a coprire la calva di Caesaro, cum peramenissimo solo immixti molti Comari.
Mirai et uno altro nemorulo nel quale cum aequabile locatione era uno pergratissimo querceto di tenelle fronde. Et quivi vidi latifolia et querno et roburi et hemeris producente il medicinale Canchry, et haliphleos salsicortex, cum assai et aesculi, et cerri, et suberi, et fagi, et ilice, overo smilace, overo aquifolia, quivi cum non casure fronde fogliosi, culto dalle Querquetulane Nymphe.
In un altro septo seguiva cum aequo ordine uno altro gratissimo boschetto di olenti cupressi silvestri, gilibano, romidascalo, overo iuniperi. Conducti topiariamente in multiplici figurali expressi, cum minute et pongiente fronde, il marito dilla diva genitrice volenteri, conservabile, et altissimi cedri di multiplice utilitate, liquante olio cedreo di fogliatura similgliante al cupresso, dil quale in Epheso constava il simulachro di Diana, ne gli nobilissimi phani per la sua aeterna duritudine summe appretiato. La vetusta Carie et roscicante tinee renuenti. Foeconda alla sua magna Crete bella in Africa, et olente in Assyria, cum venusta intercalatura di vrate, overo savina di perenne virentia noxia ad Lucina deformate, et similmente variabile.
Daposcia vidi et uno proceroso et comante pineto di nuce pinee, quivi la tarentina, overo silvestra pino, et la urbana et la pinea picra, overo Apina, et pinastro, et Zapina, et la lachrymante Resina, artificiosamente distribute.
Ancora in uno altro claustro permaxime praestava uno copiosissimo buxeto, in marmorei busti rotundi, et quadruli plantati, tra odorabonde holuscule et floride, che simiglianti in Cytero monte Macedonico non se ritroverebeno, densissimi, cum venusta demigratura in acuminato, cum iusto modo et grado diminuentisi, et cum vaga scansione gracilavano, non sencia commertio di molti altri spectatissimi expressi bellissimamente riduti. Ma tute queste operature, una maravegliosa excedeva. Imperò che di questa specie di arbusculi, io vidi le virtute tute dil procero Hercule, industriosamente, et cum antiquaria deformatione composite, non sencia multifario expresso di innumere altre confictione di diversi animali, sempre virenti, cum non decisure fronde, regularmente collocate, et cum proporcionato et congruente intercapedine, per il prato herboso et florulento distribute.
Similmente et uno altro era di multiplice arboramento concinnamente consiti. Et quivi il duro corno, cum gli fructi sanguinolenti, et alcune di candido fructo, era et il amarissimo taxo, ad gli instrumenti lethali di Cupidine grati et aptissimi. Daposcia inseme commixti vidi l’ulmo, tilii, et il tenuissimo Phylire, vitici, carpini, et fraxini, et la hasta di Romulo floribonda, et molti mespili, et asperi sorbi.
Offerivase ancora, et uno di rectistirpio et sublimi abieti, quantunque dill’amplo mare fugitivi se accusano, et il sito suo sia montano, niente dimeno, quivi proceri et in cielo abeunti inseme interpositi ordinatamente gli fungosi et agaricii larici, overo larigni il foco renuenti, et a questi simili cum opportuna et grata collocatione dispositi.
Molto spectabile subsequendo se offeriva et uno altro, ove era la iuglande, prima dicta diuglande, quivi cum non infesta umbra, et la persica et la basilica, overo molusca, et la Tarentina, non sencia sociale composito di coryli. Ceda quivi Avellano, et Preneste, et le pontice. Consortiva et ancora cum questi la impatiente Phyllis arborescente, la quale dete il nome phylla alli foglii, prima denominate petale. Essa florulenta offerivase, quale nello advento dil pigritante Demophonte, chiamata, et nuce graeca, et amygdala, et thasia.
Non sencia maxima voluptate mirai, et una silvecula di nuce castanee cum il fructo di pungente echinato calice armato, quale mai a gli Sardi primo saritrouorono. Diqué, et per graeco vocabulo Sardiani balani furono chiamati. Agli quali poscia Balano il Divo Tiberio poi gli dete nome. Pensai sinceramente che a queste la parthenia gli cedeva meritamente la tarentina di facillima mundatura et la più facile balaniti, et più rotunda. Queste praestano et alle pure salariane, et alle laudate coreliane, et le coctive, et le tarentine et neapolitane, ove era ancora il sparto, overo miryca, o vero Aspalato.
Erano dunque quivi et silvule et di nobilissimi cotonei, overo cydonei, et uno siliqueto, quale Cypri simigliante non produce, et di lente palme se offeriva uno denso palmeto di utilissime fronde cum cultrato mucrone, resistente, et non inclinabile nella sua summitate onerata confertissimamente dil suo polposo fructo. Non squallidi et piccioli quali la Libyca, né quali la interiore Syria produce gli sui dulci carioti. Ma molto più excellenti di magnitudine ancora, et di dolcecia, che Arabia et Babylonia non rendeno, era et uno pervenusto di mali Punici nobilissimi di tute le specie, dolci, acri, mixti, acidi, et vinosi. Agli quali non se compari, né gli Aegyptii, né gli Samii, né gli Cretensi, né gli Cyprii, et Apyrini, et Erythrococomi, et Leucocomi foecundissimi di fructi et balusti.
Daposcia vidi uno gratissimo boschetto di lotho, overo agrifolio, faba Syriaca, ciceraso, overo melli, overo celti, cum molto più suave provento, che le syrtice et nasamone, quivi in tuto la Africa superata consta. Non mancava ancora et uno di paliuro cum rubente fructo al vino aemula di suavitate. Ceda quivi la Cyrenaica, et la interiore Africa, et ancora quella che circa il delubro di Hammone nasce, et uno di ambi gli mori, lo uno exprime nel fructo il funesto amore, et l’altro nutrimento alle nostre delitie si praesta. Mirai et uno di foetosissimo oliveto, et uno ficulno di tute le specie cum copioso provento. Et uno iucundissimo populno, et similmente uno di hippomelides cum le silique aegyptie cum la lachrymante Metropo, quale all’oraculo di Ammone stillante gummo ammonaco non si troverebbe.
Gli quali arbusculi cum elegantissimo et artificiosissimo distributo et ordine. Il quale l’aspecto dil coelo quivi non desiderava, ma sencia repugnantia dilla natura omni cosa optimamente locata constava. Diqué essa ingeniosa natura quivi sé manifestamente accusava tute le delicie, che sparsamente per l’universo havea solertemente producto. Quivi congesticiamente, et cum praecipuo studio coniecturare si pole tuto essere creato. Era et il solo herbido et floreo et da surgenti, et umbrati fonti, di vitreo latice perlucidi, madente di aque suavissime più che dil Salmacide fonte. Et quivi non pativano il rigifero Arcto, né il nubigeno Noto, ma l’aire saluberrimo purgatissimo, et quam purissimo, et longe lucidissimo, liberamente ad gli ochii pervio, levissimo et coaequabile, et invariabile cum grande amoenitate, et apricitate moderata dil loco et dil coelo, che mai non patisce turbulenta alteratione, ma dissipato, et omni nubilo dispulso, esso coelo liquido monstrantise exclusi gli procaci venti, gli crepitanti Euri, il sibilante Aquilo, et la malignitate, et la aspritudine cum magno fragore dilla saeviente procella, et qualunque iniquitate di tempi, non subditi agli tumultuosi mutamenti di aque né alla frigida Libra. Ma omni cosa luculente riguardare si pole, et la optabile luce, laeti et pululanti nella statione dil lanoso Ariete siccante le vellere nello illuminoso et heracleo Phoebo existente, cum non caduco, ma perpetuo virore, celebrato da multiplice canto di ucelli, quale volitante nell’aire la galericola, et inseme la cantante luscinia, l’aire tuto cantando personavano.
Allo extremo termino di questo semitertio di milliario tuto in silvule distributo verso il centro, perché una circumferentia di circulare figura è di tanto commenso, quanto sono tre diametri sui. Et tanto più quanto che in undeci partitione, deducto uno diametro, sono due portione. Dunque il diametro di questa voluptuosa insula praestavasi uno milliario adiuncte dille undeci partitione due. Ambiva una egregia clausura, di altitudine passi .viii. et di crassitudine pedale tanto condensamente foliosa, che minimo stipite non apparia, cum binate fenestre pervie, et ordinatamente ad gli opportuni lochi, et itione, inarcuava patente porte, facta et compactamente conducta di meli rancii di limonii, et citri, cum illustre virentia nelle mature folie, et di novelle fronde, degli primi et maturi fructi, et degli odoratissimi fiori dispersamente ornate, tanto più all’aspecto grato et spectatissimo, quanto che rarissimamente è usitato di essere concesso agli humani intuiti videre aequivalente factura.
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In questa iucunda et dilectosa clausura, tra il verdissimo mirteto, et tra questo florido naranceo septo ambiente, innumeri et promiscui animali inclusi vagamente discorrevano, quantunque la natura dissimile repugnasse innoxii et mansueti. Vagavano quivi cum mutua amicitia. Et prima gli caprigeni satyri cum gli pendenti et intorti spirili. Gli bicorni fauni, cum l’altro sexo. Dapoi gli semiferi Cervi, et Capree saxipete, et le pavide Dame, gli maculosi Hinnuli, gli saltanti Capreoli. Gli auriti Lepori. Gli timidi Cuniculi. Le Fele pullarie, candide et lutee Mustelle, et la mendace Gallante, Sciuri inquieti, et somnochiosi Glyri. Gli feroci Alicorni, et Tragope et Tragelaphi. Omni specie leonina sencia alcuna frammea, ma ludibondi. Gli collosi Gyraphi, celere Gavielle. Et infiniti altri animali, intenti ad gli solatii dilla natura.
Ultra poscia di questo claustro verso il centro, trovai una magnificentia di uno eximio pomerio, overo delitioso viridario. Quali mai potreberon, non solamente gli humani ordinare, ma mi suado che né pensare. Facile è dunque, che le seconde operatrice faci secundo il primo operante. Et ancora io diciò consento, che né ingegnio tanto foecondo si ritrovasi, che singularmente valesse, di tante excellentissime operature di questo sacro loco dignamente di relato alquanto propalare. Cedano quivi gli pensili horti da Syro re constructi. Per la quale cosa rectamente iudicai, che non da altro, ma solo da divino artifice fue cusì exquisitissimo cogitamento ad contemplatione dill’alma dea dilla natura ad tale ordine, et effecto decentissimamente producto.
Il quale spectatissimo giardino verso il centro porrecto, di passi .166. et semi in prati diviso. La quale divisione constava per itione di directo al centro, et circularmente transversarie. Late passi .V. Gli primarii prati nella prima linea dilla sua quadratura verso la clausura, cum le laterale erano passi .50. Ma la quarta linea verso il centro se decrementava, et da questa linea tolleva la dimensione, la prima linea dil secundo prato, et per il medesimo modo il tertio prato se quadrava. Perché la forcia dille linee al centro tendente causava il scambro. Et le angustie di essi prati et dille strate, et però era deformata la quadratura. Le transversarie nella sua integritate rimanente.
Le quale strate erano pergulate, et in ciascuna grummia era tuberculato, sopra quatro columne ionice, il scapo overo la sua proceritate dille quale era di nove diametri dilla ima sua crassitudine. Et di qui et de lì dille itione, overo strate, erano altane busteate di finissimi marmori, cum liniamenti decentissimi. Et per omni quatro diametri extava una di sopradicte columne. Tale columnatione, et intercolumnio per tuto observato.
Fora dille capsule, overo Altane sotto il socco dille columne solide pullulavano rosarii, non excedendo el passo l’altecia sua. Le quale tra una, et l’altra columna septo facevano delectabile, ad qualunque columna, et de qui, et de lì, perpendicularmente surrecto nel medio dilla columna interiore adhaeriva rectissima una virga di rosario. Le quale oltra il nobilissimo Epistylo extenso sopra la dicta columnatione, di petra russa quale praefulgido coralio sencia altro adminiculo de gli rosarii facevano il flexo topiario. Il fastigio dilla dicta pergula cum le capsule, columne, et trabe recta, di altura se praestava passi quini. Dal quale fastigio incohavano a ritondarse, overo tuberare le cupule in forma bullacea. Esse sole coperte di rose lutee. Le pergule per longo di tute specie di rose candide erano intecte. Et le transversale di vermiglie rose di omni conditione, cum perhenne fronde et floritura in summa multitudine, et spiramento di odore, germinavano et fora dille capsule, omni generatione di fiori et di aromatice herbe. La prima pergula circitora cum il claustro dill’aranceto continivase, il quale havea una fenestra dilla apertione dil circunflexo terminante al claustro dilla pergula al centro directa, meno aperta dal solo in su uno passo aequale al septo intercolumnato. Ciascuno prato havea quatro porte, nel mediano dilla sepiente columnatione. Le capsule pervie lassate. Le quale porte per tuti gli prati a llibella uniformamente se correspondevano. Nel mediano degli oliarii et florigeri prati, una elegante operatura di eximio distributo et praecipua politione, io vidi. Primo negli primi prati mirai una celeberrima fabricatura di scaturiente fontana, situata soto una specula di virentia buxea di solerte expresso. La quale uniforme se trovava per tuto il primario ordine, et in circuito degli prati per questo modo. In medio di ciascuno cum aequa distributione tre gradi torqueati in rotundatione iacti, erano extructi. Dil supremo nella coaequata superficie il diametro dui passi era et semisse, cum uno peristylio di octo columnelle sopra excitate cum le basule nel circinato gyro dil superiore grado, et cum gli capitelli. Le quale usurpavano sete diametri nella sua proceritate (doricamente dilla crassitudine ima) et ventriculate archi da una ad l’altra. Superambiva agli archi il trabe, fascia et coronice. Al perpendiculo dille supposite columnule per ciascuna superastructo uno antiquario vaso. Per diametro dilla sua dilatata corpulentia piedi tre, cum il rotundo fundo acuminato, et d’indi paulatinamente dilatantise, perveniva alla mediana prominentia, ornata di una exquisita zonula. Et de qui dal lymbo il moderato proclivo, ascendeva all’orificio, cum labii di grande politura circa lo hiato dilla sua apertione, et de qui al lymbo piedi uno et semisse, il residuo fina al t ii pediculo suo tripedale, et il pediculo pede semi, cum canaliculi, overo alveoli intorqueatamente, cum principio tenuissimo, verso al lymbo moderatamente amplificantise, cum due anse contorte, et ad gli labri, et sopra lo extremo proclivo oppositamente inverticulate. Non sencia aemulatione di tornatura. Fora dille bucce germinavano driti stirpi di buxi foliati, dilla crassitudine dille subacte columnule dempta la ventriculatura, cum arculi da uno stipite all’altro. Gli triangoli oculati. Daposcia acclivamente in alto porrecto, quanto gli stipiti, dall’apertione dil vaso fina al suo capitulo cum pili che nascevano in aequa linea ambiente al recto sopra gli stipiti, tra gli quali pili, dal suo initio alquanto dilatata la separatione, ascendendo incurvati migravano graciliscente la discrepantia al liniamento di questa parte, che di sopra angustiavase, cum diviso laxamento, tra l’uno, et l’altro di sopra inflexi, allo imo di qualunche acclivato pilo cusì denominantilo, uno ramo porrecto faceva una uncatione. Nel sinuare dilla quale pendeva una pila. Poscia repando sublato verso il supremo degli pili, cum prompta sinuatura hiante. Nella cima retiniva una libera gioia, overo circulo, oltra questa narrata dispositione in sublime continuavano sei stipiti recti, et alti dui tertii, quanto la parte pilata cum arculi fenestrati, poscia tuberculava la cupuleta. Sopra el quale tuberculato saliva una quadratura semisse et uno passo di ovata, et quatripartita apertione pervia, et dal imo degli anguli, ussiva uno porrecto di ramo in suso gampsado.Sopra la aduncitate inversa assideva per ciascuna, una volante aquila in acto, cum il rostro in prospecto. Il supremo di questo quadrato se fastigiava, et sopra l’aculeo sustiniva una deformatione conida, overamente strongyla. Dagli vasi sopra, era tutto dilla viridura stricta, et cohaesa degli buxi negli vasi sati artificiosamente congesto, et optimamente cum densamine conducto, et iustamente decimato tonsile. Che veramente agli ochii cosa più venusta di tale topiario artificio et materia accommodare non si potrebbe.
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Hora in qualunque angulo dil quadrangulato prato, cum proportionata distantia dalle capsule, disposita era una altana di quatro gradi, in forma quadrata. Il primo grado solistimo in fronte pareva bipedale. Nella piana, overo bucca, lato sesquipedale. Et erano vacui busti. Poscia sequiva l’altro di sopra cum ordine gradato, alto quanto la latitudine aperta dil primo, et cusì il tertio, et cusì il quarto. Nel primo herba germinava odorifera, cusì nelle sequente. Quivi dunque erano crispi et minutissimi ocimi, citronei, et cheropholii. Gli quali non praeterivano il frontale mediano dil grado, le fronde aequatamente servate, il simigliante uniforme per tuto constava. L’altra havea olente et minuto thimo gratioso alle mellificante ape. In la tertia, il minuto et amaro gliciacono, overo nectario, overo abrotano, che tale non se offerisce il siculo. Nel supremo spica celtica cum iucundo odore.
t iii
Questo tale distributo, in tute le quatro altane collocate agli anguli di questo primo prato, tuto convestito di florigera camaedaphne se praestava. La apertione dil supremo grado era per diametro pedale, et in ciascuna era plantato uno nobilissimo et foecondo fruteto, topiariamente uniformi conducti. Et primo erano pomarii, in uno angulo vidi meli apiani odoratissimi. Nell’altro meli claudiani. Nel tertio meli paradisei. Nel quarto pomuli decii. Ma in qualunque prato di questo primo ordine le specie variavano dil dicto fructo. Arbore quivi di pomifera sobole foeconde, lo odoramento per tuto diffundentise. Cum tanta bellecia di colore, et di tanta suavitate di gustato producevano, quale non produceva lo arbore di Hercule Gaditano. Né tali arbori Iunione commandoe negli sui horti essere inserti. Diqué chiamare si posino pomarii aphyracori.
La topiaria deformatione, et la circulata crassitudine era di corona, cum lo amfracto verso la specula. Gli plutei, overo septi di questa gradata altana extava di bellissimo diaspro speculare, et di scintule auree perseminato, et di maculamento giallo commixturato, et di vene cyanee serpente, et punicee discurrente, et di undatura calcedonica confusamente impentigato, riquadrati cum gratissime undule. Ultra poscia da questo descripto primo ordine di vireto verso all’insulare centro. Nel secondo ordine, nel mediano dill’area, in loco dilla specula. Mirai uno spectatissimo excogitato di buxi, in artificioso topiario. Una arca lapidea situata di pretioso calcedonico di colore di saponata aqua. Cum decentissimi liniamenti, l’altecia sua tripedale et in longo passi tre. Alla linea dille strate transversale destinata. Da l’uno et l’altro extremo, meno uno pede era sato uno buxo, alla forma di vaso antiquario, ambi dui aequali, et uniformi egregiamente conducti, cum il pedusculo, corpulentia, et horificio, uno passo sublati, sencia anse. Sopra le sue bucce uno gigante alto passi tre, di qui, et de lì cum il pede calcava cum le crure aperte. Vestito in rotondatione fina alla rota degli ginochii, cincto cum gli brachii in sublime dispansi, et alla statura humana il collo, capo, pecto, cum exigente harmonia deformato. Era galerato, cum gli brachii sustentava due turre, una per mano. Late pedi quatro, alte sei, cum il pedamento bigradato, cum fenestrelle porticule, et pinnatura, overo murulatura. Fora di una et di l’altra torre usciva cum uno poco di stipite una pila. Quanto in rotunditate el contento supernate dilla torre. Nella superna parte dill’una et dill’altra pila nel mediano, uscivano gli tronchi, gli quali cum aequa partitione copulantise se coniugavano inflexi, quale uno arco di fabrica sullevato nel arcuato fastigio, quanto l’altitudine di una turre. Proximo al troncho obliquato, cioè allo initio dil suo exito dalla pila saliva uno altro stipite gracile et recto, retinente una conea pila, minore dilla subiecta. La ima rotundatione dilla quale rispondeva al fastigio dil arcuato. Sotto al quale fastigio nel mediano convexo appacta resupina era un’altra pila, quale una degli stipiti, surrecto dilla dicta pila, nel mediano repando dil fastigio uno tronco semipede nasceva, il quale sustentava una concha alquanto lacunata, et dil suo orificio sparsa, poco meno che il contento dill’arco. Fora dila quale platina saliva altro tanto di caudice, quanto il subdito dilla concha, il quale subsideva ad una forma di lilio cum resupini labri in ambito. Fora dil quale lilio cioè calatho nasceva uno buxo sublevato in octo pile suppresse, gradatamente verso il supremo minorantise, alquanto l’una dall’altra diloricate, tuta l’opera dal arco in suso era di pedi seni, dempto il praefato buxo, alcuno indicio in tuta questa eximia topiatura non se manifestava di lignatura, excepti gli stipiti recti. Ma tuto cum foliamento fulcitissimo intecta et aequatissimamente derasa, cum diligentia et arte tonsile. Tra uno et l’altro vaso nella capsa, vedevasi uno buxo sencia stirpe in forma cepacea. Lato passo uno, alto bipedale, et semi. In medio dil quale era conducto uno piro, levato pedi quatro, cum l’acuminato superno. Sopra il gracilamento teniva una plana figura circulare, il suo diametro pedi quatro. Nel mediano di questo lenticulato rotundo prosiliva alquanto di stipite retinente una forma ovea, alta quanto lo infernate piro.
t iiiiNe gli anguli ancora dil praesente, et secundo prato verso il centro, come nel primo constitute erano le capse di quatro gradi cum tuta la regulatione, dimensione, locatione, che hano le altre altane dil primo prato. Excepto dilla petra. La quale era di nigerrimo succino, overamente ambrum. Né unque le Phaethontiade apresso Eridano tale in lachrymando fundeteno, né tale se troverebbe nelle insule Electride, né tale produce il tempio di Ammone, di tersura speculare, la festuca confricato trahente. Le quale capse erano infigurate circulare. In la infernate germinava la olente cassia, ne l’altra cresceva lo odorifero nardo. In la tertia era Mente Nympha indicante il fero odio di Proserpina. In la quarta nasceva il sfortunato regio Amaraco tra il suo odore extincto et tale non produce Cypro.
In nel mediano superiore similmente implantato resideva uno fruteto per ciascuna. Ma dissimile di fructo, et di topiaria forma agli primi. Imperoché erano essi quatro di figura spherica bellissimamente, producevano quatrifaria specie de piri, uno piri muscatuli. L’altro crustummi. Il tertio fragili, et succulosi syriaci. Lo ultimo tenerrimi curmunduli. Diqué in questo secundario ordine di prati, gli altri fruteti variavano le specie dil fructo cum praecipuo colore, cum gratissimo odore, et cum suavissimo gustato. Il solo convestito didi odorifico et minutissimo serpillo, et le altane variavano di aromatici simplici. * * **Sequita ordinariamente, et ancora la descriptione dil tertio prato verso il centro, il quale nel suo mediano havea una capsa di contento circinato, tripedale levata, per diametro dui passi la apertione, cum gli accessori liniamenti. Fora se exaltava uno artificiato buxo, dil sequente topiario composito. La capsa era di litharmeno finissimo. Il stipite sesquipedale, sopra resideva una deformatura cepea, alquanto il circinao dilla capsa excedendo. La quale era vacua, et aperta nel supremo per diametro semi et uno passo. Sopra gli labri dilla quale apertura una columnatione di sei verdigianti stipiti gyrava cum arculi, pedi alti quatro. Poscia uno fastigio metale, overo deformato in caliceo pede ascendeva. In la summitate dil quale iaceva una iustissima pila, di pedi tre la sua crassitudine. Sopra l’extremo infernate dil metato fastigio, ad perpendiculo di ciascuno stipite se incocleava una cauda di uno serpente, cum el ventre repando, et pandante la spina, quanto era lo exito dilla proiectura dilla corpulentia cepale. Adhaerendo cum il collo alla supra existente pila, cum il capo porrecto et fauce aperte, et per occultissimi fistulacei meati saliva fundendo per la bucca odoratissima aqua, cum gli pedi extensi verso il capo, cum le ale panse, in numero sei. Fora dil vertice dilla pila prosilivano rami tre, trifaria divisi, et devexi bipedali sublevati. Ciascuno dunque degli quali nella sua cima sustentava una arula rotundata, overamente uno tubulo cum exquisita diligentia attributo di sopra la coronetta, et di sotto le gule opportune, cum aequatissima decimatura. L’altitudine sencia gli liniamenti pedi tre. Sopra la piana resideva una antiquaria hydria, quadrifaria ansata levata pedi tre. Dalle quale singularmente nasceva uno buxo cum dui gradi di rotundatura buxea. Lo inferno excedeva di circuito la corpulentia dilla subiecta hydria, levato dall’orificio sopra il stipite pedi uno, l’altro superno distava da questo alquanto minorato altrotanto. Ultra questo sublato, altrotanto era una pila dill’ambito dil vaso. Fora dille quale, cum aequa altitudine, una all’incontro dill’altra stante cum separatione triangulare. Saliva per ciascuna uno rectissimo stipite. Uno cum l’altro coniugati cum tre archi semicirculari. Il flexo degli quali dalla distantia di uno stipite al altro tendeva, ma a gli corni, overo peduci degli archi adiuncto gli era uno stipite per elegantia dil prosilire suo. Tra questo trigono arcuato, cum venusto consenso dilla forma se faceva uno testudineo culmo, overo ombraculo, il recto degli stipiti non se attollevano più del culmo dil suffito, ma tuti tre a regula convenivano in una altitudine, sustinivano uno liliaceo calice. Fora degli quali sublato resideva uno turbinato, overamente strongylo cum il gracile verso, o vero voluto in giù. La gratiosa venustate di questi quam iucundissimi expressi allo intuito se offeriva tanto acceptissima, quanto che gli corpi, et figuratione di spectatissima virentia, tanto iustamente exacte, quanto che meglio si potrebbe componere, et di tale materia topiare, et in tali liniamenti compacta informare.
In questo dicto prato di omni promiscua herba florigera molto più cha una ficta pictura ancora negli anguli le altane cum la descripta regulatione erano triquetre. Ma di chrysolectro di flavo aureo. Quale da le virgine Hesperide non è collecto, cum più suavissimo perfricato dil citrino odore, che non rende il collecto in Citro insula di Germania translucentissimo et chiaro, né tale sono le lachryme dille Meleagride, germinava nella ima capsa la suavissima saliunca. Nella superiore era Polio montano. Nella tertia erano Ladano et Cistho. Nella suprema la fragrante Ambrosia.
Gli fructigeri arbori di forma hemispheria in convexo. Gli quali in questo tertiano ordine, uno l’altro non excedevano, ma di conveniente statura, et di variata specie, et di multiplice fructo. Quivi erano Pistachii, Ameringi, tute maniere di Myrobalani, et Hippomelides, et di tuti pruni damasceni, di molti altri delicatissimi fructi. Oltra quelli, che a nui peculiari sono di diversificata specie, di colore, et forma, et di suavitate di gustato incogniti, et insueti. * *Gli quali redundavano gli fructi et flori cum non casure fronde, agli spectanti sensi summa cum iucunditate offerentise. Gli quali ancora non cum obliqui discoli, et intricati rami, contendevano, ma in diverse forme politulamente complexi. Non agli lunarii mutamenti subditi. Né all’impallidire di Phoebo subiecti, ma sempre obnoxii, cum tenella et suchiosa virentia, immutabilmente, et in uno medesimo stato, et producto duravano, et foecondo provento. Et per questa conditione similmente gli flori, et le odorigere herbuscule duravano. Dagli quali per tuto una inexperta fragrantia multo acceptissima diffusamente se diffundeva. Gli rosari poscia tanto più cum magiore gratia se praestavano, quanto erano più diverse, et a me invisitate sorte. Quivi florivano copiosamente le Damascene, Proenestine, Pentaphylle, Campane, Milesie, Rubente, Pestine, Trachivie, et Allabandice, et di tute nobile et laudatissime specie. Le quale dil suo odore suavissimo, et periucundo colore, et quam gratissimo flore, tra le virente fronde, perhenne servabile persistevano. Né più praesto una casitava, che l’altra succedeva. Le capse erano di faberrima arte expresse. La strissatione dille quale specularmente aemulavano in sé havere, et l’aire, et fronde, et gli flori, et foliatura dispensabonde. Sotto le opere topiarie, et pergule, le strate silicate erano di più excellente silicato di factura, che unque accessorio essere potesse nello ingegnio humano et cogitato.
Ultra gli memorati aequalmente tripartiti prati. Una maxime magnifica determinatione, di egregio et spectando peristylio eustylo ventriculato bellissimamente clusorio circuiva in circunferentia obvallando. Il murulo dilla quale circinata columnatione, di nobilissima et ordinatamente et daedalice perplexa cancellatura era constructo. Intercalata dalle arule, servabile il solido sotto le base, opportunamente loricate cumil socco et cimatio, undulato et gululato correspondenti. Lo intercolumnio havea gli spatii alli intervalli di due columne et una quarta parte, et ove le vie al peristylio derivavano, ivi quanto la sua latitudine comperta era, tanto se constituiva, overo se causava infra lo peristylio il laxamento. Il quale la iuge ambientia discontinuava. Et quivi una nobilissima porta era fabrefacta. Lo arco succurvo dilla quale cum gli corni sopra una columna de qui et de lì pedava, quanto dil suo scapo et locatione coniugata uniforme all’altre. Ma dilla crassitudine dissentivano, per essere al superastructo symmetriate. Oltra la incurvata trabe, il fastigio assideva, overo frontispicio, cum tuti gli correlarii ornamentarii expolitissimamente exscalpti. Sopra il circuncolumnamento continuamente in circinao se porrigeva lo epistylio, zophoro et coronice cum mirabili expressi et condecente liniatura.Gli quali cum mirifica operatura bustuaria excavati, et di terra suffarcinati extavano. Fora degli quali di qualunque sorte di spectatissimi flori germinavano. Et ad perpendiculo dille columne subacte erano plantati buxi topiari et iuniperi. Dunque sopra le collaterale cum servabile ordine sencia indicio di stipite era una rotundissima pila di buxo, et sopra l’altra cusì alternando, ultra uno pede di stipite saliva il iunipero cum quatro pressule pile gradatamente decrementantise, et gli flori interpositi.
Questo mirando peristylio havea gli muruli, et supracolumnio tuto di nobilissima alabastrite diaphana, et luculea, sencia fricatione, et expolitione di terra Thebaica, né cum pumice. Ma le columne di colore variavano, perché quelle che extavano in loco diante in uno loco, erano di translucido carchedonio, et le collaterale supra il murulo di verdissima petra Hexaconthalitho di multiplice coloramento praenitevano. Le altre due de qui et de lì erano di illustre Hieracites cum gratissima nigritia. Daposcia le altre due di albicante Gallatites. Le due sequente l’ordine di Chrysophrasio. Le postreme di fulgente Atizoe di nitore argenteo, et di odore iucondo. Et cusì emusicatamente alternavano, cum incredibile iucunditate di spectatione. Le quale tanto artificiosamente havevano lo enthesi, quanto si al torno exacte fusseron turbinate, cum tale arte, quale Theodoro et Tholo, architecti nella sua officina di turbine a tornare le columne non trovorono. Opera certamente sumptuosa, superba, pretiosa, et elegante. Le columne ionice cum gli capituli, cum gli echini intra lo lanceato. Il quale di corticeo circumvoluto convestito splendicavano cum le base di optimo oro, quale non produce lo aurifero Tago in Hesperia, né Pado in Latio, né Hebro in Thracia, né Pactolo in Asia, né Gange in India. Il zophoro era deornato di antiquaria foliatura in sé convolvula egregiamente excalpta. Et gli cancelli tra le arule circumsepti erano di optimo electro che tale non fue quello, dil quale alla forma dilla mamma ne l’insula Lindo nel tempio di Minerva da Helena fue dedicato. Sopra la plana dil murulo per ciascuno intervallo tra una et l’altra columna era statuto uno vetusto vaso di conveniente operatura al residuo recensito cum faberrima politura variato di petra et di colore, di Sphragide di Colorites, di Calcedonico, di Coaspites, di Achate et di molte altre pretiose et gratissime petre, nel suo terso qualunque obiecto simulando faberrimamente perpolituli et expressi. Cum liniamenti non humani pensai. Fora degli quali vedevasi spectatissimi simplici et plantule, in variata deformatione topiarie congeste. Quivi Amaraco, la aromatica, et crispula Sentonica. Avrotano, Myrtuli, et altri che al contento degli ochii altro più periucundo non si potesse obiecto praestare. Dal praefato peristylio alle rive fina di uno flume il solo citimo era occupato herboso di rosido gramine. Quivi cum gratiosa dispensatione era il floribondo Xiphio, Lavendule, Origani, Pollicaria, Leucorigano, Mente Nympha, che da Plutone il bellissimo munere ricevete. Et ancora florivano le lachryme di Helena, Helenio chiamate, alla facia salubre, et dilla sancta Madre Conciliatrice. Et innumerabile altre plantule celeberrime, aromatice, et di acceptissimo odoramento. Et gli albenti, et cerulei Hiacynthi, et purpurei. Quale in Gallia non è producto. Hora tra le florifere et tenelle frondule, innumeri volatili di eximia pinnatura decorati, di parva et mediocre statura, et varie avicule et ucelleti de qui, et de lì instabilmente volitando pervaganti, mo su, mo giù cum delectabile garito saltanti la suave sonoritate dil suo canto per tuto risonante. Il quale virtute havuto harebbe qualunque silvicola et inepto core a piacere, gaudio, et solacio di provocare, festigianti cum le sue alete et plumule. Quivi la quaerulante luscinia Dedalione la morte dilla filiola di Licaone piangente, gli maculati meruli, et la cantante Corydalo, overo Galerita, et la Terraneola, Parro, overo Alauda. Gli solitarii passeri. Psitaco eloquentissimo, di multiplice vestito, viride bianco, luteo, phoeniceo et giallo cum verde. La unica (ma non quivi) et maravegliosa Phoenice, acanti candidissime Turture. Pico marito di Pomona, le tumide iracondie di Cyrce manifestante. Idona dil dilecto marito Ithilo lachrymosa. Asterie cum gli calciati piedi di rosato. Et le due piche, Progne Tectacola. Et la pia Antigone troppo bella sencia lingua. Itys dolorosa et funesta mensa. Il gulatone Icteris. Tereo saxicola in le piume le regie pompe servante, quaeritabondo pou pou, pu, pu, nel canto suo, et nel capo gerulo et insignito dilla militare crista, et da Syringa il soporato pastore. Et gli ucelli di Palamede, et quequerdula, et la lasciva Perdice et Porphyrio. Periclimeno la cui forma Iupiter licentemente ad gli sui amori hae usato. Et la Sygolida, overo Melancorypho, overo Atricapilla. Nell’autumno mutabile. Similmente Erythaco, overo Phenicuro, et altri innumeri di prolixo narrato.
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Per più evidente dimonstratione, il circuito di questa delitiosa et amoenissima insula di circummensuratione constava di tre milliarii. La figura dilla quale di uno milliario il suo diametro praestava. Il quale in divisione tripartito, uno tertio .333. passi continiva uno pede, et dui palmi et alquanto più dal extremo labro dille litorale ripe fina al claustro naranceo. La mensura di uno semitertio, passi .166. et palmi .10. occupava. Da questo termine incominciavano gli prati verso il centro tendenti, altro tanto semitertio. Distributo dunque acconciamente uno integro tertio, rimane uno semitertio a dispensare fina al meditulo, passi .166. et palmi .10. Dal peristylio antedicto, era conceduto alquanto di spatio rimasto per la contractione degli prati sopradicti, ad evitare l’angustia dille quadrature. Gli quali non havevano il suo termine fina al compimento dil tertio, et questo solertemente advene per proportionare alquanto il quadrato ultimo per le linee al puncto diducte. Il quale spatio tra il flume et il peristylio intercalato, tuto gratiosamente intecto, di gratissima herbatura offerivase. Como per avanti sufficiente è descripto, et narrato.
Il termine dil recensito spatio finiva in ripe florigere di uno lympidissimo fiume, più che Argyrondes in Etolia, et più che Peneo thessalico. Le sponde dil quale erano di pretiosa petra spartania verdissima, quale Thyberiana Augustea loricatamente contabulate, et tuto circunsepto il flume tra questi limiti marmorei. Le quale ripe non erano implicite, né occupate di Silero, né di Salicta, né di Vinci, né di Canuscula. Ma le purgatissime et argentee lymphe intromisse sepivano. La superficie dille quale, di celebri, et multiplici flori iucundissime et belle appariano. Il quale surgiente fiume et manale, per meati, et fistule subterranee, in diversi et constituiti loci ordinatamente scatevano. Et per aqueducti poscia de finissima petra celeramente discorrendo, questo solatioso et foelice sito per tuto cum piacevole susurro aequamente irrigava.
L’aque poscia nel mare contermine fundentise praecipite. Et per questo modo il chlarissimo fluvio il suo incremento per gli emissarii voratori distributi exhauriendo, non superabondava, ma ad uno perhenne coaequamento persistente et contento. Il quale di latitudine era di passi .XII. Le surgibile vene dil quale qualunche celebre fonte et ancora Cabille di Messopotamia excedevano più praestante. Né tale fece la Virgine Castalia il suo. Quale questi rendevano l’aque dolce, odorifere moscate, et sincere, alte palmi .XVI. Che de cusì dulcissima scaturigine ubertosamente non efflueva il fonte di Hercule in Gaditano. Le quale per sì facto modo lympide purificate et subtile erano, che il medio tra il senso et lo obiecto non occupavano, né disproportionato il facevano. Ma omni cosa nel aperto fundo per tuto quale subsideva vedevase perfecta. Et cum aemulatione speculare le cose praesentate integramente rendevano. Il fundo di harenula aurifera era complanato pleno di fine petre calcule di plurifario coloramento lucentissime.
Le virente comose, et humide ripe dil quale degli floribondi narcissi, et dil bulbo vomico, overo cepe marino aquicoli erano ornatissime. Non mancavano il hyacintho et gli lilii convallii, et di Xiphion segetale, et Hyllirico. Quivi copiose erano di Caltha, et la Hippotesi, overo cauda equina, et la leonina. Infinite viole tusculane, marine, callatiane, autumnale, et la balsamita, overo Cimiadon, overo trachiotis, et di altri nobilissimi amnici germini. Cum innumere avicule fluvicole. Quivi Halcyone di plumule cyanee, et di altri fluviatili ucelleti subitarii. Quivi gli gulosi, et natanti cygni, nel auspicare grati, cum lo extremo canto dille aque meandre.
Sopra le praefate ripe spectatissime, da uno lato, et l’altro erano emusicatamente distributi Meliranci, Citri et Lamonii. Da trunco ad stipite la intercapedine passi tre. Gli quali stirpi uno passo alti dal solo, gli rami a spandere initiavano, l’uno cum l’altro obviantise, et optimamente contricantise rendevano uno arco, da terra al summo inflexo passi tre.
Gli residui rami poscia da una ripa ad l’altra sopra il flume all’incontro l’uno dil altro, cum artificioso coniugio, et sotiale complexo camurantise et invilupati. Amoenamente inumbravano, in opera excellentissima pergularia.
Il circunflexo dilla quale cum frondea densitate, elegantemente congesto, cum ostentatione di una coaequabile tonsura, overamente decimatura, una fronde all’altra non excedendo se non cum summa gratia, et venustamento, reddendo placidissima ombra, et per il suave flato di Phavonio tremule, et ventilabonde, plene di nutrimento, che dilla sua virentia le faceva illustre, quale nel primo germinare se monstravano, cum gli albicanti flosculi, et praependenti fructi, opportuni latibuli dilla quaerula Philomela, sempre dolcissimamente lamentabonda cantante, perfectamente sencia Echo per la filia Glaucopi dil alto et fulguratore Iove netta et purgatissima risonante. La quale pergulata opera dal supremo convexo giù all’aqua levata superstava passi septe. O quanto cum allectamento et dulcissimo sugesto alla sua contemplatione, questo gli devii ochii facilmente attraheva. Imperò che in esso flume discorrevano alcuni lintri, et scaphidii di materia d’oro delitiosamente contecti cum molte fanciulle caesariate et Euplocame, et Alphesivie, di olenti, et varii flori instrophiolate remigabonde, di limpidi, et crispuli, et crocotuli supari, overamente interule, ovunque orulati d’oro, sopra il nympheo nudo, cum lascivo ornato indute, et cincte, non impedienti all’intuito offerirse voluptuose le rosee carne contecte, immo dalle verifere aure sopra il spectando foemine volupticamente impulse, et presse, la delitiosa formula et qualunque altra parte secondo il moto suo eximie propalava, cum gli bianchissimi, et semipomati pecti, fino al rotundare dille mamillule a maxima et voluptica gratia disclaustrati, cum phrysii gemmati aurei elegantemente ambienti, cum molti adolescenti di omni gente bellicose, gesticulatrice, rixante, intra sé concursante in ludrico, cum navigea pugna ridibonde, contra quelli impetenti pervicace concertavano, intentamente sage alle spolie, subvertivano gli sui lembi, et asportavali, rimanevano spoliati et exuti nelle aque sencia favore, né facevano resistentia contra il suo male, ma festivi solaciavase. Relicti questi poscia tra sé deridendo, nove pugne facevano la una cum l’altra, le rapte cymbule summergendo, et tale davano opera le submerse embole nell’aqua di
u ricuperare et innovare la iocosa pugna, cum festi et placivoli solatii, cum le gratiose bucce puellaremente ridendo commixti et acuti cridi tripudiante et gestiente.
Ancora l’aqua di multiplici pesci, di forma bella, et varia, et praestante, cum il squamato di colore aureo, et glaucopi copiosa, la natura renitente non obstava quivi alcuna cosa, sicuri, et non fugiendo pavidi. Alcuni di grandecia tale, che geruli commodamente alla solatiosa pugna dille damicelle arientantise vehevano, amplexabonde cum le nivee sure, et decori pediculi, gli squamei, et cedenti corpi, sencia pisculento putire sunatavano molliculamente, et de qui, et de lì obliquantise, et cum muliebre conato exequitare volentise, l’una cum l’altra trahentise, inseme accatervati gli candidi cygni, cum la voce deprolata cum le effuse lachryme per lo amato Phaethonte, et lutre et castori cum altri animali aquatici, tuti laetissimamente sotto il velamento topiario a voluptuoso dilecto festigiavano, sencia altro pensiculato, che al suo piacere et solatio molestia causando inducesse, et cosa che obviasse displicibile nell’animo mio uno tacito desiderio repullulando. In questo foelice loco io volentiera ancora cum la mia diva Polia vorei aeternalmente cohabitare. Extincto poscia, et repudiato omni altro vago disio, sencia mora reciduava al mio firmatissimo intento in l’amore unico dilla mia quam amantissima Polia. Niente dimeno hora cosa superexcellente questo sencia dubio istimai, et superamoena, sopra qualunque dilecto, sopra ciascuna dolcecia di placere?
Similmente nel primo circulare et arboroso clusorio degli nemori di uno et dil altro sexo sempre in ipso septo, cum quelli animali deputati a placeri cohabitavano.
Negli virenti prati dentro dil peristylio, per altra inclinatione vidi innumeri adolescenti, et praestante puelle ad solatii, ad soni, et canti ad choree, et delectevoli confabulamenti, et puri, et sinceri amplexi, intenti al ornato et personale culto, camoene componere, et ad varie operature le damicelle studiose, et dedite. Ove iudicai più la virtute essere affectata, che altro salace piacere.
Oltra poscia questo chiarissimo et oblectoso flume, cum continua circinatione era uno herbescente prato, quanto quello, che dal peristylio contiene fina al flume. Il quale flume cum symmetriati ponti era pervio, cum miro exquisito constructi di faberrima scalptura deliniati, di optimo marmoramento alternatamente uno di Porphirite et l’altro di Ophite, cum nitore splendido illucente, servabili il liniamento dille strate, tendente verso il mediano umbilico di epsa mysteriosa, et di omni foeconditate di delitie vernante insula.
Dapò il praefato prato incomminciavano septi gradi in piano et in fronte pedali circinanti continui, in altitudine dunque scandevano pedi septe, et in latitudine altrotanto, di marmoraria operatura, uno di trigle rubente strisso, et uno di petra nigella obstante al celte più nigra, et di magiore duritudine dilla patavia illustrissima di sua natura, sencia fricatione di cylindro, overo cum pulvicula, et abuligine, exclusa la regula dilla crassitudine sextante, overo dodrante, né cum ritractione sesquipedale, né bipedale, ma como sopra è recensito, et cum tale mensuratione tuti gli altri.
Sopra il supremo grado dilla nigerrima petra, uno ambiente, et elegante columnulato picnostylo promineva, intercisa la sua continuatione, overo intervallata alla regula dilla latitudine degli ponti observanti quella dille strate. Gli quali egregii ponti debitamente erano tecti dalla intemerata pergulatione supra il fiume, et quantunque directamente le strate tendesseno al centro, non erano per questo gli gradi dal suo integro circinao intersecti. Poscia como di proximo è dicto, sopra lo ascenso degli gradi era dille collumnelle tanta laxatione, quanta la latitudine dille itione praestavano. Ma la regia via de directo alla porta dil mirando circo tendente, dall’angustiare dille linie al centro opportunamente exclusa extava, et sola aequabile, et uniforme in la sua latitudine et il superascenso degli gradi se acclivava commodissimamente scansile. Et peroe in questo loco necessariamente gli scalini se trovavano discontinui.
Il quale picnostylo cum duplicate columnule le plinthide delle spire, dille quale a normica distributione la una cum l’altra negli anguli per linea diagonale facevano mutuo contacto, nelle pleure recte intersite cum successiva copula, tra due una di alternata coloratione di praestante diaspro illucentissimo, et tra omni septe una quadrata di rubente resideva, capitata di una perlucida pila aenea deaurata, et le altre parimodo, ligate et concincte cum una trabecula, zophorulo, et coronicula dilla materia et coloramento dilla quadrata, cum decentissimi liniamenti. Supprimente gli capituli dille columnule, dille quale le interstitie di calcedonico constavano, in numero sei, una tra due di virente diaspro, di multiplice maculule pergutato, cum debita et sotiale distantia.
Sopra il quale iucundissimo picnostylo vidi lascivamente discurrere et pausare innumeri pavoni, albicanti, rubri, et dil suo colore rotati alcuni, et altri cum le spectatissime pinne demisse, indi et quindi intermixte le specie tute degli psitaci cum non mediocre ornato et delitioso obiecto dilla dicta operatura.
Gli fronti degli gradi vedevase exscalpti mirificamente di nobile, et assyriana innodatura, et per suo magiore expresso, lo interscalpitio venustamente era stipato plenamente di materia in rubro azurina, et negli nigri di candidante farcimento.
Da questo spectatissimo columnato fina ad gli sequenti gradi, era complanato in una marmoraria strata circumgyrante, in latitudine pedi seni. Ove immediate incomminciavano altri septeni gradi a salire, cum la praefata operatura, mensuratione, et materia, et coloramento, et tuto questo negli sequenti era riservato integramente.
Sopra il supremo era una capsea excavatura, pedi quatro in apertione. Il patore dilla quale a sufficientia era profundo, et cusì negli sequenti. Nella quale nasceva uno septo buxeo, quale vitrina illustratione gratissimamente virente. Et a llibella degli ponti, et strate, mirai una turre dilla dicta virentia, sublevata pedi nove, et lata cinque, cum una patente porta in hiato pedi tre, et alta sei, et cusì le sequente.
Questo primo septo di crassitudine tripedale, et di sei alto, et cusì gli sequenti, vedevasi di foliamento densissimo, et era cusì disposito di pinnatura dilla propria arboratione. Tra una et l’altra turre vidi egregiamente facto uno triumpho cum caballi, una rheda trahenti, et praecedenti lo ovante alcuni militi macherophori, et cum haste triumphale artificiosamente compacti variando bellissime le opere. In uno altro interturrio promineva una navale enyo. Tra due altre turre clasica pugna terrestre. Tra due altre venatione et antiquarie fabule d’amore. Cum diligentissimo expresso, et exquisitissima deformatione. Tale ordine circumveniente variando le sequentie.
Intro questo primario circumvallato, dapò una ambiente strata, quale quella inferiore tra il columnulato, et gli gradi di mirabile tessellatura offerivase di grande admiratione, et excessivamente delectabile artificio, sencia dubio di fatichare omni humana intuitione et senso. Il quale nel primo aspecto tapeti charaini dispositi et extensi stratamente alla planitie, facilmente arbitrai, cum tute maniere di coloratione, che a tale ostentatione meritamente expediva exprimere, in modo di gratiosa picturatione conducta in più variate et multiplice ingrupature et figure et signi cum la opportuna diversitate di coloramenti, di holuscule alla requisita distinctione dilla opera ficta. Alcune plene di colore, altre cum obscura coloratione, alcune mediocremente, tale più chiare et festichine, alcune prasine, altre di virore palide, alcune meno, et di subrubicundo coloramento, cum iucundissima conciliatione. Le figure principale continente in sé multiplice designature, era tra due rhombee, una circulare, et una rhomboida tra dui circuli, alternantise continuamente in gyro, exempta quella parte, ove le vie intercallavano providamente relicte. Le quale strate sempre tra due uniforme figuratione passavano.
Le quale deformatione extavano insepte in uno circulare liniamento imitante (come è dicto) la figura insularia. Et primo erano circundate dalla strata ambiente proxima al buxeo claustro, colligata emusicatamente cum le recte tendente al centro. Le quale strate erano silicate, la mediana parte, di septe partitione, tre aquistava per sé, di nigerrima petra dura et speculare, che di cusì facta nigritudine coticula indice nel fiume Ocho non sa troverebbe, et de qui, et de lì coniuncte immediate erano una partitione di petra lactea, di tale albentia, quale non se vide il composito lacticinio murianense contumacissima et perlucida, gli extremi erano due altre portione, una de qui et l’altra de lì di finissima petra rubentissima più che strisso corallio, et intra la nigra erano impacte faberrimamente le tesellature. Questa venusta dispositione observata se continia per tute le sequente, degli sequenti claustri.
Tra le recensuite strate intersticiamente circumsepte erano le praescripte figure. Dentro le rhomboide, circuli. Dentro gli circuli gli rhombi. Daposcia varie figure implicite di foecundissimo et gratioso cogitato. Nell’ombilico dille rotunde, plantato se attolleva uno alto cupresso. Nel meditullo degli rhombi uno dritissimo et comoso pino. Similmente negli circinanti frigii intra gli limiti dille strate, di uno et l’altro extremo, cum il moderato distributo di varie operature, et figure ovolate, et hemiale, nel puncto mediano insurgevano verdissime vrathe, per lo intermediato cupreseo et pineo corresponsive, et cum il cacuminato aequale, et dilla granditudine uniforme. Degli rami folte et di ordine cupresino, usate dalla divina matre a coelare la calumnia. Daposcia agli convenienti lochi solertemente gli spectatissimi fiori erano communicati di qualuncha coloratione dispensata, cum harmonia elegantissime cum redolente fragrantia. Di uno et l’altro sexo in questi bellissimi et amoenissimi vireti intervallati incollavano essi solamente all’opera dilla foetosa natura dediti, et al culto contenti ad conservatione di tale opere olitore operantise. Né tanta diligentia il iustissimo Re di Pheaci Alcinoo monstroe circa la custodia degli sui horti olitorii, quanta quivi era observata, cum mirifico, et sedulo u iii studio omni cosa applicata gemella, nel loco suo destinato innata apparendo. Collustrata degli marmori cum distincto splendore, et cusì le circinature sequente. IL SECUNDO claustro olitorio sequita immediate dapò la proxima recitata operatura. Nel extremo dilla quale ordinatamente gli altri septeni gradi verso il centro incohavano. Sopra l’ultimo era compacta una variata conclusura di arborario coloramento summamente spectatissima, cum turre, overo specule optimamente congeste di Narancii, et collateraneamente alla porta erano in ordine implantati dui stipiti, cioè tra il pariete dilla turre, et tra l’apertione, overo alamenti dilla porta, quegli fora dil culmo dilla turre extollentise, mutuamente se colligavano in uno redacti, sublati dal supremo dilla turre tripedali. Poscia la fulta frondatione principiava deformantise in uno moderato cupresso. Et cusì in circuito per tutte, di dui passi la sua proceritate. Lo interturrio septo di coloramento variava, et di arboramento, tra due era texuto di iunipero. Tra du’ altre di lentisco. Poscia di Comari, di Ligustro, di Dendro Livano, di Cynocanthe, di Olea, di Lauro. Cum uno modo sempre nel suo recente virore frondeo. Reiterando dopo l’ultimo il primario successivamente bellissime di opera topiaria, immune di ostentatione stipea, cum non periture fronde. Ove tra due turre sopra il planato, in medio uno mirando pinnato emineva. Imperoché interstitiamente dil murale septo, prosilivano piante di buxo, cum exquisito artificio conducti in symmetriate lune cornicularie, a compimento dil spatio interturrio, cum il suo patore, overo hiato supinato, cum singulare diligentia deformate. Nel mediano tra dui corni saliva uno iunipero gradatamente decado pinato, fina alla cima attenuantisi, quale si al torno turbinate fusseron, et coaequate le pungente frondule. La più crassa nel mediano hiato collocata. Tra il cornicio ascendeva surrecto uno stipite transcendendo uno pedi et semisse, ove rotundava una pila buxea iustissimamente proportionata. Intro questo claustramento, tra gli limiti dille vie erano quadrati holuscularii di miranda factura, dissimili di disignatione olearia alternabondo a compimento di tutto questo spectando circuito. Il primo quadrangulo per le strate dal altro discriminato, per le quale illegitimi quadri evadevano, era una innodatura dil liniamento quadrale per fascicule deformato, cum maxima politura, late palmi tre. La prima fascia nel mediano era in circulo demigrata, et dagli dui anguli se ricontravano le fascie al circinare, l’una superna dill’altra. Il quale annulo in sé un’altra fascia innodava, divisi dalla prima inclusive pedi quatro. Et quella parte dil circulo, che era superiore, subigeva all’altra fascia, et cusì mo l’una, mo l’altra alternantise inferna et superna. Et questa quadratura secunda, nel suo angulo se inannulava occupando da angulo ad angulo sempre alternatamente servando lo liniamento fasciale, mo supernate, mo infernate, alla regulatione degli nodi.
Gli primi annuli se ampliavano dentro al secundo quadrato, facendo una circinante rotundatione per la capacitate di esso quadrato. Daposcia se causava un altro quadrato aequidistante dal secundo, quanto esso secundo dal primo, et questo similmente il suo angulo se incirculava, verso l’angulo dil secundo, sopra la linea diagonia, intricantise, cum la rotundatione, scandendo et subigendo. Dentro questo novissimo quadrato rhombeava una figura. Gli anguli dilla quale cum stricti voluti innodulavano il mediano dilla fascia dil ultimo interno quadrangulo.
Nel spatio triangulare tra il rhombo et lo intersticio quadrato, sopra le linee diagonie, ad implemento era uno libero circulo, dentro il rhombo era uno circulo per la capacitate dilla figura rhombea disnodato. In medio dil quale circulo, era una octophylla rosa. Nel centro dilla quale era constituita una inane ara, rotundata di petra di flavo numidico cum tre capitale ossature di bove, tra l’una et l’altra di temerario exscalpto pandavano fasciculi di fronde et fructi, nel medio turgescenti, cum vagabondi lori circa gli capi ligando innodati, et cingiendo gli fasciculi, cum eximio liniamento, al socco et all’abaco cum bellissima sima, et altri ornati decorabondi. Fora dilla quale ara nasceva una savina, in forma compacta cupressina, stipata la apertione di l’ara di multiplici cherophile.
u iiii
La expressione olitoria dilla pictura dil praecedente quadrato, cusì era il coloramento distributo. Et primo la prima fascia era densissima di Sansuco. La secunda di Avrotano. La tertia di Chamaepiteos. Il rhombo di serpillo montano. La rotundatione contenta nel rhombo di Chamaedryos. La rosa di violarii amethestini. In circuito dilla rosa et fuori dil suo ambito erano di viole olorine, cum le viole densissimamente florei. Gli quatro circuli intro l’ultimo quadrato, negli trianguli facti dal rhombo, et quadrato inclusi erano di mellantio, overamente Gyth. Intro viole luteole. Tutto lo insepto in questi trianguli di Cyclamino. Gli circuli tra il primo et secondo quadrato erano completi di ruta. Gli circuli dil tertio di primula veris florida. Nel primo ambito tra il primo, et il secundo quadrato erano designate foliature acanthine, una tra due opposita, erano di polio montano, limitate tra adiantho. Nel centro degli circuli collocati sopra gli diagonii per ciascuno era sublato circa uno pede et semisso una pila, cum aequa legie in tutti servata, di altitudine et sphaerica crassitudine et collocatione, exclusi gli quatro causati dal intersito quadrato negli anguli diagonali. Negli quali nel centro se attollevano tricubitali cauli di malva rosaria purpurea, et molochinea, plurifolia et pentaphylla, cum largo provento floreo. Nel primo Sentonica. Nel secundo Dendrolivano, negli deformati dalla figura circulare contenta cum la exteriore et primaria fascia quadra, nel centro erano pile di Isopo. Dalle ambiente strate et recte al centro, et transversarie propinque al virente septo, et propinque a gli gradi lo excluso, tanta era la quadratura, et degli reliqui. L’altro sociale quadrato di questa conclusura molto periucundo, et venusto, et mirabile operatura, et commento, et mirifica distributione olitoria, et nobilissima innodatura, di coloramento di varii simplici distincta. Proximo ad gli marmorarii limiti dille ambiente strate nel quadrato, da quelle interstitio deformato, et relicto circumimitava una fascia pedale, et dodrante. Dalla quale coniugatamente se partivano tute le fascie uniforme ad compositione dilla operatura di questo quadrato. Dal altro per la interposita strata discriminato. Erano nove quadri, aequidistanti, per il capto dil principale quadrato. Gli quali da qualunque angulo ad angulo, l’uno cum l’altro se copulavano, cum sectione mediana, l’una cum l’altra dille fascie cum iusto obvio, et tale liniamento impleva il quadrato finiendo et coeunte cum la extrema fascia. Per la quale designatione tra questi quadri uno octogonio se causava, includentise gli quadri l’uno cum l’altro. Tra gli anguli degli quadri aeque formato era un altro quadro, cum le pleure verso gli dicti anguli constituto. Sopra ciascuna obvia sectione, in demonstratione rhombea connodato, cum gli sui anguli ancora, et essi, et transversaria, et perpendiculariamente coniugati, et per tale mutuo commercio, et similmente questi uno altro octogonio, nel primo intruso bellatulamente formavano, consotialmente gli nove quadri inclaustrando.
Diqué tutte queste figuratione l’una cum l’altra colligantise, sotto et supra et alternantise, una elegante innodatura di multiplice figuramento gratiosamente rendevano. Tutto questo quadrato completamente figurando. Le quale deformature erano liniate, per plastre nel solo infixe, candidissimo di marmoro, semidodrante la sua crassitudine superficiale, et de qui et de lì gli simplici circumparietando. Intro il quale lapideo inclusio, intra limitate le herbuscule variatione coaequatissime et fultamente congerminavano a perfecta expressione dil figuramento, et questo tuto similmente observato per omni tale composito artificiosamente constava. Ostentatione, me Iupiter, conspicua, et ad gli sensi summe iucundissima. Il distributo picturariamente olusculario tale se praestava, omni interclusio libero quadrale convestito era di florido Cyclamino. Le fascie sue di Myrsinites. Gli fasciali limiti degli altri innodati cum il sectitio obvio era herbescente di polio montano. Gli quatro quadriculi dilla incruciata sectione, intro il quadro colligato contecti erano tutti di serpillo. Gli octogonii circumvallando gli liberi quadri, cum requisita sortitione di herbuscule cusì praestavano virenti. Uno di Laurentia. Uno di Tarchon. Il tertio di Achilea. Il quarto di Senniculo. Il quinto di Diosmo. Il sexto di Terrambula. Il septimo di Baccara. Lo octavo di Amaraco. Il novissimo di Polythricho. Questi dui quadrati recensiti alternatamente in gyro di questo conclusio spectatissimamente adimpivano. Ma per consumatione degli praecedenti quadrati resta a dire di questo proxime descripto nel mediano quadro una porphyritica ara resideva negli anguli dilla quale vicino alla coronula apacti prominevano quatro capi vervecei corniculati limaceamente, limatamente exscalpti. Dagli quali fasciculi incurvescenti pendevano cum tutti accessorii dilla rotunda recitati. Sopra la quale iaceva uno antiquario vaso amphorale, cum quatro anse aequidivise, di optimo sardonice coniugato bellissime cum il suo familiare Achate, di miro artificio expresso. Fora dil quale usciva uno perpollito buxo, cum la inferna pila, overo rotundatione di uno passo il suo diametro. Nel culmo dilla quale erano aequalmente pedali et distincti quatro stipiti, et ciascuno una proportionata pila, sopra ciascuna uno pavone, cum le code demisse residevano, cum il capo in una platina sopra uno mediano stipite, excedente le quatro pile, fora la platina ascendeva uno stipite ancora cum quatro rami. Et ciascuno sustentava una pila. Nel mediano sublato il stipite teniva un’altra pila. Sopra la quale nasceva uno circulo ovolato, spandeva dui rami per lato, et uno et l’altro haveva una pila, et il simile nel suo supremo, tale dispositione ordinariamente era observata in omni vaso, uniforme, il loco, il buxo, ara, vaso liniamenti.
DI PROXIMO sequita, et gli altri septi gradi. Sopra il sublime circumcludeva in modo di parietale muro di verdissimo myrto, cum le turre, come le altre designate cum gli cupressi, et cum tuto il residuo, cum pinnatura classica optimamente congesto. Intro questo claustro similmente erano quadri dui alternati di figuratione olitoria, cum tale designatura. Erano dui quadranguli infasciati cum la symmetria in nodatura, et cum il circulo inclusivo, quale modo il quadrangulo primariamente descripto. Nella quale circinatione egregiamente picta vedevase una Aquila cum le passe ale il circinao spatio comprehendente. In loco dillo achantino foliamento illo erano maiuscule, et primo al lato levo tra le due fascie, nel spatio dagli circuli excluso. Nel primo erano due .AL. Nel altro excluso quatro .ESMA. Verso il septo, nel primo spatio tra gli circuli tre .GNA. Et nel sequente quatro .DICA. Consequentemente verso la strata, cum il medesimo modo et locatione quatro .TAOP. nel altro tre .TIM. Nella extrema verso gli gradi, cum il praefato ordine, et al scrivere servato, due .IO. Nel propinquo due .VI.
Le fascie, circuli, et la rotundatione interstitia di ruta densatamente pressa. La Aquila di serpilo, lo excluso dagli circuntermini di polio montano. Le litere di maiorana circumvallate di Iva. La completione degli circuli era di uno, di florante Ianthine, uno di luteole. Il tertio di candide cum grande foetura degli sui flosculi, nunque cadivi, ma perhennemente floribondi. Et le oluscule continuamente cum aequamento uniforme virente. Interdicte procedere al destino dilla foeconda natura. Dal trigonio causato dalla rotundatione, et dagli anguli dille interiore fascie, era per ciascuno, uno circulato dil coloramento herbacio degli concludenti, lo excluso di Myrsinites. Nel centro degli quali erano plantate quatro sphaerice pile di compressissimo myrto, et aequatissimo, cum bipedale stipite, et degli reliqui.
L’altro quadrangulo, fascie, circulo, quale hora è recensito. Nel circinao erano dui volucri. Da l’una parte, una Aquila, et da l’altra obvio uno Fasiano, cum il rostro directo al rostro. Sopra gli labii d’uno vaso pedavano. Il quale havea uno pauculo di pediculo, et dal dorso le ale d’ambidue levate. Tra gli voluti dille fascie dalla parte dill’aquila nel primo et inferiore spatio erano formate tre litere .SUP. Nel altro tre .ERN. Nella parte suprema nel primo spatio tre .AE. A. Nel sequente tre .LIT. Dal lato dil fasiano nel supernate spatio tre .IS.B. Nel subiecto tre .ENI. Tra le due infime fascie nel primo spatio tre .GNI. Nel sequente tre .TAS.
Intro il circuito intrinsecamente extra gli contermini dille figuratione, tuto era di polio montano, il fasciano di laurentia. La aquila di senniculo. Il vaso di assaro. Nello hiato tra gli ambienti labii di myrsinites. Le extrinsece fascie cum tuto il suo corso di vinca pervinca. L’altra fascia di trinità. Gli circuli negli anguli intrusi di amaraco. Lo excluso et intruso degli quali di digitello. Le litere di serpillo, gli spatii di politrico. Gli campi degli rotundi fasciali di santonica. Negli centri degli circuli tra gli trigoni era una pila, due di olente avrotano, et due di lavendula, sublata uno pede et semisse, sopra il suo stipite. Negli reliqui alternatamente una pila di savina et una di iunipero tripedale. Tutte le herbe cum venustissima foltura, et freschissimo virore, et iucundissimo perspecto. Opera miranda di exquisito, di amoenitate, et oblectamento. Irrigate d’angustissime fistulette ordinatamente distribute, vomabonde tenuissima et gutticulata aspergine. SEQUENTEMENTE cum servata regula ascendevano et altri septe gradi, sopra il supremo degli quali, una spectatissima cancellatura circundava tuta di rubente et illustrissimo diaspide, cum elegante perviatura, concordemente ad gratissime formule conveniendo, di crassitudine sextante. Questo cancellato septo, et il sequente era sencia apertura alcuna, ma continuo, et quivi finivano le strate recte al centro insulano tendente, ma solamente constava viabile nella strata triumphale, et cusì il sequente. In questo voluptuoso claustro mirai uno nemore di densitate conspicuamente ombroso, di celeberrimo arbusto. Quivi erano gli dui terebinthi foemine, alla vetustate pertinace di eximio et nigello splendore, di odore iucundo, bedellio cum roboracea foliatura, malo, overo medica perhenne pomifera. Hebeno pretioso, arbore Piperea. Cariophyle. Nuce myristica. Il triplice Sandalo. Cinnamo. Il laudatissimo Silphion,quale non sa ritroverebbe in la valle Hiericontha, overo in Aegypto alla Meterea. Quivi il candicante costo, quale non produce Patale insula. Et il frutice nardo, cum gli cacumini inaristati, et di spica et dil suo folio laudatissima. Et il xiloaloè di suavitate inenarrabile, quale non deporta lo acephalo Nilo, et il Styrace, et stacte. Et l’arbore thurea, et myrthea, quale non germina in Sabea, et infiniti altri arbusculi, et frutici aromatici, cum aequatissimo solo, contecto undique di assaro, quale non è in Ponto, né in Phrygia, né in Illirico, emulante il nardo. Il quale delitiosissimo loco era statione et convento degli più novi, et bellissimi ucelleti, che unque ad gli ochii humani fusseron obiecti, visi, né cogniti, alla opera dil amore intenti, subitarii cum gratissimo garulato, tra la modesta densitate degli rami dilla vivacissima, et nunque cadiva virentia canori. Il quale beato, et foelice, perameno et frondoso nemore, le prorumpente aquule per canaletti et cursivi rivuli dagli liquidi chiarissimi, et sacri fonti, cum soporoso murmure discorrevano. Et quivi sotto le fresche et conserte umbricule, et al suave reflexo tra le novelle fronduscule, il multiplice et arguto garito discorrendo, innumere et illustre Nymphe cum l’altro sexo erano latitante, ad uno discreto piacere da gli altri, et cantante cum antiquarii instrumenti dal suave Cupidine fugitive, et alle opacissime ombre et rurestri facti intente. Vestivano deformemente di sericei habiti sutilli et crispuli et cataclisti, di semicrocea tinctura, et la magiore turbula di olorini, et caltuli et galbani, et alcune di colore colossino, cum crepidule et nymphei calciamini. Hora tutte le inquiline di questi voluptuosi lochi, sentendo il triumphoso advento dil sagittante signore, sencia mora subite obvio festivante venerabonde sa presentorono, le novissime excepte. Daposcia al suo peculiare solatio et continuo oblectamento ritornorono. Postremamente ultra il memorato nemorulo, sencia alcuno intercalato, et l’altra novissima gradatione di septe scalini sequente, cum observata norma haveva sopra il sublime grado una spectatissima conclusura di uno columnulato, quale il primo dopo lo antedicto fluvio di artificio et materia. Et quivi era circumvallato una sectiliata spatiosa, et expedita, et complanata area, cum mirifico invento di tessellato emblematico, et cum innodature di circuleti, triquetri, quadruli, et conoide figure, et almoide, et hemiale, et rhomboide et scaline deformato pulcherrime in multiplice designature coeunte, et cum speculare collustratione, et cum egregio distincto di varia et eximia coloratione. Finalmente il medio tercio dil milliare, dal flume al centro in tale commensione era emusicatamente distributo. Il quale semitertio dunque constava di passi (como praedicto è) .clxvi. et semisso. Diqué al fluvio dati sono passi .xii. al prato ultra il flume .x. Tuti gli gradi occupavano longitrorso passi .viii. et pedi .ii. et in altitudine universale altrotanto. La stratella pedi .vi. Il primo giardino passi .xxxiii. Il secondo .xxvii. Il tercio .xxiii. Il bosco .xxv. La area ambiente il theatro .xvi. Il theatro mediato fina al centro passi .xvi. continiva. Dilla commensuratione insulare, satis.