I Marmi/Parte seconda/Ragionamento di diverse etá del mondo/Vico Salvietti, Pollo degli Orlandini, ed Enea della Stufa

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Vico Salvietti, Pollo degli Orlandini, ed Enea della Stufa

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Vico Salvietti, Pollo degli Orlandini, ed Enea della Stufa
Ragionamento di diverse etá del mondo - Papi Tedaldi, Bernardino di Giordano e Romito di Monte Morello Parte terza

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Vico Salvietti, Pollo degli Orlandini,
ed Enea della Stufa.

Vico. Vedete, Pollo, la mi pareva piú vera che s’io fussi stato desto. Deh, udite, di grazia. Egli mi parve d’esser fatto colonnello generale del re Francesco e avere a fare da ventimila fanti, tra archibusieri e picche. Ben sapete che io mi messi súbito in arnese e feci capitani e alfieri, luoghitenenti, caporali, che so io? un mondo di capi; e dá danari a questo, dagli a quell’altro, tanto che io cominciai a fare una buona buca in un tascone di corone. Eccoti che molti giovani nobili e ricchi assai bene, quando ebbono inteso che io aveva da far gente, mi vennero a trovare ben di buon cervello; e chi diceva: — Signore, se voi mi date la condotta, io ho cinquecento archibusieri forniti, bravi, valenti e attilati — e con favori e gran promesse mi facevan dar la caccia. Io, che desiderava onore, vedute tante offerte, súbito sborsava e faceva capitani: volete voi altro? che in questo modo ne feci assai che m’avevano cose alte alte in parole promesso, e mi trovai a fatti basso basso; ché vi fu tale che voleva menar seco seicento fanti ed ebbe i dinari, che non ne condusse cento e cinquanta, talmente che, credendomi avere un giorno in essere quindici o venti mila uomini, mi ritrovai con cinque o sei mila pecore: pensate che io era per disperarmi.

Pollo. Quanto avrei io gridato! che villanie avrei io detto a quei capitani!

Vico. Non mancavano le bravate; ma che giovavano? Perché uno diceva: — Egli m’è stato portato via le paghe —; chi diceva: — Domani, stasera l’arete — (e l’altro: — Il fegato). — Sta mani, quando feci la rassegna, n’aveva trenta di piú: dove, diascol, son eglino andati? — Certi altri capitani biastemavano che i loro alfieri e caporali avevano condotto fanterie stracche, [p. 275 modifica] mal pratiche, disarmate e piú tosto buone da guardar vacche e buoi che far guardie o combattere; tale gli metteva in essere per farne la mostra, che si straccava tanto a dar bastonate e correr di qua e di lá che egli per istracchezza si gettava in terra, dicendo: — Vada in malora quanti villani portan celata. — Parevami poi che si fosse fatta una scelta de’ manco cattivi e fossin posti in ordinanza, e i capitani che avevan trovati in parole i soldati, bisognava che rendessino gli scudi indietro con un bestemiare, perché ci avevano messo del loro, perché assai s’eran fuggiti e presa per la piú corta: e qui mi feci inanzi a dar la cassia; onde mi ritrovai come dice il proverbio: «ogni buon cotto a mezzo torna». Pensate che animo era il mio a vedermi colonnello di cinquanta scalzi! — Orbe’ — diss’io da me medesimo — aspetta, re, le fanterie; sta di buona voglia, ché le verranno ora. — Io credo certamente che quella sera prima, che io ebbi tanta gentaglia dove io faceva la massa, credo che ci mancassi poco a dar la volta al cervello e diventar pazzo intrafatto. Oh che confusione! oh che romore! che rompimenti di cervello! Egli ve n’era poi de’ fastidiosi (pensate voi! di mille sorte sangui), che Moisè non gli avrebbe regolati né dato lor legge: chi gli avesse impalati, non sarebbono stati in termine né a segno.

Pollo. Pur beato che tu dormivi; se tu eri desto e’ ti davano la mala notte.

Vico. Io venni, cosí dormendo, in tanta colera e furia che io cominciai a ferir questo e dare a quell’altro, talmente che, sudato e affaticato, io mi destai.

Pollo. Oh che bravo colonnello ti parve egli essere allora!

Vico. A me parve risuscitare. Oh che allegrezza! E considerai in fatto, perché il mio fu sogno, che gran dispiacere e che disturbo bestiale, affanno, dolore e fastidio debbe avere uno che si trovi in sí fatti bucati.

Pollo. Peggio credo che egli sia quando l’uomo si trova in una zuffa di cavalli e di fanterie a menar le mani.

Vico. In coteste fazioni almanco si corre la sorte dell’utile e dell’onore al par della vita che si perde; ma, in queste [p. 276 modifica] frugate, si va a pericol di scoppiare e di rimanere un dappoco negligente, mal servente, di poco credito, straccurato; e tal volta si dice: — Egli non ha voluto. — Cosí il perder l’utile e l’onore è la manco.

Enea. Io che son vecchio e ho pisciato in piú nevi, senza il dibattermi il capo che io ho fatto tanti anni su’ libri, s’io fussi, essendo giovane, stato capitano...

Vico. Voi ci mettete troppi codicilli.

Enea. Cacasangue! che vuoi tu che io facci ora?

Vico. Dite, che fareste?

Enea. Cercherei di guadagnarmi un onore, fussi in che caso egli volesse: in sostentare uno assedio, in resistere a un assalto, in affrontare il nimico; tant’è, quando io n’avessi vinta una, vorrei poi bello bello avvilupparmi in qualche altro negozio e mai piú correr pericolo da perder quell’onore che io mi avesse acquistato con pericolo della vita.

Pollo. Udite, forse che non sarebbe cattivo disegno! Perché, facci uno quante prove egli sa nei casi della guerra e sia valente, governi la cosa con giudizio e reggasi piú retto che un archipenzolo, poi la sorte, la fortuna, il diavolo o sia che si voglia sinistro e accidente inremediabile che lo facci perder un tratto, la broda se gli rovescia tutta a dosso di lui, e, brevemente, non ha fatto nulla. Io non voglio or nominare venticinque esempi, per non esser tassato di savio dopo il fatto. Ma ditemi: non fu un Marte il signor Giovanni1? Sí certo. Se non andava a scoprire i nimici e avesse mandato un altro quando toccò la moschettata, non era meglio? Sí, certo. Il signor Giovan Batista Monte non era egli valentissimo, animoso e bravissimo capitano? Sí, veramente. Non si dice egli che fu troppo ardito? Messer sí. Ecco che, ogni poco che l’uomo penda, noi siamo su le colpe, di dire: — E’ doveva fare, doveva dire; io avrei fatto, io avrei detto. — Quando questi arditi riprensori si fossero trovati loro una volta in queste, quelle o quell’altre simil forbici, forse forse che non abaierebbono: — S’io fossi stato nel re a Pavia, nel [p. 277 modifica] signor marchese a Cerisola o nel signor Pietro nel passare in Piemonte, avrei fatto e detto2. — Ciascuno ha bel dire: sotto il tetto, dopo desinare e dopo cena, ci si frappa assai. Si che, messer Enea, voi l’avete presa per il verso e mi piacete in cotesta opinione.

Enea. Fu un bravo abattimento quel del Puccini: e fu gran cosa certo (io mi ci trovai), che ’l Puccino ficcasse lo stocco ne’ buchi della visiera del nimico e rincartasse sotto il ciglio; tant’è, egli l’amazzò.

Pollo. Fu un bestial colpo, a tagliar tanto della visiera che lo stocco passassi dentro a morte: una gagliarda stoccata!

Vico. Non fu ella ancóra una gran sorte a investire in luogo sí difficile? Messer Enea, voi che siate stato in tanti campi...

Pollo. Di che sorte?

Vico... avete voi dipoi mai sognato d’essere stato in qualche abattimento, alle mani con persona alcuna, che voi abbiate avutone gran batticuore dormendo?

Enea. A dirvi il vero, io sognai una volta d’esser luogotenente del re Ruberto re di Sicilia.

Vico. Or cosí date nell’antico! Voi dovevi star bene armato, n’è vero?

Enea. Basta che io pareva un uomo di ferro ancóra io.

Vico. Che pruove furon le vostre?

Enea. Io ve ne vo’ dir dal capo alla coda: prima, perché io non sapeva fare né battaglioni né fare mettere in assetto scaramuccie, io andai e mi feci insegnare in casa, in una gran sala, forse un mese; ogni dí, ogni di mi pareva che io m’esercitasse.

Vico. Fu un lungo sogno il vostro.

Enea. Poi, quando io fui alla campagna, a dirvi il vero, la non mi riuscí, anzi mi persi, perché da quaranta fanti a otto o dodici mila nulla est proportio. [p. 278 modifica]

Pollo. Sta bene.

Enea. Di quell’andare inanzi, con uno spuntone su la spalla e il mio ragazzo con la celata e con la picca, la mi sodisfaceva. Oh come la pestava io bene, con quei passoni, intirizzato! bravo! Ma quando si cominciò a dar ne’ tif, taf, mai a’ miei di ebbi si gran paura: e’ non traeva mai scoppietto che io non mi tastassi con una mano tutto il petto e con l’altra mi copriva il viso; il raccapricciarmi poi e il tremar tutto da capo a piedi ve lo do vantaggio.

Vico. Ah! ah! perché non fu egli da dovero?

Enea. Arei avuto manco paura, ben sapete; perché i sogni fanno piú paura, dormendo, a uno che quando egli è desto.

Pollo. Lo credo, per dio!

Enea. Ultimamente, noi fummo rotti; e il mio cavallo (perché era montato su, per tenér la battaglia insieme)...

Pollo. Ancor per fuggir piú presto.

Enea. ...mi fu morto sotto: allora io ti so dire che io dissi il paternostro di san Giuliano, e mano a correre; e nel fuggire mi pareva dir: — Testa testa, fate testa! —

Vico. Egli era meglio gridar: — Fate capo grosso. —

Enea. Tant’è, il tanto correre mi faceva un’ansa grande, e mi parve arrivare dove erano padiglioni, trabacche e altre tresche e genti da battaglia; e mi parve d’esser fatto prigione: in questo mi destai.

Pollo. A tempo: bisognava che voi fossi stato nel sonno tanto che voi avessi fatto taglia.

Vico. Sí, e poi non si fosse trovato chi l’avesse voluta pagare, anzi, che vi fosse stato detto villania, che voi non avevi saputo guidar ben le genti né governar un campo e che il capitano non debbe mai fuggire e che se voi non l’aveste data a gambe, la cosa non sarebbe ita in mal’ora, e insino ai saccomanni v’avessero uccellato e dettovi manco che messere.

Enea. Io mi sarei morto in sogno, se mi fosse accaduto tante diavolerie. Ma chi son costoro che vengano in qua?

Pollo. Io non gli conosco: e’ mi paion forestieri.

Enea. E v’è pure de’ nostri cittadini ancóra. [p. 279 modifica]

Pollo. Che si, che noi udiamo qualche bel ragionamento stasera!

Vico. Fia bene turarsi e udir ciò che dicano; perché, al parer mio, un di loro s’affolta assai nel cicalare.

Enea. Ritirianci da parte, ché io son certo che non avremo speso questa sera indarno.



Il fine della seconda parte de’ «Marmi» del Doni
al reverendissimo monsignor ascanio libertino dedicati.

  1. De’ Medici, dalle Bande nere [Ed.].
  2. Il re Francesco primo di Francia, prigione a Pavia il 1525; Alfonso secondo d’Avalos, marchese del Vasto e poi di Pescara, capitano imperiale, battuto il 1544 a Ceresole d’Alba; Pietro Strozzi, capitano della parte francese, sgominato dagl’imperiali su la Scrivia, poco dopo la battaglia di Ceresole [Ed.].