Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/CII - Se tu snodassi, Amore

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CII - Se tu snodassi, Amore

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CII.

Celebra il primo giorno del suo innamoramento, allorchè vide primieramente la Mencia tra l’erbe e i fiori e assistette ai portentosi effetti operati sulla natura dalla paradisiaca bellezza di lei. Quest’idea già abbiamo ritrovato e segnalato più volte, cfr. sonetto XLIX; e ballata XCVIII. Anche il ricordo della prima ora d’amore è già apparso, son. XCV, ma qui ha pieno, amplissimo sviluppo.
        È la più lunga e, dal punto di vista biografico, la più importante delle Canzoni.


Se tu snodassi, Amore,
     Alla mia lingua il nodo,1
     Come m’ingombri il cor di bei pensieri,
     L’estremo e fier ardore
     5Che m’arde2 senza modo
     Non mi darìa martir sì crudi e fieri.
     E tu come prima eri
     Lodato ne saressi3,
     Che forse si vedrìa
     10L’aspra nemica mia4
     Di tant’orgoglio subito spogliarsi,
     E più benigna farsi,
     Dolce ascoltando ciò ch’i’ le dicessi.
     Ond’io andrei a volo
     15Seco poggiando all’uno e all’altro polo5.
Ma tu mi lasci sempre
     Al cominciar senz’armi,
     Nè del mio scorno par ch’unqua ti caglia.
     E pur con varie tempre
     20Non cessi d’invitarmi,
     Ch’i’ canti come m’arde e ancor abbaglia.
     Or lascia ch’io mi vaglia

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     Di quanto in cor m’inspiri,
     E pingi d’ora in ora6,
     25Che se dimostro fora
     Fosse come colà, u’ tu l’informe,
     Giammai più belle forme
     Non fur dipinte, nè sì bei desiri;
     Che ciò che ’n petto i’ celo
     30È cosa d’allegrar la terra e ’l cielo.
E se dinanzi a quella,
     A quell’Amor, che sola
     M’arde ed agghiaccia non mi lasci dire,
     (Che l’una e l’altra stella
     35Così ’l poter m’invola
     Ch’ivi tremando resto senz’ardire)
     Lasciami7 almen scoprire
     A queste limpid’acque
     Parte di quel, che ’n petto
     40Con sommo mio diletto
     Di nove ognor dolcezze l’alma ingombra,
     E for di quella sgombra
     Ciò che tu sai ch’a lei mai sempre spiacque.
     E fa che in modo i’ dica,
     45Che ’n lode torni all’alta mia nemica.
Tranquillo e altiero fiume8,
     Che da Benaco9 prendi
     Queste bell’acque, e queste picciol’onde,
     Prima ch’io mi consumi
     50Odi, ti prego, e attendi
     L’alte mie voglie10 a null’altre seconde.
     Che ciò che l’alma asconde
     Pensier sì fatto move
     Ch’ognor la Donna nostra
     55Leggiadra le dimostra,

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     E così bella e vaga la discopre,
     Che questa di quell’opre
     È pur che il ciel di rado in terra piove.
     Nè palesar si sanno
     60Così perfette, come in l’alma stanno.
Dico11 che ’l giorno quando
     I’ qui la vidi prima12
     Seder sì vaga sull’erbetta e fiori,
     Stavasi Amor scherzando
     65Dentro a’ begli occhi, prima
     Cagion de’ miei felici e santi ardori.
     I pargoletti Amori13
     Sovra quel casto seno
     Spiegavan le bell’ali
     70Scoccando mille strali
     Per gli occhi al freddo cor in un momento,
     Che m’arser sì ch’io sento
     La fiamma ognor del guardo almo e sereno.
     Ed odo il dir che face
     75Fra mille guerre e mille vera pace.
Dal fondo allor usciro
     Guizzando i pesci snelli
     Tratti dal fuoco di que’ vivi rai.
     E ratto si sentiro
     80I vaghi e pinti augelli
     Cantar più dolce dell’usato assai.
     Ben tel ricordi e sai
     Com’in quell’ora e punto
     Per mirar la beltade
     85Con tanta maestade
     Quanta ne mostra quel divino volto,
     Che Febo a lei rivolto
     Rattenne il carro a mezzo il corso giunto:

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     Ch’innanzi al vago viso
     90Vide la gloria d’un bel paradiso.
Ella volgendo gli occhi
     (Ma chi dir puote come!)
     Rasserenava l’aria d’ognintorno:
     E par ch’ancor mi tocchi
     95Quando le bionde chiome
     Vidi scherzar al vago viso intorno.
     In quel felice giorno
     L’umil e altiero sguardo
     Qui fe’ venir i monti,
     100E fermi star i fonti,
     A sè tirando l’aspre fere a canto.
     Che ’l vago lume e santo,
     Ond’io sì dolcemente agghiaccio ed ardo14,
     Tal ha valor e forza,
     105Che cangiar puote gli elementi a forza.
L’erbette al vivo caldo
     Di que’ begli occhi ardenti
     Di mille fior vestiro allor la piaggia,
     Che tutta di smeraldo
     110Parea, che bei lucenti
     Rubin, zaffiri e perle per dentr’aggia15.
     Questa dura e selvaggia
     Quercia che per colonna
     Al vago fianco pose16,
     115Con gigli, nardo17 e rose
     Produr si vide, e d’oro far le ghiande.
     E l’ombra fresca e grande,
     Mentre vi ste’ la gloriosa Donna,
     Odor così soave
     120Spirò, ch’Arabia più gentil non l’have18.
E tu, famoso rivo,

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     Il corso allor fermasti
     Per meglio vagheggiar tanta bellezza.
     Ch’al Re de’ fiumi il vivo
     125Tributo non mandasti:
     Sì t’abbagliò di quella la chiarezza.
     Chi vide mai vaghezza
     Ch’a par di questa fusse?
     Eterna la memoria
     130Serberà l’alta gloria
     Ch’alla mia Donna aver allor qui vidi.
     Lieti e riposti nidi
     U’ de’ begli occhi il lume sì rilusse19,
     E più felice l’erba,
     135Che del bel piede alcun vestigio serba.
Giammai non vide il sole20
     Congiunte in un sol loco
     Tante donnesche doti, e tanti doni.
     Nè sì dolci parole
     140Piene di casto fuoco
     S’udiro unquanco in quai si sian sermoni21.
     Ma che val ch’io ragioni,
     Se par che si dilegue
     Quant’in la mente accoglio,
     145E ciò che dir i’ voglio
     Com’ivi sta nel mio parlar non mostro?
     Indarno a quest’i’ giostro22,
     Perchè ’l pensier la lingua poi non segue.
     E meno il mio pensiero,
     150Aguaglia di costei il merto vero.
Ciò che tu parli a par del vero è nulla,
     Però23 sì rozza e ignuda
     153Meglio è, Canzon, tra l’erbe24 ch’io ti chiuda.

Note

  1. Vv. 1-2. Snodassi alla mia lingua il nodo, allitterazione. Lo spunto è fornito, al solito, dal Petrarca: «Apri tu padre intenerisci e snoda | Ivi fa che ’l tuo vero | (Qual io mi sia) per la mia lingua s’oda», Canz., CXXVIII, vv. 14-16.
  2. Vv. 4-5. Ardore che m’arde, allitterazione; senza modo, smoderatamente.
  3. V. 8. Saressi, vieto, qui voluto dalla rima, saresti.
  4. V. 10. L’aspra nemica mia, la Mencia gli è arcigna, ribelle, lo disdegna; cfr. Petrarca che spesso dice Laura «...la dolce et amata mia nemica», Canz., CCLIV, v. 2, talvolta anche la chiama: «dolce mia guerriera», Canz., XXI, v. 1. Del resto lo stesso Bandello nel Canto V dei Canti XI, ha questo verso: «Alta nemica mia sì bella bella».
  5. Vv. 14-15. Polo, già osservato che è frase a lui cara, cfr. sonetto XCVII, V. 14, nota.
  6. V. 24. D'ora in ora. Dante dice: «Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora», Inf., XV, v. 84, nel senso di assiduità costante.
  7. V. 37. Lasciami, consentimi, col tuo favore, di poter confidare al Mincio.
  8. V. 46. Tranquillo e altiero fiume, attribuisce al Mincio le stesse qualità della Mencia altera e serena.
  9. V. 47. Benaco, già chiamò il Mincio figlio di Benaco nella Canzone XCVIII, V. 9; cfr. ivi, nota.
  10. V. 51. Alte mie voglie. Come Dante, suole temperare il sostantivo di senso non buono con un aggettivo. Voglia designa di solito basso appetito; ma ecco alta che lo nobilita. Altro esempio poco sopra, v. 45, alta mia nemica.
  11. V. 61. Dico, intendo dire, commenta e spiega. È la ripresa che rafforza l’idea; vedi frequenti esempi in Dante: «Dico, che quando l’anima malnata», Inf., V, v. 7, e in Petrarca: «Dico: Se ’n quella etate», Canz., LXXIII, v. 31.
  12. V. 62. I’ qui la vidi prima, sappiamo adunque quale è la località dove la vide la prima volta: sulla riva erbosa e fiorita del Mincio; donde il nome di Mencia. Particolare biografico notevole. Già dicemmo che ciò dovette accadere nel 1515.
  13. V. 67. Pargoletti Amori, spiritelli alati, anche dal Bandelle, come già dai poeti del trecento, personificati.
  14. V. 103. Agghiaccio ed ardo. È l’oraziano sudavit et alsit, in De arte poetica, 413, concetto ripreso spesso dal Petrarca.
  15. V. 111. Dentr’aggia, abbia dentro.
  16. Vv. 113-114. Per colonna, al vago fianco pose. È il petrarchesco: «A lei di fare al bel fianco colonna», Canz., CXXVI, v. 6.
  17. V. 115. Nardo, pianta aromatica.
  18. V. 120. Have, ha.
  19. V. 133. Sì rilusse, così rifulse.
  20. V. 136. Non vide il sole, cfr. Petrarca: «Di sì belli occhi uscir mai vide il sole», Canz., CLVIII, v. 14.
  21. V. 141. In guai si sian sermoni, in qualsivoglia lingua.
  22. V. 146. Giostro, combatto, mi sforzo di riuscire.
  23. V. 152. Però, per ciò.
  24. V. 153. Tra l’erbe della riva del Mincio, e cioè nonchè inviarti, io ti trattenga, anzi ti nasconda qui; cfr. chiusa Canzone CLXXXI e CLXXXIII, e questo congedo petrarchesco: «O poverella mia, come se’ rozza! | Credo che te ’l conoschi: | Rimanti in questi boschi», Canz., CXXV, vv. 79-80.