Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro II. Capo XV

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Libro II. Capo XV. Periodo II. Dei tentativi fatti per ricostruire l'Italia in regno indipendente sotto un principe Italiano, e come riusciti (888-1024)

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Libro II. Capo XV. Periodo II. Dei tentativi fatti per ricostruire l'Italia in regno indipendente sotto un principe Italiano, e come riusciti (888-1024)
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CAPO XV.


Periodo II.


Dei tentativi fatti per ricostituire l'Italia in regno indipendente sotto un principe Italiano, e come riusciti (888-1024).


La morte di Carlo il Grosso, ultimo della stirpe de'Carolingi, porse occasione ai principi Italiani di ricostituire l'Italia in regno indipendente dalla Francia ponendone la corona sul capo di un principe della propria nazione. Tre furono da bel principio i pretendenti, cioè Berengario, duca del Friuli, disceso per Gisla da Lodovico il Pio; Guido, Duca di Spoleto, pure affine, non si sa come, de'Carolingi, e Arnolfo, bastardo di Carlomanno (Vedi lo Stemma alla pag. 183).

Il primo di questi senza frapporre indugio corse tosto a Pavia, dove col favore de'Grandi del regno, prese nelle mani, come si crede, dell'Arcivescovo di Milano, Anselmo, la corona [p. 272 modifica]d'Italia (888). Non tutti però i Grandi erano per lui. Guido, che si era prontamente recato in Francia per avere quella corona coll'intendimento di ridiscendere poscia alla conquista dell'altra, aveva anch'esso i suoi partigiani. Ora riuscitogli vano il primo, mise tosto mano al secondo e calò in Italia per istrappare la corona di capo al fortunato rivale, mentre allo stesso scopo scendeva dall'Alpi anche Arnolfo re di Germania.

Berengario assalito contemporaneamente da due potenti nemici, risolse di placare questo secondo andandogli incontro sino a Trento per fargli atto di sottomissione, della quale Arnolfo ritenendosi soddisfatto retrocesse per la sua via. Liberato così dall'uno si apparecchiò a vincer l'altro coll'armi. Due volte si scontrarono i loro eserciti: la prima non lungi da Brescia colla peggio di Guido, la seconda l'anno seguente (889) sulla Trebia colla peggio di Berengario, che dovette riparare in Verona.

Guido allora adunata ben presto in Pavia una dieta di Vescovi e di magnati si fece tostamente da questi dichiarar re d'Italia, e tenendosi ormi sicuro del regno, corse immantinente a Roma per farsi incoronare Imperator de'Romani da Papa Stefano suo caldo sostenitore (891); nè di ciò pago ottenne che l'anno appresso Papa Formoso gli dichiarasse collega dell'impero il proprio figlio Lamberto (892).

Berengario frattanto stretto ognora più dall'armi di Guido ricorse per aiuto ad Arnolfo, il quale dopo aver mandato in Italia Sinibaldo suo figlio (893), vi scese egli stesso; ma con tutt'altro intendimento, poichè, assediata e presa Bergamo, e obbligate per lo spavento loro indiscusso dalle stragi quivi commesse, anche le altre città a sottomettersi al vincitore, fu suo primo pensiero di spogliare Berengario non solo del regno, ma eziandio del Ducato e di farsi incoronare re d'Italia in suo luogo. Qualche anno dopo, venuto a morte Guido, corse diffilato a Roma (896) per ottenere altresì la corona imperiale. Così vi furono ad un tempo due Imperatori.

Però poco durarono entrambi, essendo stato Lamberto mentre era alla caccia in Marengo proditoriamente ucciso, e morendo l'anno appresso (899) anche Arnolfo. Sicchè Berengario potè di nuovo ricuperare il Friuli, e poco appresso anche il [p. 273 modifica]regno. Ma i fautori dell'estinto Lamberto avversi a lui chiamarono in Italia Lodovico re di Provenza. Questi accorrendo tosto all'invito vi fu anche subito incoronato re d'Italia (900). Berengario allora per sostenersi sul trono ricorse strategicamente all'aiuto degli Ungheri, i quali prontamente invasero il Friuli e scesero nella Lombardia mettendo a ruba e a fuoco ogni cosa, e menando stragi dovunque de'miseri abitatori. Fu da questa sciagurata invasione e da altre molte, che si successero da poi brevi distanze l'una dall'altra, ch'ebbe origine quel numero sterminato di castelli e di fortilizzi non solo nelle città e terre più ragguardevoli, ma persino dei più piccoli villaggi. Scaduto per questo Berengario nella stima degli Italiani, e obbligato a ritirarsi in Baviera, vide il suo potente avversario l'anno appresso (901) incoronato Imperatore da Papa Benedetto IV.

Potè tuttavia Berengario ragunare intorno a se buona scorta de'suoi più fidi soldati, e con questi scendere novellamente in Italia, e penetrare coll'aiuto de'suoi partigiani notte tempo in Verona, dove Lodovico se ne stava tranquillo, farlo prigione e obbligarlo a ripassare le Alpi (902). Tentò questi tre anni appresso coll'aiuto di Adelberto duca di Toscana di ricuperare il regno perduto, ma poco stante sorpreso di ben nuovo in Verona, Berengario gli fece cavare gli occhi, e rimandare (905) in Provenza, dove tenne bensì ancora il titolo d'Imperatore, ma senza comando alcuno in Italia.

Rimase così da quell'anno Berengario pacifico possessore del regno1, ed anzi potè conseguire un dieci anni appresso [p. 274 modifica]anche la dignità dell'Impero per opera di Papa Giovanni X, che aveva implorato il soccorso di lui contro de'Saraceni, che erano giunti persino a minacciare la stessa Roma. Narrano che Berengario desse loro l'anno 916 tale una lezione, che non si ebbero da lunga pezza l'eguale. Questa vittoria però non valse a tenere in freno i suoi nemici, che segretamente più volte congiurarono contro di lui, tenendo pratiche con Rodolfo II re di Borgogna. Questi da ultimo aderendo agli inviti loro scese in Italia e vi fu incoronato re dall'Arcivescovo di Milano (921). Berengario allora ritirossi in Verona, dove l'anno 924 gli fu tolta a tradimento la vita da chi altra volta era stato da lui stesso beneficato.

Ma anche Rodolfo poco godette del regno, scacciatone alla sua volta Ugo di Provenza suo occulto competitore, il quale fu incoronato re d'Italia in Pavia l'anno 926. Questi poi per meglio assicurarselo si associò al regno anche il figlio Lotario l'anno 931. Regnarono essi abbastanza tranquilli sino all'anno 947, nel quale Ugo venne a morte. Negli ultimi anni però non ebbero di re, che il solo nome, poichè stanchi i grandi del regno delle loro scelleratezze favorirono nelle sue aspirazioni Berengario II, nipote per Gisla del primo e figlio di Adalberto marchese d'Ivrea, il quale si può dire che regnasse in Italia senza averne ancora il titolo, che gli fu dato soltanto dopo la morte di Lottario. Fu incoronato insieme col figlio il 15 dicembre del 950.

Sino a questo punto Berengario aveva saputo con arte occultare il suo istinto crudele, che apparve ben presto, quando si vide cinto le tempie della corona. Incominciò tosto ad infierire, a ciò istigato anche da Willa, sua moglie, contro di Adelaide vedova di Lotario, facendola imprigionare e rinchiudere nella rocca di Garda. Ella però potè di là fuggire e riparare in Canossa presso Adelardo, Vescovo di Reggio, il quale ricorse ad Ottone re di Germania contro di Berengario. Aderì Ottone all'invito, e sceso in Italia prese Pavia, e fatta venire a sè [p. 275 modifica]Adelaide la sposò l'anno 9512. Da alcuni diplomi citati dal Muratori si ha che egli sino da quest'anno incominciò a intitolarsi re d'Italia.

Ma partito Ottone per la Germania, Berengario non tardò a raggiungerlo colà, e tanto seppe maneggiarsi presso di lui, che potè conseguire il regno d'Italia quale feudo dalle sue mani. Perciò qua ritornando pieno di mal talento, qual'era, la prima cosa che fece fu quella di porre l'assedio alla fortezza di Canossa per vendicarsi di Azzo, che aveva colò ricoverata Adelaide. Tre anni durava già questo assedio, quando Ottone informato di tutto spedì suo figlio Lodolfo con un'armata in Italia, e privò Berengario del regno. Questi non osando di venire a battaglia con lui si rinchiuse con la moglie Willa nell'Isola di S. Giulio3. Ma quivi tradito da suoi poco dopo venne dato in mano di Lodolfo, il quale però sdegnando di vincere colla perfidia lo lasciò in libertà.

Ora essendo accaduta non molto dopo la morte di Lodolfo non senza sospetto di veleno, Berengario ebbe l'opportunità di riconquistare il regno. Però seguitando egli ad inferocire contro dei Vescovi e dei conti e degli altri Grandi del regno coll'usurparne le terre e commettere mille soprusi e angherie, questi alla loro volta ricorsero nuovamente ad Ottone, il quale in fine si decise di venire un'altra volta in Italia (961). Berengario allora si chiuse nella fortezza di S. Leo nel ducato di Spoleto, mentre sua moglie Willa corse a fortificarsi nell'isola predetta di S. Giulio4. [p. 276 modifica]Ottone entrò in Pavia senza resistenza veruna, e quindi intimata una dieta in Milano, vi fu nuovamente riconosciuto dai Grandi del regno, e questa volta anche incoronato re d'Italia colla corona di ferro dall'Arcivescovo Valperto o Gualberto nella basilica di S. Ambrogio; dopo di che si dispose tosto a partire alla volta di Roma, dove l'anno appresso (962) fu da papa Giovanni XII incoronato imperator de'Romani. Reduce da Roma Ottone esercitò l sua liberalità verso molte chiese del regno e verso i conti, i marchesi ed altri magnati. Si crede che in questa occasione anche l'Arcivescovo Valperto abbia conseguito di molti beni e dominii per la sua sede, benchè non si sappia quali. Quindi si portò ad assediar Willa nell'Isola di S. Giulio colla speranza di trovare ivi ammassati grandi tesori. Dopo circa due mesi Willa dovette arrendersi al vincitore, che spogliatola d'ogni suo avere la lasciò in libertà di raggiungere il marito in S. Leo5.

Fu in questa occasione che Ottone in rendimento di grazie a Dio per l'ottenuta vittoria fece la donazione di molti beni alla [p. 277 modifica]Chiesa e ai canonici di S. Giulio, e tra questi di due corti nel contado di Pombia con diploma del 29 luglio 9626. Restituì in oltre ad Aupaldo, Vescovo di Novara la giurisdizione della Riviera già da tempo posseduta e statagli usurpata da Berengario, e alcuni anni dopo (969) anche il dominio temporale della città di Novara col giro di tre miglia all'intorno; che da ciò stesso si argomenta, che egli già godesse per lo innanzi7. Si mostrò in fine liberale anche con quelli che lo favorirono ed aiutarono nell'assedio dell'Isola suddetta8. [p. 278 modifica]Sulla fine di questo stesso anno Ottone fece incoronare re d'Italia suo figlio, Ottone II, e l'anno appresso (963) si portò ad espugnare la fortezza di S. Leo, dove se ne stava tuttavia rinchiuso Berengario colla moglie colà egualmente ricoveratasi. Amendue caddero in potere di lui, che li mandò prigioni in Bamberga (964). Morì Ottone l'anno 973, e gli successe nella doppia corona di Germania e d'Italia il figlio, che poco godette di esse, morto nella fresca età di anni ventotto nel 983, lasciando un unico figlio, Ottone III, incoronato imperator de'Romani l'anno 996, e morto di circa ventidue anni nel 1002. Nota il Muratori ne'suoi Annali (anno 989), che sotto di quest'ultimo furono introdotti i conti rurali, cioè signori di qualche castello, esenti dalla giurisdizione dei conti delle città.

I grandi però del regno d'Italia non poco disgustati della condotta degli ultimi due Ottoni, vollero alla morte del III ritentare la prova di scuotere il giogo della Germania eleggendo in re d'Italia un principe della propria nazione. Si accordarono quindi un buon numero di essi di porre il diadema sul capo di Ardoino marchese d'Ivrea, incoronato solo ventiquattro giorni, dopo la morte di Ottone III in Pavia (1002). Ma sia che la condotta pure di questo non sia stata da poi tale, quale doveva o si credeva dovesse essere, sia che l'ambizione de'principi non fosse da lui appagata, ovvero anche che essi stessi, principalmente i Vescovi e gli abati, sieno stati lesi da lui nei propri diritti9, certa cosa è che la discordia entrò in mezzo a loro, e molti di essi si buttarono a parteggiar per Arrigo, re di Germania, e ad esortarlo a scendere in Italia. E vi scese egli di fatto nel 1004 e vi fu anche tosto incoronato re in Pavia.

Ardoino privato per tal maniera del trono non si perdette però d'animo, e colta l'occasione, che Arrigo erasene tornato in Germania, uscì in campo di nuovo e riprese il suo regno col favore in parte di quei medesimi principi, che avevano [p. 279 modifica]lavorato per lo innanzi a detronizzarlo, e furono da lui guadagnati alla sua causa. Ma mentre egli credeva di essere già sicuro del fatto suo, eccoti di nuovo scendere Arrigo in Italia. La guerra era inevitabile ed Ardoino vi si era già apparecchiato: anzi aveva avuto qualche vantaggio sulle armi del proprio avversario, quando tutto ad un tratto, non si sa bene comprendere, quale ne sia stata la cagione, egli abdica al potere (1014) e va a rinchiudersi nel monastero di S. Benigno di Fruttuaria, dove l'anno appresso (1015) pone fine a'suoi giorni10.

Così si chiude questo secondo periodo della nostra Storia. Noi vedremo ben presto, quali ne siano state le conseguenze: frattanto però ci è mestieri di arrestare alquanto il cammino per vedere quali altri paesi ci compariscono la prima volta in quest'epoca sulle sponde del nostro Lago, innanzi di trovare un punto fisso, che ci serva di guida nel labirinto, entro al quale siamo costretti di raggirarci.

  1. Un diploma di Berengario del 13 giugno 908, col quale conferma a Gariardo, Visconte di Adalberto marchese di Ivrea, le corti di Caddo e di Premosello site nel contado dell'Ossola (in Comitatu Oxulensi) proverebbe l'esistenza di questo contado anteriore al 1014, in conformità di quanto ho opinato di sopra (pag. 200 e segg.). Non ne ho fatto però allora menzione, perchè trovandosi una copia di esso soltanto nel vol. MS. rerum Novariensium dell'Avv. Melli di Borgomanero e senza l'indicazione della sua provenienza e vedendolo d'altronde ignorato dal Giulini e dagli altri tutti che trattano l'Ossola, non chè omesso nelle grandi collezioni, che ho di sopra allegate, nell'incertezza della sua sincerità ho pensato di lasciarne ogni ulteriore investigazione a coloro, che si occuperanno della storia parziale dell'Ossola.
  2. Questa imperatrice è celebre nella storia Ecclesiastica per le sue beneficenze alla Chiesa, tra le quali è la fondazione intorno all'anno 988 e dotazione del monastero di S. Salvatore di Pavia. Vedi Muratori, Antiq. Ital. Dissert. XXI, pag. 171.
  3. Ciò attesta Arnolfo scrittore contemporaneo e narratore dei fatti dal 923-1070, il quale nella sua storia di Milano (I, 6), scrivendo di Berengario dice che ingressus quod dicitur S. Iulii inexpugnabile municipium, resedit invalidus. Il fatto è narrato anche nella Cronaca della Novalesa, ma in modo diverso e con circostanze al tutto incredibili.
  4. Dal continuatore della Cronaca di Reginone, della quale abbiamo già parlato alla pag. 36, apprendiamo che i due figli di Berengario Adalberto e Guido, dopo di avere vagato qua e là, occuparono coi loro seguaci la fortezza di Garda sul lago di questo nome e quelle di Valtravaglia e dell'Isola Comacina. Quosdam tamen munitiones cum suis sequacibus possidebant, hoc est Gard et Travallium et Insulam in lacu Cumone. È questa la prima memoria che si abbia della rocca di Travaglia, dalla quale secondo il Giulini (Parte II, pag. 306 e segg.) prese il nome la Valle, che le è sottoposta. Non dee però omettersi che altri al contrario deducono il nome di Trevalia dalle tre valli, che confluiscono in una, e sono dominate da questa rocca (Vedi il Brambilla l. c. Vol. 2, pag. 116). Il medesimo Giulini poi è di opinione, che questa sia stata allora espugnata dall'Arcivescovo di Milano, Gualberto (ivi, pag. 329).
  5. Ho già accennato alla pag. 36, che fu in questa occasione, durante forse l'assedio o poco dopo, che nacque S. Guglielmo fondatore del monastero di S. Benigno di Fruttuaria nell'agro Vercellese a poche miglia dal Po; ora aggiungo che Rodolfo Glaber, che scrisse la vita di questo Santo, pubblicata dai Bollandisti sotto il giorno primo di Gennaro, chiama il luogo, nel quale nacque: quoddam castrum situm in lacu urbis Novitiae, senza che alcuna annotazione rettifichi questo passo, che a mio parere deve essere emendato colla sostituzione di Nocaviae in luogo di Novitiae. — In quest'epoca pare che fiorissero in Novara i buoni studii per opera specialmente di Stefano grammatico e di Gunzone diacono Novarese. Vedi il Morbio nella sua opera Francia ed Italia, pag. 55 e seg.
  6. Questo diploma fu firmato in villa, quae dicitur Horta prope lacum eiusdem S. Iulii, pubblicato anche ultimamente nei Monum. Hist. patr. Vol. I. Chartur. pag. 194. È questa la prima memoria, che si ha del luogo d'Orta sulle sponde del Lago del suo nome. Notevole altresì è la condizione che a questi doni fu apposta; poichè Ottone, lo dirò colle parole del Bescapè (l. c. pag. 209), inter alia etiam statuit, ut nullas episcopus Novariensis praesumat res donatas de victu et stipendio (ila loquitur) Canonicorum subtrahere et sibi vindicare solerent.
  7. Vedi il sullodato Bescapè l. c. pag. 301, dove riporta per intero il detto diploma, nel quale si legge che donò appunto la città di Novara cum iurisdictione habitatorum civitatis ipsius et circuitus ad studia XXIV, hoc est tria miliaria. Ho riferito questo tratto per correggere l'errore di coloro, che scrissero 300 stadii in luogo di 24, ed anche per far avvertire, che questo dono o restituzione non fu fatta nel medesimo anno 962, come alcuni egualmente asserirono.
  8. Tra quelli che avevano aiutato Ottone nella conquista od espugnazione dell'Isola di S. Giulio, sono ricordati in particolare i fratelli Tazio e Robaconte da Mandello cittadini Milanesi, i quali «per tal titolo, scrive il Giulini (l. c. pag. 310), ottennero da lui in quest'anno (952) la terra di Maccagno sul Lago Maggiore. Così raccontano il Morigia (Istoria, lib. IV, pag. 635), il Cotta (in Notis ad Maceaneum, n.º 45) ed altri scrittori, appoggiati alle antiche memorie della nostra illustre famiglia da Mandello, la quale lungamente possedette quell'antichissimo suo feudo imperiale.» E' pare che il Giulini non presti gran fede a questo dono fatto allora da Ottone ai signori da Mandello, così almeno l'argomento io dal modo, col quale si è qui espresso. E veramente stando al racconto dei citati scrittori, i quali anche riferiscono che Ottone, prima di portarsi all'assedio dell'Isola di S. Giulio, se ne andò nella terra di Maccagno ed ivi si trattenne nella casa dei detti fratelli qualche tempo quasi in luogo di delizie, sembra, che ci sia gran motivo di dubitare e di questo dono, e del diploma che si allega o si suppone dato in quel tempo.
  9. Ho già incidentemente altrove accennato ciò che Ardoino fece soffrire tra gli altri al Vescovo di Novara, e il modo, col quale fu questi ricompensato della sua fedeltà dall'Imperatore Arrigo (V. pag. 194 e segg.).
  10. Questo ci attesta anche l'autore della Vita di S. Guglielmo già citato, il quale narra al capo IX, che Ardoino fu anche sepolto nella Chiesa di quel Cenobio: in quo etiam, scrive, idem rex cum sua coniuge et filiis humatus quiescit. Chi poi volesse conoscere più particolarmente le gesta di questo principe, può leggere l'eccellente lavoro già ricordato su questo argomento del Cav. Provana.