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Il Parlamento del Regno d'Italia/Francesco De Sanctis

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Francesco De Sanctis

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Ruggiero Bonghi Antonio Mosca
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


[p. XCIV modifica]Francesco De Sanctis.

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DE SANCTIS professore FRANCESCO

ministro dell’istruzione pubblica

deputato.


È nato in Morra, piccolo paese nella provincia di Principato Ulteriore nel Napoletano, l’anno 1818, da famiglia borghese.

Fatti i primi studî in Napoli presso lo zio, Carlo De Sanctis, distinto latinista, compì la sua istruzione letteraria presso quel Basilio Puoti, che può dirsi a buon dritto il restauratore degli studî di lingua italiana in Napoli.

Il De Sanctis, dopo essersi mostrato uno de’ più valenti in quella dotta scuola, instituiva egli pure, nella giovanile età di 18 anni, insegnamento di letteratura italiana nella capitale delle Due Sicilie, iniziando la gioventù napoletana a più larghe discipline, aprendole più ampia via, guidandola dallo studio della sola forma a quello delle idee e del vero bello, cominciando in una parola a gettare pel primo in Italia le fondamenta di una scuola originale di novella critica.

Lo studio del giovine insegnante fu frequentatissimo.

La fama nella quale egli crebbe rapidissimamente fece che un anno dopo fosse nominato professore di lettere italiane nel collegio militare della Nunziatella, nel quale, all’età di 25 anni, era elevato alla cattedra di eloquenza e filosofia.

Varie delle prolusioni ai suoi corsi, pubblicate in quell’epoca, riscuotevano il plauso universale ed incontravano solo la disapprovazione di coloro, che, troppo ligi al Puoti, davano al De Sanctis il titolo di discepolo ribelle, quasichè nella scienza e nell’arte il vero genio possa limitarsi a seguire servilmente i precetti di alcuno.

Il Puoti venuto a morire, i più noti tra i suoi allievi lesser discorsi ai suoi funerali, in cui più che dell’uomo parlavano del maestro e si adoperavano a metterlo in cima a tutti. Coloro fecero ammirare la forma studiosa e moderata; il De Sanctis fece piangere [p. 327 modifica]l’uditorio, e così venne ampiamente provato ch’ei solo aveva saputo raggiungere quella sublime meta, ch’è il vero

Un’altra morte, ben dolorosa al nostro protagonista, valse a fornirgli novella prova dell’amore de’ suoi discepoli per lui; mancata ai vivi la madre del De Sanctis, i suoi scolari vollero renderle a proprie spese i funebri onori; il discorso dato alla luce dall’orbato figlio fu a buon dritto giudicato un capo d’opera d’eloquenza e d’affetto.

Nel 1848 fu nominato segretario generale dell’istruzione pubblica, nel quale ufficio compilò varî progetti di legge sull’istruzione primaria, sull’istruzione secondaria, sulla scuola normale, sul consiglio superiore di pubblica istruzione.

Nel 1849, soppressa la costituzione, il De Sanctis, minacciato d’arresto, si rifugiava in Cosenza, scrivendo sereno tra le minacce della reazione un profondo lavoro critico sulle opere e l’ingegno di Schiller, lavoro che venne pubblicato in Napoli a guisa di prefazione alla versione dei drammi del sommo poeta tedesco, fatta dal Maffei.

Arrestato in Cosenza nel 1850, fu tradotto alla capitale e gettato nelle carceri del Castello dell’Ovo, ove rimase (breve a dirsi, orrendo a pensarsi!) per circa tre anni, senza veder anima viva, senza uscirne mai, non udendo altro romore che quello dell’onda marina che urlava, più o meno agitata, le pareti della tetra prigione.

Qual forza di volontà per non impazzire là dentro! Chiedeva libri, e non gli si volle dare che una grammatica tedesca. Il De Sanctis ne fece tesoro, e si mise a studiare su quella la lingua germanica. Più tardi qualche libro gli fu concesso, ed allora ne chiese di tedeschi, che colle cognizioni a quel modo acquistate si diè a tradurre: furono la logica di Hegel, la storia della poesia di Rosenkratz, e varie poesie di Goëthe, di Schiller e di altri scrittori; tutte queste versioni vider poscia la luce a Napoli.

Un bel giorno si aprirono le porte del suo carcere, e senza che verun tribunale avesse proferito giudizio di sorta, vennegli consegnato un passaporto per [p. 328 modifica]l’America, e fu messo a bordo d’un piroscafo che dirigevasi a quella volta.

Ma il nostro protagonista, giunto che fu a Malta, sbarcò, e dopo un mese, recossi a Torino, ove aprì un corso di lezioni private sul Dante. Quella critica, che era stata nuova per Napoli, lo fu pure per l’alta Italia, e le lezioni del De Sanctis furono affollatissime. I giornali italiani ne menarono gran romore, e se ne videro analisi in varî periodici francesi.

Scrisse nel medesimo tempo profondi articoli di critica nel Cimento, nella Rivista Contemporanea, nel Piemonte, articoli riprodotti anch’essi dai principali fogli della penisola, e lodati e tradotti oltr’Alpi.

Rimasto tre anni in Torino, il Politecnico federale di Zurigo lo nominò professore di letteratura italiana. Colà scrisse, e dette alla luce in Italia, varî lavori critici sopra Victor-Hugo, Lamartine, Giulio Janin ecc., fece lezioni sui diversi secoli della letteratura italiana, aprì un corso privato sul Petrarca, e pubblicò alcuni saggi delle sue lezioni sovra Dante.

Proclamata appena la costituzione a Napoli, il De Sanctis rimpatriò subito, e prese parte attiva al movimento che rovesciò la dinastia de’ Borboni.

Entrato Garibaldi nella capitale partenopea, il nostro protagonista fu mandato governatore in Principato Ulteriore, dopo esservi scoppiato un tremendo moto reazionario. Il suo governo valse a ripristinare la tranquillità in quella provincia.

Nominato direttore della pubblica istruzione a Napoli, non volle accettare tale ufficio se non quando fu decretata dal prodittatore marchese Pallavicini-Triulzio l’annessione delle Due Sicilie al regno italiano, essendo stato del numero di coloro che contribuirono assai ad affrettarla.

Ritiratosi Garibaldi, dimessosi il ministero, De Sanctis rientrò pure nella vita privata, non accettando veruna delle offerte d’impiego ch’erangli fatte.

Eletto deputato al Parlamento nazionale dal collegio di Sessa, si recò a Torino, ove fu scelto dai suoi colleghi alla carica di segretario della Camera.

Quel grand’uomo che fu il conte Camillo di Cavour, [p. 329 modifica]nel ricostituire il gabinetto, dopo la proclamazione del regno d’Italia, gli affidò il ministero dell’istruzione pubblica. La Camera applaudì vivamente l’eloquente discorso in cui il nuovo ministro, con una chiarezza, pari all’eleganza della frase e dello stile, espose le sue idee intorno all’alto compito ch’egli si è assunto. Non saremo adulatori asserendo che già fin d’ora i fatti tennero dietro a quelle faconde parole.