Il Quadriregio/Libro secondo/II

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II. Come l’autore narra a Minerva che e’ si confida vincere Satanasso e suoi vizi

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
II. Come l’autore narra a Minerva che e’ si confida vincere Satanasso e suoi vizi
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CAPITOLO II

Come l'autore narra a Minerva che e' si confida
vincere Satanasso e suoi vizi.

     — Vergine saggia e bella il cielo adorna,
di cui Virgilio poetando scrisse:
«Nova progenie in terra dal ciel torna».
     Resse giá ’l mondo, e sí la gente visse
5sotto lei in pace, che l’etá dell’oro
el secol giusto e beato si disse.
     La terra allora senza alcun lavoro
dava li frutti e non facea mai spine;
né anco al giogo si domava il toro.
     10Non erano divisi per confine
ancor li campi, e nullo per guadagno
cercava le contrade pellegrine.
     Ognuno era fratello, ognun compagno;
ed era tant’amor, tanta pietade,
15ch’a una fonte bevea il lupo e l’agno.
     Non eran lance, non erano spade;
non era ancor la pecunia peggiore
che ’l guerreggiante ferro piú fiade.
     La Invidia, vedendo tanto amore,
20di questo bene a sé generò pene,
e d’esto gaudio a sé diede dolore:
     con quella doglia che a lei si convene,
andò in inferno, ed alli vizi dice
quanta pace avea il mondo e quanto bene.
     25E l’Avarizia, d’ogni mal radice,
seco ne trasse e menolla su in terra
per conturbar quello stato felice.

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     Vennon con lei la Crudeltá e la Guerra,
l’Inganno e Froda e la Malizia tanta,
30che ha guasto ’l mondo e fa che cotanto erra.
     Presa ch’ebbe la terra tutta quanta,
non gli bastò, e ’l mar ebbe assalito
la rea radice d’ogni mala pianta.
     Quando Nettuno vide l’uomo ardito
35cercar il mare e non temer tempesta
e di solcarlo e gir per ogni lito,
     trasse di fuor del mar la bianca testa
e ’l suo tridente, ed ebbe gran pavento,
dicendo:— Oimè! Che novitá è questa?
     40Come ha trovato l’uom tanto argomento,
che passa il mar e non teme dell’onde,
e va e vien a vela ad ogni vento?—
     Come cosa nociva si nasconde
che non si trove, però che si teme
45che, se si trova, gran mal ne seconde;
     cosí Natura de’ denari il seme
pose e nascose nel regno di Pluto,
perché la gente non turbasse insieme.
     Ma l’amor dell’aver tanto cresciuto
50sfondò la terra e ’l gran Pluto infernale
robbò, gridante lui, chiamando aiuto.
     Questo fu poi cagion di maggior male,
ché ruppe amor e legge ed ogni patto,
e fe’ il figliolo al padre disleale.
     55Vedendo Astrea il mondo esser disfatto
e ’l viver santo, e guasto il giusto regno
dal mostro reo, che fu d’inferno tratto,
     lassò la terra prava a grande sdegno,
sí come indegna della sua presenza,
60e tornò al ciel, ov’ella è fatta segno.
     Allor li vizi senza resistenza
uscîro di comun da Mongibello
col loro ardire e con la lor potenza.

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     E come quei che han preso alcun castello,
65gridan:— Brigata, sú! il castello è nostro!—
per veder se si leva alcun ribello;
     cosí, usciti dall’infernal chiostro,
Satan e i suoi questo mondo pigliâro:
allor d’inferno uscí il primo mostro.
     70E sua superba sede collocâro
in mezzo il mondo, dov’è il primo clima,
onde l’un polo e l’altro vede chiaro.
     Lá sta la via che al regno mio sublima,
su per la qual nessun può mai venire,
75se colui non combatte e vince in prima.
     Lí stanno i vizi sol per impedire
che verso il cielo alcun insú non saglia
con grandi orgogli ed onte e con ardire.
     Chi come Circe la mente gli abbaglia,
80chi canta dolce piú che la sirena,
e chi menaccia e chi dá gran battaglia.
     Di mille se un passa e anco appena,
viene in contrada di splendor sereno,
di belli fiori e dolci canti piena.
     85Ed in quel pian sí chiaro e tanto ameno
stanno quei ch’ebbon fama di virtute,
benché battesmo e fede avesson meno:
     ché non vuol l’alto Dio che sien perdute
le prodezze in inferno, e senza fede
90vuol che null’abbia l’eternal salute.
     Chi, oltre andando, piú suso procede,
trova nel gran giardin quattro donzelle:
oh beato chi l’ode e chi le vede!
     Tre altre piú divine e vieppiú belle
95ne stan piú su, e con queste sto io,
accompagnata da quelle sorelle.
     Ed in quel loco bel vagheggio Dio,
e veggio il primo artista nel suo esemplo
tra le bellezze del suo lavorio.

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     Poi vo piú alto ed entro nel gran templo
del sommo Iove, e con la mente mia
a faccia a faccia il Creator contemplo.
     Anche domandi quanta signoria
ha Satanasso; ed, a ciò dichiararte,
105convien con fondamento sappi in pria
     che Dio è primo prince in ogni parte
sempre e di tutto, ed a’ primi motori
la sua virtú comunica e comparte.
     E questi dopo lui sonno signori
110di tutte quelle cose, che ’l ciel move,
perché de’ cieli son governatori.
     Adunque ciò che da influenzia piove,
o che fa ’l tempo, cioè state o verno,
ovver natura delle cose nòve,
     115tutto procede dal moto superno;
e la virtú vien da’ motor primai,
a cui de’ cieli Dio dato ha ’l governo.
     Piú che gli altri motor Satán assai
ha di potenza, e da lui esser mossa
120puote ogni spera ed influir suoi rai.
     E se ogni cosa natural è scossa
dai ciel, che viene in terra, or puoi sapere
quant’ella è grande e ampia la sua possa.
     E, poiché colpa gli fe’ l’ali nere,
125Dio spesse volte l’operar gli toglie,
sí come in Iobbe si poteo vedere.
     Vero è che a certe cose egli lo scioglie,
ché vuol che sia signor sopra la gente
che segue la sua legge e le sue voglie.
     130E tu lo proverai s’egli è possente
coi vizi suoi ed anco s’egli stanca
la carne vostra, quando a lui consente.
     Ma non temere e l’animo rinfranca;
reduci i grandi esempli alla memoria,
135ché fortezza incorona, se non manca.

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     Nella battaglia s’acquista vittoria.
Nessun mai per fuggir o per riposo
venne in altezza, fama ovver in gloria.
     E, se il cammino è duro o faticoso,
140pensa del fine e pensa qual sia il frutto
fra te medesmo saggio e virtuoso.—
     Allor allor alla briga condutto
stato essere vorria: tanta speranza
mi die’ il suo dir e rinfrancòme tutto.
     145E però dissi con grande baldanza:
— Andiam, ché nullo mostro pel sentiero
di potermi impedire avrá possanza.
     — Non ti fidar di te, né sie altèro
— rispose,— ché colui è piú da lunge,
150che stima esser piú appresso nel pensiero.
     Nessun giammai a buon termine giunge,
se del gir poco o del tornar addietro
non fa a sé gli spron, con che si punge.
     Perché di sé presunse il gran san Pietro,
155cadde, da vento piccolo commosso,
non come ferma pietra, ma di vetro.—
     Quando udii questo, di vergogna rosso
sí diventai, che dissi per scusarme:
— Minerva, senza te niente posso.
     160Perché spero da te la possa e l’arme
— diss’io,— credo cosí esser difeso,
se dietro a te ti degni di guidarme.—
     Allor si mosse, quando m’ebbe inteso.