Il bacio di Lesbia/XXX

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Il messaggio

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XXIX XXXI
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XXX

IL MESSAGGIO


L
a dama aspetta la risposta di Catullo. La risposta non viene. Allora mandò segretamente alla casa di Catullo per sapere che ne era. Catullo era partito. Per dove? Per Verona?

Per la sua villa sul Garda? Più lontano assai.

Ciò offese molto la Signora. Passò qualche mese, ed ecco i corrieri le recarono una lettera che era di Catullo, ma non era diretta a lei, bensì a quegli amici, come lui aveva in quel giorno promesso. Anche quest’altra offesa! Le palpebre le battevano per dispetto.

«Va in malora anche te!» Poi raccolse quella lettera, e da principio non capi quello che Catullo voleva dire, perché lui non nominava niente lei, ma faceva con quegli amici il giro del mondo.


Il mondo allora era tondo come è oggi. Certo però la figura del mappamondo era differente: oggi è come prigioniero dentro il reticolato delle linee ferroviarie, aeree e di navigazione. Allora c’era soltanto il faro di Alessandria, il faro di Rodi e l’asta d’oro di [p. 198 modifica] Minerva, Dea, su l’Acropoli. Per i cieli non correvano i motori.

Viceversa i grandi mostri giravano la giostra zodiacale: il leone, il toro, il cane, le chimere, lo scorpione. In Libia c’erano le arene e le anfesibene, l’Etiopia è patria dei leoni, in Arabia sta l’araba Fenice, il Nilo nasconde nel mistero il sacro suo capo, le paludi e le orride selve coprono la Germania, e dopo l’oceano dalle spaventose maree appare l’ultima Thule.

Questo era il mondo antico, perché il mondo nuovo il mondo novissimo non erano ancora stati scoperti.


Catullo diceva cosi nel suo messaggio:

«Sentite amici, amici di Catullo. Sia che voi andiate nella terra degli Indii dove risuona lontana l’onda del mare orientale, sia che andiate in Ircania la terra dei lupi, sia in Persia, sia fra gli Sciti sagittarii, sia dove il Nilo sbocca per sette foci, o valichiate le alpi eccelse dietro la gesta di Cesare, oppure oltrepassiate il fiume del Reno, franco-germanico, e arriviate in riva dell’oceano dalle grandi maree, e vediate i verdi Britanni al confine del mondo: o voi amici che siete disposti a affrontar queste terre e questi mari dove il destino vi porta, poche parole riferite alla Signora; non buone [p. 199 modifica] parole. Ditele che sia felice con i suoi amanti. Ne abbraccia trecento, non ne ama nessuno; a tutti lei rompe il filo della schiena. No, non speri che io l’ami come prima. Il mio amore è morto come fiore al margine del campo. Passò l’aratro, toccò il fiore, e il fiore è morto per sempre».

— Che mascalzone! — disse la dama. — Già è sempre stato una testa bislacca.

Clodia ora si fissava sul mare. Andò a uno stipo di fine intarsio, apri con chiave d’oro: dentro erano i codicilli, le nugelle, le lepidezze, le sciocchezze, i pianti, i compianti di lui. A uno a uno li raccoglieva, li leggeva. Scoteva ogni tanto la testa e leggeva. Un bigliettino diceva: «...che se anche questo povero Catullo da solo non ti basta, sopporteremo di nostra donna i furti di fedeltà. Ma almeno un po’ di pudore».

Un altro biglietto diceva: «Nessuna donna può dire di essere stata sinceramente amata quanto Lesbia fu amata da me. Nessuna fede fu mai tanto grande per sacramento d’amore quanta se ne trova nell’amore dell’anima mia verso di te. Oh, non dell’anima tua verso di me!».

Un altro biglietto diceva: «A questo, Lesbia, per tuo e per mio amore mi sono ridotto, e cosi è perduto il mio onore: che non ti potrei voler bene se anche tu diventassi donna [p. 200 modifica] pudica, né potrei cessare di amarti se tu fossi più infame di quello che sei».

— Questo non è vero niente, — mormorava lei.

Un bigliettino terminava cosi: «Non cesserò d’amarti anche se tu facessi ogni brutta cosa », e un altro biglietto diceva: «Come è possibile, Lesbia, che io ti maledica, che mi sei più cara di tutti e due i miei occhi? Non lo potei per il passato, né lo potrei per il presente, cosi pazzamente ti amo. Però tu con quel vigliacco di Toppone ne fai di brutte cose!».

— Che infame!

Un altro codicillo diceva: «Lesbia parla, sparla sempre di me. Io morirei se lei non mi amasse. Come lo capisci? Da me stesso. Io la maledico sempre. E il giorno che io non l’amerò, quel giorno io morirò».

E ancora: «Tu, o dolcezza mia, mi proponi questo delizioso amore: non ci staccheremo mai l’un dall’altro. O Dei del cielo, fate che lei sia sincera, che prometta il vero! Io e lei condurremo tutta la vita sotto un patto santo di eterna amicizia».

Era questo il biglietto che lei cercava, e glielo voleva far vedere a proposito di Attis. E poi le viene in mano quella poesia:

Settimillo tiene fra le sue braccia Acmena..

[p. 201 modifica]Clodia è incantata. Il mare delle Sirene le gira intorno. Ritorna a leggere il messaggio con «il fiore che reciso si muore». E mormora:

— Eppure, o ingrato, se io ho amato un uomo, sei stato tu.

Le pare di piangere, ma le lacrime di Clodia nessuno le vedrà. Mormora:

— Forse ritornerà.