Il bel paese (1876)/Agli Istitutori

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Agli Istitutori

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Il bel paese (1876) Serata I. - Da Belluno ad Agordo

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AGLI INSTITUTORI


Si può egli applicare alle nazioni quell’adagio nosce te ipsum (conosci te stesso), che la sapienza dell’antichità ha posto come base della sapienza dell’individuo? L’autore di questo libro crede talmente di sì, che riterrebbe tempo gettato quello che si impiegasse a dimostrarlo. La cognizione della sua storia, delle sue costituzioni, delle sue leggi, de’ suoi diritti, de’ suoi doveri, delle sua forze, del suo essere insomma, forma la sapienza di una nazione. Qual campo immenso è aperto alla letteratura popolare quando riconosca la santità e l’altezza della propria missione!... Non contesta l’autore alle scienze morali e politiche il primo posto nel nobile aringo. Egli sa benissimo che il mondo fisico non desterà mai quell’interesse che desta il mondo morale. Un libro che abbia per oggetto la cognizione del mondo fisico non caverà una lagrima, non farà perdere un minuto di sonno. Tutti gli incanti della natura non valgono un affetto; tutta la scienza non vale un atto generoso. Una Lucia inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre che, protendendo le sue, abbandona nelle braccia di un monatto il corpo della figlioletta, faranno sempre maggiore impressione di tutte le più belle descrizioni dell’universo: il quadro del Lazzaretto colpirà sempre più che tutt’insieme i quadri dell’Humboldt. Ma quale conseguenza si intenderebbe dedurne? Che le scienze naturali, di cui nessuno sconosce l’importanza, non possano prestare alimento alla letteratura popolare? Che non siano chiamata alla loro volta a completare quella cognizione che un popolo deve avere di sè? Può darsi anzi il caso che un ordine di ammaestramenti, il quale [p. 2 modifica]volesse considerarsi per sè come il meno necessario al progresso di un popolo civile, meriti, per intanto, una certa preminenza; e sarebbe, p. es., quando se ne verifichi maggiore il difetto.

Nelle condizioni politiche, che resero per tanto tempo gl’Italiani stranieri all’Italia, precisamente in un tempo in cui le scienze naturali (nominatamente la geologia e la fisica terrestre) ebbero tanto incremento al di fuori, siamo arrivati a ciò che gli Italiani conoscono assai meglio la costituzione fisica dell’altrui che del proprio paese. Non è necessario trattare col volgo per persuadersene; mentre le stesse persone più colte e meglio educate, si trovano sovente in difetto delle nozioni più elementari circa le condizioni fisiche, i fenomeni geologici, le naturali bellezze, le ricchezze scientifiche e le riprese industriali del paese, appena abbiano bisogno di oltrepassare i confini della regione da cui traggono un nome, che troppo spesso si suole sostituire a quello d’Italiano. Che più? Le scienze stesse, benchè interrogate nel campo più definito delle specialità di ciascuna, si colgono sovente in difetto: chè più facilmente troverete un fisico, un geologo, un naturalista, il quale vi discorra della Francia, dell’Inghilterra, dell’America, delle regioni polari o equinoziali, che un altro il quale vi intrattenga dell’Italia.

Il presente libro è ben lontano dalla pretesa di soddisfare ad un bisogno così grande e così evidente. Se non primo, certamente fra i pochi libri popolari che abbiano per oggetto la cognizione fisica del paese, gli basterebbe d’esser tale che raccomandasse agli scrittori ed ai lettori questo genere di letteratura, il quale può avere uno sviluppo immenso, come quello che attinge alla natura, il cui studio è sorgente inesauribile di cognizioni, di diletto e di pratica utilità.

Si direbbe che il popolo italiano (intendo quella minoranza che si occupa di leggere) reclami da’ suoi uomini di scienza questo genere di letteratura. Vedete quanta ressa di pubblicazioni popolari che hanno per oggetto la storia naturale. Per sventura sono per la massima parte traduzioni di opere straniere, ai quali a mala pena troviamo da contrapporre qualche libro nostrano, come quelli del Lioy, o di alcun’altro troppo meno meritevole di menzione. Ma stranieri o nazionali che siano quei libri, i quali sono ora letti avidamente dal popolo, quanti ne contiamo sull’Italia? L’autore non sa citarne alcuno. Almeno quelli che si leggono rispondessero in genere al bisogno di scienza che ha il popolo . Non si vuol negare che ve ne siano di utili; di [p. 3 modifica]quelli ove la forma popolare e l’intento di recar diletto non tradiscano il rigore della scienza, la santità del vero. Ma non son tali certamente, per citare un esempio, quelle opere di Verne, che hanno inondato l’Italia, e a cui la nostra gioventù, gli stessi uomini serî, corrono dietro con sì vergognosa passione. Al così detto romanzo storico si sostituisce il romanzo scientifico. Uguale mostruosa miscela di vero e di falso; uguale intento a dilettare l’imaginazione piuttosto che ad arricchire la mente, mentre finora non possiam dire certamente che il romanzo scientifico abbia trovato il suo Manzoni. Quando non si possa distinguere fra verità ed errore, è meglio ignorare. E quando poi si voglia sapere, anche nelle scienze fisiche e naturali, parmi, ripeto, che si debba cominciare col nosce te ipsum, col conoscere cioè la storia fisica e naturale del nostro paese.

In questo ci può servire di modello la nazione con noi confinante, che va meritamente superba, forse sopra tutte le altre, di una letteratura scientifica veramente nazionale nel nostro senso, atta cioè a coltivare, anche dal lato del bello descrittivo e delle ricchezze scientifiche, il sentimento nazionale. La letteratura svizzera possiede tre opere stupende di questo genere, cioè: Les Alpes Suisses, di Eugenio Rambert; Les Alpes, di Berlepsch; e La vita degli animali nella regione delle Alpi (Das Thierleben der Alpenwelt), di Tschùdi. A queste bisogna aggiungere quell’altra più scientifica di tutte: Le monde primitif de la Suisse, di Heer. Queste opere ebbero nella Svizzera e al di fuori un successo immenso, l’onore di diverse edizioni e di traduzioni in diverse lingue. Ma il mondo fisico della Svizzera si riduce, possiam dire, alle Alpi; mentre il nostro mondo è assai più vasto, e infinitamente più ricco di fenomeni e di naturali bellezze. Alle bellezze ed alle ricchezze scientifiche delle Alpi, noi aggiungiamo quelle così diverse dell’Appennino; e quando avremo descritto i nostri ghiacciai, le nostre rupi e le gole delle Alpi e delle Prealpi, troveremo altri nuovi mondi da descrivere; le emanazioni gazose, le fontane ardenti, le salse e i vulcani di fango, i veri vulcani o vivi o spenti, il Vesuvio, l’Etna, poi ancora il mare e le sue isole, i climi diversi, le diverse zone di vegetazione dalla subtropicale alla glaciale, e così via discorrendo, chè l’Italia è quasi (non balbetto nel dirlo) la sintesi del mondo fisico.

Sta a vedere se il presente libro soddisfi in qualche parte al bisogno, a cui si accennava, di una coltura speciale degli Italiani. Certamente l’autore non ha intralasciato nulla perchè l’esito rispondesse al buon [p. 4 modifica]volere. Il piano del libro è del resto semplicissimo. Senza obbligarsi ad una traccia regolare, come si farebbe in un trattato, l’autore, pigliando la veste di uno zio naturalista che racconta ai nipoti, percorre da un capo all’altro


...... il bel paese
Che Appennin parte e ’l mar circonda e l’Alpe,


descrivendone le naturali bellezze; arrestandosi ai principali fenomeni di cui cerca di rendere intelligibili la natura e le cause. Non trascura intanto, dove gliene si presenta il destro, di additare le riprese industriali della nazione, e di eccitare il sentimento del bello e del bene morale, nella convinzione che chi scrive un libro popolare non debba mai dimenticarsi che il bene morale è la base della vera libertà e del benessere di un popolo.

Pigliando per ciò le mosse dalle Alpi, discorre dell’alpinismo moderno come di un nuovo elemento educativo; descrive le principali rocce alpine, le cascate, i ghiacciai, intrattenendosi principalmente della teoria glaciale, che ha tanta parte nella geografia fisica e nella geologia di quella regione. Passa in seguito a dare un’idea delle Prealpi, descrivendo una delle più belle fra le valli prealpine, che gli porge occasione di discorrere delle caverne e dei fenomeni che si presentano nelle caverne. Disceso al mare ne descrive i grandiosi spettacoli, la levata del sole, la tempesta, la fosforescenza notturna. Nell’Appennino considera specialmente tutti i fenomeni così interessanti per la scienza e per l’industria di cui è ricca quella catena, più che di naturali bellezze: tratta cioè, dei petrolî e dell’industria petroleifera, delle salse, dei vulcani di fango, delle fontane ardenti, cercando di dare un’idea esatta delle leggi che presiedono ovunque alle manifestazioni secondarie dell’attività vulcanica. Una diversione ad una delle più rinomate caverne delle Prealpi, gli offre il destro di mostrare quanto possa divenire interessante anche in Italia lo studio del regno animale. Si porta, in seguito, al gruppo, così poco noto e in condizioni così speciali, delle Alpi Apuane, che gli danno argomento di intrattenersi sopra uno dei primarî rami dell’industria nazionale, quella dei marmi. Termina finalmente nella regione vulcanica, che è tanta parte dell’Italia meridionale e delle isole. Il Vesuvio e l’Etna, i due grandi vulcani dell’antichità e della moderna storia naturale d’Italia, gli giovano a mettere in evidenza le leggi che governano [p. 5 modifica]quelle manifestazioni primarie della vulcanicità, per cui l’Italia è la più interessante fra le regioni fisiche d’Europa. Le note scientifiche e filologiche che soccorrono abbondantemente al testo, furono suggerite dall’idea che questo libro possa opportunamente addottarsi come libro di lettura nelle scuole primarie e magistrali.

In questa esposizione di fenomeni e di leggi, mentre l’autore ha studiato di dare al suo libro una forma, quanto gli fosse possibile, facile ed attraente, non ha creduto che, per raggiungere lo scopo, gli fosse permesso di scostarsi nemmeno d’una linea dalla verità. Egli ha inteso di scrivere un libro strettamente scientifico, cioè rigorosamente vero. Il verisimile n’è affatto escluso. Se c’è invenzione, essa è tutta di forma; consiste cioè nell’avergli dato la forma antichissima di un dialogo, dividendolo in tante serate, fingendo che abbia luogo in un dato crocchio, con incidenti di conversazione opportuni a intavolarlo e a svolgerlo nel modo possibilmente meno nojoso, più chiaro e più confacente in tutto e per tutto (sempre nell’intenzione dell’autore) allo scopo istruttivo ed educativo del libro. Anzi non si può dire che questo tenga all’invenzione nemmeno per la forma; poichè l’autore non fa qui che esporre, conversando, ciò che conversando ha narrato tante volte e suol narrare a fanciulli e non fanciulli, in famiglia e fuori. Sicchè non andrà guari che il lettore in tenda che non si tratta d’uno zio imaginario, e di gite imaginarie, ma d’uno zio in carne ed ossa, che ha fatto davvero quelle gite da cui trae l’argomento delle sue narrazioni, le quali sono d’una fedeltà al vero decisamente scrupolosa, specialmente quando si tratta di fatti che possono interessare la scienza ed impegnare l’adesione dei lettori. L’autore crede d’insistere su questo punto della fedeltà al vero, perchè ne ha fatto il dogma fondamentale della sua professione di scrittore.

Narrando ciò che egli stesso ha veduto e sentito, l’autore ha la coscienza di avere assicurato al suo libro ciò che esige specialmente la moderna letteratura, cioè la verità. Riducendo ad una serie di conversazioni famigliari ciò di cui è solito intrattenersi coi parenti, cogli amici, colle persone più famigliari, potrebbe anche lusingarsi che al libro non dovesse mancare il pregio della naturalezza. Quanto al dilettare e istruire, all’unire cioè l’utile al dolce, che deve massimamente cercarsi dalla letteratura popolare, pensò che sarebbe meglio riuscito tenendosi nel campo de’ suoi studî speciali. Se poi voleva che [p. 6 modifica]quanto è pascolo dell’intelletto, divenisse possibilmente nutrimento del cuore, e spinta al perfezionamento morale, doveva procurare che non si scompagnasse mai l’uomo dalla natura, nè la natura dal l’uomo. Se si proponeva finalmente come scopo speciale di soddisfare al bisogno sentitissimo che hanno gli Italiani di conoscere l’Italia, doveva tenersi, salvo qualche opportuna digressione, entro i confini dell’Italia. Nello stile cercò di esser chiaro; nella lingua corretto. Un libro che avesse per fondamento il vero, per pregio la naturalezza, per scopo l’istruzione e il miglioramento morale, e in pari tempo soddisfacesse sia pure per minima parte a un gran bisogno della nazione, e fosse scritto con chiarezza e proprietà, dovrebbe essere un buon libro, n’è vero? Lo sarà poi? Ne giudicherà il lettore. L’autore volle soltanto dargli i termini, sui quali possa, se gli piace, determinarsi a leggerlo, per poterlo in seguito giudicare.

Se queste pagine avranno la fortuna, pur troppo rara, di uscire dalle mura delle scuole di città, per diffondersi nelle campagne, in seno alle Alpi, nelle montagne dell’Appennino, al piede del Vesuvio e dell’Etna, insegneranno agli abitanti di quelle contrade ad apprezzare un po’ meglio le riprese, di cui la natura non fu avara alle di verse provincie d’Italia.