Il buon cuore - Anno IX, n. 17 - 23 aprile 1910/Religione

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Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

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Vangelo della quarta domenica dopo Pasqua


Testo del Vangelo.

Gesù disse a’ suoi discepoli: Io vado a Lui che mi ha mandato; e nessuno di voi mi domanda: dove vai tu? Ma perchè vi ho detto queste cose la tristezza ha ripieno il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: È spediente per voi che io men vada; perchè se io non me ne vo, non verrà a voi il Paracleto; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E venuto ch’Egli sia, sarà convinto il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia, e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato perchè non credettero in me; riguardo alla giustizia, perchè io vado al padre, e già non mi vedrete: riguardo al giudizio poi, perchè il principe di questo mondo è già stato giudicato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma non ne siete capaci adesso. Ma venuto che sia quello Spirito di verità, v’insegnerà tutta la verità: imperocchè non vi parlerà da se stesso; ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà quello che ha da essere. Egli mi glorificherà, perchè riceverà del mio e ve lo annunzierà.

S. GIOVANNI, Cap. 16.


Pensieri.

Che cosa e rimasto a noi di Gesù Cristo? Il suo insegnamento? L’impulso dato da Lui? Solo questo? Non ci siam rivolti mai queste domande?

Forse no, perchè, in genere, la massa dei cristiani non pensa la propria fede, non scende a scrutar nell’intimo, nel profondo della propria coscienza e s’appaga di pratiche religiose alle quali, a volte, ed è lo scandalo grande degli increduli, non corrisponde una vita più pura, più disinteressata, più santa di quella di coloro che non si dicon credenti!

Ricerchiamo, dunque, che cosa è rimasto a noi di Cristo.

Ogni grande pensatore, ogni filosofo lascia le sue dottrine: in questo senso è in questo senso solo ci è rimasto qualcosa di Gesù?

Gli apostoli, sgomenti e atterriti dopo la morte di Cristo, rinchiusi e nascosti per timore dei nemici;... gli apostoli, dopo qualche tempo, risorgono a vita novella, si sentono forti e coraggiosi, stimolati, portati a continuare l’apostolato del suo Maestro.

Come prima della sua morte, con essi in modo ineffabile, Gesù li ispira, li protegge, li guida.... ed essi si dicon pieni dello spirito di Lui!

Che vuol dire?

Dopo aver studiato e meditato i dialoghi di Platone, si può dire d’avere il suo spirito? E si può dire opera sua un sistema filosofico che abbia, in quella meditazione, la sua origine? Mai più!

Di un San Bernardino da Siena, invece, ad esempio, che riproduce le opere del poverello d’Assisi, noi diciamo che ha lo spirito di S. Francesco.

Nella scrittura c’è un’espressione sensibile di quanto ora stiamo dicendo.

Il profeta Elia è rapito sul carro di fuoco: da esso cade il suo mantello di cui Eliseo, il discepolo, si ricopre, ed in lui è lo spirito d’Elia: egli compie le opere del suo maestro.

Solo l’uomo santo può lasciare il suo spirito!

Vedere il bene e operarlo è dalla natura; sperimentarne l’efficacia, sentirne l’azione è dell’uomo religioso.

Gli apostoli, seguendo l’impulso del bene, di Dio, sentivano d’accordarsi coll’insegnamento di Gesù e ne facevano una cosa sola.

Noi saremo sicuri d’esser con Cristo, d’appartenergli, di vivere della sua vita, nonostante le mutazioni profonde dell’esistenza in tanti secoli, se noi, davanti a Dio e al mondo, ci ritroviamo nello stesso atteggiamento di Cristo.

Solo i Santi possono lasciare il loro spirito.... non i sapienti, non gli eruditi, non i grandi.

Solo i Santi assurgono a tanto potere, raggiungono tanta efficacia d’azione.

L’impulso che vien dall’anima loro, dalla loro opera, dalla loro parola, dalla loro rassegnazione nel dolore, dalla loro umile esultanza nella pace è lievito di vita religiosa e superiore nel mondo....

L’impulso loro s’accorda con quello dello spirito del bene, di Dio.... esso, direi, rende quello divino più sensibile, più efficace; esso è lo strumento più eletto di cui si serva lo spirito divino per estendere il suo regno nel mondo! Che cosa magnifica e meravigliosa! Che dignità incomparabile, che potrebbe, che dovrebbe esser quella d’ogni discepolo di Gesù, specialmente dei sacerdoti, dei genitori, degli educatori cristiani!

Oh, come noi dobbiamo sempre più intimamente vivere con Gesù, seguire, nelle nostre opere, l’impulso del bene, compire ogni lavoro nostro con animo religioso.... allora potremo sperare che, anche morti noi, o cessata l’azione nostra esteriore, duri però ancora [p. 135 modifica]benefica qualche cosa di ciò che era la vita della nostra vita!

Sia un santo ideale questo per noi, una santa meta che ci stimoli e ci attragga.... sia una forma di ringraziamento non vano a coloro che ci hanno beneficato, non dandoci nè oro, nè argento, nè beni terreni, ma, dandoci l’anima loro, ma comunicandoci la pienezza dei loro doni divini!

Il notaio VINCENZO STRAMBIO


Lunedì, 18 corrente, nella chiesa di San Francesco da Paola, si facevano i solenni funerali al notaio Vincenzo Strambio, che aveva raggiunto la grave età di anni 84. Nel corteo, insieme ai numerosi parenti, spiccavano le più distinte notabilità di Milano.

Una nobile esistenza si spegneva nel notaio Vincenzo Strambio. Tre note riassumono in prezioso accordo la sua vita, la patria, la famiglia, la religione.

Egli fu segretario nel 1848, insieme a Cesare Correnti, del Governo Provvisorio. Basta questa qualifica a denotare l’indole e il valore della persona. Egli fu parte attiva di quella generazione che ha tanto contribuito a darci una patria. Il programma del 1848 era prevalentemente un programma guelfo. Il sentimento patrio non si sapeva concepire se non unito al sentimento religioso. Pio IX era la bandiera di quel movimento. Esso trovava la sua base negli scrittori che l’avevano più potentemente preparato, Gioberti, Balbo, Silvio Pellico, riassunti presso di noi nel nome di Manzoni, il rappresentante più puro ed autorevole del più alto ideale. Questo programma soffrì una scossa nel periodo successivo, ma non potè mai scomparire del tutto dall’animo di chi l’aveva potentemente sentito. Fra questi il notaio Strambio.

Fermo nel proposito dell’indipendenza della patria, egli partecipò a quel movimento tenace, persistente di resistenza passiva al dominio austriaco, tra il 1849 e il 1859, che, a raggiungere lo scopo, fu più efficace di una battaglia vinta.

Sorto il 1859, egli potè prendere parte attiva nel movimento della vita cittadina, tutto inspirato all’idea di rendere, insieme alla grandezza di Milano, grande l’Italia. Fu più volte e per lungo tempo membro del Consiglio Comunale, e membro attivo e rispettato. Le qualità caratteristiche della sua professione, l’onestà, la pacatezza del giudizio, la gravità pratica delle conclusioni, bene si accordavano col suo carattere, calmo, sereno, sottile, imparziale. I suoi giudizi erano invocati e ascoltati come un responso, spesse volte decisivo, in gravi dibattiti cittadini. Prova di questa autorità di fiducia fu la nomina di Presidente del Consiglio Notarile e della Società Costituzionale.

Alle vicende della vita pubblica e cittadina venivano compagne le cure e le compiacenze della vita domestica. Furono compiacenze durate, assaporate, per molti anni, in mezzo alla corona dei figli, del figlio ammogliato, delle sue figlie, che si dividevano, che facevano a gara, nel prevenire, nel soddisfare tutte le esigenze del padre e della madre. I frequentatori della via del Monte Napoleone furono per molti anni spettatori di una scena commovente. Il dottor Strambio, oramai vecchio, e divenuto quasi cieco, vedevasi accompagnato al passeggio, ora dall’una, ora dall’altra, delle sue figlie. La compiacenza dell’assistenza data e ricevuta, diveniva compiacenza in chi la osservava.

Il problema religioso non era mai stato alieno dal suo spirito. Era nato e cresciuto in lui fratello al sentimento patriotico. Una tradizione famigliare e venerata aveva maggiormente contribuito a ridestare, a far più santo un tale sentimento. Era suo parente Gaetano de Castillia, condannato allo Spielberg con Silvio Pellico e Maroncelli, e deportato in seguito in America. Reduce in Italia negli ultimi anni della sua vita, nelle effuse conversazioni delle dolorose memorie del passato, il Castillia non cessava dal ricordare quel senso di intima e robusta costanza in mezzo ai patimenti fisici e morali della prolungata prigionia, avesse trovato nel pensiero e nell’ajuto religioso. Una copiosa raccolta di libri religiosi, apologetici e ascetici, formata nella sua dimora in America, mostrava quale fosse il campo nel quale il suo spirito aveva trovato un pascolo intelligente e gradito. L’animo di Vincenzo Strambio non fu indifferente a questa edificante inspirazione. Le pratiche religiose erano divenute una parte organica della sua vita.

Dio non credette necessario di accordargli di ricevere i Sacramenti in morte. La morte improvvisa, in questo rapporto, non gli giunse improvvisa: egli aveva già tante volte ricevuto i Sacramenti in vita. Dio volle risparmiargli lo strazio della separazione delle figlie e della consorte, e risparmiare a queste lo strazio della separazione del consorte e del padre. Non impedirà la separazione di fatto: le leggi di natura nel loro compimento sono inesorabili; ma impedirà l’impressione lunga, straziante della separazione. Egli morì senza accorgersene, mentre una delle figlie gli porgeva una delle bibite di consuetudine nella vita domestica. Il ricordo della sua morte sarà accompagnato dall’impressione di un atto semplice, abituale, quasi fosse la continuazione della vita.

Sì, fu la continuazione della vita, ma di questa a una vita migliore: il fine della vita che passa è il principio della vita che resta. E noi amiamo compiacerci nel pensiero che una vita così onesta, così consacrata al dovere sulla terra, una vita che poteva ora riassumersi in questi tre oggetti, armonizzati fra loro, la patria co’ suoi ricordi, la famiglia colle sue compiacenze, la religione colle sue speranze, abbia il suo debito compimento, di premio a chi partiva, di conforto a chi rimane, nel seno di Dio; di Dio, da cui tutto parte, di Dio a cui tutto ritorna.