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Il cavaliere e la dama/Appendice

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Appendice

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Atto III Nota storica

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APPENDICE

Dall’edizione Bettinelli di Venezia.

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ATTO SECONDO.

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SCENA XV.

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Claudia. (Siete troppo cortese; guardate che bella grazia). (caricandola)

Colombina. Signora padrona, il signor don Rodrigo, se non gli è d’incomodo, vorrebbe riverirla.

Eleonora. Passi, è padrone. (Colombina parte)

Claudia. (Ecco l’amico). (a Virginia)

Virginia. (Mi pareva impossibile che non venisse).

Flaminio. (Sono nell’impegno, non mi vuò perdere di coraggio).

SCENA XVI.

Don Rodrigo e detti.

Rodrigo. (Riverisce tutti, che s’alzano, ed ei va a sedere nell’ultimo luogo, vicino a don Filiberto, e tutti siedono) Bellissima conversazione.

Virginia. Ora poi è perfezionata coll’arrivo di don Rodrigo.

Rodrigo. Gentilissima espressione di dama troppo compita.

Claudia. Certo, sinora siamo stati malinconicissimi; donna Eleonora quasi quasi piangeva.

Rodrigo. Povera dama, non ha occasione di stare allegra. (Costei principia a botteggiare). (da sè)

Eleonora. Don Rodrigo, ho delle buone nuove di mio marito.

Rodrigo. Sì? me ne consolo. (Sventurata, ne ho io di funeste).

Flaminio. (A proposito, sentite un’altra cosa di sommo rimarco). (piano a donna Eleonora)

Eleonora. (No, assolutamente). [p. 286 modifica]

Flaminio. (Come? Perchè è venuto don Rodrigo, ricusate ascoltarmi?)

Eleonora. (Non voglio farmi spacciare per malcreata).

Flaminio. (Questa sola ed ho finito).

Eleonora. (Gran pazienza!) (Flaminio parla all’orecchio)

Rodrigo. (Che confidenza ha don Flaminio con donna Eleonora?)

Eleonora. Volesse il cielo che ciò fosse vero! (forte a don Flaminio)

Flaminio. Sarà vero senz’altro.

Rodrigo. Signore, se avete qualche consolazione, fatene ancor noi partecipi, acciò possiamo rallegrarci delle vostre felicità. (a donna Eleonora)

Eleonora. Questo cavaliere mi assicura che fra due giorni avremo don Roberto in Napoli, libero, assolto e nello stato di prima.

Rodrigo. È vero? (a don Flaminio)

Flaminio. È verissimo.

Rodrigo. E chi l’assicura?

Flaminio. Io.

Eleonora. Signor sì. Egli è venuto stamattina da Benevento, ha parlato con mio marito, che sta benissimo di salute e fra due giorni sarà con noi.

Rodrigo. È vero? (a don Flaminio)

Flaminio. Ne dubitate?

Rodrigo. Quando avete parlato con lui?

Flaminio. Ieri sera.

Rodrigo. E stava bene di salute?

Flaminio. Benissimo.

Rodrigo. Donna Eleonora, io non volevo funestare la conversazione con una nuova lugubre, nè dare a voi tutto ad un tratto il tristissimo annunzio; ma don Flaminio mi obbliga a farlo. Ieri a mezzo giorno vostro marito spirò, e questa è la lettera che autentica la di lui morte. (mostra una lettera, che aveva in tasca)

Eleonora. Oimè! Che colpo è questo? Don Rodrigo, troppo crudelmente voi mi trattate.

Rodrigo. Vi tratta peggio questo vostro inventore di favole.

Flaminio. Eh, rasserenatevi, e non credete... [p. 287 modifica]

Rodrigo. Udite la lettera, se avete cuore di udirla. E il conte degli Anselmi che scrive a me. (legge la lettera)
Amico. Due ore sono, mancò di vivere il povero don Roberto, assalito da un orribile parossismo. Io ne avanzo a Voi la funesta notizia, sapendo essere stato il suo più intrinseco e fedele amico. Recate Voi l’infausta nuova alla infelice vedova dama...

Eleonora. Basta così, non proseguite più oltre, che io non ho cuor da resistere. Amiche, signori miei, perdonate al dolor d’una moglie e permettetemi ch’io mi ritiri. E voi, cavaliere malnato, apprendete a meglio trattare colle dame onorate e non profanate quel titolo che indegnamente portate. Colombina, assistimi. Oimè, mi sento morire. (s’appoggia a Colombina)

Colombina. Quel signore ch’è venuto stamattina da Benevento, vada a riposare, che sarà stracco. Gran caboloni che siete voi altri uomini! (parte con donna Eleonora)

Flaminio. (Don Rodrigo mi ha fatto comparire un bugiardo in faccia a tutta la conversazione. Don Rodrigo me la pagherà.) (parte, guardando bruscamente don Rodrigo)

Rodrigo. (Don Flaminio mi guarda torvo e parte; non ho paura di lui). (vuol partire)

Claudia. Non vorrei seguisse qualche duello. (a Virginia)

Virginia. Don Rodrigo.

Rodrigo. Mia signora.

Virginia. E volete partire e lasciare così sconsolata la povera donna Eleonora?

Rodrigo. Tocca a voi a consolarla, che siete donna, e non a me. Donna Virginia, già c’intendiamo.

Virginia. Voi prendete la cosa sinistramente; eppure la povera dama ha bisogno d’essere consolata.

Rodrigo. E voi consolatela.

Claudia. Eh via, don Rodrigo, non fate tanto l’indifferente. Andate ad asciugare le lacrime della povera vedova.

Rodrigo. Io sono un cavalier onorato; donna Eleonora è una [p. 288 modifica] donna saggia e prudente, e chi pensa diversamente, ha il cuor guasto e corrotto dai preudizi del mal costume. (parte)

Virginia. Donna Claudia, ingoiate questa pillola.

Filiberto. Don Rodrigo ha parlato assai schietto.

Claudia. Quanto più si scalda, tanto più manifesta la sua passione.

Filiberto. Il dolore che ha mostrato donna Eleonora per la perdita del marito, la fa conoscere amorosa e prudente.

Alonso. Imparate, signore mie, a giudicar meglio e a mormorar meno.

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ATTO TERZO.

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SCENA XII.

Donna Eleonora e Don Rodrigo.

Eleonora. Misera me, in che mani io ero caduta!

Rodrigo. V’ingannaste a fidarvi d’un forestiere. Colui non si sa di qual paese egli sia.

Eleonora. Ma ora che dovrò io fare?...

Rodrigo. Donna Eleonora, sospendiamo per ora di ragionare di ciò; ho piacere d’avervi ritrovata sola, e solo con voi bramo di restare per poco.

Eleonora. Le dame sono partite, per ora non vi è nessuno.

Rodrigo. Deggio farvi un discorso da voi forse non preveduto.

Eleonora. Lo sentirò volentieri; ma prima favorite dirmi qual esito abbia avuto la disfida di don Flaminio.

Rodrigo. La cosa si è pubblicata, si sono frapposti dei cavalieri comuni amici, ed ora si tratta l’aggiustamento.

Eleonora. Sollecitate quello che avete a dirmi. [p. 289 modifica]

Rodrigo. Donna Eleonora, questa ch’io vi parlo forse è l’ultima volta. Deh, permettetemi ch’io vi parli con libertà.

Eleonora. Oimè! Perchè l’ultima volta?

Rodrigo. Non è più tempo di celarvi un arcano finora con tanta gelosia nel mio cuor custodito. Vi amo, donna Eleonora, vi amo, sì, lo confesso, ed è sì grande l’amor ch’io vi porto, che oramai non è bastante a superarlo la mia virtù. Finchè voi foste moglie, malgrado le violenze dell’amor mio, frenai colla ragione l’affetto; ora che siete libera e che potrei formare qualche disegno sopra l’acquisto della vostra bellezza, più non mi fido dell’usata mia resistenza, nè trovo altro riparo alla mia debolezza che il separarmi per sempre dall’adorabile aspetto vostro.

Eleonora. Don Rodrigo, mi sorprende non poco la dichiarazione dell’amor vostro, perchè so di non meritarlo. La bontà che voi dimostrate per me, esige in ricompensa una confidenza ch’io ad onta del mio rossore son costretta di farvi. Sì, don Rodrigo, vi amo anch’io pur troppo, e se mi credeste insensibile alle dolci maniere vostre, v’ingannaste di molto. So io quanto mi costa la dura pena di superare me stessa, e poco mancò che nei conflitti dell’interne passioni non restasse soccombente la mia virtù.

Rodrigo. Ecco un nuovo stimolo all’intrapresa risoluzione. Donna Eleonora, noi non siamo più due virtuosi soggetti, che possano trattarsi senza passione ed ammirarsi senza pericolo. Il nostro linguaggio ha mutato frase, i nostri cuori principierebbero ad uniformarsi alla corruttela del secolo. Rimediamoci, sinchè vi è tempo.

Eleonora. E non sapete propone altro rimedio che quello di una sì dolorosa separazione? Veramente lo stato miserabile in cui mi trovo, la mia povera condizione, i miei numerosi difetti, non mi possono lusingare di più.

Rodrigo. V’intendo, donna Eleonora, con ragione mi rimproverate che io non preferisca al mio allontanamento le vostre nozze. Se io vi sposassi ora che siete vedova, direbbe il mondo che [p. 290 modifica] io vi ho vagheggiata da maritata, e in luogo di smentire le critiche di chi pensa male di noi, si verrebbero ad accreditare per vere le loro indegne mormorazioni.

Eleonora. Ah sì, purtroppo è vero. Le malediche lingue hanno perseguitata la nostra virtù; negar non posso che saggiamente voi non pensiate, ma il separarci per sempre... Oh Dio! Che pena! Compatite la mia debolezza. Non ho cuor da resistere a sì gran colpo. Anima dell’estinto mio sposo, se m’odi e se ora vedi il mio cuore, perdona se tu non sei nè l’unica, nè la maggior parte del mio dolore. Ah! don Rodrigo, avete trovato il modo di farmi obbliare la perdita del consorte, colla minaccia di una perdita non meno di quella per me dolorosa e funesta.

Rodrigo. Che dobbiamo fare? Avete cuore di resistere a fronte delle dicerie? Siete disposta a preferire la vostra pace al vostro decoro? Se voi m’invitate a farlo, malgrado le mie repugnanze, sarò costretto a ciecamente obbedirvi.

Eleonora. No, don Rodrigo, non voglio perdervi per acquistarvi. Conosco la vostra dilicatezza; non soffrireste gl’insulti del mondo insano. Itene dove vi aggrada, ed a me più non pensate.

Rodrigo. Sì, cara... Oh Dio! perdonate questo involontario trasporto di un amor moribondo. Andrò esule da questa patria, andrò ramingo pel mondo; ma prima di farlo, bramo sapere quale sarà lo stato in cui vi eleggerete di vivere.

Eleonora. Ritirata dal mondo.

Rodrigo. Ed io vi offro quanto sia necessario per una sì eroica risoluzione.

Eleonora. Dareste per altra via motivo di mormorare. Non temete, il cielo mi ha provveduta.

Rodrigo. E come? Mia vita... Ah vedete, se sia necessaria questa nostra separazione. (resta pensoso)

Eleonora. Gran disavventura! Dover prendere motivo di separarci da quell’istessa ragione che ci dovrebbe rendere uniti. (restano tutti due piangendo)