Il mio diario di guerra/III/Natale

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Natale

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III - Dicembre in trincea III - Saluto, marciando, il 1917

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Natale



25 Dicembre.


Come ieri, come sempre, da un mese a questa parte, piove. Oggi è Natale. Proprio Natale. 25 Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustrale coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Perchè io riprovi un’eco della poesia di questo ritorno, debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. Oggi il cuore s’è inaridito come queste doline rocciose. La civiltà moderna ci ha «meccanicizzati». La guerra ha portato sino alla esasperazione il processo di «meccanicizzazione» della società europea. Venticinque anni fa io ero un bambino puntiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano ancora nella testa i segni delle mie sassate. Nomade d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino lungo la strada che conduce a San Cassiano erano irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva [p. 198 modifica]freddo. Le prime messe erano per le vecchie mattiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della Piana, era il nostro turno. Ricordo: io seguivo mia madre. Nella chiesa cerano tante luci e in mezzo all’altare — in una piccola culla fiorita — il Bambino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco ed appagava la mia fantasia. Solo l’odore dell’incenso mi provocava un turbamento che qualche volta mi dava istanti di malessere insopportabile. Finalmente una suonata dell’organo chiudeva la cerimonia. La folla sciamava. Lungo la strada, un chiacchierio soddisfatto. A mezzogiorno fumavano sulla tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti di Romagna. Quanti anni o quanti secoli sono passali da allora? Un colpo di cannone mi richiama alla realtà. E’ Natale di guerra.

Nella trincea è un silenzio pieno di segrete nostalgie. Natale magro. Dei doni mandati dal Comitato, alla mia compagnia sono toccati mezza dozzina di panettoni e altrettante bottiglie... Il rancio poi è stato specialissimo: baccalà in umido con palate. Figurarsi!

26 Dicembre.


Mattinata insignificante. Nel pomeriggio, improvviso risveglio delle nostre batterie. Un tratto della «loro» trincea di prima linea, è saltato per aria. Di rimando, essi hanno lanciato alcune bombe su quota 144. Mentre scrivo, i tedeschi lavorano... per noi. Padre Michele è venuto a trovarci, [p. 199 modifica]

Gli ho accennato alle polemiche suscitate dalla mia licenza invernale e gli ho chiesto se sarebbe pronto a rendermi testimonianza.

— Prontissimo — egli mi ha risposto. — Direi la verità, che cioè, io l’ho visto dal primo giorno ad oggi, sempre in prima linea. —

Erano presenti altri ufficiali.

Scrivo queste righe alla luce fumosa di uno scaldarancio, nella più inverosimile delle posizioni. Nel crepuscolo, si addensano lo nubi sciroccali. Bombe.


27 Dicembre.

Stanotte abbiamo rinforzato la nostra linea di reticolati. Fra le 22 e le 23 c’è stato un bombardamento reciproco assai violento. Mattina nebulosa, ma chiara. Mi affaccio al parapetto della nostra trincea. Ci sono di là, a poche diecine di metri, due soldati austriaci che conversano tranquillamente in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non meno tranquillamente, la sua «toilette» mattinale. Si leva la giubba, il corpetto, la camicia; si spidocchia. A operazione ultimata, un lungo stiramento di braccia, un’occhiata in giro, poi se ne torna lentamente alla tana. Io constato che da un mese non mi lavo la faccia. L’acqua del lago è sospetta. L’acqua che giunge colle ghirbe e che bisogna prelevare con un «bono», è troppo rara per sciuparla a lavarsi la figura.

E’ finito or ora un bombardamento intensissimo, [p. 200 modifica]durato da mezzogiorno alle cinque. Il preludio è stato austriaco. Bersaglio, come sempre, la quota 144. Grossi calibri che giungevano accoppiati. La cima di quota 144 era avvolta nel fumo nero e biancastro delle esplosioni, che, portato dal vento, scendeva sul lago e annebbiava tutto l’altipiano di Doberdò. Gli austriaci hanno continuato indisturbati per quasi un’ora. Poi sono intervenute le nostre batterie. Per due ore, fuoco d’inferno. La selletta dove è la nostra trincea era tutto un rimbombo, le vibrazioni d’aria scuotevano i teli da tenda che abbiamo sulle tane, le doline sobbalzavano. Armato del mio binocolo, mi sono messo in piedi nel fosso della trincea, a godermi lo spettacolo. A un certo punto c’è stata una ripresa dei loro, ma breve. Sopraffatti dal numero e dalla potenza delle nostre batterie, gli austriaci si sono rassegnati a tacere. I nostri hanno continuato, implacabilmente, sino alle prime ombre del crepuscolo. Nelle mie orecchie c’è un ronzio curioso.

— E questo non è che un «aperitivo» — ci ha detto un bombardiere che filava, correndo, lungo un camminamento.

E’ sera. Le nuvole si stracciano... Sul mare è il primo quarto della luna nuova... Nel cielo sono, qua e là, delle stelle.

28 Dicembre.


Stanotte il duello delle artiglierie non ha avuto sosta. Al tenente Gelassi che comanda gli zappatori [p. 201 modifica]del 39° battaglione, ho chiesto notizie sugli effetti del bombardamento d’ieri a quota 144,

— Insignificanti — mi ha risposto. — Quattro o cinque feriti al 7°, un ferito all’11°. Le gallerie sono state provvidenziali... —

Mi dice anche che ieri sera, sull’imbrunire, un romeno si è arreso. Ma non è stato possibile interrogarlo, per mancanza di interprete.

Mattinata di sole pallido. Due Caproni, scortati da un Nieuport, volteggiano su di noi. I cannoni urlano già la loro canzone di morte. Moltissime granate austriache di piccolo calibro che cadono presso la nostra seconda linea, non scoppiano. Ne abbiamo contate otto. Pomeriggio di sole. E’ il bel tempo che torna?

29 Dicembre.


Notte agitata. Stamani, una nebbia bassa nasconde allo sguardo il lago e la pianura di Doberdò. Nel cielo è una nuvolaglia grigia che il sole non riesce a disperdere. L’aspetto dei miei commilitoni dopo la permanenza nella trincea carsica, comincia ad essere lamentevole.

Ci sono alcuni casi sospetti di gastro-enterite all’8ª compagnia. La compagnia ha ricevuto l’ordine di allontanarsi. Si credeva che ci precedesse nell’andata a riposo. Ecco: piuttosto che morire in un lazzaretto di colerosi, preferisco di essere sbrindellato in cento pezzi da un proiettile da 305.

Oggi i cannoni austriaci hanno buttalo qua e là [p. 202 modifica]i soliti colpi innocui. Si sbadiglia. Chi per noia, chi per appetito. Questa è la guerra dell'immobilità.

Voci del gergo guerresco:

benzina = vino;
lampione = fiasco di vino.

30 Dicembre.


Tempo accidioso ed insidioso, da colera. Difatti il bacillo virgola deve aver fatto la sua comparsa, a giudicare dalle misure igieniche che si stanno prendendo. Tutto l’accampamento è bianco di calce, che vien gettata fra i baracconi, senza risparmio.

Padre Michele è passato nelle trincee, offrendo i un distintivo tricolore e un foglietto. Ho accettato il distintivo, poi mi sono fatto dare il foglietto. Si tratta della

Solenne consacrazione
dei soldati del Regio Esercito Italiano
al Sacro Cuore di Gesù.

Io non commento, trascrivo. Nell’interno del foglietto c’è l’«istruzione» che dice:

«La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la grande speranza dei tempi nostri. Tutto noi possiamo ottenere mediante la fede e l’amore al Cuore di Gesù. Egli stesso, apparendo alla Beata Margherita Maria in Francia, ha detto: «Voi non mancherete di soccorso che quando io mancherò di [p. 203 modifica]potenza». Vedete i francesi alla battaglia della Marna: tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau ebbe l'inspirazione d’invocare il Sacro Cuore e consacrargli l'esercito. E il risultato fu la meravigliosa vittoria che salvò la Francia. Vittoria vogliamo noi pure, duplice vittoria: una sui nemici politici per la grandezza della patria nostra, l’altra su noi stessi per purificarci ed elevarci. Ma per entram- be, se le vogliamo grandiose, abbiamo d’uopo di mezzi eccezionali. Ed ecco additata la devozione al Sacro Cuore di Gesù...».

Poi c'è anche «Un atto di Consacrazione» che finisce in un Credo, Pater, Ave, Gloria.

Ripeto: non commento: trascrivo, copio... il documento.


31 Dicembre.


Fine d'anno. Messa al 7° bersaglieri e discorso del prete officiante. Non so chi sia. Non conosco il suo nome. Un mio vicino che ascoltava mi ha detto che è un abruzzese. Oratore dalla parola facile, dalla la voce squillante e quel che è l’essenziale, un italiano nel più fervoroso senso della parola. Mi è piaciuto, nel suo discorso, l’accenno alla pace tedesca che sarebbe «la pace del vincitore che pone il piede sul petto al vinto», mentre la nostra pace deve «consacrare la giustizia e la libertà dei popoli» ed ha finito con queste parole: «L’Italia anzi tutto e sopra tutto.».

Avrei voluto gridargli: «Bravo!». Avrei voluto [p. 204 modifica]andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare il primo discorso veramente ed accesamente patriottico che ho sentito in sedici mesi di guerra.

Giornata grigia. Il tenente generale che comanda la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la nostra partenza a riposo in un paese dell’Oltre Isonzo, nell’Italia redenta. Alcune settimane di quiete ci tempreranno per l’azione, quando il giorno verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a trovarmi Enrico Tagliabue, di Monza, parrucchiere e era artigliere.

E’ un interventista entusiasta, un amico del Popolo. Dopo cinque mesi di fronte, ha conservato intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale d’interventista. Questi umili figli del popolo, che hanno sentito la bontà della nostra causa e la santità della nostra guerra, meriterebbero di essere «valorizzati» un po’ di più, ai fini della vittoria!

Nel pomeriggio un sole pallido schiarisce l’orizzonte. La partenza è fissata per stasera. C'è l’ordine. Si compie oggi il mio primo mese di trincea sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 che comincia: Viva l’Italia!

Gli austriaci si sono accorti del nostro movimento? Non so. Non credo. Certo è che a un dato momento, le artiglierie nemiche si sono improvvisamente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato in pieno su un ricovero, ma, fortunatamente, questo era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona fine d’anno.