Il nonno/Ballora

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Ballora

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Ozio Il sogno del Pastore

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Ballora.

La famiglia Pintore, numerosissima, abitava una casetta fra le più antiche del villaggio, in cima ad un sentiero roccioso che pareva il letto d’un torrente. Quest’abitazione, che sorgeva in mezzo ad un cortile roccioso, cinto da un muro di macigni, ricordava i nuraghes, come i sette fratelli Pintore, soprannominati Predas Aspras1 per il loro carattere rude e primitivo, ricordavano appunto i preistorici costruttori dei nuraghes. Solo il maggiore dei Predas Aspras era ammogliato, vedovo anzi, padre di una graziosa giovinetta, Ballora, e di parecchi ragazzotti che promettevano di diventare alti e rudi come gli zii. Gli altri fratelli, tutti pastori, già uomini anziani, non avevano mai voluto saperne di prender moglie: anzi, ultimamente, Matteu, il più giovane, un bell’uomo sui quarantacinque anni, non s’era neppure accorto delle occhiate languide e insistenti della nipote Ballora. [p. 126 modifica]

In quel tempo dell'anno, cioè verso la fine dell'inverno, in casa Pintore restavano solo le donne, i fanciulli e il fratello anziano, che soffriva d'un erpete incurabile. Gli altri fratelli svernavano con le loro greggie nelle pianure al di là di Nuoro.

L'inverno era stato rigido e lungo: sull'altipiano e sulle montagne i venti cominciavano a placarsi, e le roccie buttavano via il loro mantello di neve. Si scorgeva l'Orthobene verde come uno smeraldo, e nella valle d'Oliena i mandorli floriti parevano, in lontananza, sul nero delle vigne arate, macchie e cespugli ancora coperti di neve.

I Pintore, che erano in lutto per la morte della moglie del fratello anziano, durante quell'inverno vissero come selvaggi. Le donne non uscivano mai di casa, e anche Ballore, il vedovo, tormentato dal suo erpete, stava sempre sdraiato su una stuoia, accanto al fuoco, divertendosi a raccontare storielle ai bambini.

Ballora piangeva spesso, ricordando la madre morta, ma poi si confortava pensando allo zio Matteu, un Cristo gigante, dalla barba bionda riccioluta e gli occhi neri melanconici. Zio Matteu aveva quasi trent'anni più di lei, ma che volete? ella si sentiva attirata verso di lui forse per affinità di razza, e perchè realmente egli era l'uomo più bello del paese.

Durante quell'inverno, poi, ella visse in completa solitudine. Tutti gli uomini giovani, pastori e contadini, erano fuori del paese; a trovar zio Ballore, oltre qualche vecchio amico, non veniva che [p. 127 modifica] il Sindaco, uomo ancora giovane, simpatico, scapolo e benestante. Ma Ballora non aveva mai neppure osato di guardare in viso il Sindaco: egli era un uomo civile, fine, caustico, qualche volta anche maligno: non diceva mai le cose come le pensava; era amante dei comodi, delle vesti pulite, dei buoni cibi; insomma d'una razza diversa di quella dei Predas Aspras. Spesso, anzi, egli faceva stizzire Ballora. Appariva, tutto attillato, piccolo e svelto, con la cintura stretta, la berretta messa con arte sui capelli lunghi, neri, lucidi, un sorriso beffardo sul piccolo viso sbarbato, dalla bocca lunga e sottile: sedeva accanto al fuoco, cercando un posto ove non ci fosse fumo, guardava Ballora e diceva scherzando:

— Ballore Pintò; perchè te la tieni qui, questa pianticella? È tempo di innestarla, sai?

L'infermo, buttato sulla stuoia come un tronco abbattuto dal vento, guardava Ballora con affetto selvaggio e sorrideva per lo scherzo del Sindaco. Scherzo che pronunziato da altri gli avrebbe recato offesa.

— È troppo giovane, ancora… — rispondeva.

— Dicono che tuo fratello Matteu sia un buon coltivatore...

— Tiu Matteu è un pastore, non un contadino — rispondeva Ballora con dispetto. E andava a mettersi sul limitare della porta, e senza smetter di filare la seta cruda per una benda da testa, guardava in lontananza, verso l'orizzonte coperto di nuvole immobili, azzurrognole e rosee sullo sfondo grigio del cielo. [p. 128 modifica]

Quelle nuvole colorate, che s’indugiavano, pigre e come assopite, sul cielo melanconico di marzo, annunziavano la fine dell’inverno: tutto taceva intorno, e i macigni, le roccie, i tetti lavati dalle pioggie e dal vento, fumavano nell’aria tiepida e vaporosa. Sì, l’inverno moriva: fra poco l’erba sarebbe spuntata anche sulle chine più alte della montagna, sotto le foreste ove non penetra il sole, e i pastori sarebbero ritornati alle terre natie.

Il Sindaco poteva scherzare quanto voleva; Ballora aspettava la primavera, anzi la sentiva già, nell’aria, nel cielo, e soprattutto nel suo sangue giovane e ardente. Una mattina, agli ultimi di marzo, il Sindaco venne a trovare zio Ballore, e gli disse:

— Vostro figlio Zoseppe ha oramai quindici anni, non è vero? Che farà egli?

— Seguirà i suoi zii, se il Signore non mi farà guarire, — rispose zio Ballore.

— Senti, Predas A’, — riprese il Sindaco, guardandosi attorno, — devo domandarti un piacere. Tu conosci Miale Ghisu; tu sai che egli è uno dei più ricchi proprietari di Nuoro, e possiede terre anche nei nostri salti. Egli m’ha scritto che verrà qui, in cerca d’un servetto pastore. Perchè non gli dài Zoseppe?

Il malato fece un gesto d’impazienza, poi rispose lentamente:

— I Pintore non sono stati mai servi: poveri sì, ma servi mai...

— Non adirarti, Ballore Pintò. Se io ti ho fatto la proposta, è segno che la credo conveniente per [p. 129 modifica] te. Miale Ghisu è un giovane ricco, che potrebbe farti qualche favore...

— Io non ho bisogno di favori.

— Ad ogni modo pensaci bene: stasera tornerò col Ghisu, se egli arriverà. E dov’è oggi sa bella manna?2 È andata in giro? M’han detto che l’hanno veduta scappare verso le pianure di Ozieri.

— Andare in giro! — rispose con voce lamentosa zia Franchisca, sorella del Pintore, che scardassava con due pettini di ferro un mucchio di lana nera. — Ci vuol altro, cuore mio; con questi panni da lutto!

— Ho scherzato — rispose serio il Sindaco, che rispettava gli usi del paese.

— Dunque a stasera. Dite a Ballora che si lasci vedere. Vedrà un uomo più bello ancora di Tiu Matteu.

Ballora, che puliva la farina nella domo ’e mola3 attigua alla cucina, udì queste parole, e il suo viso bianco, quasi cereo come quello d’una Madonna sciupata dall’umidore d’un luogo freddo e chiuso, si coprì d’un rossore fosco. Lagrime di rabbia e di desiderio le velarono i grandi occhi neri dalle lunghe ciglia.

— Ce l’ha con me, quell’avoltoio — disse alla zia, quando Franchisca entrò nella domo ’e mola per ricolmare di frumento il moggio; — ma,

[p. 130 modifica] vedrete stasera lo faccio arrabbiare. Voglio guardare il forestiere.

— Una fanciulla ben nata non deve parlare così, — disse severa la zia; — non deve guardare gli uomini, tanto meno se stranieri.

— I miei zii non ci sono, per potermi osservare, — pensò Ballora, senza rispondere alla zia. — Mi metterò in piedi, davanti al forno, perchè mio padre non mi veda.

E non sapeva se era il desiderio di far dispetto al Sindaco o l’ansia di veder «un uomo più bello di Tiu Matteu» che l’agitava tutta.

Il Sindaco tornò verso sera, accompagnato dal giovane nuorese.

I Pintore, donne, giovinetti, fanciulli, finivano di cenare, seduti per terra, intorno a un canestro colmo di pane d’orzo. Nel chiaroscuro della cucina piena di fumo, Miale Ghisu non distinse sulle prime che un gruppo di figure quasi selvagge; donne col capo avvolto e il viso ombreggiato da bende nere e gialle, ragazzi dai capelli lunghi, bambini dagli occhioni luminosi, e un gigante sdraiato su una stuoia, accanto al fuoco.

E solo questo gigante, ch’era zio Ballore, sollevò gli occhi, salutando lo straniero: le donne [p. 131 modifica] anch’esse salutarono, ma a testa china; poi si alzarono e sparecchiarono.

Il Ghisu sedette accanto al focolare e cominciò a chiacchierare col vedovo.

— Ho bisogno d’un servetto: ma d’un servetto fidato, docile, malleabile. Ne farei un abile pastore: gl’insegnerei a fare il formaggio come lo fanno in continente.

Zio Ballore sorrise con disprezzo.

— Che bisogno abbiamo di fare il formaggio come lo fanno in continente? È forse mal fatto il nostro formaggio? Ad ogni modo, figlio mio, io non posso favorirti; i miei figli non sono docili, non sono nati per fare i servi…

Miale guardò verso il gruppo dei fanciulli, poi sollevò gli occhi e vide, nello sfondo della cucina, la figura alta e svelta di Ballora.

Ella aveva ripreso il suo fuso e filava, e quando le zie non la guardavano, fissava avidamente gli occhi sul volto dello straniero.

Miale era bello e lo sapeva, ma non per questo gli sguardi d’una donna, specialmente se giovane e bella come Ballora, lo lasciavano freddo. Inoltre egli sapeva che i compaesani di Ballora pretendono che le loro donne non guardino gli uomini degli altri paesi: tanto più gli sguardi avidi e arditi della bella filatrice lo eccitavano. Anch’egli cominciò a guardarla.

— No, — riprese zio Ballore — non siamo nati per fare i servi. Poveri sì, ma padroni in casa nostra. Siamo sette fratelli, tu lo sai, otto con [p. 132 modifica] nostro cognato Bastianu Piras: io ora sono invalido, ma gli altri lavorano tutti. Siamo poveri, — ripetè con fierezza — ma siamo uniti, andiamo d'accordo e perciò siamo più ricchi e potenti del vicerè. Ci chiamano Predas Aspras, e davvero siamo rozzi, ma se non ci molestano non molestiamo nessuno.

— Sì, sì, lo so, — disse il Ghisu, per lusingare zio Ballore — so che siete gente forte e onesta. Appunto per questo vi proponevo…

— Ebbene, non parliamo più della tua proposta: parliamo d'altro. Io ho conosciuto tuo padre, sai: ho preso in affitto le sue tancas, molti e molti anni or sono. Un uomo astuto, tuo padre, parlava bene come un avvocato. Diceva che i sette fratelli Pintore, come sos sette frades4 del cielo, non si sarebbero separati mai. E fu così.

— Anche il figlio è un giovane astuto, — disse il Sindaco, che s'accorgeva degli sguardi sempre più insistenti di Ballora e del nuorese, e ne provava dispetto. — Non sai, Predas A', che è riuscito a far innamorare di lui la ragazza più benestante di Nuoro?

Il fuso di Ballora cadde per terra.

Miale abbassò la testa, sospirò e disse con tristezza:

— Io? Io non penso alle ricchezze, zio Ballo'; sono i parenti che ci pensano!

— Diavolo, questo non t'impedisce di sposare una donna ricca, — osservò il Sindaco. [p. 133 modifica]

Ballora raccolse il fuso, riattaccò il filo e riprese a filare. Era diventata pallidissima e il suo fuso tremolava lievemente, invece di scendere e salire rapido e sicuro come prima.

— Sposare, — disse il nuorese, guardandola — si fa presto a dirlo. Chissà? Il nostro destino è nelle mani di Dio, come il fuso è nelle mani di quella fanciulla.

— Speriamo non gli cada di mano, però, — rispose il Sindaco, ridendo.

— Franchisca, portaci da bere. Tu vorrai del vino, non del miele, credo! — disse poi zio Ballore, volendo distrarre Miale Ghisu che era diventato triste.

La donna portò il vino: zio Ballore cominciò a raccontare storielle, le donne ripresero i loro fusi, i ragazzi s’avvicinarono al fuoco, Ballora e il nuorese continuarono a guardarsi. E il Sindaco fingeva di non accorgersene, ma ogni tanto, contro la sua abitudine, diceva parole dispettose.

Ballora aveva raggiunto il suo scopo, ma ormai ella non s’accorgeva più della stizza del Sindaco, e quando egli parlava di Tiu Matteu, ella non pensava più allo zio lontano.

Nei giorni seguenti accadde un fatto strano che interessò vivamente tutte le donnicciuole del villaggio. [p. 134 modifica]

Ballora cadde ammalata. Accessi di febbre frotissima, delirî e convulsioni la tormentarono lungamente; poi cadde in una specie di sopore febbrile, dal quale non si scuoteva che per dire parole strane. E tentava sempre di scappare.

Zia Franchisca doveva vegliarla giorno e notte, e spesso chiamava le sorelle e i nipoti per farsi aiutare a tener ferma sul letto l’ammalata.

Nei suoi delirî Ballora parlava sempre del giovane nuorese, lo chiamava per nome, gli diceva parole d’amore e lo scongiurava di ricordare i suoi giuramenti, e di ritornare, di portarla via, di farla sua.

Zia Franchisca finì col credere che fra Miale Ghisu e Ballora fossero passate relazioni amorose. Ma quando la fanciulla riprendeva i sensi non rispondeva alle domande della zia, e piangeva silenziosamente.

In poco tempo ella si consumò, diventò magra, gialla, scheletrica. Nel suo volto deformato non si notavano che gli occhi e i denti sporgenti.

I Pintore decisero di chiamare il medico, ed egli — esaminò a lungo la malata, ma non seppe definirne la malattia, o meglio la definì con un nome incomprensibile: «Isterismo».

Voci strane si diffusero allora per il paese: molti affermarono che Ballora era stregata, altri dissero che aveva bevuto un filtro amoroso.

Gli zii tornarono dalla pianura. Una bella mattina, verso la fine d’aprile, zio Matteu spinse l’uscio della camera ove Ballora gemeva, e si fermò a [p. 135 modifica] guardar la nipote. Alto, biondastro, vestito di nero e di rosso, coi capelli lunghi, egli sembrava un eroe preistorico, e aveva negli occhi selvaggi qualche cosa di feroce e di melanconico assieme.

— Donnicciuola, — egli disse a zia Franchisca, — sai le voci che corrono per il paese? Si dice che la fanciulla pronunzi sempre il nome di un uomo, di un nuorese…

— Ebbene, sì, — rispose la donna. — Una sera venne da noi un giovane nuorese. Ballora lo guardò, egli la guardò, così almeno afferma il Sindaco. Altro non so.

— E tu, vecchia, avevi gli occhi forati? Non vedevi quello che succedeva in casa tua?

Poi zio Matteu s'avvicinò al letto, ove Ballora gemeva e vaneggiava. Ella non riconobbe lo zio, ed egli s'allontanò, asciugandosi gli occhi con una ciocca della lunga barba.

Il giorno dopo Miale Ghisu, mentre si trovava in una sua tanca, ricevette un messaggio bizzarro:

— I fratelli Pintore vogliono sapere se è vero che tu hai promesso amore alla loro figlia e nipote Ballora. Rispondi subito, se non vuoi ricevere qualche torto.

Miale non si ricordava più di Ballora, e avrebbe riso, ricevendo il messaggio, se in quel momento non fosse stato di cattivo umore. Rispose:

— Dite ai fratelli Pintore che Miale Ghisu fa quello che gli pare e piace.

Questa risposta, naturalmente, dispiacque ai Predas Aspras. Zio Matteu diventò furibondo. [p. 136 modifica]

— Ma è impossibile che Ballora abbia avuto relazioni amorose: anzi non è uscita di casa durante tutto l’inverno, — osservò zio Ballore.

— La malattia ha indebolito anche la tua anima, — rispose zio Matteu; — tu sta’ zitto. Le donne sono più agili e sottili dei rettili, e, come le lucertole, sanno passare attraverso i buchi più stretti.

Ma mentre egli parlava così male delle donne, ecco arrivò Miale Ghisu.

Il giovane sembrava triste, compunto. Domandò di vedere Ballora; quando la vide, così gialla e cadaverica, fece una smorfia di disgusto, ma si avvicinò al letto, si curvò, e domandò:

— E dunque, come stai, Balloredda?

La malata lo guardò, ma parve non riconoscerlo o non curarsi di lui. Egli rimase contento di quest’accoglienza, andò via e promise di tornare.

Infatti pochi giorni dopo ritornò: le sue visite diventarono frequenti, e subito si sparse la voce che egli aveva sedotto Ballora e che Ballora moriva d’amore per lui, e che i fratelli Predas Aspras avevano minacciato di ucciderlo se non sposava la ragazza.

Queste voci volarono, scesero fino a Nuoro, dispiacquero molto alla fidanzata del Ghisu. Questa, che era molto brutta, avrebbe volentieri perdonato; ma i parenti, gente boriosa e superba, non vollero più saperne di imparentarsi con uno che s’era abbassato a sedurre una paesana, una montanara selvaggia. Poco male una ragazza di città, una serva nuorese, ma una dei paesi!... [p. 137 modifica]

Il Ghisu fu dunque «mandato via», ed egli non parve addolorarsene molto. Di tanto in tanto continuava a recarsi al paese di Ballora, e visitava i Pintore. Di matrimonio, naturalmente, non si parlava, perchè la fanciulla stava sempre male; ma verso la fine d’estate, quando le prime pioggie rinfrescarono l’aria e ripulirono alquanto le strade immonde del villaggio, Ballora si sentì meglio. Il suo viso cereo si colori, i suoi occhi s’animarono. Un giorno ella vide presso il suo letto la figura alta e bella dello zio Matteu e s’accorse che egli la guardava fisso, con uno sguardo tenero e ardente. Anche lei lo guardò; egli uscì dalla camera senza pronunziar parola, e andò dal Sindaco.

La casa comunale, non più alta delle altre case del villaggio, sorgeva sull’orlo della valle; dalla porta si scorgeva un meraviglioso panorama di valli e montagne, e in lontananza Nuoro appariva bianca e rosea sulla cresta verdognola della vallata d’Isporosile.

Il Sindaco fumava la pipa, seduto sul gradino della porta, e leggeva una lettera del Sottoprefetto di Nuoro.

— Alzati, e vieni con me. Devo parlarti — disse Matteu Pintore.

Senza muoversi il Sindaco sollevò gli occhi beffardi, e disse con ironia:

— Vieni forse per domandare le pubblicazioni di matrimonio di tua nipote?

— Forse: alzati, — ripetè l’altro, quasi minaccioso. [p. 138 modifica]

— Oh, oh! Ha fatto la domanda, Mialeddu?

— Non l’ha fatta ancora.

— Ebbene, se non l’ha fatta ancora, non affrettarti, Predas A’, perchè egli tarderà a farla.

— Che ne sai tu?

— Ebbene, — disse allora il Sindaco, alzandosi e ripiegando la lettera — voglio dirti una cosa, Matteu Pintò, poichè mi dispiace che i miei compaesani passino per gente stupida: credo che Miale Ghisu non abbia mai guardato Ballora. Voi tutti avete sognato.

— Ma, allora, perchè viene da noi? Perchè s’è fatto mandar via dalla fidanzata? Ha forse paura di noi?

— Io non so nulla — rispose il Sindaco, sollevando le mani come per allontanare da sè ogni responsabilità.

Matteu Pintore stette varî giorni pensieroso e inquieto: infine decise d’interrogare Ballora.

— Sì, è vero, — ella disse con la sua voce languida di convalescente — l’ho guardato io, per la prima: egli non mi guardava...

— Sfacciata, perchè l’hai fatto?

— Non mi sgridate: l’ho fatto per far stizzire il Sindaco, il quale si burlava sempre di me…

— Perchè si burlava sempre di te, quel nibbio senza artigli? Devi subito dirlo, Ballora, altrimenti m’adiro.

Ballora arrossì, ma perchè lo zio non s’adirasse dovette rispondere.

— Egli diceva sempre che io… pensavo a voi... [p. 139 modifica]

— Ah! ah! — Zio Matteu s’alzò, s’avvicinò alla parete, prese un canestro che stava attaccato ad un chiodo, lo guardò, lo riattaccò, stette a fissare il muro. Poi uscì dalla camera senza pronunziar parola.

Miale Ghisu ricevette un altro messaggio: «I fratelli Pintore ti proibiscono di ritornare nella loro casa».

— Salute a loro, — rispose il giovane, ridendo. E porse una zucca di vino all’uomo che aveva recato il messaggio. L’uomo bevette, e vedendo che il Ghisu accoglieva allegramente l’ambasciata, gli fece per conto suo una confidenza:

— Pare che la ragazza abbia cambiato idea: non vuole uscire di famiglia, vuol sposare lo zio.

— E lo zio?

— Lo zio vuol sposare la nipote.

— Buona fortuna, allora. Bevi, uomo!

E quando l’uomo fu partito Miale Ghisu fu tutto contento di non pensar più al come liberarsi della seconda fidanzata che lo aveva liberato della prima.


Note

  1. Pietre Aspre.
  2. La bella grande, la molto bella.
  3. Casa della mola: locale ove c’è l’antica mola tirata dall’asinello.
  4. I Sette Fratelli: l'Orsa Maggiore.