Il povero superbo/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Pancrazio.

Pancrazio solo.

È bene una gran cosa

Che viver non si possa a modo suo,
E che cerchi ciascuno i fatti altrui,
Senza pensare, e provedere i sui.
Vengo in campagna, e qui goder io bramo
La dolce libertà;
E in questa casa a forza ognor vien gente.
Vengo per divertir la mia figliuola,
Che sempre non stia sola
Serrata in quattro mura,
Ma neppur qua so ben se sia sicura.
Vengo alfin per scoprire
A Lisetta il mio cuor tenero e caldo,
E finora parlarle
Non potetti, e il mio amor manifestarle.
Più lontano anderò, sì, più lontano
E nascosto ad ognun... Ma poi Lisetta
Che farà? Verrà meco
Lisetta ancor; ma s’avvicina... Oh quanto
È vaga ed ammirabile:
Oh quanto, oh quanto sei, Lisetta, amabile.

SCENA II.

Lisetta e detto.

Lisetta. Che fu, signor padrone,

Che v’ho fatt’io? Mi pare

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Che più ben, come pria, non mi volete.

Pancrazio. Perchè dite così? perchè temete?
Lisetta. Perchè questa mattina
Voi detto non m’avete una parola;
Ero usata a sentirmi
In camera chiamare, ed ordinarmi
La cioccolata ed il caffè,
Ma questa mane poi,
Nulla, caro padron, feci per voi.
Quando vi sono accosto,
Solo giubilo e godo,
E provo doglia ben sì cruda e strana,
Quando al caro padrone io son lontana.
Pancrazio. Anch’io se teco sono,
Cara Lisetta mia, vivo contento;
Ma non vedi che folla
Di forestieri è stata ad imbrogliarmi?
Lisetta. Che volete voi far? vi vuol pazienza1.
Pancrazio. Tutto va ben, ma con più pace, e senza
Disturbi, io viver voglio,
E perciò ritirarmi più lontano.
Non dormir la mattina il suo bisogno,
Cenar tardi, e star sempre in soggezione.
Non è buon per mia debol complessione,
Io spendo, e in complimento
Mi rovino per gli altri, e però penso
Allontanarmi più: che te ne pare?
Su questo che sapresti consigliare?
Lisetta. Non so che dir: padrone,
Voi ben dite e pensate,
Per quanto a voi conviene,
Ma di me, poveraccia,
Che cosa sarà mai? (piange

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Pancrazio.   Cara Lisetta,

Non pianger, per pietà. Di che paventi?
Ch’io ti lasci giammai? Oh non temerlo.
Meco, meco verrai,
Meco, Lisetta mia, tu resterai.
Lisetta. Ma in questo che direbbe
La gente avvezza a mormorar per nulla?
Un’onesta fanciulla
Sola in casa d’un uom, lontana ai suoi,
Con un padron non tanto vecchio ancora...
Basta...
Pancrazio.   Tu dici bene;
Se fossi vecchio assai,
Nulla da sospettar non vi sarebbe.
Ma pur v’è la mia figlia.
Lisetta.   È ver, ma presto
Maritarla dovrete.
Pancrazio.   Io dovrò farlo.
Lisetta. E allora resterem noi soli in casa?
Oh poveretta me! cosa vorrete
Che di noi dica il mondo?
Pancrazio. Dunque restar potresti
Così senza di me?
Lisetta.   Restar potrei?
Eh no, signor padrone!
Se mi lasciate qua, certo morrei;
Allevata da voi,
Vi stimo come padre.
Pancrazio.   Ed io da figlia.
E pur, se non volete
Meco venire, vi vorrà pazienza;
Veggo ben, che di me poco vi preme,
E che qualche genietto
Vi tiene il cuor tra’ lacci suoi ristretto.

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Lisetta. Padrone, se ho morosinota,

Il diavolo mi porti, e prego il Cielo
Che... Basta, io non penso
Ad alcuno...; ma piano
Con questi giuramenti: oh, che purtroppo
Penso a persona, che mi sta nel cuore.
Pancrazio. Ah? brava! non l’ho detto?
Si può saper del vostro amor l’oggetto?
Lisetta. Io lo direi... Ma...
Pancrazio.   Dite
Con libertà.
Lisetta.   Che ve lo dica; e poi?
Pancrazio. Parlate pur, dite, chi è?
Lisetta. L’oggetto del mio amor siete sol voi.
Pancrazio. Io, cara?
Lisetta.   Signor sì.
E voi potreste poi lasciarmi qui?
  Voi lasciarmi? Oh questo no;
  Caro, caro padroncino,
  Quel visetto tenerino
  M’ha ferito il concino.
  Voi lasciarmi? io morirò.
  Padroncino dolce, dolce,
  O d’amarmi risolvetenota,
  O rendetemi il mio cor.
  Lo vedete, son ferita,
  Sono morta... Oimè, pietà...
  Voi lasciarmi? Oh questo no.
  Padroncino bello, bello,
  Voi vedete
  La mia vita...
Più non posso, oh dei, soffrire
Il martire - dell’amor. (parte
nota Voce dialettale. nota Tetto: rissoloete.

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SCENA III.

Dorisbe e Pancrazio.

Pancrazio. Oh quanto è cara e buona

Quella ragazza mia.
Dorisbe.   Padre diletto,
Tempo mi par che risolviate 2 un poco
Del mio stato futuro.
Pancrazio. Oh sì, ci penso, figlia mia, sicuro;
Ma tu sei giovanetta,
Nè manca tempo a cercar stato ancora.
Dorisbe. È vero, genitor, ma gli anni miei
Cominciano a lasciare il più bel fiore.
Ed inquieto in seno io sento il core.
Pancrazio. Ami tu forse?
Dorisbe.   Oh dei! Padre, purtroppo
Amor mi strinse in sue ritorte amiche.
Pancrazio. E chi ami tu?
Dorisbe.   Di Montebello il conte.
Pancrazio. Ed ei ti corrisponde?
Dorisbe.   Io così spero.
Pancrazio. E ben, sposa sarai del cavaliere.
Dorisbe. E di qual cavaliere?
Pancrazio.   Non dicesti
Che tu ami il cavalier di Montefosco?
Dorisbe. No, no, di Montebello
Il gentil conte adoro.
Pancrazio.   E vuoi tu quello?
Dorisbe. Se vi piace così, son paga anch’io;
E questo, io dico il vero, è il genio mio.

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SCENA IV.

Scrocca 'e detti.

Scrocca. È permesso venir?

Dorisbe.   Che vuol costui?
Pancrazio. Venite pur, cosa volete?
Scrocca.   A voi,
Lustrissimo signor, con permissione
Vorrei spiegare un mio concetto solo.
Pancrazio. Parlate, che volete?
Scrocca.   A vossustrissima
Umilmente perdono
Chiedo, padrona mia riveritissima.
Dorisbe. Vi son ben obbligata.
Scrocca.   Ah, mi condanni
Il disturbo, illustrissima padrona 3.
Dorisbe. Nulla, nulla, parlate.
Scrocca.   Io non sapevo
Che la fosse qui sola
Con il nobile suo padre illustrissimo. (a Dorisbe
Pancrazio. Ma via, cosa volete?
Abbastanza lustrato ormai m’avete.
Scrocca. Non vorrei che diceste,
Che questo è troppo ardir.
Dorisbe.   Ma via, parlate
Con libertade.
Scrocca. Oh, per amor del cielo,
La mi scusi, signore.
Pancrazio.   Oh che seccaggine!
Ma dite che volete, e le parole
Buttate fuori...
Scrocca.   Io qui sono mandato
Dal cavalier lustrissimo padrone.
Pancrazio. Che vuol da me?

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Scrocca.   Parlarvi.

Pancrazio.   E tanto vi voleva?
Scrocca. Oh dei! forse è sdegnato,
Lustrissimo signor? Ei m’ha mandato.
Pancrazio. Nulla, nulla, che venga.
Scrocca. Se vado dunque, e lui verrà fra poco.
Dorisbe. (Oh che tormento, io me ne sto nel fuoco). (da sè
Scrocca. Umilissime grazie
Alla bontà grandissima
Di vostra signoria sempre illustrissima.
Pancrazio. Andate pur, non occorr’altro4.
Scrocca.   Ho inteso.
Verrà...
  Permetta intanto.
Pancrazio.   Andate in pace,
Già m’avete seccato.
Scrocca. Ah, la permetta...
Pancrazio.   Ho inteso, andate là.
Scrocca.   Signor, la supplico
(vuol baciare la mano a Pancrazio
A permetter che baci a lei la mano,
Solo perchè non l’ho pregata invano.
  Vengo, illustrissimo,
  Le sue carissime
  Grazie a ricevere.
  A vossustrissima
  Io do il buon giorno,
  Di vossustrissima
  Grazie ritorno
  Alla bontà.
  Un cuor ch’è nobile,
  Un cuor magnanimo,
  Sempre conoscere,
  Padron lustrissimo,
  Sempre si fa. (parte

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SCENA V.

Dorisbe e Pancrazio.

Pancrazio. Maledetto colui,

Con tante cerimonie ei m’ha stordito,
Nè mi ricordo più cosa m’ha detto.
Dorisbe. Vi disse, che voleva
Parlarvi il cavaliero.
Pancrazio. Ho inteso è ver. Vado al gastaldo, e voglio
Che il bisogno gli dia.
Dorisbe. Ma padre, qual sarà la sorte mia?
Pancrazio. Sarà la vostra sorte... si farà...
Deh, lasciatemi star per carità. (parte

SCENA VI.

Dorisbe ed il Conte di Montebello.

Dorisbe. Oh misera Dorisbe! 11 tuo destino

Prende un pessimo aspetto,
E il cuor balzando tel predice in petto.
Oh conte, oh conte mio,
Nè ancor vi veggo... Eccolo appunto.
Conte.   Oh cara,
Qual pena vi conturba
Il sereno del ciglio, e insiem del cuore?
A’ nostri voti corrisponde amore?
Dorisbe. Io lo spero, mio ben, ma il padre mio
Come indur non saprei
A stabilire i vostri preghi e i miei.
Facile a smenticarsi
Le promesse, i pensieri,
Fa che dubiti sempre, o poco speri.
Conte. E dunque, che farem?
Dorisbe.   Soffriamo un poco;

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A tentarlo ritorno,

E voglio terminarla in questo giorno.
Conte. Adorato mio bene,
Volentieri sopporto
Il dolce peso delle mie catene;
Ma se perdo, mia vita, ogni speranza,
Per sostenermi, oh dei, che più m’avanza?
Dorisbe. Ma voi parlar non gli faceste?
Conte.   Io credo
Che a quest’ora parlato
Il cavalier gli avrà, se n’è impegnato.
Dorisbe. Voglia il Cielo che ascolti
Le sue proposte il genitor che m’ama;
E che voglia arricchirmi d’un tesoro,
Concedendomi voi, che solo adoro.
Conte. Come, ne dubitate?
Dorisbe.   Oh dei! mio bene,
Così sperar e dubitar conviene.
Conte. Così parlando a chi v’adora, o cara,
Infondete nel sen doglia più amara.
  A questo dubbio atroce,
  Ah, che morir mi sento,
  Io perdo e moto e voce,
  E l’aspro mio tormento5
  Non posso più soffrir.
  Tener l’amato oggetto
  Vicino agli occhi e al cuore,
  E aver con esso in petto
  Di perderlo il timore,
  È un duol che fa languir. (parte

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SCENA VII.

Dorisbe sola.

Amore, amor fecondo,

Volgi lo sguardo a chi ti sacra il petto.
Se il fato mi divide
Da quello del mio fuoco,
Sì pregiabile6 oggetto,
Quale, oh numi, sarà la vita mia?
Sempre in pene ed affanni
Passerò sospirando i più begli anni.
  Se dell’anime fedeli
  Tu secondi i voti, amore,
  Deh, seconda del mio core
  Anco i voti in questo dì.
  Non soffrir che le crudeli
  Smanie ree de’ sventurati
  Turbin cuori amanti amati,
  Cui ragione i lacci ordì
  Il piacer di questo cor7.

SCENA VIII.

Gabinetto in casa di Pancrazio.

Madama e Pancrazio.

Madama. Io la voglio così, non replicate.

Se vi piace l’offerta,
Abbracciatela tosto, o me ne vo.
Pancrazio. Bene, ho inteso. Madama, io penserò.
Madama. Non v’è tempo a pensar, via risolvete.
Io son ricca, il sapete,

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Son bella, lo vedete,

Son buona, il proverete; e poi, e poi,
Pare che nata apposta io sia per voi.
Pancrazio. Grazie, grazie, madama. Io mi ricordo
Assai ben la lezione.
Madama.   Replicatela.
Pancrazio. Diceste, che volevi8
Piante da seminar nel giardinetto.
Madama. Il diavol che vi porti! I
Parlai del matrimonio progettato.
Pancrazio. Della figliuola mia non ho parlato.
Madama. Ma scusate, Pancrazio,
Questa maniera vostra è assai incivile;
Non son donna sì vile,
Che meriti per scherno esser trattata
Con sì poca creanza.
Pancrazio.   Oh Ciel! Madama
Mi torni a replicar ciò ch’ella brama.
Madama. V’ho detto di sposarvi.
Pancrazio.   Oh bene, oh bene!
Madama. Ma con patto però, che mi lasciate
In libertà di far ciò che mi piace.
Pancrazio. Oh brava, oh brava! viveremo in pace.
Madama. Di mode e servitù farò provvista 9;
Io vo’ gioie e carrozza,
E come s’usa in oggi dalla gente,
Io doppio voglio il cavalier servente.
Pancrazio. Abbiatene anche tre, nulla m’importa.
Madama. Nel teatro vuò palco,
E vuò conversazione
Tre giorni almen la settimana.
Pancrazio.   È giusto,
Madama ha ben ragione, io ci ho10 gran gusto;
E poi...

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Madama.   E poi il mio core

Solo per voi sarà arrostito e cotto.
Voi sarete il mio ben (oh che merlotto!).
Pancrazio. Eh via, rider mi fate.
Madama.   Un altro scherno!
Pancrazio. No, madama, vi dico esser il riso
Dell’interno piacer segno ben chiaro.
Madama. Io dunque al matrimonio mi preparo.
Pancrazio. Ella è padrona.
Madama.   A me dunque la mano
Di sposo porgerete?
Pancrazio.   Oh piano, piano.
Le cose non vo’ far con tanto a fretta11,
E consigliar mi voglio con Lisetta.
Madama. Oh bella, oh bella, affé. Voi posponete
Ad una serva vile una signora
Che vi stima cotanto, e che v’adora?
Figlia d’un generale de’ cavalli,
Son ricca d’ogni ben che amor comparte;
Orsù, poche parole,
Non mi merita, no, chi non mi vuole.
  Un brutto vecchiaccio,
  Stizzoso, insolente,
  Non speri godere
  Di donna gentile
  L’amore e la fè.
  Il vero vi dico,
  Io voglio al mio lato
  Un giovin garbato,
  Che meriti amor.
  Stizzozo vecchietto,
  Vi mando e stramando,
  Non fate per me.

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SCENA IX.

Pancrazio, poi il Cavauere.

Pancrazio. Che gran fortuna io perdo!

Pianger mi converrà la mia disditta.
Cavaliere. Oh galantuomo, quel ch’è stato, è stato;
Vi perdono, già il caldo m’è passato.
Pancrazio. (Oh che boria! Oh che fumo!) (da sè
Cavaliere. V’ho da parlar.
Pancrazio. Lungo negozio?
Cavaliere. Breve;
Datemi da seder.
Pancrazio. Se è l’affar lungo,
Più tosto...
Cavaliere. lo vo’ sedere.
Pancrazio. Oh subito, illustrissimo, la servo.
Lisetta, vieni qua.

SCENA X.

Lisetta e detti.

Lisetta. Che volete, signor?

Pancrazio.   Porta una sedia;
Che questo galantuomo
Vuole...
Cavaliere.   Che galantuomo? a chi parlate?
Pancrazio. Oh, non mi ricordai. Signor, scusate.
Lisetta. Ma insomma che volete?
Cavaliere. Lisetta, da sedere.
Lisetta. Ora vi servo.
(Lisetta parte e poi ritorna
Cavaliere. Oh! che bella ragazza!
Pancrazio.   È cameriera

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Di mia figlia Dorisbe...

Cavaliere.   E insiem di voi...
Pancrazio. Vuol saper troppo.
Cavaliere.   C’intendiam fra noi12.
Lisetta. Ecco le sedie: volet’altro?
Cavaliere.   Addio.
Lisetta. Che spiantato che siete, o padron mio.
  Spennacchiato barbagianni
  Mi parete, o padron mio,
  Che facendo va così.
(s’alza ed s’abbassa, imitando il moto del barbagianni
  Mi parete un civettone,
  Che gli augelli abbia desio
  D’ingannar sul far del dì.
  Ma non son per vostri inganni
  Un merlotto, pettorosso,
  Vi conosco,
  Vi disprezzo,
  Di voi rido,
  Civettaccio,
  Maledetto spiantatacelo,
  Io di voi non so che far.
  Io vi dico in confidenza,
  In presenza del padrone,
  Se volete, ch’io vi mando13
  Sino a farvi ben girar. (parte

SCENA XI.

Il Cavaliere e Pancrazio.

Cavaliere. Che insolenza... cospetto! (siede

Pancrazio.   E via, signore,
Non si riscaldi il sangue.
Cavaliere. Or ora è stato al mio palazzo il conte

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Di Montebello, e mi baciò la mano,

E come che egli gode...
Pancrazio. Con buona grazia. (siede
Cavaliere.   La mia protezione,
Egli m’ha confidato,
Che della figlia vostra è innamorato.
Gli ho fatto dar la cioccolata, e intanto
Il tutto mi narrò,
Ed umilmente poi mi supplicò
Che parlar vi volessi. Io consolarlo
Promisi tosto, e come siamo in villa,
Coll’occasion che per di qui passai,
Visitarvi Pancrazio io non negai.
Venni in persona a domandar per lui
La vostra figlia bella,
E fo miei propri i desideri sui.
Pancrazio. Attonito rimango
Dell’onor che mi fa
L’illustrissimo... oh bella!
Non mi ricordo il nome...
Cavaliere. Il cavalier del Zero.
Pancrazio. Sì, sì, me lo ricordo, è vero, è vero.
Poichè passò di qui, sendo in campagna,
Un onor così grande egli mi fa;
Del resto un tal signor di qualità
Incomodato no non si saria
Di decorar così la casa mia.
Cavaliere. Eh, siamo in villa. E ben, che rispondete?
Pancrazio. Io gli dirò con libertà sincera,
Ho da fare un pochetto, e la mia figlia
Dar non posso a... chi mai? chi fu mai quello?
Cavaliere. Pel conte la chies’io di Montebello.
Pancrazio. Ho la bella memoria! un tal soggetto
Merita una gran stima,
Ma colla figlia mia vo’ parlar prima.

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Cavaliere. Bene, ritornerò.

A che ora pranzate?
Pancrazio. Io non lo so.
Cavaliere, Io mi figuro a mezzodì sonato.
Pancrazio. Qualche volta a quell’ora ho già pranzato.
Cavaliere. Dunque verrò più presto.
Ma se vi trovo a tavola,
Non vorrei aspettar.
Pancrazio.   Se i pari suoi...
Cavaliere. Sì, sì, v’ho inteso, io pranzerò con voi.
Pancrazio. Mi dispiace che lei...
Cavaliere. Sendo a tavola insieme,
Potremo ragionar di quel che preme.
Pancrazio. Ragionare di che? non mi ricordo.
Cavaliere. Fate lo smemoriato, e fate il sordo?
Torneremo da capo a desinare.
Pancrazio. Venga. (Per una volta si può fare). (da sè
Cavaliere. E se a pranzo si dee tutto concludere,
L’ora prefissa anticipar conviene.
(Questa mattina io mangierò pur bene). (da sè
  Amico grandissimo,
  Io vo’ compiacervi,
  Voi siete dolcissimo
  Nel chieder favori;
  Verrò, non temete,
  All’ora prescrittami,
  A pranzo verrò.
  Onor così piccolo
  Ad uno che prega
  Con grazia ed ossequio,
  Conceder si può;
  All’ora prescritta,
  Pancrazio, verrò.
  (E intanto la fame
  Così lascierò). (da sè, e parte

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SCENA XII.

Pancrazio e poi Lisetta.

Pancrazio. Che superbo curioso!

Non sputa che grandezze! Oh quanto è strana 14
La povertà superba,
Massime in chi pel vizio
Miserabil si trova15, e in precipizio.
Ei vuol... non mi sovviene.
Ei venne... Oh Ciel, perchè?
Mi par che venne per sposarsi a me.
Questa sì ch’è graziosa,
Il povero Pancrazio è fatto sposa.
Lisetta, o mia Lisetta,
Vien qua, m’ascolta.
Lisetta. Oh buone nuove assai!
Pancrazio. Ridi, Lisetta mia.
Lisetta.   Perchè?
Pancrazio.   Trovai
Un uomo che mi vuol.
Lisetta.   Rido davvero.
Chi è questo?
Pancrazio.   Il conte... no.
Lisetta.   Nè il cavaliere?
Pancrazio. Oh sì, fu quello appunto.
Ma dimmi, non sarebbe un matrimonio
Bello invero e gentile?
Lisetta. Veder non si potrebbe altro simile.
Pancrazio. Volo a dirlo a Dorisbe.
Lisetta.   Meno fretta,
Forse avrete sbagliato.
Pancrazio. No, no, non sbaglio no, son maritato.
Forse non ho un bel viso?

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  Forse non ho un hel naso?

  Il merito ravviso
  Di chi m’ha persuaso;
  Oh cara, oh bella cosa!
  Lisetta graziosa,
  Con te mi sposerò.
  Allora che diranno,
  Smorfiose, pontigliose,
  Tante che l’esser spose
  Speravano con me?
  D’invidia creperanno16;
  Fra tanto io goderò. (parie

SCENA XIII.

Lisetta ed il Cavaliere.

Lisetta. In verità, del mio padrone il genio

Molto allegro mi sembra, e in compagnia
Non può di lui regnar malinconia.
Cavaliere. Lisetta, a che ora suole
Pranzare il tuo padrone?
Lisetta.   Ei chiede in tavola
Tosto che è ritornato.
Cavaliere. (Dunque gli è 17 ben che io abbia anticipato). (da sè
Lisetta. È forse del padrone
Commensale anche lei?
Questa cosa da ver la goderei.
Cavaliere. Da lui volea saper... Ma siete appunto
Opportuna, Lisetta,
Ad appagare il genio mio.
Lisetta.   Comandi.
Cavaliere. Quanto di dote alla sua figlia serba
Questo signor Pancrazio?
Lisetta. Io non lo so;

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Secondo l’occasione, io crederò.

Cavaliere. Mille ducati deve darli a me;
Ed allo sposo il pro,
Con un cinque per cento io pagherò.
Lisetta. Ma ella vede ben... convien che tutta
La dote egli consegni in man di lui.
Cavaliere. Siamo intesi fra noi,
Gli fo distinta grazia
Tal somma ad impiegar con sicurezza.
Lisetta. Trattandosi di dote,
Veder bisogna i fondamenti.
Cavaliere. Bene. Già lo sposo è contento. Egli assicura
Su’ suoi beni la dote,
E impedir non si dee ch’egli investisca
Mille ducati, e a me li favorisca.
Lisetta. Se matrimonio tal succederà...
Cavaliere. Succederà, lo so, succederà.
Lisetta. Se lo sposo vorrà mille ducati
Dare a voi...
Cavaliere.   Li darà, sì, li darà.

SCENA XIV.

Madama e detti.

Madama. Dov’è il signor Pancrazio?

Quasi del desinar passata è l’ora,
E. non si vede ancora?
Lisetta. Sarà pei fatti suoi.
Cavaliere. Avrò l’onor di desinar con voi. (a Madama
Madama. Dorisbe m’ha invitata.
Cavaliere. Pancrazio m’ha pregato,
Non vado mai a desinar da alcuno.
Lisetta. (Ehi, se posso, vuò farlo andar digiuno).
(piano a Madama

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Madama. (Oh, la sarebbe bella!) (piano a Lisetta

Lisetta. (Voi secondate un poco;
Forse non riescirà cattivo gioco), (piano

SCENA XV.

Scrocca e detti.

Scrocca. Sia ringraziato il Cielo!

Trovato ho vossustrissima. (al Cavaliere
Padrona colendissima. (Madama
Ragazza gentilissima. (a Lisetta18
Lisetta. Bella caricatura sguaiatissima.
Scrocca. Una parola in grazia. (al Cavaliere
Cavaliere. Tu mi vieni a seccare.
Scrocca. (Oggi, signor, non v’è da desinare).
(piano al Cavaliere
Cavaliere. (Io resto a pranzo con Pancrazio mio).
(piano a Scrocca
Scrocca. (Se ci restate voi, ci resto anch’io).
(piano al Cavaliere19)
Cavaliere. E quando viene? Un’ora
È dopo il mezzodì.
(Dalla fame languisco).
Lisetta.   Eccolo qui.

SCENA XVI.

Pancrazio e detti

Pancrazio. Servo di lor signori.

Cavaliere. Buon giorno, amico mio:
Scrocca. La riverisco anch’io.
Pancrazio. Che vogliono da me?
Cavaliere.   Venuto sono

[p. 339 modifica]
A desinar con voi.

Pancrazio.   Chiedo perdono.
Sappia vossignoria
Ch’io non faccio locanda in casa mia.
Scrocca. (Oh bella!)
Lisetta.   (Oh buona affé I)
Cavaliere. Voi non diceste a me
Che venissi a pranzar? non son balordo.
Pancrazio. Io dissi?...
Cavaliere.   Sì signor.
Pancrazio.   Non mi ricordo;
E voi, signora mia? (a Madama
Madama. Sono invitata
Da Dorisbe, che seco aver mi brama.
Pancrazio. E voi? (a Scrocca
Scrocca. Col piatto servirò madama.
Pancrazio. Viva; bravi, ne godo.
Lisetta. Signor patron, vi lodo;
In villa per goder così si fa,
Usar convien la generosità.
Pancrazio. (Cara Lisetta mia,
Codesto cavalier non lo vorrei). (piano a Lisetta
Lisetta. (Lasciate fare a me). (piano a Pancrazio
Pancrazio.   (E il servo?) (piano a Lisetta
Lisetta. (Se n’andrà). (piano a Pancrazio
Pancrazio.   (Confido in te). (piano a Lisetta
Scrocca. (Che diran fra di lor serva e padrone?)
(piano al Cavaliere
Cavaliere. (Studiano per trattarmi in soggezione).
(piano a Scrocca20
Madama. Scusate se l’invito
Con ardire ho accettato. (a Pancrazio
Pancrazio. Son io che v’ho invitato?

[p. 340 modifica]
Madama. No, la vostra figliuola.

Pancrazio.   Ah sì, gli è vero.
Cavaliere. Amico, colle dame
Siate gentil; questa signora ha fame.
Lisetta. E lei? (al Cavaliere
Cavaliere.   Così e così.
Lisetta. E voi? (a Scrocca
Scrocca.   Un poco più.
Lisetta. Vado a far preparar? (a Pancrazio
Pancrazio.   Pensaci tu.
Lisetta. Vado a far dare in tavola;
Vado, e ritorno subito.
Fatto sarà, non dubito,
Un desinare amplissimo;
Fatto sarà prestissimo,
Tosto ritorno qui. (parte
Madama.   Frattantonota che ritorna,
  Che cosa si farà?
Pancrazio.   Si sta in conversazione.
Madama.   Cantiamo una canzone.
Cavaliere.   Ma se cantar non posso.
Scrocca.   Non posso in verità.
Madama.   Proviamola,
  Cantiamola,
  Che intanto venirà.
Pancrazio.   Trovatela,
  Intonatela,
  Da noi si canterà.
Madama.   Parole e musica
  Tenete qua.

(a quattro

Viva il cappone,
    Viva il piccione,
    Viva il ragù.
    Oh che sapore,

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(a quattro Che buon odore!
Non posso più.
(Il Cavaliere e Scrocca, cantando, languiscono dalla fame

Cavaliere.   Ecco Lisetta.
Scrocca.   La canzonetta
  Terminerà.
Cavaliere.   Andiamo, andiamo.
Scrocca.   Si mangierà.
Lisetta.   Il cuoco ha fatti
  Dodeci piatti.
Cavaliere.   Bene, e così?
Lisetta.   Suppa santè.
Scrocca.   Buona per me.
Lisetta.   Carne stufata22.
Cavaliere.   Sarà pregiata.
Lisetta.   Tante polpette.
Scrocca.   Uh benedette!
Lisetta.   Polli arrostiti.
Cavaliere.   Sono esquisiti.
Lisetta.   Tant’altre cose. (parte
Scrocca.   Tutte gustose.
Tutti   Si scialerà.
Lisetta.   Ahi che disgrazia! (Lisetta ritorna
Cavaliere.   Cos’è accaduto?
Lisetta.   Ahi che accidente!
Scrocca.   Ch’è succeduto?
Lisetta.   È morto il cuoco,
  Si è spento il fuoco. (Tutti: Eh!
  Son rotti i piatti
  Dai cani e gatti, (Tutti: Oh!
  Non v’è più niente,
  Mangiato fu. (Tutti: Uh!
Tutti   Oh che disgrazia!
  Non mangio più.

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Madama.   Se non si mangia,

  Che s’ha da far?
Lisetta.   Passar la fame
  S’ha col cantar.
  Tutti
  Viva il cappone,
  Viva il piccione,
  Viva il ragù.
  Oh che sapore,
  Che buon odore!
  Non posso più.


Fine dell'Atto Secondo.


Note

  1. Nel testo: pacienza.
  2. Testo: rissolviate.
  3. Nel testo è stampato per isbaglio: illustrissime padrone.
  4. Testo: occor altro.
  5. Nel testo è stampato: E l’aspro tormento.
  6. Testo: preggiablle.
  7. Così il testo, nè si sa come correggere.
  8. Così il testo.
  9. Testo: provista.
  10. Testo: c’ho.
  11. Così il testo.
  12. Nel testo: fra di voi.
  13. Nel testo: Se volete, io vi mando.
  14. Testo: strano.
  15. Nel testo: si ritrova.
  16. Nel testo: creparanno.
  17. Testo: gl’è.
  18. Mancano queste didascalie nel testo.
  19. Mancano anche queste ultime didascalie.
  20. Mancano le due ultime didascalie.
  21. Testo: Trattanto.
  22. Testo: astuffatta.