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Il vero amico/Appendice

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Appendice

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Atto III Nota storica
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APPENDICE.

Dall’edizione Paperini di Firenze.

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L'AUTORE

A CHI LEGGE.1


Q
UELLO ch’io dissi nel breve ragionamento mio, premesso alla Commedia XI2, che ha per titolo l’Avventuriere Onorato, può applicarsi a questa eziandio, in quanto ho io convertito in lingua Toscana la parte principale della Commedia medesima, scritta da me in Veneziano allora che la composi. L’ho fatto per le ragioni già dette, e non istarò a replicarle.

La folla degli affari che mi circondano, non mi permette diffondermi, lettor carissimo, a ragionare della Commedia che or ti presento. Posso dire soltanto, essere stata fortunatissima nell’incontro suo, e criticata soltanto perchè pareva a taluni eroica troppo e sorprendente la forza dell’amicizia nel Vero Amico. Ma, mi perdonino questi tali, pare che ad essi troppo sia la virtù forestiera, se di essa così poco conoscono i veri pregj. D’una virtù mezzana tutti gli uomini ponno esser capaci; ma quella che chiamasi virtù rara, virtù sublime, quanto più è rara al mondo, tanto più dee mettersi in mostra, per risvegliare qualche animo a seguitarla. Ho sentito io medesimo alcuni di cuor tenero assai più che discreto, compassionando l’amor di Florindo, desiderare ch’ei sposasse Rosaura, parendo loro che la sua passione, frenata dall’amicizizia, meritasse di essere ricompensata. Ciò penserebbero giustamente, se con tai nozze non venisse Florindo a pregiudicare all’amico. Ma quando questi sposata avesse Rosaura, e conseguita con essa la pingue sua eredità, il Vero Amico non potrebbe egli chiamarsi, ma Lelio avrebbe meritato un tal titolo, per il sagrifìzio che disposto era di fare; ciò detto sia per un semplice cenno. Tu, Lettore umanissimo, leggi la Commedia senza passione, e son certissimo, che se ami la virtù vera, ti piacerà in Florindo il Trionfo della vera Amicizia.

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ATTO PRIMO.

SCENA IV3.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Beatrice. Prima di partire, restituitemi quello che mi avete levato.

Florindo. Come! Le ho io rubato qualche cosa?

Beatrice. Pur troppo.

Florindo. Davvero? Favorisca dirmi che cosa.

Beatrice. Arrossisco in dirlo.

Florindo. Se io sono il ladro, il rossore deve esser mio, e non suo.

Beatrice. Voi mi avete rubato il cuore.

Florindo. Mi consolo che questo furto in me non sarà delitto.

Beatrice. No? per qual ragione?

Florindo. Perchè non si dà delitto, che non sia volontario. Io ho rubato senza volontà di rubare; dunque non ho commesso nessuna colpa, e non sarò soggetto a nessuna pena.

Beatrice. Se voi non avete desiderato il mio cuore, ho desiderato il vostro.

Florindo. Orsù, facciamo una cosa buona per tutti due. Ella si prenda il suo cuore, e mi lasci il mio. Ella resta a Bologna, io vado a Venezia, e sa il cielo se ci vedremo mai più.

Beatrice. Io vi amerò in eterno.

Florindo. Ella mi farà una finezza che io non merito.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·
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SCENA VI4.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Florindo. Le preghiere che mi avete fatte son troppo grandi, e non posso resistere; andiamo dove vi aggrada, e farò tutto ciò che volete. (Qui bisogna crepare, e non vi è rimedio). (da sè)

Lelio. Caro amico, voi mi consolate. Andiamo, che vi farò scorta sino alla casa; poi vi lascerò in libertà di discorrere.

Florindo. (Misero me! Come farò io a resistere?) (da sè)

Lelio. Da voi aspetto la quiete dell’animo mio. Le vostre parole mi daranno consiglio. A norma delle vostre insinuazioni, o lascerò d’amare Rosaura, o procurerò d’accelerare le di lei nozze. (parte)

Florindo. Le mie parole, le mie insinuazioni saranno sempre da fedele amico. Trionferà l’amicizia, e se bisogna, sagrificherò il cuore e la vita stessa. (parte)

SCENA XIII5.

Colombina e detti.

Colombina. Signora, ecco il signor Lelio. (parte)

Florindo. (Oh bravo, è arrivato a tempo). (da sè)

Rosaura. Ecco il vostro cuore; fategli voi quelle accoglienze che merita, io mi ritiro.

Florindo. Come! ella fugge da Lelio?

Rosaura. Fuggo da Lelio, fuggo da voi, fuggo da due cuori che egualmente m’insidiano.

Florindo. Anche da me ella fugge?

Rosaura. Sì, anche da voi. Volesse il cielo, che vi avessi fuggito prima. [p. 391 modifica]

Florindo. Ma che cosa le ho fatto?

Rosaura. Mi avete fatto tutto quel male che far mi si poteva, mi avete resa infelice, mi avete... Povero signor Florindo, lo avete fatto, ma senza colpa; son per voi misera, ma vi perdono. Partite pure, partite, che alla vostra partenza succederà la mia morte. (parte)

SCENA XIV6.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Florindo. . . . . . . . Se la donna non praticasse, sarebbe buonissima. Se diventa cattiva, la colpa è per lo più del padre, o della madre, o del marito medesimo, i quali facilitando, serrando un occhio, e dandole delle occasioni, la fanno essere nè più, nè meno la stessa cosa che sono gli uomini, che hanno la medesima libertà. Se vi preme una donna, tenetela in soggezione. Se la volete tutta vostra, non permettete che ella tratti con chi vuole, e non le date cattivo esempio. Se volete che ella vi voglia bene, non le mandate a parlar gioventù bizzarra, perchè la paglia accanto al fuoco si accende; quando si è acceso, non si spegne sì facilmente. Gli amici son pochi, e anche i pochi si possono contaminare. La donna è delicata, l’amore accieca, l’occasione stimola, l’umanità trasporta. Amico, chi ha lingua parla, chi ha orecchio intende, chi ha giudizio l’adoperi. (parte)

SCENA XV7.

Lelio solo.

Chi ha lingua parla, chi ha orecchio intende, chi ha giudizio l’adoperi? Florindo ha parlato, io l’ho inteso, tocca a me ad operar con giudizio. Mi valerò de’ consigli di un vero amico; [p. 392 modifica] se Rosaura averà ad esser mia sposa, non la lascerò trattare con tanta facilità. Tutti non hanno il bel cuor di Florindo. Tutti non sanno vivere come egli sa. Di lui mi posso fidare, di lui non posso prendere gelosia; so che mi ama; so che mi è vero amico, e che morrebbe piuttosto che commettere un’azione indegna. (parte) [p. 393 modifica]



ATTO SECONDO.

SCENA VIII8.

Lelio solo.

Mi pare cosa strana, che Florindo voglia meco dissimulare la sua passione per timore di dispiacermi. Sa pure ch’io l’amo. Ma questa lettera è di suo carattere, Beatrice asserisce essere a lei diretta, e in fatti a chi l’avrebbe egli a scrivere? Sempre è stato meco; pratiche in Bologna non ne ha. Senz’altro è innamorato di mia sorella. Eccolo che egli viene.

SCENA IX9.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Lelio. Caro amico, so tutto; so a chi doveva esser diretta la lettera. Ammiro la vostra delicatezza, ma voi calcolate poco la mia amicizia, se mi celate gli arcani del vostro cuore.

Florindo. Voi v’ingannate assolutamente.

Lelio. No, non m’inganno. Confronto la lettera coi discorsi seguiti. Voi m’avete celata la verità, ma poichè questa mi vien dal caso scoperta, vi dico che mi chiamerò fortunato, se sarà in mano mia il potervi render felice.

Florindo. Ma no, caro amico; mettiamo la cosa in chiaro, e vedrete che v’ingannate.

Lelio. Orsù, l’insistere che voi fate a negare, è un’offesa gravissima alla nostra amicizia; voi temete violare l’ospitalità con un amore innocente, ed io vi dico che la violate assai più con un pertinace silenzio; se mi amate, palesatemi il vero; se persistete a negare, voi non mi siete amico.

Florindo. A uno scongiuro di questa natura non posso più [p. 394 modifica] resistere. Eccomi, vi confesso la verità. Amore mi ha ferito, senza che me ne accorga. Voi siete stato la causa innocente del mio tormento, ed io per non abusarmi della fede che avete di me, ho risoluto partire.

Lelio. Partire? Anzi dovete meco restare, sintanto che io abbia assicurata la vostra pace.

Florindo. In che maniera?

Lelio. Colle nozze di quella che v’ha ferito.

Florindo. Come....

Lelio. Senz’altro. Se voi la bramate, ella sarà vostra sposa.

Florindo. Oh cielo!.... Signor Lelio.... Amico caro.... Son fuori di me.

Lelio. Perchè non dirmelo prima?

Florindo. Non avevo ardire; non mi pareva una buona azione.

Lelio. Via, sarete contento.

Florindo. Il cuor mi giubbila per l’allegrezza.

Lelio. Né io posso bramarmi piacer maggiore, oltre quello di divenirvi cognato.

Florindo. Cognato?

Lelio. Sì, sposando voi Beatrice mia sorella, non mi diverrete cognato?

Florindo. (Ahimè, che sento! Che equivoco è mai questo!) (da sè)

Lelio. Che avete, che mi sembrate confuso?

Florindo. (Non bisogna perdersi, non bisogna scoprirsi). (da sè) Sì, caro Lelio, l’allegrezza mi fa confondere.

Lelio. Per dirla poi, mia sorella non è sprezzabile.

Florindo. Certo, è bellissima.

Lelio. Quando volete che si facciano queste nozze?

Florindo. Eh ne parleremo, ne parleremo.

Lelio. E meglio parlar ora; se siete innamorato, non vedrete l’ora di sposarla.

Florindo. Sono innamorato, ma non sono furioso.

Lelio. Orsù, faremo così; voi darete la mano a Beatrice, quando io la darò alla signora Rosaura.

Florindo. (Oh che caldo). (smania) [p. 395 modifica]

Lelio. Che avete che smaniate?

Florindo. Gran caldo.

Lelio. Amore vi fa arder davvero.

Florindo. Oh amico, non conoscete il mio fuoco, e per questo ve ne ridete.

Lelio. No, no, vi compatisco. Anzi, per consolarvi, solleciterò quanto sia possibile le vostre nozze. Ora vado da Beatrice, e se ella non s’oppone, questa sera vi fo dare la mano.

Florindo. (Povero me, se la signora Rosaura sa questa cosa, che dirà mai!) (da sè) Caro amico, vi prego di una grazia, di quest’affare non ne parlate a nessuno.

Lelio. No? Per qual causa?

Florindo. Ho i miei riguardi a far che non si sappia. A Venezia non ho scritto niente; se mio zio lo sa, gli dispiacerà, ed io non lo voglio disgustare. Le cose presto passano di bocca in bocca, e i graziosi si dilettano di scriver le novità.

Lelio. Finalmente se sposate mia sorella, non ha gran dote, ma è di un sangue degno di voi.

Florindo. Sì, tutto va bene; ma ho gusto che non si sappia.

Lelio. Via, non lo dirò a nessuno.

Florindo. Mi fido di voi.

Lelio. A Beatrice lo posso dire.

Florindo. Neppure a lei.

Lelio. Oh diavolo! Non lo dirò alla sposa? La sarebbe bella!

Florindo. S’ella lo sa, in tre giorni lo sa tutta Bologna.

Lelio. Eh via, spropositi. Amico, siate allegro, non vedo l’ora che si concludano queste nozze; non vedo l’ora di vedervi felice, di vedervi contento. (parte)

SCENA X10.

Florindo solo.

Bella felicità, bellissima contentezza! Oh me infelice, in che impegno mi trovo! Per soccorrer l’amico lascio la lettera sul [p. 396 modifica] tavolino, me la dimentico, acciecato dal zelo dell’amicizia. Lelio l’ha trovata, penso che abbia scoperto il mio amor con Rosaura, e mi credo in debito di confessarlo; sento che v’è un equivoco, che mi crede innamorato di Beatrice; ma non son più in tempo a trovar ripiego; perchè, se nego d’amar Beatrice, bisogna che confessi d’amar un’altra; esaminando le circostanze della lettera e del mio caso, sono in necessità di scoprirmi da me medesimo rivale del mio caro amico.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

SCENA XV11.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Ottavio. Digli qualche buona parola; se ha inclinazione per te, fa che mi parli; io poi aggiusterò la faccenda.

Rosaura. E se volesse anche egli la dote?

Ottavio. Non facciamo altro.

Rosaura. Converrebbe metter mano allo scrigno.

Ottavio. Possa cascare i denti a chi nomina questo scrigno. Se speri di maritarti colla dote che è nello scrigno, ti mariterai quando gli asini voleranno. Scrigno? Io scrigno? Sai qual è il mio scrigno? Eccolo; tu lo sei. Spero che ti mariterai senza dote, e che tuo marito farà le spese anche a me. (parte)

SCENA XVIII12.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Rosaura. Eh via, signor Florindo, non abbiate riguardo a dire la verità. Finalmente la signora Beatrice è ben degna di voi. Vedo da questa lettera, che veramente l’amate.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Florindo. Non mi pare che questa lettera dica questo.

Lelio. Vi torno a dire, qui possiamo parlar con libertà. Siamo tre persone interessate per la medesima causa. Altri non lo sapranno fuor di noi. Ma non mi fate comparire un babbuino. [p. 397 modifica] Avete pur detto che siete innamorato di mia sorella; avete accordato che si stabiliranno le nozze.

Florindo. Mi par di aver detto che ne parleremo.

Rosaura. Caro signor Florindo, quello che avete a fare, fatelo presto.

Florindo. Non mi tormenti, per carità.

Lelio. Ed io ho soggiunto, faremo due matrimoni in un tempo stesso. Voi darete la mano a Beatrice, quando io la darò alla signora Rosaura.

Rosaura. Signor Florindo, se volete aspettare a dar la mano alla vostra sposa, quando io la darò al signor Lelio, dubito che non lo soffrirà l’impazienza del vostro amore. Mio padre non mi può dare la dote, io sono una miserabile, e non conviene alla casa del signor Lelio un matrimonio di tal natura, nè io soffrirei il rimprovero de’ suoi congiunti. Sollecitate dunque le vostre nozze, e non pensate alle mie; che in quanto a me, vedo che la fortuna m’opprime, che gli uomini mi scherniscono, e che per rendermi sventurata, si fa gloria di meco mentire chi vanta il pregio della più illibata onestà. (parte)

SCENA XIX13.

Florindo e Lelio.

Florindo. (Questa viene a me, e mi conviene tacere). (da sè)

Lelio. Amico, avete sentito?

Florindo. Ho sentito come mi avete mantenuto ben la parola.

Lelio. Vi domando scusa; ma il dirlo alla signora Rosaura, non riporta alcun pregiudizio.

Florindo. Quando v’ho detto che taceste con tutti, non ho eccettuato nessuno. Credetemi, questa cosa mi ha disgustato.

Lelio. Deh, se mi siete amico, perdonatemi, ve ne prego.

Florindo. Orsù, siamo amici, e all’amico si dona tutto. Mi dimentico di questo piccolo dispiacere in grazia dell’amicizia. [p. 398 modifica]

Lelio. Sempre più mi consolo dell’acquisto d’un vero amico, che sa anche compatire le mie trascuraggini e le mie mancanze. Ma Florindo mio carissimo, avete inteso? La signora Rosaura è senza dote.

Florindo. Per una fanciulla questa è una gran disgrazia.

Lelio. Che cosa mi consigliereste di fare? Sposarla o abbandonarla?

Florindo. Non so che dire; su due piedi non son buono a dar questa sorta di consigli.

Lelio. Oh bene, pensatevi un poco saviamente. Io vado a parlare col di lei padre, e poi sarò da voi. Aspettatemi, che partiremo insieme. Io voglio dipendere unicamente dal vostro consiglio. Se mi consiglierete sposarla, la sposerò; se lasciarla, la lascerò. L’amo, ma non vorrei rovinarmi. Pensateci, e se mi amate, disponetemi a far tutto quello che voi fareste, allorchè foste nel caso mio. Amico, in voi unicamente confido. (parte) [p. 399 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA VII14.

Rosaura, poi Beatrice.

Rosaura. Quanto più cara mi sarebbe l’eredità di quell’oro, se goderla potessi unitamente al mio caro Florindo.

Beatrice. Amica, compatitemi.

Rosaura. A voi chiedo scusa, se vi ho fatto aspettare. Ero mezza spogliata.

Beatrice. Via, via, una piccola bugia si passa. Anch’io ne dico qualcheduna.

Rosaura. Perchè mi accusate di bugiarda?

Beatrice. Perchè dalla portiera ho veduto che non è vero.

Rosaura. Ed io ho detto quella bugia, per rilevare se siete di quelle che si compiacevano15 di essere soverchiamente curiose.

Beatrice. Orsù. Io non voglio rispondervi, non voglio riscaldarmi. Siamo amiche, abbiamo a esser cognate, e vengo a parteciparvi una mia vicina consolazione.

Rosaura. Sì? Avrò piacer di saperla.

Beatrice. Vi ha detto nulla mio fratello?

Rosaura. Non so di che vogliate dire.

Beatrice. V’ha egli detto ch’io sono sposa?

Rosaura. (Ah, pur troppo è la verità!) (da sè) Mi ha detto qualche cosa.

Beatrice. Bene, io vi dirò che il signor Florindo finalmente mi si è scoperto amante, e che quanto prima sarà mio sposo.

Rosaura. Me ne rallegro. (con ironia)

Beatrice. Credetemi che io di ciò sono contentissima.

Rosaura. Lo credo. Ma vi vuol veramente bene il signor Florindo?

Beatrice. Se mi vuol bene? M’adora. Poverino! Un mese ha penato per me. Finalmente non ha potuto tacere. [p. 400 modifica]

Rosaura. Certamente, non poteva fare a meno di non innamorarsi di voi.

Beatrice. Avrei perduto lo spirito, se in un mese non mi desse l’animo d’innamorare un uomo.

Rosaura. Come avete fatto a innamorarlo?

Beatrice. Come avete fatto voi a innamorar mio fratello?

Rosaura. Vostro fratello si è innamorato di sei mila scudi.

Beatrice. Oh, io mi vergognerei, se uno mi volesse sposare pel danaro.

Rosaura. E io mi vergognerei, se mi avessi a maritar senza dote.

Beatrice. Benchè io non abbia la dote, ho avuti più di cento partiti.

Rosaura. Ma non avete concluso nessuno.

Beatrice. Si è concluso questo.

Rosaura. E già concluso?

Beatrice. Si concluderà.

Rosaura. Dal presente al futuro v’è una gran differenza.

Beatrice. Già siamo amiche, so che mi volete bene, ma un poco d’invidietta l’avete, non è vero?

Rosaura. Sì, è vero, invidio il vostro merito.

Beatrice. No, anzi la mia fortuna.

SCENA XII16.

Florindo solo.

Oh bella! Oh bella! Oh bella! Ho creduto di far bene ed ho fatto peggio. Per distrigarmi, mi sono impegnato più che mai. Ma a pensarci bene, questa signora Beatrice è una cosa particolare; è di un temperamento estraordinario, pronta a soffrir tutto, disposta a tutto, umile, paziente, rassegnata; merita che le si voglia bene; e se non fossi innamorato a questo segno della signora Rosaura, adesso principierei a voler bene a una donna, che ha un merito impareggiabile. In fatti, in un mese che sono in sua casa, ho sempre lodato e ammirato il [p. 401 modifica] contegno di questa fanciulla. E ancora da lodarsi, che essendo innamorata di me, non abbia mai detto niente, se non il giorno che ho detto di voler partire. È buona, savia, modesta, ma non fa per me, perchè la signora Rosaura mi ha rubato il cuore.

SCENA XXII17.

Beatrice e detto.

Beatrice. Signor Florindo. (malinconica)

Florindo. Oh, che mi comanda?

Beatrice. Tenete. (gli dà uno stiletto)

Florindo. Che cosa ho da far io di questo stiletto?

Beatrice. Ammazzatemi.

Florindo. Ammazzarla? E perchè?

Beatrice. Perchè ho saputo che avete a sposar Rosaura.

Florindo. E per questo vuol morire?

Beatrice. Sì, ho risoluto o d’esser vostra, o di voler morire.

Florindo. (in verità, che mi fa compassione!) (da sè)

Beatrice. Via su, uccidetemi, se volete liberarvi da una femmina, che vi tormenterà per tutto il tempo di vostra vita.

Florindo. Anche a Venezia?

Beatrice. Sì, a Venezia e per tutto il mondo vi seguirò.

Florindo. (È un amore che mi fa drizzare i capelli). (da sè)

Beatrice. Se sapeste quanto v’amo, avreste pietà di me.

Florindo. Non lo ha per male, ch’io abbia lasciato correre un equivoco, e abbia dato ad intendere di volerla per moglie per coprire un altro amore?

Beatrice. Niente m’offende, niente da voi mi spiace. Se mi amate, mi scordo tutto; se non mi amate, pazienza.

Florindo. (Io non credo che si dia al mondo un accidente compagno. Questa è l’occasione di fare un bene, per rimediare a due mali). (da sè) [p. 402 modifica]

SCENA XXIII18.


Beatrice. Se vi voglio? e come. (gli prende la mano con avidità)

Lelio. Oh amico! Voi mi sorprendete! Voi m’incantate! Voi m’empiete di giubbilo! Amai sempre Rosaura, ed ora che ella può fare la mia fortuna, confesso il vero, mi piace ancora di più. A voi l’ho ceduta, ritirarmi non posso; ma se voi cortesemente me la rendete, siete il mio benefattore, siete il mio caro amico.

Beatrice. Sì, sì, ve la rende; egli vuole la sua Beatrice.

Lelio. Ma, caro Florindo, voi la sposate per impegno.

Beatrice. Mi maraviglio di voi; mi sposa perchè mi vuol bene.

Florindo. Signor sì, ho conosciuto tardi il merito della signora Beatrice, e le voglio bene. La sua bontà, la sua pazienza merita ch’io le voglia bene.

Beatrice. Ehi, dite, avete poi quei vizi che mi avete detto? (a Florindo)

Florindo. Spero di no; se ne avrò qualcuno, mi correggerò.

Beatrice. Vi raccomando sopra tutto corregger quello di non venire a casa la notte.

Florindo. Verrò, verrò. Com’è andata dello scrigno? (a Lelio)

Lelio. Sono arrivato in tempo. Trappola è fuggito, ed io ho visto un gran numero di monete d’oro. È arrivato l’avaro, e a forza ha strascinato lo scrigno nella sua camera; fra la rabbia, il dolore e la disperazione è caduto due volte. Aveva la schiuma alla bocca; finalmente si è gettato in terra, ha abbracciato lo scrigno... Ma viene la signora Rosaura, come l’aggiusteremo?

Florindo. Lasciate fare a me, troverò la maniera di quietarla, e di far che vi dia la mano. [p. 403 modifica]

SCENA XXIV19.

ROSAURA e detti.

Rosaura. Ah signor Florindo, ah signor Lelio, il povero mio genitore è morto.

Florindo. È morto? (Amico, meglio per voi). (a Lelio)

Lelio. È morto? Chi ha le chiavi dello scrigno? (a Rosaura)

Rosaura. Povero sventurato! Trappola è stato il suo carnefice. Oimè! Sento spezzarmi il cuore.

Florindo. Signora Rosaura, compatisco il dolore che l’affligge per la morte del padre. La natura s’ha da sfogare; ma mi dia licenza che le faccia un piccolo discorsetto. Noi altri in questo mondo ci fabbrichiamo il nostro destino, e per lo più i nostri medesimi vizi ci gastigano, ci danno la morte. L’avarizia del signor Ottavio è stata causa che un servitore, scoprendo il tesoro, abbia cercato di rubarlo, e questo furto è stato il motivo della sua morte, onde è morto per causa dell’avarizia, e il cielo, per gastigarlo di questo difetto, si è servito del suo difetto medesimo. Osservi dunque che i danari non vagliono niente, che la vita è attaccata a un filo; tutto finisce, tutto si lascia, e quel che resta per noi è20 quel che ci fa felici e contenti, è il vivere onesto, le buone azioni, la virtù, per saper superar le proprie passioni. Ella adesso è ricca, ma queste ricchezze possono sparire da un momento all’altro; ella è giovine, ella è bella, ma tutte cose che passano e finiscono. Il cielo le offerisce in questo momento una bella occasione d’esercitare la sua prudenza, la sua virtù, la sua rassegnazione. Osservi, obbligato dalla parola d’onore, dalla gratitudine, dal dovere, io ho sposato la signora Beatrice; onde è superfluo, che sopra di me continui a fondare nessuna delle sue speranze. Ella mi dirà, come da un momento all’altro ti sei cambiato? Mi burlavi, quando mi dicevi di volermi sposare; o sei un uomo il più volubile di questo mondo? Rispondo: Non la burlavo, non [p. 404 modifica] son volubile. Si son cambiate le circostanze, onde ho dovuto cambiarmi ancor io. Quando era povera, Lelio non la poteva sposare, ed io la prendevo per amore e per compassione. Adesso che è ricca, torna a correre il primo impegno, e tutte le leggi, e del Foro e dell’onestà, vogliono che sposi Lelio, il quale non l’ha ceduta mai per mancanza d’amore, ma per estrema necessità. Io ho fatto il mio dovere, ella deve fare il suo. Impari da me a vincere e superare la passione. Signora Rosaura, le ho voluto un gran bene, e pure per salvar l’onestà, per non tradire un amico, ho tutto sagrificato all’idolo dell’onore. Ho sposato una giovane che merita amore, e col tempo riconoscerò il suo merito e il mio dovere. Si determini anch’ella a sposare il signor Lelio, e vergognamoci tutti due della nostra debolezza passata, e facciamo che un atto di giustizia, scancellando la memoria de’ nostri amori, renda più nobile e più glorioso il trionfo della nostra virtù.

Lelio. (Ha parlato da Cicerone). (da sè)

Rosaura. Oimè! Tra la morte di mio padre e le inaspettate parole vostre, non so in qual mondo mi sia.

Florindo. Si regoli con prudenza, e tutto anderà bene.

Rosaura. Crudele! Voi mi abbandonate?

Florindo. Sono stato obbligato a dover sposare la signora Beatrice.

Beatrice. Sì, è stato obbligato dall’amore a sposarmi, malgrado i tentativi che fatti avete per rapirmelo.

Rosaura. Ma che farò misera e sola, senza uno che m’aiuti, che mi consigli?

Florindo. Ecco qua il signor Lelio. Egli l’aiuterà e la consiglierà.

Rosaura. Lelio sarà meco sdegnato.

Lelio. No, cara, non ho ragione d’esserlo; sarò vostro, se mi aggradite.

Rosaura. L’ho a sposare nel momento che muore mio padre? (a Florindo)

Florindo. Gli prometta, confermi la promessa, il resto poi si farà col tempo.

Rosaura. Oh cieli! [p. 405 modifica]

Lelio. Via, cara, in segno d’amore e di fedeltà, porgetemi la mano.

Rosaura. Sì, eccola. Il signor Florindo m’insegna farlo. S’egli non mi ha amato, non devo penare a lasciarlo. Se mi ha amato, e per virtù mi lascia, non devo esser meno forte di lui. Se pena e tace, nasconderò anch’io il mio dolore. In ogni guisa, Lelio, sarò vostra sposa. Eccovi la mia mano, con essa acquistate ragione sulla mia eredità; se avrete discrezione e prudenza, acquisterete col tempo tutto il possesso di questo cuore.

Lelio. Sì, spero farmi degno del vostro cuore. (Per ora non è piccolo acquisto quello delle sue ricchezze). (da sè)

Beatrice. Cognata, mi congratulo con voi.

Rosaura. Ed io con voi.

Beatrice. Io sono stata sposata per compassione.

Rosaura. Ed io prendo marito per necessità.

Florindo. Signora Beatrice, andiamo a Venezia subito, perchè per dirgliela, a Bologna non ci sto bene. La bella lezione di morale che ho fatto alla signora Rosaura, potrebbe esser distrutta da una ragione fisica. Lelio mio, vi domando perdono, se incautamente v’ho offeso. Domando perdono alla signora Rosaura, se troppo debolmente con lei ho trattato. Consorte cara, questo cuore è vostro; ma con vostra buona licenza, permettetemi che a queste due persone gliene lasci un poco per uno. Vado via senza una porzione del cuore, e in luogo di essa ho sostituito una marca d’onore, la quale farà conoscere al mondo i doveri del Vero Amico.


Note

  1. Vedi a pag. 303.
  2. Intendi dell’ed. Paperini di Firenze.
  3. Vedi a p. 313.
  4. Vedi a p. 319.
  5. Vedi a p. 329.
  6. Vedi a p. 330.
  7. Vedi a p. 331.
  8. Vedi a p. 339. Si badi che nelle edd. Paperini. Pasquali ecc. la numerazione delle scene di questo atto è sbagliata, per essere ripetuta due volte la scena III.
  9. Vedi a p. 340.
  10. Vedi a p. 343.
  11. Vedi a p. 348.
  12. Vedi a p. 351.
  13. Vedi a p. 352.
  14. Vedi a p. 361.
  15. Così nel testo.
  16. Vedi a pag. 367.
  17. Vedi a p. 379.
  18. Vedi a p. 381.
  19. Vedi a p. 381.
  20. Così nel testo. Meglio: per noi, e quel.