In morte di Lorenzo Mascheroni (1891)/Canto secondo

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Canto secondo

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Canto primo Canto terzo

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CANTO SECONDO


Contenuto: È salva la patria un’altra volta, risponde al Parini il Mascheroni, per opera di Bonaparte, che, volando dall’Egitto, ove stava compiendo opere maravigliose (1-48), ritornò in Francia, che rimise nell’ordine primiero, e poi per le Alpi scese in Italia, sconfiggendo i nemici a Marengo, e ridonando a noi libertà (49-145). - Libertà? di che guisa? - interrompe il Parini, timoroso che sia simile a quella che fu merce di ladri, d’ambiziosi e d’impostori (146-192). Mentre l’altro risponde che, misto al male, c’è sempre, in natura, il bene, e che, se malvagi, ebbe ed ha Italia anche spiriti degni d’onore, appare una visione portentosa (193-237). Dio, seduto sul suo trono, con ai lati due cherubini, uno ministro di guerra, l’altro di pace, sta pesando il fato degli uomini, che chiedono tutti pace, tranne l’Inghilterra: la bilancia non pende ancora da nessun canto, quando si levano a parlare Giustizia e Pietà (238-277).

Pace, austero intelletto. Un’altra volta
     Salva è la patria: un nume entro le chiome
     La man le pose1, e lei dal fango ha tolta.
Bonaparte.... Rizzossi a tanto nome
     5L’accigliato Parini, e la severa
     Fronte spianando balenò2, siccome

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Raggio di sole che, rotta la nera
     Nube, nel fior che già parea morisse
     Desta il riso e l’amor di primavera3.
10Il suo labbro tacea; ma con le fisse
     Luci e con gli atti dell’intento volto
     Tutto, tacendo, quello spirto disse.
Sorrise l’altro; e poscia in sé raccolto,
     Bonaparte, seguía, della sua figlia4
     15Giurò la vita, e il suo gran giuro ha sciolto.
Sai che col senno e col valor la briglia
     Messo alla gente avea5 che si rinserra

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     Tra la libica sponda e la vermiglia.
Sai che il truce ottomano e d’Inghilterra
     20L’avaro traditor, che secco il fonte
     Già dell’auro temea ch’India disserra,
Congiurati in suo danno alzâr la fronte;
     E denso di ladroni un nembo venne
     Dall’Eufrate ululando e dall’Oronte6.
25Egli mosse a rincontro, e no ’l rattenne
     Il mar della bollente araba sabbia7;
     I vortici sfidonne e li sostenne.
Domò del folle assalitor la rabbia:
     Jaffa e Gaza crollarno, e in Ascalona
     30Il britanno fellon morse le labbia.
Ciò che il prode fe’ poi sallo Esdrelona8,
     Sallo il Taborre e l’onda che sul dorso
     Sofferse asciutto il piè di Barïona9.
Sallo il fiume che corse un dí retrorso10,
     35E il suol dove Maria, siccome è grido,
     Dell’uomo partorí l’alto soccorso11.
Doma del Siro la baldanza, al lido
     Folgorando tornò che al doloroso
     Di Cesare rival fu sí mal fido12.
40E di lunate antenne13 irto e selvoso
     Del funesto Abukir14 rivide il flutto
     E tant’oste che il piano avea nascoso.
Ivi il franco Alessandro15 il fresco lutto
     Vendicò della patria, e l’onde infece16
     45Di barbarico sangue, si che tutto

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Coprí la strage il lido, e lido fece17:
     Quei che il ferro non giunse il mar sommerse,
     E d’ogni mille non campâr li diece18.
Ahi gioie umane d’amarezza asperse!
     50Suonò fra la vittoria orrendo avviso
     Che in doglia il gaudio al vincitor converse.
Narrò l’infamia di Scherer conquiso19,
     E dal Turco, dall’Unno e dallo Scita20
     Desolato d’Italia il paradiso21.
55Narrò da pravi cittadin22 tradita
     Francia, e senza consiglio e senza polo23
     Del governo la nave andar smarrita.
Prima assalse l’eroe stupore e duolo,
     Poi dispetto e magnanimo disdegno;
     60E ne scoppiò da cento affetti un solo:
La vendetta scoppiò, quella che segno
     Fu di Camillo all’ire generose
     E di lui che crollò de’ trenta il regno24.
Cosí partissi; e al suo partir si pose
     65Un vel25 la sorte d’oriente, e l’urna
     Che d’Asia i fati racchiudea nascose.
Partissi; e di là26, dove alla dïurna
     Lampa il corpo perd’ombra27, la fortuna
     Con lui mosse fedele e taciturna,
70E nocchiera s’assise in su la bruna
     Poppa28, che grave di cotanta spene
     Già di Libia fendea l’ampia laguna.
Innanzi29 vola la vittoria, e tiene

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     In man le palme ancor fumanti e sparse
     75Della polve di Memfi e di Sïene30.
La sentîr da lontano approssimarse
     Le galliche falangi, ed ogni petto
     Dell’antico valor tosto rïarse.
Ella giunse31, e a Massena, al suo diletto
     80Figlio gridò: Son teco. Elvezia e Francia
     Udîr quel grido e serenâr l’aspetto.
L’Istro32 udillo, e tremò. La franca lancia
     Ruppe gli ungari petti, e si percosse
     Il vinto Scita per furor la guancia33.
85L’udîr le rive di Batavia34, e rosse
     D’ostil sangue fumâr; e nullo forse
     De’ nemici rediva onde si mosse35;
Ma vil patto il fiaccato Anglo soccorse:
     Frutto del suo valor non colse intero
     90Gallia, ed obbliquo il guardo Olanda torse36.
Carca frattanto del fatal guerriero
     Il lido afferra la felice antenna:
     Ne stupisce ogni sguardo, ogni pensiero.
Levossi per vederlo alto la Senna,
     95E mostrò le sue piaghe. Egli sanolle,
     Né il come lo diría lingua né penna37.
Ei la salute della patria volle,
     E poté ciò che volle, e al suo volere
     Fu norma la virtú che in cor gli bolle.

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100Fu di pietoso cittadin dovere,
     Fu carità di patria, a cui già morte
     Cinque tiranni38 avean le forze intere.
Fine agli odi promise: e di ritorte
     Fu catenata la discordia39, e tutte
     105Della rabbia civil chiuse le porte40.
Fin promíse al rigore: e, ricondutte
     Le mansuete idee, giustizia rise
     Su le sentenze del furor distrutte.
Verace e saggia libertà promise:
     110E i delirii fur queti, e senza velo
     Secura in trono la ragion s’assise.
Gridò guerra: e per tutto il franco cielo
     Un fremere, un tuonar d’armi s’intese
     Che al nemico portò per l’ossa il gelo.
115Invocò la vittoria: ed ella scese
     Procellosa su l’Istro, e l’arrogante
     Tedesco al piè d’un nuovo Fabio41 stese.
Finalmente42 d’un dio preso il sembiante,
     Apriti, o alpe, ei disse: e l’alpe aprissi,
     120E tremò dell’eroe sotto le piante.
E per le rupi stupefatte udissi
     Tal d’armi, di nitriti e di timballi43
     Fragor, che tutti ne muggían gli abissi44.
Liete da lungi le lombarde valli
     125Risposero a quel mugghio, e fiumi intanto
     Scendean d’aste, di bronzi e di cavalli.
Levò la fronte Italia; e, in mezzo al pianto
     Che amaro e largo le scorrea dal ciglio,

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     Carca di ferri e lacerata il manto,
130Pur venisti, gridava, amato figlio;
     Venisti, e la pietà delle mie pene
     Del tuo duro cammin vinse il periglio45.
Questi ceppi rimira e queste vene
     Tutte quante solcate. E sí parlando,
     135Scosse i polsi, e suonar fe’ le catene.
Non rispose l’eroe, ma trasse il brando,
     E alla vendetta del materno affanno
     In Marengo discese fulminando.
Mancò alle stragi il campo; l’alemanno
     140Sangue ondeggiava, e d’un sol dí la sorte
     Valse di sette e sette lune il danno46.
Dodici ròcche47 aprîr le ferree porte
     In un sol punto tutte, e ghirlandorno
     Dodici lauri in un sol lauro il forte.
145Cosí a noi fece libertà ritorno. —
     Libertade? interruppe aspro il cantore48
     Delle tre parti in che si parte il giorno49:
Libertà? di che guisa? Ancor l’orrore
     Mi dura della prima, e a cotal patto
     150Chi vuol franca la patria è traditore.
A che mani è commesso il suo riscatto?
     Libera certo il vincitor lei vuole,
     Ma chi conduce il buon volere all’atto?
Altra volta pur volle, e fur parole;
     155Ché con ugna rapace arpie digiune
     Fêro a noi ciò che Progne alla sua prole50.
Dal calzato allo scalzo le fortune
     Migrar fur viste, e libertà divenne
     Merce di ladri e furia di tribune.
160V’eran leggi; il gran patto51 era solenne;
     Ma fu calpesto. Si trattò; ma franse
     L’asta il trattato, e servi ne ritenne.

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Pietà gridammo; ma pietà non transe52
     Al cor de’ cinque; di piú ria catena
     165Ne gravarno i crudeli, e invan si pianse.
Vòta il popol per fame avea la vena53;
     E il viver suo vedea fuso e distrutto
     Da’ suoi pieni54 tiranni in una cena.
Squallido, macro il buon soldato, e brutto
     170Di polve, di sudor, di cicatrici,
     Chiedea plorando del suo sangue il frutto;
Ma l’inghiottono l’arche55 voratrici
     Di onnipossenti duci e gl’ingordi alvi56
     Di questori, prefetti e meretrici.
175Or di’: conte57 all’eroe che ancor n’ha salvi
     Son queste colpe? e rifaran gl’Insúbri
     Le tolte chiome o andran piú mozzi e calvi?
Verran giorni piú lieti o piú lugúbri58?
     Ed egli, il gran campione, è come pria
     180Circuíto da vermi e da colúbri59?
Sai come si arrabatta esta genía,
     Che ambizïosa, obbliqua, entra e penètra
     E fóra e s’apre ai primi onor la via.
Di Nemi il galeotto60, e di Libetra
     185Certo rettile sconcio61 che supplizio
     Di dotti orecchi cangiò l’ago in cetra,
E quel sottile ravegnan patrizio62
     Sí di frodi perito che Brunello63
     Saría tenuto un Mummio64 ed un Fabrizio,

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190Come in alto levârsi e fur flagello
Della patria! Oh Licurghi!65 oh Cisalpina,
Non matrona, ma putta nel bordello!66
Tacque; e l’altro riprese: La divina
Virtú, che informa le create cose
195Ed infiora la valle e la collina,
D’acute spine circondò le rose,
Ed accanto al frumento e al cinnamomo67
L’ispido cardo e la cicuta pose.
Vedi il rio vermicel che guasta il pomo,
200Vedi misti i sereni alle procelle
Alternar l’allegrezza e il pianto all’uomo.
Penuria non fu mai d’anime felle:
Ma dritto guarda, amico, ed abbondante
Pur la patria vedrai d’anime belle.
205Ve’ quante Olona68 ne fan lieta, e quante
Val-di-Pado, Panaro e il picciol Reno69;
Picciolo d’onde e di valor gigante.
Reggio70 ancor non obblia che dal suo seno
La favilla scoppiò d’onde primiero
210Di nostra libertà corse il baleno.
Mostrò Bergamo mia che puote il vero
Amor di patria71, e lo mostrò72 l’ardita

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     Brescia, sdegnosa d’ogni vil pensiero.
Né d’onorati spirti inaridita
     215In Emilia pur anco è la semenza;
     Sterpane i bronchi, e la vedrai fiorita.
Molti iniqui fur posti in eminenza,
     E il saran altri ancor: ma chi gli estolle
     Forse è quei che vede oltre all’apparenza?
220Mira l’astro del dí73. Siccome volle
     Il suo fattore, ei brilla, e solve il germe
     Or salubre, or maligno entro le zolle.
Su le sane sostanze e su le inferme
     Benefico del par gli sguardi abbassa;
     225E s’uno al fior dà vita e l’altro al verme,
Ciò vien dal seme che la terrea massa
     Diverso gli appresenta: egli sublime
     E discolpato74 lo feconda e passa.
Or procede alle tue dimande prime
     230La mia risposta. Di saper ti giova
     Se fia scevra d’affanno e senza crime75
La nuova libertade, o se per prova
     Sotto il sacro suo manto un’altra volta
     Rapina, insulto e tirannia si cova.
235Dirò verace. E dir volea76: ma tolta
     Da portentosa visïon gli fue
     La voce che dal labbro uscía già sciolta.
Il trono apparve dell’Eterno; e due
     Gli erano al fianco cherubin sospesi
     240Su le penne, già pronti a calar giue.
L’uno in sembianti di pietade accesi;
     Sí terribile l’altro alla figura,
     Che n’eran gli astri di spavento offesi.
Verde qual pruna non ancor matura
     245Cinge il primo la stola, e qual di cigno
     Apre la piuma biancheggiante e pura.
Ondeggiavano all’altro di sanguigno
     Color le vestimenta, e tinto avea

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     Il remeggio dell’ali in ferrugigno77.
250Quegli d’olivo un ramoscel tenea,
     Questi un brando rovente; e fisso i lumi
     In Dio ciascun palpebra non battea.
Dal basso mondo alla città de’ numi78
     Voci intanto salían gridando: Pace,
     255Col sonito che fan cadendo i fiumi.
Pace la Senna, pace l’Elba, pace
     Iterava l’Ibèro79; ed alla terra
     Rispondean pace i cieli, pace, pace.
Ma guerra i lidi d’Albione, e guerra
     260D’inferno i mostri replicar s’udiro,
     E l’inferno era tutto in Inghilterra.
Sedea tranquillo l’increato Spiro
     Su l’immobile trono, e tremebondo
     Dal suo cenno pendea l’immenso empiro.
265La gran bilancia80, su la qual profondo
     E giusto libra l’uman fato, intanto
     Iddio solleva; e ne vacilla il mondo.
Quinci i sospiri, le catene, il pianto
     De’ mortali ponea, quindi versava
     270De’ mortali i delitti; e a nessun canto
La tremenda bilancia ancor piegava.
     Quando due donne di contrario affetto
     Levàrsi, e ognuna di parlar pregava.
Chi si fur elle, e che per lor fu detto,
     275Se mortal labbro di ridirlo è degno,
     L’udrà chi al mio cantar prende diletto
Nel terzo volo dell’acceso ingegno81.

Note

  1. 2. entro le chiome ecc.: cfr. le note a’ vv. 147 e 148, p. 76.
  2. 6. balenò: cfr. la nota al v. 167, p. 136.
  3. 9. l’amor di primavera: la bellezza primaverile, che lo fa essere oggetto d’amore.
  4. 14. della sua figlia: la Cisalpina.
  5. 17. alla gente ecc.: agli Egiziani, posti tra il mare de’ Libi a nord-ovest e il mar Rosso ad est. La spedizione d’Egitto è materia del V canto del Bardo della S. N. - «Qui l’autore accenna la spedizione in Egitto fatta da Napoleone affine di avere, colonizzando quel ricco paese, il vero punto d’appoggio onde rovesciare il dominio politico e mercantile degl’Inglesi nell’India. Ad intelligenza di questo squarcio ritrarremo in breve i fatti istorici a cui si allude. Non appena Bonaparte aveva posto piede nell’Egitto, che gl’Inglesi strinsero lega colla Porta Ottomana, la quale adunò bentosto due poderosi eserciti, di cui l’uno comandato da Gezzar, pascià della Siria, doveva da questa provincia entrare nell’Egitto, e l’altro sotto gli ordini di Mustafà pascià doveva sbarcare ad Abukir, spalleggiato dall’armata inglese capitanata da Sidney Smith. Napoleone avvertitone, con quella celerità di concepimento che fu in lui prodigiosa, uscí dal Cairo con diecimila uomini, giunse in pochi giorni ad El-Arisch, piccola fortezza all’ingresso dell’Egitto dalla parte della Siria, la quale era caduta in potere dell’antiguardo di Gezzar pascià, e lo costrinse ad arrendersi. Di qui attraversando un deserto di 150 miglia, dove egli e i suoi soldati furono soggetti ad ogni sorta di patimenti, penetrò nelle fertili e ricche pianure di Gaza, memorabili nella storia delle Crociate, e dove dopo tanti secoli non si era mai veduta orma di esercito europeo. Gaza capitolò al primo presentarsi dell’esercito vincitore: pochi giorni dopo marciò contro Iaffa, che fu presa d’assalto e la guarnigione turca passata a fil di spada. Intraprese in seguito il celebre assedio di Ascalona, o S. Giovanni d’Acri, dove Gezzar pascià aveva raccolto il meglio dello sue forze, ed era soccorso dagl’Inglesi. I Francesi con una costanza ed un’audacia incredibile erano montati piú d’una volta all’assalto; una parte della città era già presa, e lo stesso Gezzar s’era imbarcato per salvarsi, quando improvvisi rinforzi giunsero a rinfrescar l’abbattuto coraggio dei Turchi. Napoleone continuando l’assedio per qualche settimana avrebbe potuto egualmente pigliare la città; ma avvisato che l’altro esercito stava già per isbarcare ad Abukir, credette piú vantaggioso di andarlo ad incontrare prima che si potesse congiungere coi mammalucchi. Durante l’assedio di Giovanni, Kléber, il quale con una divisione di quattromila uomini era stato spedito contro ad un esercito di Turchi, avvenne che trovassesi investito presso al monte Tabor da ventimila di costoro comandati da Damas pascià. Napoleone volò in suo soccorso, e lungo la via batté numerosi corpi di Ottomani a Nazaret, a Saffet, a Canaan e nei contorni del Giordano, e finalmente nei piani di Esdrelona alle falde del Taborre sconfisse l’esercito di Damas pascià, il quale, oltre a cinquemila uomini, perdette tutto il suo ricco bagaglio militare. Malgrado la ritirata dei Francesi da S. Giovanni d’Acri, le perdite del pascià della Siria erano sí gravi, che non ebbe il coraggio d’inseguirli. Intanto Mustafà pascià e Sidney Smith erano sbarcati al Abukir, in quella stessa rada dove un anno prima la squadra navale francese comandata dall’ammiraglio Brueys era stata annichilita da Nelson. Napoleone giunse in tempo onde cancellar quella macchia. L’esercito di Mustafà fu tagliato a pezzi [26 luglio 1799], egli stesso ferito dovette arrendersi con tutto il suo stato-maggiore, Sidney Smith potè appena salvarsi sopra una scialuppa, e piú di quindicimila Turchi si annegarono in mare, volendo nella confusione salvarsi sopra le navi. Qualche settimana dopo, avvertito Napoleone dei disordini che regnavano in Francia, abbandonò segretamente l’Egitto, apparve inaspettato a Parigi, dove
  6. 24. Eufrate... Oronte: fiumi, de’ quali l uno nasce dal monte Tauro in Armenia, altro dall’Antilibano in Siria.
  7. 26. Il mar ecc.: il gran deserto che s’è detto.
  8. 31. Ciò che il prode ecc.: Tiene un po’ del dantesco (Par. vi, 61) «Quel che fe’ poi ch’egli uscí di Ravenna...».
  9. 32. e l’onda ecc. il lago di Genezaret, sul quale Pietro, che fu poi principe degli Apostoli, chiamato Simone Bariona (figlio di Iona), camminò a piedi asciutti andando incontro a Gesú. Matteo XIV, 28 e seg.
  10. 34. il fiume ecc.: il Giordano, che gli Ebrei condotti da Giosuè, passarono a piedi asciutti, perché «si fermarono le acque di sopra in un sol luogo e gonfiandosi come un monte apparivan da lungi....: e quelle di sotto scolarono nel mare della solitudine (detto ora Mare Morto), finché mancarono totalmente». Cfr. Giosuè III, 14 e segg.
  11. 35. il suol ecc.: Betlemme, ove nacque Cristo. Cfr. Luca II, 4 e segg.
  12. 37. al lido ecc.: in Egitto, ove Pompeo fu da re Tolomeo fatto uccidere a tradimento. Ricorda quel di Dante (Par. vi, 70): «Da onde venne folgorando a Giuba».
  13. 40. lunate antenne: navi di Turchi, l’insegna de’ quali è la mezzaluna. — irto e selvoso: ispido e denso.
  14. 41. Abukir: l’antica Canopo, villaggio posto su la costa d’Egitto all’oriente d’Alessandria, La spaziosa baia che le sta innanzi divenne celebre per la battaglia che Orazio Nelson vi diede fra l’1 e il 3 d’agosto del 1798, distruggendo la flotta francese.
  15. 43. il franco Alessandro: cfr. la nota al v. 600, p. 119.
  16. 44. infece: imbrattò. Unica forma derivata alla lingua italiana dal latino inficio, che usò anche l’Ariosto (XXXIV, 47): «Il rovesciò il ridicolo governo degli avvocati, e si fece proclamare primo console». Mg. negro fumo della scura pece.... Non macchiò sol quel ch’apparia ed infece».
  17. 46. e lido fece: e formò un lido di cadaveri.
  18. 48. E d’ogni mille ecc.: Ricorda il dantesco (Inf. xxv, 33): «Gliene die’ cento, e non sentí le diece». - La grande disfatta de’ nemici nella vittoria napoleonica d’Abukir (26 luglio 1799) è celebrata anche nel Bardo (VI, 3): «Di turca strage il mar crebbe, e l’ondosa Faccia sparí da tanti corpi ascosa».
  19. 52. Narrò ecc.: «Scherer [Bartolommeo Giuseppe: 1735-1804], generale in capo dei Francesi in Italia, intanto che Bonaparte era in Egitto, fu sconfitto dagli Austro-Russi presso Verona, onde ritiratosi cogli avanzi del suo esercito sopra l’Adda, cedette, per ordine del Direttorio, il comando a Moreau. - Vedi Botta [vol. III, p. 220 e segg.]». Mg.
  20. 53. Unno: propriam. gli Ungaresi: qui, gli Austriaci. — Scita: i Russi (accompagnati da Turchi), detti cosí, perché Sciti chiamarono gli antichi tutti gli abitanti dell’Europa orientale.
  21. 54. d’Italia il paradiso: cfr. la nota al v. 11, p. 126.
  22. 55. pravi cittadin: i cinque del Direttorio. Cfr. la nota al v. 102.
  23. 56. polo: guida.
  24. 61. quella che ecc.: «Camillo quando vendicò Roma dai Galli, e Trasibulo che cacciò i trenta tiranni da Atene». Mg.
  25. 64. si pose un vel: si velò di tristezza.
  26. 67. e di là ecc.: «L’Egitto, paese situato sotto il tropico del Cancro, dove i corpi nei giorni solstiziali presentano poca o niuna ombra. Era celebre a Siene un pozzo, dove il sole, precisamente perpendicolare ad esso nel suo passaggio del Cancro, rifletteva per entro le acque la sua immagine». Mg.
  27. 68. perd’ombra: Dante Purg. xxx, 89: «Pur che la terra, che perde ombra, spiri».
  28. 70. E nocchiera ecc.: Bardo VI, 4: «dal Canopo Salpa; e nocchiera in poppa ha la fortuna».
  29. 75. Innanzi: Il Beneficio, 76: «Gli vien fedele la vittoria a lato».
  30. 75. Memfi... Siene: Memfi (oggi Mitranich), su la sponda sinistra del Nilo, città principale tra quelle dell’antico Egitto: Siene (oggi Assuan), sopra una penisola alla destra sponda del Nilo, altra città fra le prime dell’antico Egitto.
  31. 79. «Dopo la rottura del trattato di Campoformio, cioè mentre Napoleone era in Egitto, i confederati avevano convenuto a questo modo: che gl’Inglesi sbarcherebbero un esercito in Olanda, gl’Imperiali ed i Russi discenderebbero in Italia ed attaccherebbero la Svizzera, alleata colla Francia. Gl’Inglesi infatti, sotto gli ordini del duca di Yorck e secondati dai partigiani del principe di Orange, essendo sbarcati in Olanda, riuscirono ad impadronirsi della flotta batava che ancorava nel Texel; ma battuti in seguito a Bergen dall’esercito del generale Brune, e avviluppati nelle paludi del Zyp, il duca di Yorck per salvarsi fu costretto ad una capitolazione non troppo onorevole per le armi britanniche, e che lo obbligava a sgombrare con tutte le suo truppe l’Olanda, Gli Austro-Russi furono ben piú fortunati in Italia, dove gli errori del Direttorio e dei generali francesi fecero perdere in pochi mesi i frutti delle vittorie di Bonaparte. Nondimeno Massena [Andrea: 1758-1817], che occupava la Svizzera, riuscí con piccolo esercito a battere gli Austriaci nei Grigioni; e in seguito i generali russi Korsakoff e Suwaroff, essendosi presa a loro carico tutta la guerra elvetica, furono sí fattamente rotti da Massena presso a Zurigo, che furono costretti a cercare una fuga per la via dei monti, e a trovare coi pochi avanzi del distrutto esercito il gelato loro clima». Mg.
  32. 82. L’Istro: il Danubio, l’Austria. Cfr. la nota al v. 39, p. 4.
  33. 83. si percosse ecc.: cfr. la nota al v. 97, p. 55.
  34. 85. Batavia: Olanda.
  35. 86. e nullo ecc.: non tornava, perché ucciso.
  36. 90. ed obliquo ecc.: Gl’Inglesi, pel patto che s’è detto, non consegnarono a’ vincitori la flotta: per questo Olanda torse ecc.
  37. 96. Né il come ecc.: Dante Par. vi, 63: «Che nol seguiteria lingua né penna».
  38. 102. Cinque tiranni: «I membri del Direttorio esecutivo erano cinque; e sedevano allora Barras, l’abate Sieyès, Moulins, Roger-Ducos e Gohier; l’uno piú dell’altro incapaci di governare una nazione qual era allora la Francia». Mg.
  39. 103. e di ritorte ecc.: Bardo VI, 44: «La concordia rifulse, e di catene Indissolute la nemica avvinse, Franse gli empii pugnali in su l’arene Angle temprati, e l’ire tutte estinse».
  40. 105. «La prima bisogna di Napoleone, appena salito al consolato, fu quella di conciliare e d’ingannare i partiti, che erano al sommo della discordia; «d’indurre colla dolcezza i capi della Vandea a deporre le armi; di riformare l’amministrazione interna ch’era nel peggiore disordine: e infine di riordinare gli eserciti...». Mg.
  41. 117. d’un nuovo Fabio: di Gio. Vittorio Moreau (1763-1813), uno de’ piú grandi generali del tempo, che, nel 1800, preposto da Napoleone al comando dell’esercito del Reno, passò in Germania, trionfando a piú riprese del maresciallo Kray e vincendo la memoranda battaglia di Hoenlinden (2 dicembre), che condusse alla pace di Lunéville. Dopo, per invidia Napoleone, si volse a’ nemici. Qui è paragonato a Fabio Massimo, che, temporeggiando, vinse Annibale. Cfr. Livio XXX, 26 e Virgilio En. VI, 847.
  42. 118. Finalmente ecc.: Ne’ versi seguenti accenna alla discesa di Napoleone in Italia e alla battaglia di Marengo. Cfr. l’ode a pag. 125.
  43. 122. timballi: tamburi. L’usò anche il Leopardi: cfr. canz. All’It., 42. Deriva da taballo (arabo: attabl), specie d’istrumento turchesco.
  44. 123. gli abissi: i burroni delle Alpi.
  45. 131. e la pietà ecc.: Virgilio En. VI, 687: Venisti tandem, tuaque expectata parenti Vicit iter durum pietas?
  46. 141. di sette ecc.: di parecchi mesi. Il sette è numero indeterminato, come spesso nella Bibbia. Cfr., p. e., Proverbi XIV, 16 e Salmi CIX, 161.
  47. 142. dodici ròcche: «In conseguenza di un armistizio conchiuso subito dopo la battaglia di Marengo, gli Austriaci dovettero consegnare a Napoleone tutte le fortezze dell’alta Italia in numero di dodici. - Vedi Botta [IV, 33]». Mg.
  48. 146. il cantore ecc.: il Parini.
  49. 147. tre parti: Il Mattino, Il Mezzogiorno e La Sera. Ciò è detto, secondo l’idea prima del Parini (cfr. la dedica del poema alla Moda); ché poi alla Sera sostituì, com’è noto, Il Vespro e La Notte. — si parte: si divide. Sul parti... parte cfr. la nota al v. 64, p. 65.
  50. 156. ciò che ecc.: Progne, moglie di Tereo, uccise, per gelosia pazza, il figlioletto Iti. Cfr. la nota al v. 67 del Serm. sulla Mit.
  51. 160. il gran patto: «La costituzione della Repubblica Cisalpina fu malmenata e contorta per ogni verso dal Direttorio francese, il quale trattava l’Italia piú da paese di conquista che da confederata Repubblica». Mg.
  52. 163. transe: passò (lat.).
  53. 166. Vòta ecc.: mancava al sangue il necessario nutrimento.
  54. 168. pieni: ben pasciuti.
  55. 172. l’arche: gli scrigni. Cfr. per lo stesso uso di arca, Dante Par. viii, 83 e Parini Od. I. 18 e IX. 18.
  56. 173. alvi: pancie.
  57. 175. conte: note.
  58. 176. rifaran gl’Insùbri ecc.: ritorneranno i Lombardi nella primiera libertà, o diverranno anche piú schiavi? Gli uomini liberi portarono già i capelli lunghi: gli schiavi, corti.
  59. 180. da vermi ecc.: da vili e da astuti?
  60. 184. Di Nemi il galeotto: il Lattanzi. Cfr. la nota al v. 198 del c. I. — e di Libetra ecc.: il Gianni. Cfr. la nota al v. 196 del c. I. Libetra era fonte sacra allo Muse. dette però anche Libétridi.
  61. 185. sconcio: gobbo.
  62. 187. E quel sottile ecc.: Negli ultimi mesi del 1797 il Monti fu mandato con Luigi Oliva, cremonese, giovanissimo e poeta, qual commissario del Direttorio esecutivo nel dipartimento del Rubicone, per ordinare l’Emilia, L’Oliva e il Monti compirono il loro ufficio con energia e con coraggio e insieme con moderazione; ma non ostante ciò furono accusati formalmente il 2 gennaio 1798 al Gran Consiglio dal marchese ravennate Alessandro Guiccioli (che il Monti, a sua volta, accusò poi di mali acquisti al governo) «di arbitrii nell’uso dell’autorità e della polizia, di concussioni ecc.». Con decreto del 5 gennaio fu richiamato l’Oliva, e con altro del 9 il Monti. Ci fu un processo, ove l’Oliva difese valorosamente l’opera de’ commissari, di modo che con 70 voti contro 22 «fu solennemente dichiarato non esservi luogo a procedere politicamente e criminalmente». Cfr. Vicchi VIII. 534 e segg. e Lodovico Corio: Vincenzo Monti studiato nell’Archivio di stato a Milano in Rivista Europea, vol. IV, fasc. I, p. 5 e segg.
  63. 188. Brunello di Maganza, personaggio ariostesco (IV, 2) «non puro e non sincero, Ma tutto simulato e tutto finto».
  64. 189. Mummio: Lucio Mummio, che, fatto console nel 146 av. C., distrusse Corinto e fondò la provincia romana dell’Acaia, trasportando in Roma (cosa importantissima per l’arte e la coltura di questa città) le opere piú squisite dell’arte greca. Fu virtuoso e povero tanto, che la repubblica dovette dotare la figlia di lui. — Fabrizio rifiutò, nel 280, i doni corruttori di Pirro e fu, negli alti uffici che sostenne, di tanta integrità, da morir poverissimo e da avere per questo i funerali a pubbliche spese. Cfr. Valerio Massimo IV, 4 e Dante Purg. xx, 25.
  65. 191. Oh Licurghi!: oh che legislatori!
  66. 192. Non matrona ecc.: Dante Purg. vi, 78: «Non donna di provincie, ma bordello».
  67. 197. cinnamomo: specie di aroma.
  68. 205. Olona: fiume che nasce dai colli della Brianza nel territorio comasco, passa vicino alle mura di Milano e si scarica nel Po. Qui, per tutta la Lombardia. Cfr. la nota al v. 39, p. 4.
  69. 206. Val-di-Pado: il ferrarese, che anche Dante (Par. xv, 137) designa così. — Panaro: il Modenese. — Reno: il Bolognese.
  70. 208. Reggio ecc.: Alcuni volontari reggiani, guidati da Carlo Ferrarini, nella mattina del 30 settembre 1796 inseguirono una forte schiera di soldati austriaci usciti dal Mantovano, e, per diverse vie, li ridussero al castello di Montechiarugolo, facendone prigionieri 114 e togliendo loro tre carri, quattro bandiere e tutti i fucili: indi, passando per Reggio (già liberatasi dalla soggezione estense fin dal 25 agosto), si recarono a Milano per presentare al Bonaparte la preda della vittoria. Le accoglienze furono festose. Si cantava per le vie: «Vieni in seno ai tuoi fratelli, Bravo popolo reggiano, Tu col sangue e con la mano Già tornasti in libertà. Spiega pure i tuoi trofei ecc.». Il fatto, piccolo in sé, ma non senza grande importanza pel tempo in cui avvenne, suscitò grande rumore per la penisola, tal che il Foscolo, dedicando a’ Reggiani, ché a voi spetta, l’Oda a Bonaparte liberatore, li salutava primi veri italiani e liberi cittadini. Cfr. V. Fontana: Una pagina gloriosa di storia reggiana in La rivista emiliana, n. 25 settembre 1887; De Castro, p. 112 e Franch., p. 182.
  71. 211. Mostrò Bergamo ecc.: Nel 1427 Bergamo si assoggettò spontaneamente alla repubblica di Venezia, alla quale rimase unita fino alla caduta di quella repubblica (1797): poi fece parte della repubblica cisalpina, dell’italiana è del regno italico.
  72. 212. e lo mostrò Brescia rimase soggetta alla repubblica di Venezia fino al 1796, in cui parecchi nobili e cittadini si ribellarono all'antico governo: sì che fu da Napoleone unita, come Bergamo, alla Cisalpina.
  73. 220. Mira ecc.: Con questa similitudine esplica il concetto anteriore: chi, fermandosi allo apparenze, elesse alle cariche dello stato molti cattivi in mezzo a’ buoni, operò come il sole, che non ha colpa se, abbassando gli stessi sguardi su le sostanze buone e cattive, fa nascere qua il fiore, là il verme. La colpa è nella cattiva disposizione della materia a ricevere il raggio fecondatore; come fu nella cattiva disposizione dell’uomo, in apparenza onesto, ma, in fatto, malvagio, ad essere posto in eminenza.
  74. 228. discolpato: senza colpa.
  75. 231. crime: colpa (lat.).
  76. 235. E dir volea ecc.: Assomiglia a quel di Dante (Inf. xxiii, 109): «Io cominciai: O frati, i vostri mali... Ma piú non dissi; ché agli occhi mi corse Un, ecc.».
  77. 249. Il remeggio dell’ali: cfr.: la nota al v. 194, p. 59. — in ferrugigno: di color di ruggine.
  78. 253. alla città de’ numi: al cielo. — sonito: suono, rumore. Latinismo, che piacque anche al Manzoni: cfr. Il cinque Mag. 17.
  79. 256. Senna... Elba... Ibero: Francia, Germania, Spagna. Cfr. la nota al v. 59, p. 4.
  80. 265. La gran bilancia ecc.: cfr. la nota al v. 151, p. 68.
  81. 277. Nel terzo volo ecc.: nel terzo canto.