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Ircana in Ispaan/Atto IV

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Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Sala di Machmut con varie porte e con vari guanciali per sedere.

Zama, Ibraima, Lisca e Vajassa.

Vajassa. Figlie, vi amerò sempre, sempre vi vorrò bene;

Ma a me portar rispetto, ed obbedir conviene.
Sopra tutto mi preme saper con verità
Tutto quel cbe si parla, tutto quel cbe si fa.
Talor quando il scirocco a inumidir ci viene,
Per dir la verità, ci sento poco bene;
Ma se il Caucaso freddo ci manda il vento asciutto,
Si scioglie la flussione, e sento quasi tutto.

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Lisca. Oggi che borea spira, ci sentirete.

Vajassa.   Che?
Zama. Sorda è sempre ad un modo. (ad Ibraima
Ibraima.   Pare così anche a me.
a Zama
Vajassa. Voglio saper di ognuna1 prima di tutto il nome,
Quando comprate foste, donde veniste, e come;
E più dell’altre schiave conoscere mi preme,
Due che son qui venute ad ingiuriarmi insieme.
Ibraima. Ibraima è il mio nome, Tartara di nazione.
Saran due anni ormai, che mi comprò il padrone.
Vajassa. Quando saprò chi siete, saprò anch’io regolarmi.
Ibraima. Se parlo, e non mi sente, è vano il faticarmi.
Zama. Zama son io.
Vajassa.   Non credo di domandar gran cosa.
Zama. Di Tartaria qua venni per essere la sposa;
Ma il mio destin crudele... 2
Vajassa.   Son donna di buon cuore;
Anch’io son stata giovine, e so cos’è l’amore.
Saprò qualche cosetta facilitare anch’io:
Basta che il ver mi dite.
Lisca.   Mosca è il paese mio.
Lisca mi chiamo; in Persia venni, non so dir come.
Vajassa. Via, ditemi, ragazze, la vostra patria e il nome.
Lisca. Non vel dissi? forte
Vajassa.   Può darsi.
Zama.   Non avete sentito
Da noi la patria e il nome? forte
Vajassa.   Eh sì, sì3 vi ho capito.
(Di lor poco mi preme). Da voi vogl’io sapere
Chi son quell’altre due, che sembrano più altere.
Lisca. Una è Fatima, e l’altra è Ircana l’orgogliosa.
L’una è sposa d’Alì, l’altra è di Tamas sposa.

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Vajassa. Una si chiama? (ponendosi la canna all’orecchio

Lisca.   Fatima. (forte nella canna
Vajassa.   Bene: quell’altra? (come sopra
Lisca.   Ircana.
(come sopra
Ibraima. Non basta ad informarla nè anche una settimana.
a Zama
Vajassa. Sono schiave? (come sopra
Lisca.   No, spose. (come sopra
Vajassa.   Spose entrambe? Di chi?
(come sopra
Lisca. L’una è sposa di Tamas, l’altra è sposa d’Alì.
(come sopra
Vajassa. Tamas di chi è consorte? (come sopra
Lisca.   Fatima avea sposata;
(come sopra
Ma vi dirò poi dopo la cosa come è andata.
Sappiate che il padrone...
Vajassa.   Per or basta così.
Ho inteso; sarà dunque sposo d’Ircana Alì.
Tamas sposo di Fatima, d’Ircana Alì è marito.
Non me Io scordo più.
Zama. Brava! ha bene capito, (con ironia
Vajassa. Ritiratevi, o figlie, a lavorare un poco;
Poi tornerete unite al passatempo, al gioco.
Sarò con voi discreta più assai che non pensate;
Ma far quel che conviene, prima si deve: andate.
Zama. Andiam, che ormai crepare dal ridere mi sento,
Non vi è di questa vecchia miglior divertimento.
(ad Ibraima, e parte
Ibraima. A lei quel che si vuole, può dirsi impunemente:
Vecchia, beffana, arpia.
Vajassa.   Che dici?
Ibraima.   Oh niente, niente.
parte

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Vajassa. D’una madre amorosa il Ciel vi ha provveduto, (a Lisca

Lisca. Che ti venga il malanno.
Vajassa.   Che dici?
Lisca.   Vi saluto.
(forte, e parte

SCENA II.

Vajassa, poi Fatima.

Vajassa. Con queste che mi stimano discreta, anch’io ragiono;

Ma le due spose altiere mi proveran chi sono.
Eccone una; e pure sembra nel volto umana.
Non so se questa sia o Fatima, od Ircana.
Fatima. (Eccola la custode). Vi chiedo umil perdono,
Se men ch’io non doveva...
Vajassa.   Chi sei?
Fatima.   Fatima io sono.
Vajassa. Che?
Fatima.   Fatima. (più forte
Vajassa.   Il mio grado si dee più rispettare.
Fatima. Vedrete il mio rispetto...
Vajassa.   Andate a lavorare.
Le spose delle schiave non son meno obbligate
A.far quel che bisogna.
Fatima.   Cerco lo sposo...
Vajassa.   Andate.
Fatima. Sia questo il primo segno ch’esser vi voglio amica.
Andrò per obbedirvi.
Vajassa.   (Non so che diavol dica).
Fatima. Però men delle schiave le spose destinate
Sono ai bassi lavori.
Vajassa.   Andate, o non andate?
Fatima. Sì, vado. (È troppo fiero il suo temperamento).
(entra in una porta laterale

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SCENA III.

Vajassa.

Non va dove van l’altre. Sarà il suo appartamento.

Le spose separate van dalle schiave abbiette;
Ma anch’esse alla custode deon essere4 soggette.

SCENA IV.

Ircana e la suddetta.

Ircana. (Tamas confuso e mesto, solo in giardin dimora?

Ah che m’inganni io temo, e che si penta ancora).
Vajassa. (Sarà Ircana costei).
Ircana.   (Fin che da lei diviso
Noi vegga, i’ tremerò).
Vajassa.   (Nè anche mi guarda in viso).
Ircana. (So che quel cor che mi ama, debole ogni ora fu;
So che del padre ei teme).
Vajassa.   Dimmi: Ircana sei tu?
Ircana. Son io; da me che vuoi, sì torbida in aspetto?
Vajassa. Sei tu Ircana, o non sei?
Ircana.   Sì quella son, l’ho detto.
forte
Vajassa. Sai ch’io son la custode?
Ircana.   Lo so.
Vajassa.   E che orgogliose
Non mi han men delle schiave a rispettar le spose?
Ircana. Lo so.
Vajassa.   Lo sai? (sdegnata
Ircana.   Sì, è vero. forte
Vajassa.   Dunque meno anoganza.
Vattene, ed obbedisci; va tosto alla tua stanza.
Ircana. Qual è la stanza mia?
Vajassa.   Non rispondere, ardita.

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Vanne colà con Fatima, coll’altra sposa unita.

(accennandole dove è entrata Fatima
Ircana. No, con colei non vado.
Vajassa.   Che dici?
Ircana.   Con colei
Non vo’ per verun patto passare i giorni miei.
Anderò in altro sito. (s’avvia verso la porta di mezzo
Vajassa.   No, colà non conviene
Che venga il tuo consorte, là dentro non va bene.
Colà vi son le schiave, cara la mia figliuola,
E Alì quando ti cerca, vorrà trovarti sola.
Ircana.   A che cercarmi Alì?
Vajassa. Va tu fra quelle porte:
(le addita un’altra parta laterale
Dirò che sei là dentro io stessa al tuo consorte.
Ircana. Sì, fa che tosto ei venga; seco parlar desio.
Vajassa. Vanne, non dubitare. So far l’uffizio mio.
Ircana. Questo è quei dì fatale, in cui dee la mia sorte
Decider di mia vita, ovver della mia morte.
(entra nell’altra stanza

SCENA V.

Vajassa, poi Tamas.

Vajassa. Con me della superbia dovran lasciare il vizio.

Cospetto! a queste donne io farò far giudizio.
Tamas. Dove si cela Ircana? d’uopo ho del suo consiglio.
Vajassa. Questi è Tamas, lo so, di Machmut il figlio.
Tamas. Donna, vedesti Ircana?
Vajassa.   Cerchi la sposa?
Tamas.   Sì.
Vajassa. Se cerchi la tua sposa, e vuoi vederla, è lì.
(gli addita le stanze di Fatima
Tamas. Vedrà quella inumana, se soddisfarla io godo.

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Seco partir destino; ma dee pensarsi al modo.

(entra nell’appartamento di Fatima
Vajassa. Povero giovinetto, goda la5 sposa in pace:
Quel che per me vorrei, far per altrui mi piace.
(va per la porta di mezzo ove son le Schiave

SCENA VI.

Ircana, poi Tamas.

Ircana. Ah perfido! ah mendace! ah traditore ingrato,

Vai di nascosto, indegno, della rivale allato?
Ma ti condusse il Cielo di mie vendette al segno;
Ambi quei rei mi attendono ad isfogar mio sdegno.
(va 6 per entrare da Fatima
Tamas. Dove t’inoltri, Ircana?
Ircana.   Ecco la fè giurata.
Ecco le certe prove d’anima scellerata.
Per ricondurmi, infido, pien di pensier sì rei,
A rimirar io stessa l’orror de’ scorni miei?
Tamas. Odimi.
Ircana.   Non ti ascolto. Odo le voci sole
Del mio furor che accendemi, che vendicar mi vuole.
Muoia la mia nemica. (incamminandosi
Tamas.   No, che t’inganni.
Ircana.   Audace.
Reo, dell’offeso in faccia, palpita almeno, e tace.
Tu, tracotante 7, ardisci, senza smarrirti in volto.
Mascherar le tue colpe? Vattene, non ti ascolto.
Tamas. Odimi, e l’innocenza ti sarà nota, o cara.
Ircana. Via, qual menzogna il labbro in tuo favor prepara?
Tamas. Fra quelle soglie, il giuro, te rinvenir credea.
Ircana. Scarso pretesto e vile d’anima infida e rea.
Vidi 8 te pure io stessa colla custode antica

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Parlar; da lei sapesti celasi ivi l’amica.

Forse per te là dentro fu dalla vecchia ascosa.
Tamas. Là disse la custode essere la mia sposa.
Se m’ingannò quel labbro stolido, o menzognero...
Ircana. Non t’ingannò, là dentro sta la tua sposa, è vero;
Quella che stringer speri (me abbandonata) al seno;
Ma se riaverla 9 aspiri, dammi la morte almeno.
Spenta ch’io sia... ma pria ch’io sia dal ferro oppressa,
Voglio veda spirare la mia rivale istessa.
Sì, perirà.
Tamas.   T’arresta.
Ircana.   Se mi attravasi il passo...
Tamas. Se proseguir tu tenti...

SCENA VII.

Vajassa e detti.

Vajassa.   Cos’è questo fracasso?

Mi han detto che si grida.
Tamas.   Vecchia, fra quelle porte
Essere chi dicesti?
Vajassa.   Parla un poco più forte.
Ircana. Tu, perfida, celasti colà con trame ordite
La mia rival per esso?
Vajassa.   Non so cosa che dite.
Ma vi comando e dico, che badi ognuno a se,
Che questa la maniera di vivere non è.
Se tu non hai giudizio (ad Irc.), se tu non taci, adito,
(a Tamas
Lo dirò alla tua sposa (a Tamas); lo dirò a tuo marito.
(ad Ircana
Ircana. Mio marito chi è?
Vajassa.   Certo farò così.

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Farò che il sappia Fatima, farò che il sappia Alì.

Credete ch’io non sia istrutta 10 di ogni cosa?
Tu bada a tuo consorte (a Irc.); bada tu alla tua sposa.
(a Tamas
Ircana. (Parla costei confusa).
Tamas.   Spiegati, vecchia insana:
Chi è la mia sposa? forte
Vajassa.   È Fatima. È Alì sposo d’Ircana.
Tamas. Odi. (ad Ircana
Ircana.   Chi ciò ti ha detto? (a Vajassa, forte
Vajassa.   Le schiave men l’han detto.
Tamas. Idolo mio, ravvisi, se falso è il tuo sospetto? (ad Ircana
Ircana. Fin che restar ti caglia alla nemica appresso,
Tali funesti incontri ponno accader di spesso.
Siasi innocenza, o colpa, che ti guidò a quel sito,
Ciò non saria accaduto, se pria fosti partito.
E se partir ti mostri meco ancor renitente,
Il passo che facesti non crederò innocente.
Vajassa. E ben? cosa si fa? (a Tamas
Tamas.   Vattene. (a Vajassa, con dispetto
Vajassa.   Anche di più?
Subito in quella 11 stanza. (ad Ircana
Ircana.   Taci. (con isdegno
Vajassa.   Non parlo più. (timorosa
Ircana. Tamas, o vieni meco senza dimora alcuna,
O temi cbe ormai scoppi furor cbe in me si aduna.
Salvo non ti do il padre dall’ira mia, la vita
Salva non è di Fatima dalla mia destra ardita.
Paventa per te stesso, per me paventa ancora:
O d’Ispaan si parta, o qui si resti, e mora.
Vajassa. (Non intendo parola).
Tamas.   Facciasi il tuo volere.
Andiam; sovra il cuor mio vedi quant’hai potere.

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Ah non veder il padre fa il mio dolor maggiore.

Ircana. Senza vederlo andiamo.
Tamas.   Ecco il mio genitore.

SCENA VIII.

Machmut, Alì, Servi e detti.

Machmut. Olà, qui si raguni tutta la mia famiglia. (ai Servi

Fatima v’intervenga, che il nome ha di mia figlia.
Tutte le schiave io voglio, tutti i miei servi uniti:
Il suo signor ciascuno ad ascoltar s’inviti.
(partono alcuni Servi per obbedire
Vajassa. Cosa ha detto?
Alì.   Le schiave deon ragunarsi qui.
Vajassa. Dite forte.
Alì.   Le schiave. forte
Vajassa.   Subito, signor sì. parte
Ircana. Partiam. (piano a Tamas
Tamas.   Resta un momento. (piano ad Ircana
Ircana.   La mia nemica or viene.
(piano a Tamas
Tamas. Non dubitar, mia vita. (piano ad Ircana
Ircana.   (Vivo fra sdegni e pene).

SCENA IX.

Fatima e detti; poi Vajassa, Lisca, Ibraima, Zama, e dall’altra parte i Servi.

Fatima. Eccomi a’ cenni tuoi.

Machmut.   Udir non siavi grave
Del signor vostro i detti. (a tutti
Vajassa.   Ecco, signor, le schiave.
(a Machmut

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Alì. Ecco i tuoi servi ancora.

Machmut.   Sedete. (tutti seggono sui guanciali
Ircana.   Ah, ch’io prevedo,
Che di partir ti penti. (piano a Tamas
Tamas.   Si partirà. (piano ad Ircana
Ircana.   Nol credo, (piano a Tamas
Machmut. Figli, amici, e voi tutti che a Machmut servite,
Il signor vostro, il padre, a ragionare udite.
Salvi siam da un periglio, che sovrastava a tutti:
Goda la mia famiglia della vittoria i frutti.
Lauto convito apprestano ad un mio cenno i cuochi,
Musica avremo e danze, feste, trionfi e giuochi.
Ma quel che più vi bramo, saldo piacer verace,
Quel che fra voi mi preme, è, figli miei, la pace.
E perchè duri eterna la cara pace amica,
Soffra ciascun ch’io parli, soffra che il vero io dica.
A te mi volgo in prima, mia gioia e mio contento, s’alza
Figlio, di padre amante miglior sostenimento.
Il rammentarti è vano quanto per te finora
Fece quel padre offeso, che ti vuol salvo ancora.
Torna in te stesso, e pensa, se più di quel che festi
A un genitor pietoso, fatto a un nemico avresti.
Quale ai deliri tuoi, qual non offersi aiuto,
Nel precipizio orrendo sol per amor caduto?
Io ti porsi la mano a sollevarti in alto:
Volesti tu di nuovo precipitar d’un salto.
Ecco, tornasti ancora, senza acquistarti un merto,
Del genitore al seno, a ricovrarti aperto.
Ecco, il paterno albergo dove, crudel, sei nato,
Torna a soffrir quel piede, che lo calpesta ingrato.
Nè sol te il padre accoglie, teco pietoso ancora,
Ma tua mercè, la schiava soffre abbracciar qual nuora.
Mirami, Ircana, in volto, vedi colui che offeso
Fu da te fin nell’alma, miralo vinto e reso.
Che non facesti, ingrata, coll’arti e col consiglio,

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Per insultar un padre, per involargli un figlio?

Ferri, veleni e stragi, tutto volgesti12 in mente,
Contro chi ben ti ha fatto, femmina sconoscente!
Ecco l’illustre donna, ecco la sventurata, (verso Fatima
Sposa per te tradita, da 13 sposo abbandonata.
Ella per te ad Osmano chiese il perdon col pianto;
Ella al cuor mio pietosa feo l’amoroso incanto.
Ed or vedila come soffre l’insulto in pace;
Mira d’altrui lo sposo, e non si lagna, e tace.
Fatima, se tu taci, parla per te il mio cuore.
Se ti lasciò il mio figlio, non ti lasciò il mio amore.
Caro Alì generoso, da cui virtù s’impara,
Questa a te raccomando figlia onorata e cara.
Tua sarà quella dote, che ha il padre a lei concessa,
Ma la maggior sua dote è la virtude istessa.
Tanto però non basta all’amor mio sincero;
Più per costei si faccia degnissima d’impero.
Parte de’ beni miei già le concessi in dono.
Uso del don si faccia, Tamas, padron ne sono.
Pur dell’amor in segno, con cui tratto un mio figlio,
Prima di usarne il dritto, chiedo da te il consiglio.
Freme in carcere Osmano; lui dalle regie porte
Trasporterà il delitto nella gran piazza a morte.
Muore in Osmano il padre di questa a cui dobbiamo.
Figlio, la stessa vita, che ambidue respiriamo.
Te da colei difese, che ti voleva estinto,
Salvò dall’inimico me disarmato e vinto.
Pietà del padre suo, pietà per lei ne chiede.
A chi ha con noi tal merto, si può negar mercede?
No, che in te non prevedo d’ingrato cor la taccia.
Facciasi ciò che sento. Sì, figlio mio, si faccia.
Comprisi la sua vita, comprisi ad ogni prezzo:
Chèi il Persian Divano vender le grazie è avvezzo.

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Osmano a noi dovendo la libertà e la vita,

Calmati avrà i trasporti di un’anima sì ardita.
Si scorderà l’insulto fatto da te alla figlia:
Vedi se ancora in questo l’amor mio mi consiglia.
Lieto colla tua sposa godrai giorni felici.
Padre son io di tutti. Tutti vi voglio amici.
Se ha del mio sangue ancora d’uopo un sì caro oggetto,
Pronto sarei per tutti, pronto ad aprirmi il petto.
(siede, e tutti si mostrano inteneriti
Ircana. Tu piangi? (piano a Tamas
Tamas.   Al padre in faccia poss’essere inumano?
(piano ad Ircana
Ircana. No; pietoso ti mostra, ma andiam di qua lontano.
(piano a Tamas
Tamas. (Oh dura legge!)
Fatima.   Il pianto finor mi ha trattenuto
All’amor tuo, signore, di rendere un tributo.
Alla bontà che nutri, alla pietade, al zelo,
Sia co’ suoi benefizi compensatore il Cielo, (a Machmut
Machmud. Venga il Bey. (ad un Servo che parte
Alì.   Permetti, signor, ch’io pur ti dica,
Ch’alma rinchiudi in seno della virtude amica.
E che dai Numi istessi, che hanno il bel cuor formato,
Sarà con larghi doni il don ricompensato.
Tamas. Deh! se favello al padre tenero anch’io, perdona.
(piano ad Ircana
Ircana. Tenero parla al padre, ma di partir ragiona.
(piano a Tamas
Tamas. Deh genitor...
Machmut.   Sospendi. Ecco il Bey si vede.
Per la vita d’Osmano sentiam quel ch’ei ne chiede.
Schiave, servi, al ritiro. Vi benedica il cielo.
Spose, voi qui restate, ma che vi copra il velo.
(Partono le Schiave ed i Servi Fatima ed Ircana col velo si coprono.

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SCENA X.

Machmut, Ircana, Fatima, Tamas, Alì e Vajassa.

Vajassa. Signor, chiedo una grazia.

Machmut.   Tutto ti sia concesso.
Vajassa. Ditemi quel che avete parlato in fino adesso.
Machmut. Non intendesti?
Vajassa.   Che?
Machmut.   Soverchio è il tuo difetto.
Vajassa. Cosa dite?
Machmut.   Domani vattene dal mio tetto.
Vajassa. Ho capito. Il congresso si è fatto in grazia mia:
Non me n’importa niente, domani anderò via.
Se altri servir non posso, sorda qual son così,
Andrò a servir i muti in corte del Sofì. parte
Machmut. Ecco il Bey, mi aspetto sia nella grazia offerta
Dal vel della clemenza l’avidità coperta.
Alzar tutti dobbiamo, usar dobbiam rispetto
A chi del signor nostro porta il gran nome in petto.
(si alzano

SCENA XI.

Scacch Bey e detti.

Scacch Bey. Il grande, alto, possente dominator del mondo,

Il Sofì della Persia, Re di pietà fecondo.
Figlio del Sol lucente, prole di semidei,
Consolator de’ giusti, sterminator dei rei,
Me suo ministro umile, scelto tra servi suoi,
Manda di sua clemenza apportatore a voi.
(Tutti odono queste parole col capo chino, colla mano alla fronte.

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Machmut. Bey, siedi.

Scacch Bey.   Sedete. (siede e fa sedere tutti
Machmut.   Spiacque al Re mio signore,
Che fosse a tal eccesso spinto Osman dal furore.
N’ebbe il Visir cordoglio, spiacer n’ebbe il Divano,
Piangono le milizie l’error del capitano;
Ma delle glorie ad onta d’uom valoroso e forte.
Condannano le leggi lo sventurato a morte.
Giunsero a piè del trono di Machmut i voti.
Di Machmut i pregi non sono al regno ignoti.
Questi all’imprese aggiunti del valoroso Osmano,
E vita e libertade gli otterran dal Divano.
Il gran Visir istesso la grazia ha già soscritto,
Indi ha il Firman segnato l’alto monarca invitto.
Ma per vietar lo scandalo in faccia alla milizia,
Dee in parte soddisfarsi la pubblica giustizia;
Onde quel che doveva pagar sangue sì caro,
Concedesi che vaglia pagar con il denaro.
Per sua cagion si contano cento guerrier fuggiti:
Sono sessanta i morti, ottanta e più i feriti.
Devono risarcirsi, e monta il prezzo loro.
Con pietà calcolato, a trenta borse d’oro.
Queste al Casnà si denno del sommo alto Regnante,
Al Visir, al Divano, si devono altrettante.
Mercè borse sessanta, Osmano avrà il perdono;
E chi il danar mi conta, ha la sua vita in dono.
Machmut. Merita ben la vita d’uomo ai trionfi avvezzo,
Che vendasi per esso la grazia a un sì gran prezzo.
In vece del suo sangue, borse sessanta d’oro
È una pietà che in premio da noi chiede un tesoro.
Scacch Bey. Machmut, se del tempo, se della grazia abusi,
Saranno i comun voti dal tribunale esclusi.
O le richieste borse a numerar ti appresta,

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O del Bazar a vista troncasi a Osman la testa.

Machmut. Vanne, l’oro richiesto si troverà; saziata
De’ Persian ministri sia l’ingordigia usata.
A mercatar quel sangue meco venisti, il so,
Non si dona, si vende. Avidi, il comprerò. s’alza
Scacch Bey. Tal del Monarca ardisci...
Machmut.   Ciò non vantarmi in faccia.
Il nome del sovrano si veneri, e si taccia.
Non vende i suoi vassalli, chi di tesori abbonda.
Si val del regio nome lo stuol che lo circonda.
Conosco anch’io la corte che in Ispaan fiorisce,
Col sangue degli oppressi s’innalza e si arricchisce.
Scacch Bey. Tu perderai la grazia, se tal favelli audace.
Machmut. L’oro è già preparato. Bey, vattene in pace.
Scacch Bey. L’uso condanno io stesso. Ti compatisco, addio.
(Perdere non vorrei le dieci borse anch’io).
(da sè, e parte

SCENA XII.

Machmut, Ircana, Fatima, Tamas, Alì.

Fatima. Per me sì gran tesoro? (a Machmut

Machmut.   Lo feci, e non mi pento.
Figlio, puoi tu lagnarti?
Tamas.   No, padre, io son contento.
Fatima. Anime generose, non so quel ch’io mi dica.
Vi ricompensi il Cielo, il Ciel vi benedica.
(piangendo parte
Alì. Signor, tu sei l’esempio del più sincero amore.
Ah! non credea si desse tanta pietà in un core. parte

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SCENA XIII.

Machmut, Tamas e Ircana.

Ircana. (O si parli, o si vada). (piano a Tamas

Tamas.   Signor.
Machmut.   Figlio, che brami?
Tamas. Arrossisco pensando, signor, quanto tu mi ami.
Machmut. Dell’amor mio sei certo, e in avvenir prometto
Darti maggior le prove del tenero mio affetto.
Son nell’età avanzato, son dai disagi15 oppresso,
L’impiego e la famiglia regolerai tu stesso.
Lieto alla sposa unito vederti or mi consolo,
Tutto il poter ti cedo, comanderai tu solo.
Tamas. (Ircana?) (pateticamente guardandola
Ircana.   E che vuoi dirmi?
Tamas.   Senza ch’io parli, intendi.
(come sopra
Machmut. Vieni, Ircana, e il possesso di questa casa or prendi.
A viver lieta in pace godo che alfin sei giunta:
Ti obbediran le schiave, a Fatima congiunta.
Ircana. (Senti?) (a Tamas
Tamas.   Che far poss’io? (ad Ircana
Ircana.   Anima vile, ingrata! (a Tamas
Machmut. Che ti molesta, Ircana? Ancor ti mostri irata?
Sei di chi t’ama e onora, sei nel tuo cor nemica?
Ircana. Quello che saper brami, il figlio tuo tel dica.
Machmut. Parla, figlio, mi svela questo novello arcano.
Tamas. Padre... signor... io deggio... ah che lo tento invano.
(confuso parte
Machmut. Oimè! qual ria sventura mi vuol sempre infelice?
Parlami tu per esso.
Ircana. Sì, più tacer non lice.
Co’ benefizi suoi Machmut troppo mi onora.

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Esser dovrei contenta, ma non lo sono ancora.

No, superar non posso il duol che all’alma io sento:
Pavento dello sposo, di Fatima pavento.
Una di noi lontana dee andar da questo tetto.
Pensa, risolvi, imponi. La tua sentenza aspetto. parte

SCENA XIV.

Machmut solo.

Oh terribile donne, o donne al mondo infeste!

Voi gli uomini infelici a tormenta nasceste.
Eccoci16 al primo impegno, quel che il mio amore adente
Fatto ha per lor finora, ecco ridotto al niente.
Che fuò) Che risolvo? Numi, consiglio, aita.
Oh tenibili donne! flagel di nostra vita. parte


Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Ed. Pitteri: ogni una.
  2. Nell’ed. Pitteri e nelle altre tutte è stampato: crudel.
  3. Rist. torinese e Zatta: Ah sì, sì.
  4. Savioli, Zatta e rist. torinese: debbon esser.
  5. Savioli, Zatta e rist. torinese: parli alla ecc.
  6. Zatta e rist torinese: sta.
  7. Pitteri: traccotante.
  8. Ed. Pitteri: Viddi.
  9. Nella ed. Savioli (1770) è stampato per isbaglio: Ma se rivale aspiri; nella ristampa torinese e nell’ed. Zatta: Se alla rivale aspiri.
  10. Savioli, Zatta e rist. torinese: instrutta.
  11. Savioli, Zatta ecc.: questa.
  12. Ed. Pitteri: vogliesti.
  13. Così nel testo, forse per errore, invece di dal.
  14. Ed. Pitteri: Soffì.
  15. Ed. Pitteri: disaggi.
  16. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: Eccoci.