Ircana in Ispaan/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Piazza con veduta della casa di Machmut in prospetto, con porta chiusa.

Osmano alla testa di vari armati, sparsi qua e là per la scena.

Osmano. Siano le vie guardate, nè giungami improvviso

Stuol da veruna parte senza opportuno avviso.
Machmut si difende, il Re gli presta aita;
Ma vendicarmi io voglio a costo della vita.
O vo’ che la mia figlia di Machmut sia nuora,
O ch’egli unito al figlio paghi lo scorno, e muora.
O Ircana trar io voglio fra lacci a suo dispetto,
O le trarrò col brando il cuor fuori del petto.
Nè forza del Divano, nè del Sofì il comando

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Potrà, se non mi vendico, trarmi di pugno il brando.

Un Soldato. Signore, il gran Visire a te per quella via
Il Bey delle guardie a favellarti invia.
Osmano. Venga, l’ascolterò. Non credo, e non pavento.
Che alcun voglia impedirmi il mio risentimento.
Pensar dovrà il Sofì, pensar dovrà il Divano,
Ch’io de’ Calmuchi e Tartari tengo il comando in mano,
E pria ch’io lo deponga dinanzi al regio piede,
Far posso, se m’impegno, tremar la regal sede.

SCENA II.

Scacch Bey e detti.

Scacch Bey. Osmano, il gran Visir, che fida in tua virtute,

Per me d’amico in nome t’invia pace e salute.
Strano al Divan rassembra, strano al Sofì regnante,
Che qua, senza il lor cenno, rivolte abbi le piante;
E in luogo di condurre ver Babilonia il campo,
Qui splendere si vegga delle tue spade il lampo.
L’ordine a te fu dato di debellare il Trace,
Che della Persia nostra turba i confini audace:
Ciascuno all’inimico incontro andar ti crede,
E per cagion privata in Ispaan ti vede.
Le tue vittorie illustri, il tuo valore antico,
Fa che ti soffra il regno qual suddito ed amico;
E quel rigor che avrebbe forse con altri usato,
Teco sospender vuole, duce alla gloria nato.
Ordine ho sol di dirti, che i tuoi guerrieri armati
Solo a pro della patria a te sono affidati;
Però colle milizie promovere non spetta
In faccia a chi comanda da te la tua vendetta.
Contro di chi ti offese parla, domanda e grida.
Conosci il tuo monarca, in lui solo confida.
Han giudice i privati, che siede in tribunale;

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Al torto che tu soffri, avrai giustizia eguale;

Ma il ritornar dal campo sol per sì vile oggetto,
Di fellonia può farti reo nel reale1 aspetto.
Onde ver l’inimico torna a calcar la strada,
O rendi alle mie mani, qual prigionier, la spada.
Osmano. Bey, mente chi ardisce rimproverarmi in faccia
Di mancator la colpa, di fellonia la taccia.
Chi della Persia il trono con sue vittorie onora,
Difenderà il monarca col proprio sangue ancora.
Pubblici son miei torti. La lontananza sola
Di vendicar gl’insulti il comodo m’invola;
E se la mia vendetta pronta non uso, e presta,
Nulla sperar dal tempo, nulla ottener mi resta.
Giudici, il so, ha la Persia, vendicatori eletti
All’onte, all’ingiustizie de’ popoli soggetti;
Ma qual di lor mi vanti sì giusti ed illibati,
Che dubitar non possa dall’or contaminati?
Il mio nemico è tale, che d’oro in casa abbonda,
Raro è quell’uom cui l’oro non piaccia e non confonda.
Del mio sovran conosco la virtù, la giustizia;
Ma anche sul cuor dei regi può dell’uom la malizia.
E a fronte dei vicini chi è al suo signor lontano,
Nella ragion che vanta, può lusingarsi in vano.
Lungi non era il campo da questa reggia ancora;
Tornai senza fatica; farò brieve dimora.
Se il Re vuol vendicarmi, se del mio onore ha cura,
Comandi ai suoi soldati uscir da quelle mura.
Lasci che a mio talento possa sfogar lo sdegno
Contro d’un figlio ingrato, contro d’un padre indegno.
Scacch Bey. Suddito in van patteggia con chi governa e regge;
A te impor non si aspetta, devi accettar la legge.
O parti, o sei ribelle del Re, se fai dimora.
Osmano. Pria che ribel chiamarmi, di’ che ci pensi ancora.

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Scacch Bey. Non minacciar.

Osmano.   Non temo.
Scacch Bey.   Ti pentirai.
Osmano.   T’inganni.
Scacch Bey. Ha da veder la Persia rinascere2 0) i tiranni?
Vuoi rinnovar tu adesso di Scach-Abass la storia,
Di cui sì dolorosa vive ancor la memoria?
Per chi? Per una figlia il valoroso Osmano
Sarà col suo signore ingrato ed inumano?
Pensa, vi è tempo ancora. Torna glorioso al campo.
Cerca all’error commesso, coll’obbedir, lo scampo.
Lascia la cura a noi di vendicar tuoi torti.
Reo non ti far con l’armi, che in Ispaan ne porti.
Temi il Re che si offende, temi il Divan che ti ama,
Temi la Persia tutta, che il difensor ti chiama.
Presto si perde il merto 3 dei conquistati onori.
Cambia sovente il fato in mirti anche gli allori.
Chi troppo in se confida, spesso pentir s’udio.
Non rovinar te stesso. Pensa all’onore; addio. parte

SCENA III.

Osmano e Soldati.

Osmano. Pensa all’onore? e bene, l’onore or mi consiglia

Ch’io vendichi i miei torti, ch’io vendichi la figlia.
Contro del Trace in campo vado a pugnar pel Re;
Contro un nemico in Persia venni a pugnar per me.
Là per l’onor combattere del mio signor degg’io 4;
Combattere la destra qui dee per l’onor mio.
Se il sangue dalle vene sparsi pel mio sovrano,
Il Re sia più 5 sollecito pel sangue di un Osmano;
Nè lagnisi di me, se in lui fidando poco,

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Qua scelsi a mio talento tempo, vendetta e loco.

Assalgansi le porte, assalgansi le mura. (ai Soldati
Salma non sia là dentro dal mio furor sicura.
Chi si oppone, si uccida; sia dalle spade oppressa,
Se all’ira mia contrasta, sino la figlia istessa.
(I Soldati si movono verso la casa di Machmut, e vedesi aprir la porta.
Un Soldato. Signor, s’apron le porte.
Osmano.   Dall’insultar cessate;
Pietà lor non si nieghi, se chiedonmi pietate.
Venga Tamas pentito; Fatima venga unita.
Sia soddisfatto il padre, lor si dia pace e vita.

SCENA IV.

Tamas, Alì, Soldati sulla porta, e detti.

Tamas. Qui v’arrestate, amici, fino che l’uopo il chiede.

(ai suoi Soldati
Cessa gl’insulti Osmano; volgasi ad esso il piede.
Seguimi; non temere l’uom valoroso e forte. ad A
Alì. Teco fui fido in vita; tal sarò teco in morte.
Osmano. Olà; pria d’avanzarvi, franchi parlate, e dite
Se amici, o se nemici, perfidi, a me venite.
Tamas. Par che alla pace aspiri, non che a pugnar sen vada,
Chi tien contro un armato nel fodero la spada.
E trattenendo il passo al stuol che armato vedi,
(accennando i suoi Soldati
Amici, e non nemici, è forza che noi credi.
Alì. Con quel rispetto in seno, con quell’amore istesso
Che ti raggiunsi al campo, vengoti innanzi adesso.
Se la pietà m’indusse stringere al seno mio...
Osmano. Fatima di chi è sposa? questo saper vogl’io.
Tamas. So che ti offesi, Osmano, so che in tuo cuor reo sono,
Il mio rossor mi porta a chiederti perdono.

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Scusa l’amor protervo che consigliommi altero.

Scusa il mio cuor sedotto da un ciglio lusinghiero.
So che a tua figlia un torto feci incostante, ardito:
Son di mia debolezza, son del mio error pentito.
Vuoi di più? non ti basta, anima generosa,
Ch’umil perdon ti chieda?
Osmano.   Fatima di chi è sposa?
Alì. Tu mi parlasti al campo con tal disprezzo, Osmano,
Qual fossi al mondo nato da genitor villano.
Non vanta la mia stirpe l’onor de’ semidei.
Ma colla plebe abietta me calpestar non dei.
Tamas ha più tesori, mercè fortuna ed arte;
Mi fece il padre suo di sue ricchezze a parte.
Figlio son di tal padre, che noto è al regal soglio...
Osmano. Fatima di chi è sposa? questo saper io voglio.
Tamas. Fatima (ti consola), Fatima è già contenta;
Dubbio non v’è che il padre a sospirar lei senta.
Gode tranquillo stato, se tu la lasci in pace,
Del suo destino è paga, lieta sen vive, e tace.

SCENA V.

Ircana dalla porta con due Soldati, e detti.

Osmano. Non si risponde a tuono a quel che Osman vi chiede.

Fatima di chi è sposa?
Tamas.   Del padre mio l’erede
Fatima sarà meco...
Ircana.   Tamas il ver non taccia:
Il destin della figlia pubblichi al padre in faccia.
Non giungavi il timore ad avvilir così. (a Tamas ed Alì
Osman, Tamas è mio. Della tua figlia è Alì.
Osmano. Tanto saper mi basta, superbe anime ardite!
(sfodera la spada

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Ircana. Lascia a me questo ferro.

(prende la spada ad uno de’ suoi Soldati
Tamas.   Da quelle soglie uscite.
(verso la porta
(Alì e Tamas sfoderano la spada e si pongono in difesa, ed i Soldati principiano a uscir dalla porla in ordine di battaglia.
Un Soldato. Ah signor, siam perduti; del Re le guardie pronte
Ci assaliscono a tergo, e gl’inimici a fronte.
Osmano. Non paventate, amici, fin che vi regge Osmano.
Ircana. Ceda quest’uom sì forte.
Osmano.   No, tu lo speri in vano.
(S’attaccano i Soldati di Tamas con quelli di Osmano, quali6 assalili alle spalle dalle Guardie che sopravvengono, sono obbligali a difendersi da due parli. S’attaccano parimenti Tamas, Alì ed Ircana contro Osmano ed i seguaci, e combattendo si sviano tutti, e lasciano la scena vuolta.

SCENA VI.

Machmut dalla porta colla spada alla mano.

Figlio, mio caro figlio, aimè tu sei perduto,

E neghittoso il padre tardo ti reca aiuto.
Ma chi restar doveva a custodir le mura,
Per render la famiglia dal barbaro sicura?
Troppo ti rese ardito la sposa tua furente;
Attendere dovevi soccorso sufficiente,
Senza arrischiar te stesso dell’inimico a fronte.
Senza espor la tua vita alle ferite, all’onte.
Vano è il seguirti omai, misero padre e lasso.
Pure l’amor mi sprona... (in atto di partire

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SCENA VII.

Osmano e detto poi: Fatima.

Osmano.   Perfido, arresta il passo.

Oppressi dalla forza fuggono i miei guerrieri.
Ma il cor del duce Osmano avvilir non si speri.
Sottratto da’ miei colpi per ora il figlio indegno,
Contro del genitore vo’ satollar lo sdegno.
Machmut. Non mi spaventi, Osmano: tanto ho valor che basta
Per rintuzzar chi ardito alla ragion contrasta.
Osmano. Vieni, se hai cor.
Machmut.   Son teco.
(combattono, ed Osmano disarma Machmut
  Oh sorte mia funesta!
Osmano. Perfido, morirai. (in atto di ferirlo
Fatima.   Ah genitor, ti arresta.
(corre in difesa di Machmut, frapponendosi al colpo
Osmano. Sempre, figlia insensata, fin nell’onor offesa,
De’ tuoi nemici indegni ti mirerò in difesa?
Fatima. Padre, sai tu chi sia quel che ferire or tenti?
Osmano. Cagion del mio rossore, cagion de’ tuoi tormenti.
Fatima. No, genitor, t’inganni. Egli è un eroe pietoso.
Che padre a me si mostra, benefico, amoroso.
Contro del figlio ingrato arse per me di sdegno,
Prese a mio pro egli stesso il più efficace impegno.
Usandomi lo sposo per debolezza inganno.
Dell’onor mio propose di riparare il danno.
Sposa d’Alì mi fece, pieno d’amor, di fede,
Figlia d’amor mi vuole, di sue ricchezze erede.
Con tal bontà mi tratta, con tal dolcezza umana,
Che non gradir suoi doni fora protervia insana.
Placati, ch’ei lo merta; crediini a quel ch’io dico.
Degno è del tuo rispetto chi del tuo sangue è amico.
Machmut. (Oh virtù senza pari!)
Osmano.   Vanti i suoi pregi in vano.

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In faccia il padre offeso, in faccia di un Osmano.

Tamas fec’io tuo sposo; esser lo dee, lo giuro,
O andar costui non speri dal mio furor sicuro.
Fatima. Tu per me fremi a torto. Sono d’Alì contenta.
Del cambio dello sposo non temer ch’io mi penta.
Se in grazia della figlia arde il tuo cor sdegnato,
Fatima è già felice: sia il genitor placato.
Osmano. Sia il tuo piacer verace, sia falso e menzognero,
Non mi sperar cogli empi meno inimico e fiero.
Può perdonar gl’insulti cuore di donna offeso,
Non li perdona Osmano, di giusto zelo acceso.
Scorgo dai molli accenti, che donna vil tu sei:
Se tu perdoni i torti, io non perdono i miei.
Machmut. Mostri da ciò, spietato, mostri che apprezzi meno
Della tua figlia istessa bella virtute in seno.
Tu di furor ti vanti; ella di gloria abbonda;
Quale di voi più merta?
Osmano.   Il ferro mio risponda.
(avventandosi contro Machmut
Fatima. Ah non fia mai. (si frappone
Osmano.   Ritira, figlia, dal ferro il petto,
O non sperar mi giunga ad avvilir l’affetto.
In faccia mia ti toglie della natura il dritto,
Labbro che a pro di un empio approva il suo delitto.
Figlia di lui ti vanti? più padre tuo non sono.
Odio il tuo sangue istesso; no, non sperar perdono.
Se più del padre offeso, di chi l’insulta bai stima,
Rea della colpa istessa, mori, crudel, tu in prima.
(s’avventa contro Fatima
Machmut. Ferma, inumano. (si pone in difesa di Fatima

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SCENA VIII.

Scacch Bey con gente armata, e detti.

Scacch Bey.   Amici, l’empio s’arresti, o cada.

Cedere, Osman, tu devi o la vita, o la spada.
Fatima. Oh stelle! oh padre mio!
Osmano.   Perfidissimo fato!
Empia, sarai contenta. Il padre è disarmato.
Cruda, se tu non eri, l’indegno avrei ferito.
Lo stuol de’ fuggittivi avrei fors’anche unito;
Nè mi vedrei costretto, pien di rossori e pene,
Andar senza difesa incontro alle catene.
Machmut. Opra è del Ciel codesta, stanco de’ tuoi furori.
Vanne, superbo, e fremi; va alla tua pena, e mori.
Fatima. Come! a morir mio padre? Tu lo puoi dir, spietato,
In faccia di colei che ha il viver tuo serbato?
Pensa che se tua figlia farmi l’amor procura,
Del valoroso Osmano figlia mi feo 7 natura.
E non sperar vedermi unqua cessar dal pianto,
Se non ritorna il padre alla sua figlia accanto.
(a Machmut
Osmano. Pria di più viver teco, voglio morire, ingrata
Figlia, che per mio danno, per mio rossor sei nata.
Bey, faccia la sorte il peggio che può farmi:
Più della morte istessa costei può spaventarmi.
Perfida, a pro degli empi il tuo bel core impegna.
Muoia chi ti diè vita.
Fatima.   No, genitore...
Osmano.   Indegna!
(parte, seguito da Scacch Bey e Soldati

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SCENA IX.

Machmut e Fatima.

Fatima. Lo seguirò.

Machmut.   T’arresta. Donna non lice intorno
Andar fra noi scoperta, lontan dal suo soggiorno.
Perdonasi il trasporto, che uscir da quelle mura
Ti fece, per impulso d’affetto e di natura.
Torna all’albergo usato, torna all’amico tetto.
Fatima. Non lo sperar, se il padre...
Machmut.   Errar non ti permetto.
Fatima. Piacqueti ch’esponessi per te alla spada il seno.
Ora ch’io segua il padre non mi concedi almeno?
Machmut. No, Fatima, rammenta che il cuor mal ti consiglia.
Usa, non tel contendo, usa l’amor di figlia.
Del mio nemico io stesso, per compiacer te sola,
Procurerò lo scampo; ti do la mia parola.
In Ispaan, lo sai, può molto oro ed argento.
Dispor de’ scrigni miei ti lascio a tuo talento.
Parlerò cogli amici, col ministero8 ancora.
Salvo sarà tuo padre, non dubitar ch’ei mora.
Calmati, ed obbedisci chi per te nutre in petto
Salda, verace stima, e sviscerato affetto.
Fatima. Signor, tu mi consoli; sulla tua fè riposo.
Machmut. Eccolo il figlio mio.
Fatima.   Ecco con lui il mio sposo.

SCENA X.

Tamas, Alì e detti; poi Ircana.

Machmut. Vieni, o figlio, al mio seno.

Tamas.   Padre, pietoso il Cielo
Diè forza al mio valore, e secondò il mio zelo.
Alì. Fatima perchè trovo qui a Machmut unita?

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Machmut. Alì, Tamas, io deggio a Fatima la vita.

Ella il mio sen difese contro il nemico altero;
Osman volea ferirmi, Osman va prigioniero:
E la pietà che ad essa ho per dover usata,
Da lei, per sua virtude, fu ben ricompensata.
Alì. Grazie ai Dei, che mi diero simile sposa in dono.
Tamas. Fatima, egli è ormai tempo, ch’io chieda a te il perdono.
Te lo domando in faccia al genitore amante,
In faccia del tuo sposo, lo chiedo a te dinante.
So che tradii me stesso nel9 non curar quel core,
Ch’è il centro di virtude, l’idea del vero amore.
Le voci tue pietose, le luci tue leggiadre.
Mi preservar la vita, ora mi salvi il padre.
I benefizi usati in mio favor rammento;
So che fui teco ingrato, a mio rossor mi pento.
Degna tu sei d’amore; più amarti a me non lice;
Godi col fido amico, vivi con lui felice.
(sopraggiunge10 Ircana In disparte
Dell’abbandono ingrato scusami, o bella, appieno:
Fra noi, se non amore, regni amicizia almeno.
Quel che mi parve un giorno per te sentire affetto,
Ora per te diviene giustissimo rispetto.
E tu, poiché mi amasti con saggio amor pudico,
Scordati d’ogni insulto in grazia dell’amico.
So che da te nol merto, so che un ingrato io sono,
Ma ai miei trascorsi aspetto dal tuo bel cuor perdono.
Fatima. (Tal importuno assalto non mi aspettava al 11 cuore).
Machmut. (Questa virtù mi piace).
Alì.   (Tamas è un uom d’onore).
Ircana. Via; Fatima pietosa alfin s’arrenda, e ceda;
A chi la prega umile il suo perdoo conceda.
Le preci se non bastano di un giovane pentito,
Ascolti un padre amante, consigli un buon marito.

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E se di tanti ai voti dura il suo12 cor restio,

I più sinceri uffìzi porgo alla bella anch’io. (con ironia
Tamas. (Ah il ragionar conosco, che simula il dispetto.
Odo da lungi il tuono, il fulmine mi aspetto).
Fatima. Non ha bisogno, Ircana, di stimoli il mio cuore
Per far quel che mi dettan le leggi dell’onore.
Tamas perdon mi chiede d’avermi a torto offesa.
Me lo scordai qualora sposa d’Alì fui resa.
Di Machmut rispetto in lui l’unico figlio;
D’Alì, sposo ed amico, seguir deggio il consiglio.
E tu le preci tue usa ad uopo migliore,
Usale per te stessa, del tuo diletto al cuore.
Prega di cuor lo sposo, che tollerar s’impegni
Donna che i benefizi suol compensar coi sdegni. parte

SCENA XI.

Machmut, Alì, Tamas, Ircana.

Machmut. Non più fra noi discordie; lungi lo stile audace.

Regni fra noi l’amore, regni fra noi la pace.
Andiam, figlio.
Ircana.   Signore, scusa, vorrei con esso
Sola restar. (a Machmut
Machmut.   Nol niego. Resta alla sposa appresso.
Ah non so dir qual astro per te, per essa, in cuore
Abbia in amor sì tosto cambiato il mio furore.
Convien dir che la forza del prossimo periglio,
M’abbia ad amar costretto chi mi sedusse 13 il figlio.
parte
Alì. Tamas, con noi ritorna, non ci lasciar così.
Ircana. Alì, lasciaci soli.
Tamas.   Deh non partire, Alì.
Ircana. Per consolar la sposa, il caro amico attendi? ad Alì
Alì. Il tuo soverchio ardire a moderare apprendi. parte

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SCENA XII.

Tamas ed Ircana.

Tamas.   (Eccoci soli alfine).

Ircana. Tamas, da me t’invola.
Segui il tuo fido amico; la sposa sua consola.
Tamas. So che vuoi dirmi, Ircana, ma tu m’insulti a torto.
Ircana. Perfido, in quelle soglie, no, il piede mio non porto.
Va da te solo; Alì, saggio, costante amico,
Di Fatima ti ponga nel suo possesso antico.
Tamas. Cara, se per te meno provassi in cuore affetto,
Esposto io non avrei alle ferite il petto.
Per sostenere il nodo, che a te mi lega e unisce.
Mi cimentai fra l’armi.
Ircana.   No, il labbro tuo mentisce.
Spinto da’ miei rimproveri (che tollerasti a stento),
Fingesti, anima vile, discendere al cimento.
Se non veniva io stessa, testimon di tua fede,
D’Osman la tua incostanza ti avria gettato al piede.
Dir non ardivi ad esso, per ambizione insana,
Fatima è d’Alì sposa, è la mia sposa Ircana.
E se un momento solo tardava il venir mio,
Sposo, le avresti detto, di Fatima son io.
Io provocai la pugna, il tuo rossor destando.
Io fui la prima allora ad impugnare il brando.
E fu quel che or mi vanti insolito valore,
Timor della tua vita, non della sposa amore.
Tamas. Ma se in mio danno ogni opra dell’amor mio converti,
Come scordare i segni puoi di mia fè più certi?
L’abbandonar la sposa fino con atto indegno,
Scarso sarà d’amore, scarso di fede un segno?
Ircana. Segno sarà, se dritto esaminar si deve,
Che nel tuo seno il corso della costanza è breve.
Segno, che qual tu fosti con Fatima spergiuro,
L’amor, che per me vanti, meco è ancor mal sicuro.

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Tamas. Falso argomento indegno d’anima vacillante

Prendi tu, che mi festi per amor tuo incostante.
Ecco la mia mercede; ecco qual via si tenta
Da una consorte ingrata, perchè il mio cuor si penta.
Ma no, troppo ha profonde le sue radici in petto,
L’amor che a te mi lega; ti amerò a tuo dispetto.
Ircana. Prova maggior io chiedo di quell’amor che vanti.
Più della mia nemica non comparire innanti.
O fa che il padre tuo più non la tenga appresso,
O lascia di vedere perfino14 il padre istesso.
S’egli di te più l’ama, amami più di lui;
Se mi soddisfi in questo, teco sarò qual fui.
Ti crederò mio caro, più non darotti un duolo;
Tutto soffrir m’impegno, contentami in ciò solo.
Non ti smarrir, temendo di mendicar tua sorte.
Non ti avvilisca il peso di docile consorte;
Evvi per tutti un Nume che provveder non cessa.
Ti aiuterò il tuo pane a procacciarti io stessa.
O servirem fra l’armi, lasciando io pur la gonna,
O adatterò 15 la mano a ciò che lice a donna.
Teco vivrò contenta in ogni stato e loco,
Pur che turbar non vegga da gelosia il mio foco.
Quel che ti chiedo è molto, ma contrastar nol dei,
Se mi vorrai felice, se l’amor mio tu sei.
Tamas. Sì, il tuo voler si faccia; andiam pel mondo erranti,
Pria di vederti in pene, pria di vederti in pianti.
Tutto per soddisfarti, tutto tentar mi è in grado,
Dal genitor io stesso a congedarmi or vado.
Ircana. Fermati; in quelle soglie la mia rival dimora.
S’ella t’incontra, e parla, puoi ripentirti ancora:
Fuggi, s’è ver che mi ami, fuggi il fatal periglio.
Tamas. E il genitor pietoso?
Ircana.   Più non rivegga il figlio.

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Tamas. Ah non volermi, o cara, sì perfido e malvaggio;

Padre da me non abbia questo secondo oltraggio.
Ho tal rossor che basta, se gli error miei rammento;
Dell’onte a lui commesse nell’alma ho il pentimento;
Nè sarà mai che torni col genitor placato
Ad onta di natura a comparire ingrato.
Ircana. Vanne, e il padre consola. (sdegnata
Tamas.   Meco tu pur deh vieni.
Udirai come parlo, di me ti fida.
Ircana.   Tieni.
(gli vuoi dare uno stilo
Questo ferro conosci?
Tamas.   Con ciò, che dir mi vuoi?
Ircana. Questo è quel che doveva finire i giorni tuoi:
Con questo di mia mano saresti al suol caduto,
Se Fatima opportuno non ti recava aiuto.
Ella di me più merta, poiché poteo16 salvarti;
Io merto i sdegni tuoi, se fin tentai svenarti.
Pur di ragione ad onta, pretendo esser amata,
Pretendo dal tuo cuore fin la rivale odiata.
E vanto nel mio seno la pretension sì forte.
Che sol può sradicarla o la tua, o la mia morte.
Ecco, a te mi presento, no a domandar perdono.
Che vile qual tu sei, anima vil non sono:
Ma per troncare i nodi di un infelice amore.
Chiedo che tu mi passi con questo ferro il cuore.
Tamas. Sì, tal da me pretendi sforzo d’amore ingrato,
(prende lo stilo
Che sol può dalla morte venir ricompensato.
Sia che ti accenda il seno amor, sdegno o dispetto,
Vo’ soddisfarti, Ircana, vo’ trapassarmi17 il petto.
(in atto di ferirsi
Ircana. Ferma; ver me rivolta il braccio feritore.

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Tamas. Barbara, s’egli è vero che in me viva il tuo core,

Questo tuo cor spietato ferir non mi è concesso,
Senza passarmi il seno, senza morire io stesso.
Ircana. Ah l’amor tuo mi cale; il tuo morir non bramo.
Tamas. Credimi.
Ircana.   Sì, ti credo.
Tamas.   Seguimi, o cara.
Ircana.   Andiamo.
(partono tutti due, ed entrano in casa di Machmut


Fine dell’Atto Terzo.


Note

  1. Savioli, Zatta e altri: regale.
  2. Ed. Pitteri: rinnascere.
  3. Savioli, Zatta e rist. torinese: mezzo.
  4. Savioli, Zatta e rist. torinese: Là per onor combatter pel mio signor degg’io.
  5. Savioli, Zatta ecc.: pur.
  6. Così nel testo.
  7. Savioli, Zatta ecc.: .
  8. Savioli, Zatta e rist. torinese: con il ministro.
  9. Savioli, Zatta, ecc.: col.
  10. Savioli, Zatta ecc.: sopraggiungendo.
  11. Savioli, Zatta ecc.: Il.
  12. Savioli, Zatta ecc.: tuo.
  13. Savioli. Zatta ecc.: seduce.
  14. Salvioli, Zatta, rist. bolognese e torinese: O lascia di vedere, perfido, il padre ecc.
  15. Ed. Pitteri: addatterò.
  16. Rìst. torinese e Zatta: potea.
  17. Ed. Pitteri: trappassarmi.