Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Terzo periodo/Capitolo I

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Terzo periodo - Capitolo I - Avvenimenti politici.

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Sezione III - Terzo periodo Sezione III - Capitolo II
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CAPITOLO I.

avvenimenti politici

§. 123. Nel principiare di questo periodo i gravi turbamenti civili fecero cadere il governo dello Stato nelle mani dei più audaci e potenti cittadini, i quali ridussero la costituzione re[p. 79 modifica]pubblicana più presto ad un fantasma, che ad una realtà. Dopo la battaglia di Azio, Ottavio vincitore dei suoi emuli, rispettando in apparenza soltanto l’antico regime, tuttavia acquistò tale un dominio di fatto nello stato, che il potere popolare ebbe a venir meno. Non abolì gli antichi Comizj Centuriati; egli stesso vi comparve, e votò nella sua Tribù come qualunque altro cittadino; da essi, simulò riconoscere la sua autorità; non volle il titolo di Dittatore perpetuo, reso odioso da Silla; non cassò le antiche magistrature; ma a poco a poco si fece rivestire di tutte le autorità civili e perfino religiose dello Stato, e mostrando di accettare anzichè di usurpare il potere supremo, lo ebbe e lo adoperò con mano ferma e vigorosa. Il Senato ed il Popolo per stanchezza dell’antico governo, fomite di continue guerre civili, conferirono a stabilire la sua dominazione. Il Senato gli diede in perpetuo il titolo di Imperatore, titolo di onore col quale i soldati nell’ebbrezza della vittoria suolevano salutare i loro condottieri; titolo che da primo non indicava alcuna autorità, ma che poi designò il capo dello Stato. Dopo pochi anni (727) lo proclamò Padre della Patria, e gli attribuì il titolo di Augusto, riserbato fino allora alle cose sante. Per dieci anni gli concesse il potere supremo. Poi nell’anno 731 gli diede il potere Tribunizio in perpetuo, lochè servì meravigliosamente a stabilire l’autocrazia di lui, assicurandogli l’inviolabilità, ed il Diritto di opporre il suo veto a tutti gli atti del Senato, e degli altri Magistrati. Nell’anno 735 la potestà Consolare fu aggiunta ad accrescere la sua autorità, e poco dopo ebbe il potere proconsolare, che gli valse il diritto di amministrare le provincie. Nell’anno 737, il potere assoluto gli venne confermato per altri 10 anni. Due anni dopo ebbe la dignità di Pontefice, ed alla pari degli antichi Re di Roma, fu preside del culto pagano. Lo attributo di præfectus morum gli procurò tutte le facoltà proprie dei Censori. Finalmente sotto il titolo di Princeps, raccolse in sua mano tutto il governo.

§. 124. I suoi successori appena eletti riceverono dal popolo i poteri che Egli ebbe, ed il popolo li investì di quelli: prima con le leggi diverse e successive, poi con una legge sola. [p. 80 modifica]Questa legge rinnuovata per molti regni consecutivi, non fu in seguito più espressamente promulgata, ma in effetto era la scaturigine dell’imperiale autorità. Gajo ricorda questa legge (nel suo Commentario I. §. 5.) quando ci dice, che gli Imperatori acquistavano il potere per legem. È questa la legge, che le Istituzioni Imperiali al §. 6. del Titolo De Jure Nat. Gent. et Civ. I, 2., chiamano lex Regia, copiando un frammento di Ulpiano (fr. 1. Dig. De Const. prin. I, 4.) e la quale trovasi ancora designata come lex Augusti (fr. 14. §. 1. Dig. De manumis. XL, 1), lex imperii (cost. 3. Cod. De Testam. VI, 23.) Gravi questioni sono insorte fra gli Scrittori di Storia del Diritto Romano intorno a questa lex Regia, perocchè molti ne posero in dubbio l’esistenza, altri ne dissero alterato il nome, ed altri in fine sostennero la verità dell’una e dell’altro. Vuolsi confessare, che gli istorici non ricordano una legge che si chiamasse Regia, ma è certo, anche per quello che Gajo ci attesta, che l’imperatore riceveva la investitura dei suoi poteri da una legge (per legem), in virtù di una lex imperii o de imperio. Non è strano che, se non nei primi tempi dell’impero (per non offendere troppo la suscettibilità di chi serbava tuttora liberi sensi) almeno in seguito, questa legge si chiamasse Regia, a somiglianza della più antica legge di questo nome, con la quale i Re di Roma, erano dai Comizj Curiati investiti della loro dignità.

§. 125. Nel secolo decimoquarto, fra il 1342 e il 1353, fu scoperto in Roma un importante frammento della lex de imperio Vespasiani. In questa lex si riconosce a Vespasiano il diritto di stringere alleanze, proporre Senatusconsulti, designare al Senato ed al Popolo le persone idonee a cuoprire le prime magistrature, pubblicare Editti, aventi forza di legge; e di più vi è dichiarato che tutto quello che Vespasiano aveva precedentemente (ante legem rogatam) ordinato, dovesse considerarsi come se fosse stato fatto per comando del popolo. Questo frammento di Legge, è in una Tavola di bronzo, che si conserva in Roma nel Museo del Campidoglio. [p. 81 modifica]

§. 126. Malgrado gli estesi poteri conceduti agli Imperatori, per qualche tempo ancora il governo non si potè dire monarchico assoluto, nè fu ereditario. Lo Stato fu lungamente diviso fra il Principe da una parte, ed il Senato ed il popolo dall’altra. Ma il principe era anche il primo Magistrato del popolo, ed il Senato non aveva nessun potere sul Principe. Ciò non pertanto, vi erano Magistrati dipendenti dal Principe, e Magistrati del popolo Romano. Si distingueva l’erario del popolo (ærarium Populi) dalla cassa del Principe (fiscus Cæsaris). L’imperatore negli ultimi tempi non fu sempre solo sul trono, ma ebbe uno o più colleghi, coi quali divise l’amministrazione. Talvolta l’Imperatore si designava un Successore adottandolo, o affidandogli parte delle proprie attribuzioni, dopo avergli fatto conferire la Potestà Tribunizia. In difetto di un successore così designato, lo eleggeva il Senato; ma i pretoriani e le legioni, ben presto si arrogarono la facoltà di nominarlo. Tuttavia la investitura dei Poteri si dava sempre dal Senato, e per legge apparentemente emanata da lui, nella quale l’acclamazione dell’eletto, fatta dal popolo in Campo Marzio, teneva il luogo di votazione.

§. 127. Il potere legislativo del popolo in questo periodo va ogni dì più diminuendo. I Comizj vengono di quando in quando convocati, perchè votino sulle proposizioni del Senato o dell’Imperatore, alle quali prestano un semplice assenso per formalità; non è più necessario che i cittadini vi intervengano di persona, possono mandare una scheda scritta e suggellata, contenente il loro voto. Il Senato, dopo Ottavio, nomina alle Magistrature sulla proposizione del Principe; e le elezioni vengono annunziate ai Comizj, per la formalità della conferma, Ottavio desideroso di conservare lustro e decoro, almeno apparenti, al Senato, seguitò a consultarlo nelle pubbliche bisogne; volle che dinanzi al medesimo comparissero le ambascerie straniere; che di nome avesse la direzione dell’erario. Gli conferì competenze giuridiciarie in affari criminali, e specialmente nei delitti contro lo Stato o la persona dell’Imperatore, nei delitti di concussionne, ed in quelli capitali dei Senatori, delle mogli loro, dei loro [p. 82 modifica]figli, e di tutte le persone più eminenti dello Stato. Volle che i Senatori fossero seicento; essi dovevano avere compiuto il ventesimoquinto anno, e possedere un milione e duecento mila sesterzj. Nei primi tempi di questo periodo, il Senato pronunziava un giudizio sull’Imperatore che veniva a morire, ratificando o annullando i suoi atti; la ratifica più compendiosa ed insieme più onorevole, consisteva nel decretare che l’Imperatore defunto (e talora fu fatto anche per l’Imperatore vivente) fosse annoverato fra gli Dei, cioè nel decretargli l’Apoteosi, denominandolo Divus. Ma anche in questo, il Senato dipendeva dalla volontà dell’Imperatore succeduto al defunto, come dall’arbitrio di costui, si può dire che dipendesse il consiglio e la partecipazione del Senato nei pubblici affari.

§. 128. Nominalmente restavano gli antichi magistratus populi Romani, designati dal principe, approvati dal Popolo o dal Senato; le attribuzioni dei quali erano ridotte a vane forme, essendo in realtà passate nell’Imperatore.

a) I Consoli esempigrazia, capi un tempo dello Stato, rivestono un ufficio sempre onorevole, ma non fanno che presiedere al Senato; sono nominati di due mesi in due mesi; il loro ufficio ha cessato di essere annuo, affinchè molte persone possano aspirare a questa dignità. Il nome della prima coppia di Consoli serve tuttora a designare l’anno; gli altri chiamansi Consules suffecti o honorarii. La loro giurisdizione si limita a presiedere alle emancipazioni, alle manomissioni, e ad altri atti solenni consimili.

b) All’opposto, i Pretori in conseguenza delle loro ingerenze nell’amministrazione della giustizia, non ebbero a soffrire modificazioni essenziali nelle pristine attribuzioni; variò il loro numero più volte, e sotto Tiberio furono sedici; i più importanti furono però, sempre il Pretore Urbano ed il Peregrino; vennero pure istituiti dei Pretori speciali per i fedecommessi, per le tutele, e per le liti fra il fisco, ed i privati.

c) I Censori furono eletti per qualche tempo ancora, sebbene interrottamente; il Principe poi, fu sempre uno dei Cen[p. 83 modifica]sori, e gli si dava un Collega; ma anche quest’uso cessò ben presto, e gli Imperatori compilarono il Censimento da se soli.

d) I Tribuni furono in questo periodo, istrumenti dei quali l’Imperatore, rivestito egli stesso della Tribunicia potestas, si serviva, allorquando voleva opporsi ad un Decreto del Senato. Furono scelti fra i Senatori, e raramente fra i Cavalieri.

e) Gli Edili, che sotto Giulio Cesare erano stati portati a sei (con la creazione di due Edili sui cereali), videro posteriormente privarsi delle loro pristine incumbenze, le quali passarono in Magistrature nuove. Di essi non troviamo più menzione dopo il secolo terzo.

f) I Questori perderono ai tempi di Augusto l’amministrazione dell’Ærarium, la quale passò ai Præfecti ærarii, scelti fra i Pretori. Soltanto nelle Provincie rimasero i Questori. Fatto astrazione da questi, gli altri Questori, che assunsero il titolo di Candidati Principis, ebbero la missione di trasmettere al Senato gli ordini del Principe. Il loro ufficio era quasi un tirocinio per aprirsi l’adito al Senato o ad altro impiego; e però si dicevano ancora Quæstores Candidati.

§. 129. A questi Magistrati del popolo, troviamo contrapposti altri Magistrati Imperiali, col nome generico di Prefetti, e nei quali risiedeva il vero potere.

a) Il primo fra questi è il Præfectus Urbi o governatore della Città, che succedè all’antico Custos Urbis. Augusto istituì questa carica per essere rappresentato nella sua assenza da Roma, appunto come il Custos Urbis rappresentò un tempo i Re lontani da Roma; poi divenne questo, un ufficio permanente, ed il Præfectus Urbi insieme coi Consoli, presiedè ai giudizj criminali; ebbe giurisdizione in Roma e cento miglia attorno, e facoltà di decretare pene inferiori a quella della Deportazione. Finalmente competenza civile gli venne conferita, e dalle Sentenze dei Pretori, a lui si fece appello. Ebbe ancora alcune delle attribuzioni di Polizìa, una volta proprie degli Edili Curuli.

b) Il Prefetto dal Pretorio (Præfectus Prætorio). Prefetti del Pretorio chiamavansi originariamente i capi dei Pretoriani, [p. 84 modifica]guardie della persona del principe, ed ebbero da primo autorità esclusivamente militare; e quando la salute del principe dipese principalmente dalla loro fedeltà, e sulla forza delle armi riposò la stabilità del governo, i Prefetti del Pretorio ebbero importanza massima. Uno solo, d’allora in poi, esercitò quest’ufficio, divenuto il primo di tutti. Il Prefetto del Pretorio omai ufficiale civile dello Stato, prese parte a tutte le politiche faccende, ed ai giudizj proferiti dall’Imperatore. Le controversie giuridiche che l’Imperatore doveva decidere, furono discusse prima dinanzi a lui; onde avvenne che la qualità di Giureconsulto si addimandasse, per esercitare questo ufficio. Alessandro Severo diede perfino forza di legge ai regolamenti, da questo Prefetto imposti ai proprj Subalterni. I soli cavalieri poterono cuopire tal carica eminente cui li inalzava l’Imperatore, tenuto conto del voto dei Pretoriani, e qualche volta del Senato, dalla quale ordinariamente non erano remossi, se non che per arbitrio imperiale.

c) Prefetto dei Vigili (Præfectus Vigilum) era il capo delle milizie destinate a mantener l’ordine nella città. Comandava sette coorti di guardie, distribuite una per ogni due regioni (che ora in Roma erano 14), faceva delle perlustrazioni, vegliando perchè il fuoco non si appiccasse o si dilatasse, e per impedire i furti, e principalmente i balneari e quelli con scasso. Aveva ancora una giurisdizione criminale ristretta, in materia di incendj e di furti; quando il Delitto avrebbe portato all’applicazione di una pena grave, Egli come incompetente a prenderne cognizione, rinviava l’affare al Prefetto della Città.

d) Il Prefetto dell’Annona (Præfectus Annonæ) provvedeva all’approvigionamento di Roma, ed alla salubrità delle vettovaglie, aveva autorità di conoscere e giudicare dei Contratti e dei Delitti a ciò relativi. Egli era un ufficiale ben distinto dai Præfecti frumenti dandi, che sopravvedevano alle distribuzioni gratuite di grano, d’olio, e di carni, nonchè alle largizioni di danaro, che gli Imperatori cominciarono a fare per cattivarsi l’amore della plebe. [p. 85 modifica]

e) I Præfecti ærarii ebbero l’amministrazione dell’erario, ed una certa giurisdizione negli affari che vi si riferivano. L’Erario, o tesoro dello Stato, ai tempi di Augusto era distinto dal Fisco, tesoro particolare dell’Imperatore, nel quale celavano i tributi delle provincie affidate alla sua amministrazione, i doni offerti dalle città, le penali pagate dai frodatori delle gabelle, i beni vacanti, e generalmente i beni dei condannati (bona damnatorum). Dall’erario dello Stato era pure distinto l’ærarium militare, cassa speciale dell’esercito, ricca per molte entrate. Ma sotto gli Imperatori successivi, non poche delle contribuzioni che prima andavano all’erario, furono attribuite al fisco; l’erario fu amministrato dal Principe; talchè le differenze fra le tre casse ora ricordate, sparì ed il fisco assorbì tutto.

§. 130. Le Magistrature, che per l’innanzi erano state sempre gratuite, furono dall’accorta politica di Augusto retribuite con un salario. Era antico costume dei Magistrati di circondarsi di persone illuminate, che consultavano negli affari di maggiore rilievo, e nei quali i lumi del Giureconsulto più specialmente si addimandavano. Questo costume fu tradotto in legge, divenne vera Magistratura l’ufficio prima gratuito e tutto volontario di Consigliere, e presso tutti i Magistrati Imperiali, fu istituito un Consiglio permanente e salariato (Consilium Adsessorum).

§. 131. L’Imperatore ebbe pure un simile Consiglio; Adriano lo fece permanente, e fu detto Consistorium Principis. Divenne una Corte di appello sì civile come criminale, presieduta dal Prefetto del pretorio. Dei suoi Decreti, proferiti talvolta sotto la presidenza degli Imperatori, molti occorrono nelle Pandette. Ancora radunata in Consulta di Stato, fu dagli Imperatori incaricata di formulare i loro ordini (Constitutiones).

§. 132. Lo Impero era diviso in tre parti: Roma, l’Italia e le Provincie. Roma ne era il centro, e si può dire che rappresentasse lo Stato; i veri cittadini erano cittadini di Roma, il Senato di Roma era il Senato dell’Impero, come i Magistrati di lei non municipali, ma imperiali consideravansi. [p. 86 modifica]

§. 133. L’Italia ebbe sempre gli importanti privilegj che nel periodo antecedente descrivemmo, come costituenti l’Jus italicum. Le Città italiche avevano fino ad un certo punto l’amministrazione indipendente dei proprj affari; ma quel fosse la Costituzione Municipale di esse, noi per amore di brevità non staremo a riferire, rinviando i desiderosi di notizie su questo proposito agli Scrittori, che ex professo trattano della Istoria del Diritto Romano.

§. 134. Molte notizie intorno a questa Municipale Costituzione, somministrò una tavola di bronzo, trovata nello anno 1732 nel Golfo di Taranto. Questa Tavola fu detta Tabula Heracleensis, perchè riferivasi alla città di Eraclea, nel cui territorio fu rinvenuta. Il Savigny ha dimostrato che quella Tavola, ora custodita a Napoli, contiene dei frammenti della lex Julia Municipalis, di Cesare, di quella legge cioè, che servì di fondamento alla Costituzione Municipale, in questo periodo.

§. 135. Notizie importanti dello stesso genere, si possono pure raccogliere da altra tavola, scoperta nel 1600 nelle rovine di Velleja, e che ora è conservata nel Museo di Parma. Essa contiene una parte della Lex Rubria, per la Gallia Cisalpina. La Gallia Cisalpina cessò di essere provincia, e fu incorporata all’Italia; le sue Città riceverono per conseguenza la costituzione delle Italiche, a conoscere la quale giova dunque non poco, la citata Tavola.

§. 136. Adriano divise l’Italia, Roma eccettuata, in quattro Distretti sotto il governo di quattro Consolari, ai quali furono sostituiti da Marco Aurelio dei Magistrati ambulanti, detti Juridici. Finalmente Macrino fece amministrare questi Distretti, alla pari delle Provincie, da dei Correctores o Præsides. Per questa ragione, sminuì il potere dei Magistrati Municipali. La giurisdizione dei duumviri, quatuorviri etc. juridicundo fu limitata a certe somme determinate, l’amministrativo fu ad essi sottratto; dalle loro sentenze fu permesso l’appello al Pretore, o al Preside. Giudici Criminali, essi non furono più; lo forono invece, i Correctores; il potere legislativo dall’assemblea popolare passò nella Curia; così si stabilì una distinzione mol[p. 87 modifica]to appariscente fra i decurioni (Curiales) ed i rimanenti cittadini (Plebei, humiliores). La denominazione di Municipes, che da primo si applicava a tutti gli abitanti, nei tempi posteriori indicò i soli decurioni, come rappresentanti il Comune.

§. 137. Le Provincie conservarono nelle parti essenziali il loro primitivo ordinamento; il dispotismo romano regnò in esse, se non che si estese poi a mano a mano all’Italia; e la tendenza politica del tempo fu di ridurre questa alla condizione di quelle. Augusto divise le Provincie fra se, ed il Senato. Sotto il pretesto, che quelle ove stanziavano gli eserciti, perchè esposte al pericolo continuo di invasioni nemiche, avevano bisogno della amministrazione diretta ed immediata dell’Imperatore; solamente le sicure e pacifiche, fece amministrare dal Senato; onde la distinzione fra le Provinciæ Cæsaris, e le Provinciæ Populi.

a) Le Provinciæ populi erano governate dalle antiche magistrature romane. Due di esse, l’Affrica e l’Asia, erano rette da dei Proconsoli, le altre da dei Pretori; ma gli uni e gli altri chiamavansi Proconsoli. Dei Questori amministravano le finanze. Dallo Stipendium pagato alle Erario, derivò il nome di Prædia stipendiaria, che si dava al territorio di siffatte Provincie.

b) Le Provinciæ Cæsaris non avevano Proconsoli; l’Imperatore riserbava per se questa dignità. Vi mandava dei rappresentanti suoi (Legati Cæsaris) detti Legati Consulares, e poi Præsides, Correctores. Un Procurator Cæsaris faceva da Questore. Costui era un liberto dell’Imperatore, o un suo bene affetto scelto nel ceto dei Cavalieri. Queste Provincie pagavano un tributum al Fisco, e però il loro territorio si indicava col nome di Prædia Tributoria.

§. 138. Tutte le Città nelle Provincie, non furono ugualmente sottoposte ai Presidi. Molte fra esse ottennero dei privilegj, come le Civitates juris italici, e quelle parificate ai Municipj. Le Coloniæ poi, si distinguevano sempre in coloniæ latinæ, e coloniæ civium. [p. 88 modifica]

§. 139. Il Suolo Provinciale non era suscettibile di divenire objetto di Proprietà Romana, sebbene la condizione dei possessori del medesimo, tendesse insensibilmente ad avvicinarsi a quella dei veri proprietarj ex jure quiritium. L’ager publicus era in gran parte divenuto proprietà degli Imperatori (fundi patrimoniales), in parte era usurpato dai privati.

§. 140. La Distinzione fra i Cives, i Latini, ed i Peregrini dura in questo periodo, anzi si conosce una particolare specie di Latini, detti Juniani; dei quali dovremo trattare più tardi. L’acquisto della qualità di cittadino Romano è facilitato; finchè sul terminare del periodo stesso, Caracalla accorda la cittadinanza a tutti gli uomini liberi dello Impero.

§. 141. Caracalla non abolì per questo la Latinità e la Peregrinità pel futuro, sibbene pel presente; egli si limitò ad accordare la cittadinanza ai liberi d’allora, che ne mancavano; onde anche dopo di lui poterono esservi Latini e Peregrini; Latini, come a mo’ di esempio i Latini Juniani: Peregrini, come quelli che subivano una media capitis diminutio, i sudditi dei paesi nuovamente conquistati, ec. La Concessione di Caracalla fu un provvedimento essenzialmente fiscale, inteso a sottoporre tutti i sudditi dell’Impero, alle imposizioni sulle successioni ereditarie; ma produsse ancora importanti effetti giuridici.