Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Ai Lettori

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Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894 Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894

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AI LETTORI





Diedi a stampa nel 1894 una mia canzone su Benevento, corredandola di alcune note storiche, ed ora assento a ripubblicarla, per non dipartirmi dall’opinione dei miei amici che la ritengono — mi si conceda l’espressione — quasi un corollario poetico delle cose narrate nella mia storia.



BENEVENTO



Salve, o terra natale! un ciel sereno
     Che di cara dolcezza inonda i cori,
     Ed un tepido sole a te sorride.
     Il tuo lieto, vivace, almo terreno,
     Che un aër puro allegra, a’ tuoi cultori
     Di desiata opima messe arride.
     E de l’apriche facili colline
     Ond’hai vaga ghirlanda, a l’incantata
     Vista, e de le chiare acque sonanti
     Giù per l’erbose chine,
     Il viatore esulta, o patria amata;
     E al placido spirar d’aure fragranti
     L’orme e il frequente anelito rattiene,
     E del cammino oblia l’ansia e le pene.

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De’ secoli l’infanzia i tuoi natali
     Circondò di mistero, ma fallace
     Fu il grido che, il superbo Ilio combusto
     Qui traendo Diomede le immortali
     Tue mura eresse, ove il tuo suol ferace,
     Cinto da irrigui colli, è più venusto.
     Ah! un vagante non fu prode straniero,
     Ma del tuo suolo i primi e avventurosi
     Nativi abitatori, o patria mia,
     Degnissima d’impero,
     Che a tutela dei tuoi blandi riposi,
     E schermo all’onte de la sorte ria,
     Le tue salde fondaro inclite mura
     Che i secoli sfidaro e la sventura.



E gagliarda, operosa, e d’alte imprese
     Avida ognora in te crebbe la prole,
     Dell’italico ciel delizia e vanto.
     E nel cor di tue vergini s’apprese
     Non de’ fatui piacer, de le caròle
     Vano desio, ma de la patria il santo
     Amor che ad alte imprese i prodi incita;
     Sì che, i molli garzon tenendo a vile,
     Il loro affetto posero ne’ prodi
     Che da le pugne in sull’età fiorita
     Vincitori reddiano, doma l’ostile
     Turba, e mertaro de’ cantor le lodi;
     Onde sonò de’ fervidi sanniti
     Alta la fama ne’ remoti liti.

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E quando la romana Aquila altera,
     Che il suo volo spiegò per l’universo,
     Tentò, violando de le genti il dritto,
     Ridurre al giogo esoso la guerriera
     Gente Sannita, in onta e duol converso
     Vider l’orgoglio del Romano invitto
     Le memorande ognor rupi caudine.
     Poi, quando in peggio declinaro i futi,
     Per l’alma libertà l’oste sannita
     Pugnò più lustri, e alfine
     Giacque oppressa e non vinta, e dagli amati
     Colli esulò la gioventù più ardita,
     E sol restaro le tue mura illese,
     O patria amata, da nemiche offese.


E allor che Roma l’itala discorde
     Terra, cui l’Alpe chiude e i suoi tre mari,
     Una rese di leggi e di favella,
     Tu esultavi mirando alfin concorde
     Italia, e in lieti dì volti gli amari,
     E dell’eccelsa Roma Africa ancella.
     E negli alti trionfi, e quando infida
     Volse la sorte, e vacillò la possa
     Insuperata del latino impero,
     In ogni evento tu costante e fida
     A Roma fosti, e pronta alla riscossa
     Pugnavi contro l’invasor straniero;
     E giacquer vinte in questa aprica valle
     Le falangi di Pirro e d’Anniballe.

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Ma la città magnanima, severa,
     Che l’orbe vinse, ogni virtù smarria;
     E ne’ lieti ozii immersa a la mina
     Schermo non fece dell’audace e fera
     Orda germana; e senza ardir peria
     L’eccelso impero cui fu servo il mondo.
     Ed ogni piaggia allor predata e guasta
     Fu dell’italo suolo infortunato,
     E d’ogni male in fondo,
     Segno al furor de la vandalic’asta,
     Tu fosti, o patria, e Totila spietato
     L’alme tue mura in ruderi converse,
     Che novamente poi Narsete aderse.


E quando ogni altra oppressa itala terra
     Languia ne’ ceppi e d’ogni ben deserta,
     E senza speme in lunghi lutti immersa,
     Tu lieta in pace e assai temuta in guerra
     Fiorivi, o Benevento, e ti fu aperta
     Novella età di gloria, e ogn’oste avversa
     Gelò di tema di tua spada al lampo.
     Ed il franco invasore, il greco infido,
     E ’l crudo saracin nel suol de’ forti
     Vinti perian sul campo,
     E la nordica notte ch’ogni lido
     Inondò dell’Ausonia, e le sue sorti
     Velò di nubi, tu fugar tentavi,
     E ad eccelse virtù l’alme educavi.

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Ahi! scemò le tue glorie il tempo edace.
     Che infranse de’ tuoi prenci il regal serto;
     Ma quando del secondo Federico
     Il vago e prode figlio irruppe audace
     Contro il poter fatale che un deserto
     Fè dell’itala terra, e dell’antico
     Latino imperio suscitò la spene,
     Tu anelavi che alfin libera ed una,
     Tolta al giogo, riedesse Ausonia bella;
     Ma, segno ad ire oscene
     L’aquila sveva, al predator fortuna
     Arrise, e scolorò l’Itala stella,
     Allor che nelle tue valli ridenti
     Manfredi e i prodi suoi giacquero spenti.


E ben di cinque secoli il servaggio
     Gravò l’Italia da quel dì fatale,
     E i brani sparti de la sua corona
     Dilaceraro con nefando oltraggio
     I rapaci stranieri. Ma il natale
     Tuo suol diletto non soggiacque al fero
     Giogo, nè l’orma d’oppressor crudele
     Calcò il tuo verde pian, cui sempre arrise
     La libertà, d’ogni anima sospiro.
     E al popol tuo bramoso,
     O patria mia, di savie leggi rise
     Perenne pace e oblio d’ogni martiro;
     E mentì il grido che di streghe oscene
     Fossero sede queste piagge amene.

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Ma i tuoi di contristava assidua pena
     Per la materna gloriosa terra
     Venuta a man degli avversarii suoi.
     E quando osò spezzar la sua catena
     Dall’Alpi all’Etna in venturosa guerra
     L’eccelsa altrice di famosi eroi,
     Tu, patria mia, nel suol sebezio, dove
     Più lieto splende di natura il riso,
     Prima levasti l’itala bandiera.
     E allor che in dure prove
     Fu l’insano oppressor rotto e conquiso,
     Dal Vesévo alla sicula riviera
     Tu esultavi, mirando Italia infine
     Che i prischi serti ricompose al crine.


Ed or che il cielo più benigna sorte
     A te consente, un avvenir giocondo
     Al tuo fidente antiveder sorride.
     Già per le vie frequenti un novo e forte
     Soffio spira di vita, odi un profondo
     Fremer d’uomini e cose, all’opre arride
     De’ solerti tuoi figli il fausto evento;
     E d’ambite dovizie, di gentili
     Magnanimi costumi, e d’operosa
     Gara d’arti, ornamento
     Primo e il più caro ai popoli de’ vili
     Ozii sdegnosi, un’èra avventurosa
     Per te, diletta patria, alfin matura
     Nel chiuso grembo dell’età futura.